Non Solo Blues, Ma Tanta Buona Musica! Gnola Blues Band – Down The Line

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Gnola Blues Band – Down The Line – Appaloosa/Ird

Maurizio Glielmo, in arte “Gnola”, non è pavese, come molti pensano, anche se fa sicuramente parte di quella scena musicale, ma nasce a Milano, un imprecisato numero di anni fa (quanti? Abbastanza, andate su Wikipedia a verificare, non è un segreto, diciamo che non è più un giovanotto di belle speranze, compie anche gli anni in questi giorni, auguri) e proprio nella metropoli lombarda muove i suoi primi passi nella scena locale, a partire dalla fine anni ’70, andando poi ad approdare nella “leggendaria” Treves Blues Band, con la quale registra due album, 3 nel 1985 e Sunday’s Blues nel 1988, poi le strade con il Puma di Lambrate si dividono e già nel 1989 nasce la prima edizione della Gnola Blues Band, dove fin da allora alle tastiere sedeva Massimo “Roger” Mugnaini, a tutt’oggi compagno inseparabile di avventure musicali. Ma nel disco del 1988 appariva come ospite un certo Chuck Leavell, tastierista di culto, prima nei Sea Level (formazione poco conosciuta, ma di grande pregio), poi nell’Allman Brothers Band, dopo lo scomparsa di Duane Allman, e da parecchi anni nella touring band dei Rolling Stones, oltre ad essere apparso come ospite in centinaia di dischi. E guarda caso lo troviamo anche in questo Down The Line, disco che oserei definire “non solo”: non solo blues, non solo rock, non solo roots music, ma con tutti questi elementi ben definiti a formare un album che non esiterei a definire il migliore della carriera del buon Gnola. La discografia con la band non è copiosissima, un disco ogni cinque o sei anni, questo è il sesto dagli esordi del 1990, se contiamo anche Blues, Ballads And Songs, in società con Jimmy Ragazzon dei Mandolin Brothersoltre, anche per lui, ad un fitto lavoro di collaborazioni con gli artisti più disparati, la più nota probabilmente quella in Yanez di Davide Van De Sfroos.

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Per questo nuovo CD la Gnola Blues Band si è arricchita di una nuova sezione ritmica, Paolo Legramandi al basso e Cesare Nolli alla batteria ( spesso anche con i milanesi Fargo http://discoclub.myblog.it/2015/03/24/fargo-eccoli-nuovo-concerto-special-edition-small-world-black-and-white/ ), che hanno curato pure la produzione del disco nei Downtown Studios di Pavia, dove è stato registrato l’album. Ovviamente, essendo nei dintorni, Maurizio ha chiesto a Ed Abbiati di dargli una mano a scrivere una canzone sulle loro comuni radici musicali e, visto che la cosa aveva funzionato, di brani insieme ne hanno scritti ben 5, quasi la metà del totale, in due di essi, come autore, appare anche Marcello Milanese http://discoclub.myblog.it/2014/11/30/musicista-musicista-volta-jimmy-ragazzon-incontra-marcello-milanese-leave-the-time-that-finds/, ex (?) Chemako. Come mi piace ricordare spesso, anche l’ottimo Gnola appartiene alla colonia degli “italiani per caso”, quelli che hanno avuto i natali nella nostra penisola, ma fanno una musica di area anglosassone ed americana che non ha nulla da invidiare al 90% della produzione internazionale, anzi! Troviamo dodici brani che spaziano tra blues e rock, con molta attenzione e cura nel sound, negli arrangiamenti e nella costruzione sonora dei pezzi che spesso spaziano anche nella ballata rock e nell’area di quella che si definisce Americana music. Chiacchierando con lo Gnola mi diceva che tra i suoi modelli per la costruzione dei brani più melodici c’è uno come John Hiatt (giustamente non bisogna volare bassi https://www.youtube.com/watch?v=kqGTea0gTyM ), oltre agli immancabili Stones, Muddy Waters e, aggiungo io, Litte Feat e i primi ZZ Top, o così mi è parso di cogliere all’ascolto.

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Per motivi di ragione sociale il blues(rock) non può mancare, e fin dall’iniziale Dusty Roads, dell’accoppiata Abbiati-Glielmo, con il tipico ritmo boogie scandito dalla bacchette sul rullante e la slide tagliente di Gnola, si respira subito aria sudista, un po’ ZZ Top e un po’ Mississippi e Chicago https://www.youtube.com/watch?v=a4meHGkBzUs , impressione ribadita nell’ottima Trouble And Pain, firmata dal batterista Nolli, dove il ritmo è più scandito, con un groove decisamente funky, percussioni e chitarre acustiche che si incontrano per una gita all radici del blues, con breve reprise strumentale. Gianni Rava collabora con il gruppo sin dagli anni ’90 e firma con Glielmo una bellissima ballata come Four Burning Flames, dove il buon Maurizio, se non può competere a livello vocale con il citato Hiatt https://www.youtube.com/watch?v=xgtOvajfRoc , sfodera comunque una bella interpretazione, impreziosita da un eccellente lavoro di tutto il pacchetto chitarristico, per un brano che profuma di Stones americani, circa Sticky Fingers o Exile Main Street, quelli innamorati di country e rock sudista, oltre ai grandi balladeers roots https://www.youtube.com/watch?v=moztlVV2HqAVentilator Blues, dello strano trio Jagger-Richards-Taylor, viene proprio da Exile, e con un ottimo Leavell aggiunto al piano, è un omaggio al blues più sanguigno, crudo  ed elettrico del grande Muddy Waters, mediato dai migliori discepoli bianchi della musica del Diavolo e qui ripreso alla grande da Gnola e soci https://www.youtube.com/watch?v=vZ4B6-s49RA . I’ll Never Do It Again ricorda ancora passaggi sonori americani, un basso rotondo a segnare il tempo e quel sound vagamente littlefeatiano che piace sempre tanto e che denota buone frequentazioni musicali, Mugnaini fa il Leavell della situazione.

Falling Out Of Love è una grande rock ballad, e adesso che lo so, ci vedo quell’aria à la John Hiatt, anche se la firma è di nuovo Abbiati-Glielmo, suono arioso ed avvolgente, una bella melodia cantabile e una slide mirabile ad impreziosire il tutto, ho sempre il dubbio che non siano italiani, so che per Ed, in parte, è una realtà, ma anche gli altri non me la raccontano giusta, secondo me vengono da qualche piccolo sobborgo di Memphis, Muscle Shoals Lambrate o giù di lì. She Got Me Now è un bel rock-blues di quelli sapidi e chitaristici, uno dei due co-firmati da Milanese, e trasuda grinta e passione, con un assolo di quelli fiammeggianti che sicuramente Mick Taylor avrebbe approvato, mentre The Ghosts Of King Street, attraverso le parole di Ed Abbiati e Glielmo rievoca la Londra degli anni ’70, quella degli Who, della Frankie Miller Band (ma allora non li conosco solo io!), del pub rock, ma anche dei Clash e dei Pogues, Sex Pistols e Costello e di tanti locali che non ci sono più, e lo fa musicalmente con un brano che ha le stimmate delle migliori ballate romantiche della tradizione pop-rock britannica https://www.youtube.com/watch?v=agY8Jy99Ugg . Room Enough, di nuovo di Nolli, e nuovamente con il pianino di Leavell in bella evidenza, è un pigro blues elettroacustico con Gnola che ci dà un breve assaggio anche della sua perizia al wah-wah. Fallen Angels è un altro brano che alza la qualità dell’album, di nuovo wah-wah innestato, un bel mid-tempo rock dalla struttura classica, con uso di piano elettrico e gran finale chitarristico, di quelli che lo stesso Clapton ultimamente fatica a cavare dal cilindro (ma ogni tanto ci riesce), che il trio Glielmo-Abbiati-Milanese confeziona senza sforzo apparente. I’ve been there before è la terza canzone dove un wah-wah quasi hendrixiano cerca di farsi largo in un denso magma sonoro di “sporco” rock-blues che sarà anche fuori moda ma ci piace tanto. E per ribadire che il blues non manca comunque in un disco eclettico e dai mille sapori, nella conclusiva Dangerous Woman Blues, una slide cattivissima taglia in due un brano che ricorda i vecchi tempi del british blues https://www.youtube.com/watch?v=L-KFnY1Shk4 . Dodici brani di notevole livello qualitativo, ribadisco (anche perchè in alcune recensioni ho letto di undici canzoni, mi hanno forse dato una copia “difettosa” con un brano in più?) che nulla hanno da invidiare a gran parte della produzione internazionale.

Come diremmo in dialetto lombardo, “Well done Gnola”!

Bruno Conti