Replay: Un Grandissimo Disco…Che Per Ora Non “Esiste”! Phish – Sigma Oasis. “Ora Anche In Formato Fisico”

phish sigma oasis

*NDB L’album è stato pubblicato in questi giorni anche come doppio vinile e, ma solo sul sito della band  https://drygoods.phish.com/product/PHCD247/sigma-oasis-cd-dry-goods-exclusive?cp=null anche come CD. Per cui vi riproponiamo la recensione, uscita il 13 aprile.

Phish – Sigma Oasis – JEMP/ATO Records Download

Lo scorso 2 aprile i Phish, band del Vermont che ormai possiamo definire storica esistendo dal 1983, ha deciso di fare una sorpresa ai suoi fans pubblicando senza alcun battage pubblicitario un nuovo album, intitolato Sigma Oasis. Probabilmente la cosa era già nei piani del quartetto (Trey Anastasio, Mike Gordon, Page McConnell e Jon Fishman), ma l’emergenza coronavirus li ha spinti a bruciare le tappe in modo da dare al loro pubblico della nuova musica per questo lungo periodo di quarantena: purtroppo al momento l’album è disponibile soltanto come download (a pagamento) sulle principali piattaforme, e non è ancora stata resa nota una data di pubblicazione di un eventuale supporto fisico. Sarebbe un vero peccato se non potessimo avere a breve anche il CD tra le mani (parlo ovviamente di chi come il sottoscritto predilige ancora la fruizione vecchio stile, “da divano”), perché già dal primo ascolto Sigma Oasis si rivela non solo superiore al precedente e già ottimo Big Boat https://discoclub.myblog.it/2016/10/18/allora-sanno-grandi-dischi-phish-big-boat/ , e neanche semplicemente l’episodio migliore dalla reunion del gruppo avvenuta nel 2009, ma addirittura al livello dei loro lavori più belli come Rift, Hoist o Billy Breathes.

Registrato in presa diretta nel loro studio The Barn, e anche Sputnik Sound (Nashville TN), Brighter Shade Studios (Atlanta GA) e Flux Studios (New York NY), con la co-produzione di Vance Powell (già collaboratore di Chris Stapleton, Sturgill Simpson, Jack White e Buddy Guy), Sigma Oasis è formato da nove brani che i fans americani della band conoscono già in quanto presenti nelle setilist dei concerti del gruppo da diversi anni (in un caso, Steam, addirittura dal 2011, mentre altri due pezzi, Mercury e Shade, erano stati anche insisi per Big Boat ma poi lasciati in un cassetto), ma che per la maggior parte degli ascoltatori sono inediti. Ebbene, sarà perché i nostri conoscono già queste canzoni a menadito, sarà per la bontà assoluta delle composizioni (tutte a firma di Anastasio con il suo consueto paroliere Tom Marshall, e se non sbaglio è la prima volta in un disco dei Phish), ma Sigma Oasis è un album straordinario, un lavoro in cui il mix di rock, funky, ballate, progressive e tendenza alla jam di Anastasio e soci è a livelli eccellenti, in più con una serie di canzoni di prima categoria (non me ne voglia Gordon, ma Trey è sempre stato il compositore migliore del quartetto): un vero disco rock, con brani spesso lunghi e fluenti in cui i nostri suonano come se fossero nel bel mezzo di un concerto, al massimo della loro ispirazione e creatività.

L’album si apre proprio con la title track, una rock ballad fluida dal suono pieno e potente, con reminiscenze dei Grateful Dead (specie nell’insistito riff di chitarra), un ritornello disteso e godibile ed un’ottima coda strumentale: il disco (scusate se ogni tanto lo chiamo così) si mette fin da subito sui binari giusti. Leaves inizia come uno slow pianistico, poi entra una chitarra acustica e la voce di McConnell che duetta con quella di Anastasio e la melodia si sviluppa sontuosa ed in continuo crescendo, con un bellissimo gioco di voci che si rincorrono ed anche l’aggiunta di un background orchestrale, il tutto condito dalla splendida chitarra di Trey e dalle nitide note del pianoforte di Page: sette minuti fantastici. Everything’s Right di minuti ne dura più di dodici, ed è un gustoso midtempo rock dal ritmo cadenzato con un refrain corale ed un tappeto sonoro leggermente funky: Phish sound al 100%, un brano epico che dal vivo può toccare anche minutaggi maggiori, dato che dal sesto minuto diventa una straordinaria jam con McConnell che si alterna superbamente a piano ed organo e Trey che suona in modalità wah-wah.

Ancora più funky è Mercury, canzone godibile dal ritornello ripetitivo che però entra in testa subito ed ancora elementi “deaddiani” (periodo Shakedown Street), per altri sette minuti e mezzo di musica ad alti livelli; Shade è un toccante lento pianistico sul genere di classici passati del gruppo come Wading In The Velvet Sea, ancora con un emozionante intervento orchestrale ed Anastasio che canta molto bene una melodia non facile, rilasciando nel finale un assolo decisamente lirico, mentre Evening Song, che con i suoi tre minuti e venti è la più breve del lotto, è una rock song rilassata e dal motivo diretto ed accattivante, di nuovo con piano e chitarra in evidenza ed un ritornello corale molto bello. Con i quasi otto minuti di Steam ci rituffiamo in una miscela robusta ma assai fruibile di rock e funky, un suono che ormai è il marchio di fabbrica dei quattro, con Page e Trey strepitosi ai rispettivi strumenti: si sente che i brani di questo album sono già nel loro repertorio da tempo, in quanto si percepisce la sensazione di una coesione e compattezza del suono perfino maggiori del solito.

A Life Beyond The Dream conferma che i Phish sono un gruppo capace di sfornare anche ballate coi fiocchi, e forse questa è la migliore di tutte: sei minuti e mezzo splendidi, con un motivo intenso e profondo ed un accompagnamento molto anni settanta, con organo ed un coro femminile a dare un tocco southern soul ed un finale maestoso tra rock e gospel. Il CD (ehm…volevo dire lo streaming) si chiude alla grande con gli undici minuti della potente Thread, un pezzo creativo e pieno di idee, cambi di ritmo e melodia a go-go ed ennesima prestazione strumentale di valore assoluto, un brano che denota l’influenza che Frank Zappa ha avuto sui nostri. Sigma Oasis è quindi un lavoro eccellente, tra i migliori dei Phish se non addirittura il migliore: spero vivamente che prima o poi esca anche in CD, così avrò meno remore ad inserirlo nella mia Top Ten annuale.

Marco Verdi

L’Ottima Side Band Di Page McConnell Dei Phish. Vida Blue – Crossing Lines

vida blue crossing lines

Vida Blue – Crossing Lines – Ato Records

Sono passati 16 anni dal disco precedente dei Vida Blue The Illustrated Band, pubblicato dalla Sanctuary nel 2003. Già, ma molti di voi giustamente si chiederanno, chi diavolo sono questi Vida Blue? In effetti il gruppo, che prende il nome da un famoso giocatore di Baseball degli anni ’70 e ’80, tecnicamente andrebbero definiti una jam band, con spunti jazz, funk, elettronica diciamo “benevola”, e anche una piccola quota rock, se poi diciamo anche che sono la side band di Page MCConnell, il tastierista dei Phish, e aggiungiamo che al basso troviamo l’ex Allman Brothers Oteil Burbridge e alla batteria l’ottimo Russell Battiste Jr. da New Orleans, nonché componente dei  Funky Meters, li inquadriamo ancora meglio. Per questo nuovo album Crossing Lines il trio originale si è ampliato per inglobare il chitarrista Adam Zimmon, che è più bravo di quanto possa far supporre il suo curriculum di collaboratore di Shakira e Ziggy Marley. Diciamo che lo stile della band a tratti si potrebbe avvicinare a quello dei Rock Candy Funk Party (la band jazz-rock di Bonamassa), anche se nei Vida Blue quasi tutte le canzoni sono cantate, e questo non deve stupire visto che l’autore dei suddetti brani Page McConnell è anche uno dei cantanti dei Phish.

E quindi le parti strumentale e il groove della formidabile sezione ritmica sono notevoli, forse meno le parti cantate. L’iniziale Analog Delay, con il sound caratterizzato da un ritmo insistito della batteria e da strati di tastiere elettroniche, potrebbe ricordare quello di Tomorrow Never Knows dei Beatles, ma nella versione degli 801 di Brian Eno e Phil Manzanera, con la melodia che si insinua nelle evoluzioni delle tastiere di McConnell e nel lavoro intricato della solista di Zimmon, mentre Checking Out è decisamente più funky, con Burbridge e Battiste impegnatissimi a creare complessi groove, e synth e chitarra più orientati verso i lavori dei citati Rock Candy Funk Party o del jazz-rock fusion degli Headhunters di Herbie Hancock, anche per l’impiego del basso slappato di Burbridge quasi in modalità solista, lasciando al wah-wah di Zimmon funzioni ritmiche https://www.youtube.com/watch?v=POx0d04kpJE . Where Dit It Go amplia l’uso dell’armamentario di percussioni di Battiste, ma la parte cantata è fin troppo leggerina e ripetitiva, e la parte strumentale col piano elettrico e le tastiere in evidenza non risolleva del tutto l’insieme. Anche Phaidon, una ballata soffusa, non riesce ad avvicinare del tutto l’efficacia di quelle della band del Vermont (leggi Phish), anche se un lirico solo in crescendo della chitarra di Zimmon ci prova; il tutto è comunque sempre suonato in modo impeccabile.

 

Come certifica Weepa, uno strumentale che ricorda le complesse scansioni ritmiche, tra reggae e vibrazioni caraibiche, di Medeski, Martin & Wood, forse fin troppo insistite e ripetute, anche se nel finale il breve intervento dei fiati degli Spam Allstars cerca di dare più brio al brano. Maybe è un’altra ballata, decisamente più riuscita di Phaidon, grazie alla animata ed eccellente parte strumentale, dove il piano elettrico e soprattutto la chitarra sofisticata e pungente di Zimmon, alle prese con un lungo e sinuoso assolo, non fa rimpiangere quella di Anastasio, Real Underground Soul Sound, l’unico brano scritto da Russell Battiste, è uno strumentale che oscilla tra il lavoro squisito dell’organo di McConnell e i ritmi funky di New Orleans, mutuati da quelli dei vecchi (e nuovi) Meters. In conclusione troviamo la lunghissima If I Told You, già presente in Party Time, contenuto nella edizione Deluxe di Joy dei Phish: forse il brano migliore dell’album, una bella melodia che si scatena subito in un ritmo da Mardi Gras, con la sezione fiati e percussioni degli Spam Allstars a dare man forte a dei Vida Blue decisamente più ingrifati, anche grazie ad un ispiratissimo McConnell con il suo armamentario di tastiere in azione.

Bruno Conti

Il Rock Non E’ Musica Per Panettieri…O Forse Sì! Phish – The Baker’s Dozen: Live At Madison Square Garden

phish baker's dozen

*NDB Anche ieri, e nei tre giorni precedenti, come è tradizione ormai da parecchi anni, i Phish hanno festeggiato la fine dell’anno con una serie di concerti al Madison Square Garden di New York, che è diventato per loro una sorta di quartier generale per le “residenze” più lunghe nei loro tour, oltre che per i concerti di Halloween. Gli eventi di cui leggete sotto, invece si sono tenuti, sempre al Madison Square Garden, nel luglio del 2017.

Phish – The Baker’s Dozen: Live At Madison Square Garden – JEMP 3CD – 6LP

I Phish sono ormai da più di due decenni una delle migliori live band al mondo, e giustamente vengono considerati gli eredi dei Grateful Dead, per la loro capacità di trasformare e dilatare qualsiasi canzone, originale o cover che sia, con feeling, grande tecnica e creatività: non a caso quando nel 2015 i membri superstiti dei Dead hanno deciso di dare l’addio con cinque Farewell Concerts, il prescelto per sostituire Jerry Garcia è stato proprio Trey Anastasio, cantante, chitarrista e principale compositore del quartetto del Vermont (gli altri tre sono da sempre il bassista Mike Gordon, lo straordinario pianista Page McConnell ed il batterista Jon Fishman, un pazzo scatenato che però quando suona non ha paura di nessuno). Di conseguenza, è chiaro che la discografia dal vivo dei quattro sia corposa, per usare un eufemismo, tra live normali, cofanetti e CD pubblicati in esclusiva sul loro sito: l’ultima uscita in ordine di tempo è anche una delle più interessanti, e stiamo parlando cioè di The Baker’s Dozen: Live At Madison Square Garden, un triplo CD (o sestuplo LP) che presenta una selezione dai ben tredici concerti consecutivi tenuti nel 2017 dai nostri nel famoso teatro di New York.

In realtà il piatto forte era The Complete Baker’s Dozen, un megabox di 36 CD che comprendeva la residence completa, un cofanetto costoso e limitato che è andato esaurito in breve tempo (e per una volta il sottoscritto si è accontentato del triplo). La particolarità di quegli show (e non è una cosa da poco) è che i Phish durante le tredici serate non hanno mai suonato la stessa canzone per due volte, una cosa che non tutti si possono certo permettere di fare. La selezione per il triplo CD (presentato in un’elegante confezione mini-box, che quelli che hanno studiato chiamano “clamshell”) deve dunque essere stata difficile e dolorosa, anche perché la lunghezza dei brani presenti (una media di 11-12 minuti a canzone: si va dai sette di More e Miss You ai venticinque di Simple) non ha consentito di inserire più di tredici pezzi in totale. Personalmente sono abbastanza soddisfatto della scelta, anche se avrei ascoltato volentieri anche altri pezzi del gruppo, ed in particolare non mi sarebbe dispiaciuto un CD in più con una selezione delle varie cover suonate durante gli show, brani appartenenti, tra gli altri, ai songbook di Bob Dylan, Neil Young, Frank Zappa, David Bowie, Beatles e Led Zeppelin).

Il risultato finale è comunque eccellente, e The Baker’s Dozen si colloca quasi fuori tempo massimo tra i migliori album live dell’anno: Anastasio e soci sono in forma strepitosa, avendo ormai raggiunto uno status per cui sarebbero in grado di suonare qualsiasi cosa e renderla propria. I brani partono spesso dalle melodie iniziali per poi svilupparsi in maniera assolutamente creativa ed improvvisata, con la chitarra ed il pianoforte sempre a dettare legge ma con la sezione ritmica che non si tira mai indietro: i Phish non utilizzano altri musicisti sul palco, sono solo loro quattro, ma in certi momenti sembra che siano in sedici tanto corposo ed intenso è il groove che mettono nei vari brani. Ci sono quattro pezzi tratti da Big Boat, il loro ultimo bellissimo album di studio https://discoclub.myblog.it/2016/10/18/allora-sanno-grandi-dischi-phish-big-boat/  (mentre nulla proviene dai due precedenti, Joy e Fuego), a partire da una formidabile Blaze On, un brano limpido e solare che ricorda molto da vicino gli episodi più orecchiabili dei Dead: 23 minuti di piacere assoluto, con Anastasio e McConnell (il quale passa con estrema disinvoltura dal piano acustico a quello elettrico) che fanno sentire da subito di che pasta sono fatti, con improvvisazioni continue ed assoli su assoli, ma senza mai perdere di vista la canzone stessa.

Completano la selezione da Big Boat l’immediata More, un brano rock solido e molto ben costruito (e l’assolo di Trey è da urlo), la fulgida slow ballad Miss You, dal motivo bellissimo che evidenzia il gusto melodico del gruppo, e la funkeggante No Men In No Man’s Land, dal suono grasso e ritmo sostenuto. Abbiamo anche due inediti, e cioè la gustosa Everything’s Right, una rock song cadenzata, godibile e dal ritornello vincente, e la travolgente Most Events Aren’t Planned, in cui i Phish suonano con grande affiatamento e compattezza, un brano ancora tra rock e funky, con il basso di Gordon piacevolmente sopra le righe. Ci sono due pezzi tratti da The Story Of The Ghost, a mio parere il disco meno riuscito della carriera della band, che però non sembra pensarla come me: la rock ballad Roggae, un brano fluido tipico del loro repertorio, eseguita al solito impeccabilmente e con potenti riff elettrici (ed un liquidissimo assolo di Anastasio), e l’annerita Ghost (20 minuti), che dal vivo risulta molto più coinvolgente che sull’album originale. Il resto? Innanzitutto la strepitosa Simple (unica del triplo scritta da Gordon), un pezzo che i nostri hanno suonato sempre e solo dal vivo, che parte come una potente rock song di stampo classico, molto chitarristica e dal motivo diretto, e che poi nei suoi 25 minuti vede il gruppo percorrere tutte le direzioni musicali possibili (e non manca anche qui un mood funky, genere che i nostri amano infilare un po’ dappertutto).

Ci sono poi tre canzoni prese dalla discografia “di mezzo”, cioè da Farmhouse (una maestosa Twist, altri 20 minuti di grande intensità e con Anastasio monumentale, nonostante ad un certo punto compaia un synth poco gradito), da Round Room la quasi soffusa Waves, dallo spirito “deaddiano” e finale psichedelico, e da Undermind l’energica Scents And Subtle Sounds, che alterna momenti parecchio roccati ad altri più distesi, con un grandissimo McConnell e Fishman debordante: una delle performance migliori del triplo. L’unico classico appartenente ai primi dischi della band è la nota Chalk Dust Torture, qui proposta in una roboante e vitale rilettura di 24 minuti, in cui i quattro ci fanno vedere e soprattutto sentire perché sono uno dei migliori gruppi del pianeta (e Trey è in pura trance agonistica). Un grande live album, da ascoltare attentamente dalla prima all’ultima nota: alla fine arrivo quasi a rimpiangere di essermi lasciato sfuggire la versione extralarge.

Marco Verdi

Ma Allora Sanno Ancora Fare Grandi Dischi! Phish – Big Boat

phish big boat

Phish – Big Boat – JEMP CD

Dalla loro reunion nel 2009, in seguito alla separazione avvenuta nel 2004 dopo l’ottimo Undermind (separazione alla quale non avevano creduto in molti, almeno non al fatto che fosse definitiva), i Phish non hanno inciso moltissimo, anche se sono stati sempre attivi dal vivo, sia con i concerti che con le ristampe d’archivio. Joy, del 2009 appunto, era un buon disco, con tre-quattro ottime canzoni e qualche episodio più di routine, ma Fuego, di due anni orsono, era parecchio involuto, con brani che faticavano ad emergere ed un pesante senso di già sentito, quasi come se la popolare band del Vermont avesse pubblicato il disco più per dovere che per reale intenzione  (*NDB Per una volta, non sono d’accordo, come avevo scritto ai tempi http://discoclub.myblog.it/2014/08/04/se-ci-fossero-bisognerebbe-inventarli-phish-fuego/.) Era quindi lecito pensare che il gruppo formato da Trey Anastasio, Mike Gordon, Page McConnell e Jon Fishman fosse arrivato quasi a fine corsa, almeno in termini di ispirazione (dato che dal vivo continuano ad essere formidabili), e che la loro rimpatriata fosse più una cosa a fini pecuniari che per una reale voglia di continuare il percorso intrapreso nell’ormai lontano 1983. Ebbene, sono il primo ad essere contento nell’affermare di essermi sbagliato, in quanto il loro nuovissimo lavoro, intitolato Big Boat, non solo è il loro migliore da quando hanno ricominciato, ma non sfigurerebbe accanto a nessun album della loro discografia pre-2004. I quattro sono di nuovo ispirati, suonano alla grande (ma questo non avevano mai smesso di farlo) e, cosa più importante, hanno ripreso a scrivere grandi canzoni.

Big Boat, prodotto come il precedente Fuego dal grande Bob Ezrin (Alice Cooper, Lou Reed, Deep Purple, Kiss, Pink Floyd, Peter Gabriel, non proprio un pirla quindi) è proprio questo, un disco di canzoni, che tralascia parzialmente le jam per le quali i nostri sono diventati famosi (tranne in un paio di casi) e lascia spazio alle melodie, accompagnandole in maniera sublime, grazie alla splendida chitarra di Anastasio, al formidabile pianoforte di McConnell, ed alla sezione ritmica schiacciasassi di Gordon e Fishman (più diversi sessionmen tra cui una splendida sezione fiati). Da tempo non sentivo un disco con dodici brani di questo spessore tutti insieme (su tredici, solo uno è una schifezza, ma glielo perdoniamo), una sorpresa ancora più gradita in quanto cominciavo a considerare l’ascolto dei nuovi CD del quartetto come un dovere e non più un piacere. E non è che, come accadeva spesso in passato, solo i brani di Trey sono di livello superiore (un po’ come succedeva nei Grateful Dead con Garcia, tanto per citare un gruppo tanto caro ai nostri), ma anche i suoi tre compagni sono in stato di grazia dal punto di vista del songwriting, facendo di Big Boat uno degli album a mio giudizio imperdibili di questo 2016 che si avvia quasi al termine.

Friends dà il via al disco, una rock song fluida e potente, con lo splendido piano di McConnell a dialogare egregiamente con la chitarra di Anastasio (ma anche il drumming di Fishman, che tra l’altro è l’autore del brano, è notevole), un suono molto classico per una canzone creativa, densa, piena di idee, che immagino farà faville dal vivo. Breath And Burning è il primo singolo, ed è una canzone splendida, solare, godibile, quasi caraibica, con una tersa melodia tipica di Trey, ed i fiati a mo’ di ciliegina su una torta già saporita di suo; anche Home è un gran bel pezzo, disteso e diretto, quasi pop ma con classe, ancora con Trey e Page (che l’ha scritta) a guidare le danze, e nel finale un accenno di jam, con McConnell che si conferma un pianista eccezionale. Molto gradevole anche Blaze On, che ricorda molto da vicino certi pezzi solari dei Dead (tipo Scarlet Begonias), con il suo ritornello da canticchiare al primo ascolto e, tanto per cambiare, un grande pianoforte (ma che ve lo dico a fà?), così come bellissima è Tide Turns, un errebi puro e dal motivo decisamente fruibile, una delle migliori canzoni che ho ascoltato ultimamente, sarebbe stato bene anche sul disco dello scorso anno di Anderson East, con la sua melodia classica ed i fiati (guidati da Jim Horn) usati con classe e misura.

Dopo la breve Things People Do, una specie di filastrocca per sola voce e chitarra elettrica, abbiamo la vibrante Waking Up Dead (di Gordon), una sorta di pop song lisergica, con soluzioni ritmiche e melodiche non scontate, il classico Phish sound insomma, mentre Running Out Of  Time è una deliziosa folk ballad con il solo Anastasio per il primo minuto e mezzo, poi entra il resto del gruppo, sebbene in punta di piedi, bellissima anche questa, un altro dei molti highlights del CD. La funkeggiante e ritmata No Men In No Men’s Land, molto energica (e come suonano), precede la fantastica Miss You, più di sette minuti di puro godimento, una rock ballad classica e dal motivo splendido, suonata alla grandissima (e con Anastasio stratosferico), una delle canzoni più belle dell’anno. A questo punto sarei già contento, ma abbiamo ancora tre pezzi, a cominciare dalla strana I Always Wanted It This Way, una pop song elettronica e sintetizzata, completamente fuori contesto in questo disco (e lo sarebbe in qualsiasi disco dei nostri), stava meglio forse negli ultimi lavori dei Mumford And Sons, quelli brutti però. Uno scivolone che mi sento di perdonare, anche perché c’è ancora More, un’altra rock song molto anni settanta (e molto Anastasio), con melodia liquida e solito piano strepitoso, e la maestosa Petrichor, più di tredici minuti di puro suono Phish, con cambi di ritmo continui e soluzioni melodiche molto Dead, un’irresistibile canzone-jam che chiude alla grande un disco sopraffino.

Non solo il migliore degli ultimi tre lavori, ma sicuramente un album allo stesso livello di Rift, Hoist e Billy Breathes: aspettatevi di rivederlo nelle classifiche di fine anno.

Marco Verdi

Se Non Ci Fossero Bisognerebbe Inventarli! Phish – Fuego

phish fuego

Phish – Fuego – Jemp Records

Avevo letto in rete, come di consueto, pareri contrastanti sul nuovo album dei Phish Fuego (sempre titoli brevi che si ricordano con facilità, al contrario delle canzoni), per la verità, fino ad ora, negativi solo un paio, un sito italiano, Rootshighway e la webzine Tiny Mix Tapes, per il resto tutti hanno parlato in termini, più o meno, positivi di questa nuova fatica della band del Vermont. Già deponeva a loro favore il fatto di avere scelto un produttore esterno come Bob Ezrin, poi anche la scelta degli studi dove registrare, parte a Nashville, parte ai famosi Fame Studios di Muscle Shoals in Albama e infine nel Barn in Vermont, a casa. Il loro problema, se tale vogliamo definirlo, è sempre stato quello che i dischi di studio, undici fino ad ora, non sempre sono stati stati all’altezza delle loro leggendarie esibizioni dal vivo, problema peraltro comune a quasi tutte, anzi direi tutte, le jam bands. Ma non si può neppure dire che si sia trattato di brutti dischi o solo accozzaglie di idee in attesa di essere trasfigurate dalle esecuzioni in concerto (ogni tanto; magari), questo Fuego, il dodicesimo, a parere di chi scrive, è una delle loro migliori opere, o così mi pare https://www.youtube.com/watch?v=NNaOM5YZB0c !

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Un disco compatto, dieci brani, meno di cinquantacinque minuti di musica, con l’unico pezzo lungo, quello da jam band tipica, la title-track Fuego, quasi dieci minuti di classic Phish, posto in apertura, con i suoi continui e vorticosi cambi di tempo, un inizio vagamente beatlesiano, poi sprazzi zappiani, intrecci vocali e strumentali subito complessi e dall’aura quasi progressiva che confluiscono nei soli lirici ed aerei di Trey Anastasio. The Line, sempre con ottimi intrecci vocali (caratteristica più marcata rispetto al passato in questo album), sia le voci soliste che quelle di supporto intrecciate, con risultati complessi ma anche assai piacevoli all’ascolto, un pop ricercato e ben realizzato https://www.youtube.com/watch?v=mX6kUM4Guro . Pure Devotion To A Dream ha questi intrecci tra il pop più raffinato e la voglia della improvvisazione, tipo i Grateful Dead più leggeri, canzoni che spesso sono canovacci per le future esibizioni live, ma anche costruzioni sonore compiute, dove chitarre, tastiere ed una ritmica geniale ed inventiva come poche in circolazione si esaltano in un lavoro di gruppo che poi lascia spazio ad un assolo di Anastasio che molto ricorda il miglior Garcia, di cui viene ritenuto uno degli eredi più credibili, quella musica “cosmica” ma terrestre al tempo stesso.

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Altro brano notevole è Halfway To The Moon, l’unica firmata in solitaria da Page McConnell, il tastierista, che rilascia un ottimo assolo di piano acustico, su ritmi e progressioni di stampo più jazzistico, divagazioni armoniche tastiere-chitarra e le immancabili armonie vocali. I tre brani successivi costituiscono il contributo di Trey Anastasio dal lato compositivo: Winterqueen, scritta con Tom Marshall, è sempre questa miscela di pop raffinato e fruibile al tempo stesso, con strumenti e voci ben delineate dalla produzione di Ezrin, che prefersice la cura dei particolari rispetto al suono d’insieme, forse brano che a tratti diviene indulgente, ma si riprende nella parte strumentale dove fanno capolino anche dei fiati e il suono della solista di Anastasio è quantomai efficace. Sing Monica ha una andatura più rock con un call and response tra le voci moltiplicate di Trey e quelle degli altri, si tratta del brano più breve ma non per questo meno compiuto, con il “solito” assolo di chitarra a nobilitarlo. 555, ancora di Anastasio, con Scott Murawski, un brano che esplora il lato più funky e nero della band, non per nulla registrato ai Fame Studios, tra chitarre wah-wah (che si lasciano andare nel finale), coretti femminili, di nuovo i fiati, l’organo di McConnell, esplora il lato più ludico del sound della band https://www.youtube.com/watch?v=kl1Od2fkeYQ .

phish waiting all night

Waiting All Night, di nuovo firmato dal gruppo al completo, come i primi tre, se non lo avevo ricordato, potrebbe ricordare i Beatles o CSNY, ma anche gli Xtc, in trasferta ai Caraibi, musica rock ma con vaghe cadenze latine, i soliti curatissimi intrecci vocali e strumentali, il tutto reso nello stile unico dei Phish https://www.youtube.com/watch?v=mmxHvGCo2wQ . Wombat illustra il lato più goliardico della formazione, “stupido”, gli americani dicono “goofy”, che in Italia potrebbe suonare come “Pippesco”, nell’accezione Disneyana, non il Pippo nazionale, tra liriche nonsense, vocine e vocione improbabili come pure parte della strumentazione, con ritmi funky e spezzati che ci conducono sempre dalle parti del Zappa più sardonico e il funk più sofisticato, musica che ha già avuto il suo collaudo con il concerto di Halloween dello scorso anno. Posta in conclusione Wingsuit è probabilmente quella che preferisco, una meravigliosa e morbida ballata in bilico tra i Pink Floyd “spaziali” e la West Coast di Crosby & Co, con arrangiamenti complessi, deliziose armonie vocali, le tastiere liquide di McConnell e un fantastico assolo di Trey Anastasio, il tutto a conferma che questi giovanotti di belle speranze si sono trasformati in una delle migliori rock band dell’orbe terracqueo https://www.youtube.com/watch?v=oAKWyptfQB8 , dal vivo eccezionali, in studio più che adeguati alla loro fama, con un disco che arrivando al settimo posto delle classifiche di Billboard ha fatto bene anche a livello commerciale!

Bruno Conti