Era Matto Come Un Cavallo, Ma Anche Un Grandissimo Musicista! Frank Zappa – Zappa In New York Deluxe Edition

frank zappa in new york deluxe

Frank Zappa – Zappa In New York Deluxe 40th Anniversary Edition – Zappa Records/UMG 3LP – 5CD Box Set

Ci risiamo: se si doveva commemorare il quarantennale dei famosi concerti di Frank Zappa al Palladium di New York nel Dicembre 1976 (quattro serate tra Natale e Capodanno) prendendo in esame la data di pubblicazione della prima versione poi ritirata (1977), questo box doveva uscire nel 2017, mentre se, come si è fatto, l’album di riferimento è il doppio LP uscito nel 1978, siamo comunque in ritardo di un anno sulla ricorrenza. Ma andiamo con ordine. Nel 1976 Frank Zappa era forse nel suo momento di maggior fama, dato che aveva da poco pubblicato tre tra i suoi album più popolari (Over-Nite Sensation, Apostrophe e Zoot Allures) oltre al famoso live Roxy & Elsewhere, ed i suoi quattro concerti newyorkesi post-natalizi erano stati registrati per un nuovo disco dal vivo. Zappa In New York fu però un album dalla gestazione molto travagliata, e che incrinò non di poco i rapporti tra il nostro e la Warner, che fece ritirare la prima versione del 1977 (uscita in poche copie solo in Inghilterra, copie che adesso valgono una fortuna), contravvenendo all’accordo tra le due parti che riconosceva a Zappa il totale controllo del suo materiale: la materia del contendere era soprattutto il brano Punky’s Whips, dedicato sarcasticamente a Punky Meadows, chitarrista degli Angel, la cui immagine eterea ed effeminata fu bersaglio dei lazzi di Frank con un testo obiettivamente un tantino “oltre” (anche se pare che Meadows stesso avesse preso la cosa con leggerezza ed ironia).

Nel 1978 uscì dunque la versione definitiva del live, ma anche qui ci furono problemi di censura per alcuni titoli come Titties & Beer e I Promise Not To Come In Your Mouth, e per le tematiche affrontate in pezzi come The Illinois Enema Bandit (che “celebrava” la figura realmente esistita di Michael Kenyon, un criminale che usava rapinare le donne e poi costringerle a subire dei clisteri d’acqua calda) e Honey, Don’t You Want A Man Like Me?, una love song dalle liriche piuttosto scurrili. Zappa riuscì finalmente a pubblicare una versione definitiva dell’album su doppio CD nel 1991, ma ora la label gestita dai suoi eredi ha fatto le cose in grande, pubblicando un’edizione deluxe (per usare un eufemismo, abbastanza costosa) con all’interno cinque CD ed un corposo libretto con foto inedite, note ed anche i testi dei brani, in una curiosa confezione tonda in latta che raffigura un tipico tombino di New York (ma alla fine sembra più una scatola di cioccolatini, e presenta pure qualche problema logistico di sistemazione sugli scaffali). Il primo CD contiene la versione originale del 1978, opportunamente rimasterizzata, mentre nei restanti dischetti vi è una selezione con il meglio delle quattro serate: non gli show completi, ma ogni canzone eseguita nella sua versione più riuscita (infatti nel 1978 erano stati scelti quasi totalmente brani all’epoca inediti, suonati per la prima volta in quegli spettacoli).

E l’ascolto del box si rivela una goduria, in quanto (ma non lo scopriamo oggi) Zappa era un grande intrattenitore, un grandissimo musicista ed un band leader carismatico, che mascherava dietro atteggiamenti e canzoni spesso demenziali una preparazione ed una tecnica mostruose. Zappa In New York è quindi un meraviglioso collage di musica rock, jazz, funky e fusion, con canzoni che sono una fucina di idee e di creatività, suonate da una delle migliori band mai avute dal rocker di Baltimore, un gruppo che comprendeva il chitarrista Ray White, il funambolico batterista Terry Bozzio, il bassista Patrick O’Hearn, Ruth Underwood, indispensabile con i suoi xilofono, marimba e moog, Eddie Jobson alle tastiere e violino ed una eccezionale sezione fiati di cinque elementi, vera colonna portante del suono del gruppo, con i fratelli Mike e Randy Brecker rispettivamente al sax e tromba, il jazzista Ronnie Cuber al sax e clarinetto e, dalla band del Saturday Night Live, Tom Malone e Lou Marini. CD 1: il disco originale, che inizia con la pimpante Titties & Beer, un pezzo tra rock e funky, con un bel suono “grasso”, un grande uso dei fiati (uno stile molto vicino a quello che in futuro avranno i Phish, gruppo senz’altro influenzato da Frank) ed un duetto vocale quasi cabarettistico tra Zappa e Bozzio; segue I Promise Not To Come In Your Mouth, che nonostante il titolo osceno è uno strumentale lento e piuttosto “free”, contraddistinto da un assolo di moog. La breve Big Leg Emma è un godibilissimo rock’n’roll decisamente swingato, musicalmente trascinante e dal testo idiota, Sofa è un altro strumentale dominato dal sax con un potente assolo finale di Frank alla chitarra, mentre Manx Needs Women è un divertissement un po’ folle di appena un minuto e mezzo.

Le due parti di The Black Page danno un’idea dello spirito di improvvisazione dei nostri, che non suonavano mai lo stesso brano due volte allo stesso modo: qui si parte da un lungo assolo di Bozzio (un classico degli anni settanta, l’assolo del batterista), per poi proseguire con gli altri strumenti in totale libertà, pur con un tema melodico ben preciso. Dopo una diretta e divertente Honey, Don’t You Want A Man Like Me?, una canzone quasi normale per gli standard di Zappa, l’album originale si chiude con i due brani più lunghi, e cioè The Illinois Enema Bandit, un rock-blues di 12 minuti cantato da White e suonato in maniera strepitosa, con un ispiratissimo assolo da parte di Frank, ed una monumentale The Purple Lagoon, 17 minuti di pura improvvisazione tra jazz e rock, grandissima musica. CD 2-3-4: il meglio delle quattro serate, tutto ovviamente inedito. Oltre a versioni alternate di tutti i pezzi del primo CD (e The Illinois Enema Bandit qui è ancora meglio), ovviamente non manca la famigerata Punky’s Whips, un brano dal testo divertentissimo cantato in maniera demenziale, mentre dal punto di vista musicale è un altro funk-rock-jazz molto godibile, con qualche somiglianza con lo stile dei Chicago (piccola curiosità: questa canzone fu eseguita in seguito solo nel 1977 e 1978, e poi tolta per sempre dalle scalette).

Da citare ancora la suadente The Torture Never Stops, lenta e quasi ipnotica, con un basso molto pronunciato, un uso creativo delle tastiere ed il solito assolo magistrale di Zappa, una swingatissima America Drinks, puro jazz d’alta classe, la vigorosa e gagliarda I’m The Slime, l’orecchiabile Find Her Finer, una grandiosa Cruisin’ For Burgers, con Frank semplicemente mostruoso alla chitarra, ed una interminabile Black Napkins, 28 minuti di musica totale. Non manca anche qualche classico di Frank, come una maestosa Peaches En Regalia, dominata dai fiati, la sempre impeccabile e contagiosa Montana (richiesta a gran voce dal pubblico) e l’acclamatissima Dinah-Moe Humm, in assoluto uno dei pezzi più immediati del nostro. CD 5: un CD particolare, altre 7 canzoni tratte dagli archivi di Frank, due registrate ai Record Plant di New York nel periodo dei concerti al Palladium (due brevi prove per solo piano di The Black Page) ed altre cinque che sono in realtà un collage tra versioni live e overdubs incisi in studio, una sorta di ibrido che però è rimasto inedito fino ad oggi (i brani in questione sono I Promise Not To Come In Your Mouth, Chrissy Puked Twice – che non è altro che Titties & BeerCruisin’ For Burgers, Black Napkins e Punky’s Whips).

Costo a parte, non spaventatevi per il fatto che Zappa In New York è diventato un cofanetto quintuplo (esiste anche una versione in tre LP, con però una selezione molto ridotta di inediti), in quanto quando arriverete alla fine vi potreste anche rammaricare di non poter inserire il sesto dischetto.

Marco Verdi

Per Contratto Dischi Brutti Non Ne Fa, Anzi E’ Vero Il Contrario! John Hiatt – The Eclipse Sessions

john hiatt the eclipse sessions

John Hiatt – The Eclipse Sessions – New West Records

Per ribadire il titolo del Post potrei dire che sono oltre trenta anni che John Hiatt non fa un disco brutto: anche se qualcuno non aveva particolarmente apprezzato Perfectly Good Guitar  del 1993 (che per me era comunque un ottimo disco) e Little Head del 1997 (che in effetti forse non aveva brani particolarmente memorabili, ma nell’insieme si difendeva), però per esempio il nostro amico negli anni 2000 ha azzeccato una serie di album notevoli, da Crossing Muddy Waters a Beneath This Gruff Exterior, passando per Master Of Disaster e il bellissimo Same Old Man, e ancora l’ottimo The Open Road, Dirty Jeans And Mudslide Hymns e Mystic Pinballs (entrambi prodotti da Kevin Shirley), per arrivare all’ultimo Terms Of My Surrender del 2014, ancora eccellente https://discoclub.myblog.it/2014/07/24/puo-rude-anche-tenero-john-hiatt-terms-of-my-surrender/ , e l’ultimo registrato con Doug Lancio alla chitarra. Poi ha deciso di prendersi una pausa di riflessione e sono passati quattro anni prima dell’uscita di questo The Eclipse Sessions, registrato lo scorso anno nella settimana dell’eclisse solare dell’agosto 2017 alla Rock House di Franklin, Tennessee: disco numero ventitré in una discografia corposa, che se probabilmente ha trovato i suoi vertici nel capolavoro Bring The Family e nell’altro vertice assoluto di Slow Turning (quest’anno celebrato  proprio con un tour nel trentennale, in cui per l’occasione Sonny Landreth era tornato a svolgere la sua funzione di chitarrista), è rimasta, come detto, sempre consistente e di alti livelli qualitativi, con pochi paragoni con altri suoi colleghi cantautori più ondivaghi nei loro risultati discografici.

Leggendo le note si nota l’assenza di una “vera” chitarra solista, ma il disco ha comunque sempre la presenza di questo strumento fondamentale nell’economia del sound di Hiatt: se ne occupano, a seconda dei brani, lo stesso John, oltre al tastierista Kevin McKendree (che cura anche la produzione del disco), e in alcuni pezzi il figlio quindicenne di quest’ultimo Yates McKendree, che a giudicare da quanto si può ascoltare potrebbe avere un futuro luminoso di fronte a sé. La sezione ritmica, manco a dirlo, è composta dagli immancabili Patrick O’Hearn al basso e Kenneth Blevins alla batteria, in grado di garantire quel suono inconfondibile che siamo soliti associare ai dischi di John Hiatt. Che di suo compone undici nuove canzoni che trattano dei temi che negli ultimi anni sembrano ricorrenti nei testi di un signore di 66 anni come lui, che anche se non dichiara mai esplicitamente nelle sue canzoni il fattore autobiografico, lo lascia comunque sempre intuire: il narratore che medita sui suoi fallimenti di uomo e compagno in Poor Imitation Of God e Nothing In My Heart, una certa aridità di sentimenti in Over The Hill, il dolore provocato dai propri misfatti in Hide Your Tears, oppure il bilancio amaro per una vita spesa on the road dal protagonista di Robber’s Highway, che ha più rimpianti che soddisfazioni da portare in questo bilancio fatto nell’età matura.

La musica è in ogni caso quella “solita” a cui siamo abituati: dal ciondolante ritmo country-rock-blues dell’elettrocustica Cry To Me, dove la splendida voce di Hiatt dispiega il suo caldo e pigro charme, ben sostenuta dal piano e dall’organo di babbo Kevin e dai fini rintocchi della chitarra del figlio Yates, per un brano  che come al solito ha profumi sudisti e l’avvolgente fervore delle sue migliori canzoni. All The Way To The River, una delle migliori canzoni del disco, con lo stesso Hiatt alla chitarra elettrica, mi ha rimandato al suono dei primi Dire Straits, con una andatura rock sinuosa e coinvolgente, ma anche a certi brani del Dylan più elettrico e nashvilliano;  Aces Up Your Sleeve è una di quelle ballate acustiche folk intime ed intense in cui il nostro amico è maestro, intrisa di malinconia e buoni sentimenti, con il delicato organo di McKedree a lavorare di fino sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=Z7LuOjQDxt8 , mentre Poor Imitation Of God con Kevin McKendree alla chitarra solista è uno dei brani più rock della raccolta, sempre con quel sound volutamente più trattenuto del solito (il disco avrebbe dovuto essere acustico) ma a cui non manca la voce grintosa del nostro amico.

E anche Nothing In My Heart opta per il suono delle chitarre acustiche arpeggiate che sono punteggiate dagli interventi  dell’organo di McKendree e dal volteggiare rotondo del contrabbasso di O’Hearn che sottolineano le amare confessioni del narratore del brano; Over The Hill è un altro dei brani più mossi del CD, con la chitarra del giovane Yates in bella evidenza e il tocco vocale peculiare del cantautore di Indianopolis, il suo marchio di fabbrica unico ed inconfondibile. Outrunning My Soul, con John di nuovo all’elettrica, un bel piano elettrico in mostra e un ritmo rock&soul che ricorda gli Stones felpati  anni ’70 di Black And Blue, lascia poi spazio di nuovo  alla dolcezza non svenevole delle confessioni folkie della dolceamara Hide Your Tears, dove la baritone guitar di Hiatt si insinua nelle pieghe di un suono quasi minimale. The Odds Of Loving You, bellissima, è un country-blues classico, con la slide acustica di Yates McKendree a sottolineare la voce vissuta di un ispirato Hiatt; One Stiff Breeze, nonostante l’impegno della famiglia McKendree, a piano, organo e chitarra elettrica, e un certo impeto R&R, è forse uno dei brani che mi paiono meno riusciti, anche se non del tutto disastroso, ma pezzi rock così  Hiatt nel passato ne ha incisi di molto migliori. Però il livello si rialza per la conclusiva Robber’s Highway, una delle sue magiche ballate, il cui riff iniziale mi ha ricordato quello della Sweet Jane rallentata che facevano i Cowboy Junkies, cantata in modo splendido e compassionevole da un Hiatt veramente ispirato https://www.youtube.com/watch?v=RrfojB7sNe0 , che chiude in modo brillante un album ancora una volta soddisfacente per chi ama la musica di questo grande cantautore, sempre tra i migliori in circolazione.

Bruno Conti

E Questo? Occhio Al Formato E Alla Confezione. Frank Zappa – Halloween ’77 Costume Boxset E Altre “Amenità Famigliari”.

frank zappa halloween '77 front frank zappa halloween '77

Frank Zappa – Halloween ’77 – Chiavetta USB – Maschera – Costume – Universal 20-10-2017

Frank Zappa – Halloween Night 31/10/1977 – 3 CD Set

In effetti questa ci mancava! Il 20 Ottobre per il 40° Anniversario degli storici concerti di Frank Zappa al Palladium di New York, tenuti in occasione della festa di Halloween del 1977, gli eredi della famiglia Zappa, tramite la Universal, hanno realizzato questa confezione che comprenderà una chiavetta USB, a forma di caramella, con le registrazioni complete dei 6 concerti svoltisi appunto al Palladium di New York tra il 28 e il 31 di ottobre di quell’anno (di cui esistevano in precedenza delle edizioni semilegali e parziali sia in CD che in LP), 158 brani rimasterizzati con audio 24-bit, un booklet digitale di 28 pagine, con foto inedite e note del produttore abituale degli archivi zappiani  Joe Travers, co-produttore del cofanetto insieme al figlio di Frank Ahmet Zappa, nonché contributi di personaggi come il chitarrista Adrian Belew, il percussionista Ed Mann, il keyboard tech Thomas Nordegg, il tour manager Phil Kaufman e la superfan Janet “The Planet” Walley. Il materiale era stato registrato integralmente all’epoca e quattro delle esibizioni erano state anche filmate, e un riassunto già pubblicato in video come Baby Snakes, un film diretto ai tempi dallo stesso Frank Zappa.

Questo per ciò che concerne i contenuti musicali, che però sono secondari rispetto ai gadgets (sto scherzando, forse) contenuti nella confezione: maschera e costume di Frank Zappa per Halloween, ma presumo utilizzabile anche a Capodanno e Carnevale. La formazione che suona nei concerti è di tutto rispetto, una delle migliori edizioni di sempre della band di Zappa: Terry Bozzio alla batteria, Tommy Mars e Peter Wolf entrambi alle tastiere, Adrian Belew altro chitarrista formidabile e seconda voce, Ed Mann alle percussioni e Patrick O’Hearn al basso. Come si diceva la chiavetta contiene il contenuto audio completo dei concerti, ecco in dettaglio la scaletta delle sei date:

10-28-77 Show 1
1. 10-28-77 Show 1 Start/Introductions 3:28
2. Peaches En Regalia 2:42
3. The Torture Never Stops 13:05
4. Tryin’ To Grow A Chin 3:37
5. City Of Tiny Lites 6:04
6. Pound For A Brown 8:05
7. Bobby Brown Goes Down 4:33
8. Conehead (Instrumental) 9:19
9. Flakes 4:03
10. Big Leg Emma 1:47
11. Envelopes 2:29
12. Terry’s Solo #1 4:42
13. Disco Boy 3:53
14. Lather 3:36
15. Wild Love 24:05
16. Titties N Beer 7:16
17. Audience Participation #1 :48
18. The Black Page #2 3:02
19. Jones Crusher 2:48
20. Broken Hearts Are For Assholes 3:52
21. Punky’s Whips 9:43
22. Encore Audience #1 1:21
23. Dinah-Moe Humm 4:55
24. Camarillo Brillo 3:35
25. Muffin Man 4:36

10-28-77 Show 2
1. 10-28-77 Show 2 Start/Introductions 3:13
2. Peaches En Regalia 2:42
3. The Torture Never Stops 12:33
4. Tryin’ To Grow A Chin 3:37
5. City Of Tiny Lites 8:00
6. Pound For A Brown 9:19
7. Bobby Brown Goes Down 5:36
8. Conehead (Instrumental) 9:18
9. Flakes 4:10
10. Big Leg Emma 1:48
11. Envelopes 2:33
12. Terry’s Solo #2 4:17
13. Disco Boy 3:54
14. Lather 3:42
15. Wild Love 26:01
16. Titties N Beer 7:50
17. Audience Participation #2 2:37
18. The Black Page #2 3:14
19. Jones Crusher 2:58
20. Broken Hearts Are For Assholes 3:54
21. Punky’s Whips 9:51
22. Encore Audience #2 2:13
23. Dinah-Moe Humm 4:01
24. Camarillo Brillo 3:36
25. Muffin Man 6:20

10-29-77 Show 1
1. 10-29-77 Show 1 Start/Introductions 4:06
2. Peaches En Regalia 2:42
3. The Torture Never Stops 12:59
4. Tryin’ To Grow A Chin 3:34
5. City Of Tiny Lites 7:15
6. Pound For A Brown 8:26
7. Bobby Brown Goes Down 6:06
8. Conehead (Instrumental) 5:50
9. Flakes 3:53
10. Big Leg Emma 1:52
11. Envelopes 2:42
12. Terry’s Solo #3 3:51
13. Disco Boy 3:57
14. Lather 3:40
15. Wild Love 22:51
16. Titties N Beer 6:01
17. Audience Participation #3 2:42
18. The Black Page #2 3:05
19. Jones Crusher 2:53
20. Broken Hearts Are For Assholes 3:50
21. Punky’s Whips 9:18
22. Encore Audience #3 1:46
23. Dinah-Moe Humm 5:12
24. Camarillo Brillo 3:29
25. Muffin Man 5:09

10-29-77 Show 2
1. 10-29-77 Show 2 Start/Introductions 4:21
2. Peaches En Regalia 2:42
3. The Torture Never Stops 11:30
4. Tryin’ To Grow A Chin 3:36
5. City Of Tiny Lites 7:01
6. Pound For A Brown 9:05
7. Bobby Brown Goes Down 9:12
8. Conehead (Instrumental) 6:29
9. Flakes 3:28
10. Big Leg Emma 1:49
11. Envelopes 2:52
12. Terry’s Solo #4 4:07
13. Disco Boy 3:54
14. Lather 3:56
15. Wild Love 27:33
16. Titties N Beer 8:12
17. Audience Participation #4 5:02
18. The Black Page #2 2:57
19. Jones Crusher 2:49
20. Broken Hearts Are For Assholes 3:48
21. Punky’s Whips 9:36
22. Encore Audience #4 2:23
23. Dinah-Moe Humm 6:19
24. Camarillo Brillo 3:30
25. Muffin Man 6:02

10-30-77 Show
1. 10-30-77 Show Start 1:40
2. Stink-Foot 7:45
3. The Poodle Lecture 5:10
4. Dirty Love 2:32
5. Peaches En Regalia 2:40
6. The Torture Never Stops 12:53
7. Tryin’ To Grow A Chin 3:32
8. City Of Tiny Lites 7:36
9. Pound For A Brown 10:03
10. I Have Been In You 8:35
11. Dancin’ Fool (World Premiere) 4:50
12. Jewish Princess (Prototype) 4:41
13. King Kong 8:45
14. Terry’s Solo #5 5:07
15. Disco Boy 4:01
16. Envelopes 2:19
17. A Halloween Treat with Thomas Nordegg 6:17
18. Lather 3:47
19. Wild Love 25:19
20. Titties N Beer 7:01
21. Audience Participation #5 8:28
22. The Black Page #2 2:59
23. Jones Crusher 2:53
24. Broken Hearts Are For Assholes 3:52
25. Punky’s Whips 12:36
26. Encore Rap 1:11
27. Dinah-Moe Humm 6:06
28. Camarillo Brillo 3:27
29. Muffin Man 5:18

10-31-77 Show
1. Halloween 1977 Show Start/Introductions 3:11
2. Peaches En Regalia 2:42
3. The Torture Never Stops 13:54
4. Tryin’ To Grow A Chin 3:35
5. City Of Tiny Lites 8:17
6. Pound For A Brown 13:40
7. The Demise Of The Imported Rubber Goods Mask 8:33
8. Bobby Brown Goes Down 3:49
9. Conehead (Instrumental) 8:21
10. Flakes 3:04
11. Big Leg Emma 1:58
12. Envelopes 2:25
13. Terry’s Halloween Solo 4:38
14. Disco Boy 3:55
15. Lather 3:58
16. Wild Love 30:11
17. Titties ’N’ Beer 7:24
18. Halloween Audience Participation 7:04
19. The Black Page #2 2:55
20. Jones Crusher 2:58
21. Broken Hearts Are For Assholes 3:52
22. Punky’s Whips 11:23
23. Halloween Encore Audience I 2:07
24. Dinah-Moe Humm 6:41
25. Camarillo Brillo 3:24
26. Muffin Man 5:21
27. San Ber’dino 5:01
28. Black Napkins 9:19

Come vedete il repertorio è abbastanza simile nelle quattro giornate (per usare un eufemismo), anche se c’è qualche sorpresa e le versioni sono leggermente differenti nei diversi concerti, ma ovviamente il tutto è indirizzato soprattutto ai “fanatici” di Frank Zappa, o dei costumi di Halloween, mentre per chi si accontenta il triplo CD con la serata completa del 31 ottobre, la vera Halloween Night, dovrebbe essere comunque più che soddisfacente, tenendo conto che il cofanetto costerà indicativamente tra gli 80 e i 90 euro, mentre il triplo dovrebbe venire una trentina di euro. Questo sotto è il contenuto dei 3 CD:

CD 1
1. Halloween 1977 Show Start/Introductions
2. Peaches En Regalia
3. The Torture Never Stops
4. Tryin’ To Grow A Chin
5. City Of Tiny Lites
6. Pound For A Brown
7. The Demise Of The Imported Rubber Goods Mask
8. Bobby Brown Goes Down
9. Conehead (Instrumental)
10. Flakes
11. Big Leg Emma
CD 2
1. Envelopes
2. Terry’s Halloween Solo
3. Disco Boy
4. Lather
5. Wild Love
6. Titties ’N’ Beer
7. Halloween Audience Participation
8. The Black Page #2
9. Jones Crusher
10. Broken Hearts Are For Assholes
CD 3
1. Punky’s Whips
2. Halloween Encore Audience
3. Dinah-Moe Humm
4. Camarillo Brillo
5. Muffin Man
6. San Ber’dino
7. Black Napkins
Bonus Section:
8. King Kong
9. A Halloween Treat With Thomas Nordegg
10. Audience Participation #5
11. The Black Page #2

Come saprete (se no ve lo dico io) nel frattempo le cose non vanno benissimo tra i vari figli di Zappa, dopo la morte della vedova Gail Collins, avvenuta nel 2015. Dweezil Zappa è stato costretto a cambiare il nome del suo spettacolo, che da anni portava in giro per il mondo, da “Zappa Plays Zappa” a “Dweezil Zappa Plays Frank Zappa” (veramente una cosa di lana caprina), ha acconsentito, ma non l’ha presa benissimo cambiandolo polemicamente in “Dweezil Zappa Plays Whatever The F@% He Wants: The Cease And Desist Tour” , che sarebbe più o meno “Dweezil Zappa suona quel cazzo che vuole: il Tour del cessa o desisti”. E poi si è ulteriormente smarcato dalla nuova mossa dei fratelli minori Ahmet e Diva che hanno pensato di mandare in tour una versione in ologramma del padre, per eseguire il suo repertorio più celebre!

That’s All Folks, alla prossima.

Bruno Conti

Il Meglio Di Uno Dei Migliori! John Hiatt – Here To Stay: The Best Of 2000-2012

john hiatt here to stay.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

John Hiatt – Here To Stay – Best of 2000 -2012 New West Records

Penso che esistano almeno una decina di raccolte dedicate a John Hiatt, non le ho contate esattamente, forse anche di più, oltre a parecchi dischi dal vivo e tributi vari. E ogni casa discografica ha dedicato un suo Best of al periodo in cui Hiatt incideva per loro: la Epic nella preistoria, poi la MCA-Geffen, il lungo periodo con la A&M e infine la Capitol. E’ uscita anche qualche antologia multi-label e delle raccolte con inediti e rarità. Mancherebbe qualcosa relativo al periodo Vanguard, ma visto che i due album sono stati ristampati dalla New West, appaiono in questo Here To Stay, il titolo del disco non solo un incitazione a rimanere, ma anche quello dell’unica canzone inedita inserita nella raccolta, una canzone che vede la partecipazione di Joe Bonamassa alla solista, sia in considerazione del fatto che il buon Joe non resiste ad un invito, sia perché da qualche anno condividono lo stesso produttore, ovvero Kevin Shirley.

Sia di produttori che di chitarristi Hiatt ne ha avuti di ottimi in questi anni 2000 (e anche prima), oltre a Shirley, Jay Joyce, Don Smith e Jim Dickinson tra i primi e Sonny Landreth, Luther Dickinson e Doug Lancio, nel reparto chitarre, oltre all’ottimo David Immergluck, presente nel disco che apre questa carrellata sui “migliori” brani che compongono la raccolta, Crossing Muddy Waters. Il disco, giustamente, si chiama Best of e non Greatest Hits, perché Hiatt nel corso degli anni di successi, purtroppo, ne ha avuti veramente pochi, pensate che il disco con il miglior piazzamento in classica è proprio l’ultimo, Mystic Pinball, arrivato “ben” al 39° posto della classifica di Billboard. Se ci leggete della amara ironia non vi sbagliate, per fortuna che la critica e i colleghi lo hanno sempre considerato, giustamente, uno dei migliori cantautori che abbia graziato la faccia di questo pianeta negli ultimi 40 anni. Genere: rock, folk, country, blues, roots, Americana? Scegliete voi, un po’ di tutti questi e molto altro, forse buona musica può andare? Per chi ama John Hiatt, forse, questa antologia è superflua (il pensiero di comprarsi un CD per un brano è duro, potevano fare uno sforzo, magari un bel doppio con un live in omaggio), ma per chi non ha nulla o vive di raccolte, potrebbe essere l’occasione di ampliare il proprio panorama sonoro, se ci state pensando non è una cattiva idea, musica così buona ne fanno poca in giro. Tra l’altro il nostro amico, in Italia, è conosciuto, dal grande pubblico, per una canzone, Have A Little Faith, che era contenuta nello spot di una nota marca di budini, oltre tutto sotto forma di cover, che non rendeva neppure un decimo della bellezza di quella straordinaria canzone.

Tornando a bomba, ossia a questa antologia, direi che i compilatori sono stati molto democratici, due brani per ognuno degli otto album che coprono il periodo 2000-2012, prolifico come sempre per Hiatt e ricco di belle canzoni, come ricorda il giornalista americano Bud Scoppa (ma che scrive per la rivista inglese Uncut), nelle interessanti note del corposo libretto che accompagna il CD: si parte con il suono acustico, volutamente scarno di Crossing Muddy Waters, rappresentato dalla raffinata e dolce title-track oltre che dalla grintosa e tirata Lift Up Every Stone, dove il mandolino e la chitarra di Immergluck, uniti al basso di Davey Faragher, disegnano traiettorie blues, mai disdegnate da John Hiatt, anche nel passato. Per il successivo The Tiki Bar Is Open il boss riuniva i grandissimi Goners, con Kenneth Blevins alla batteria e Dave Ranson, al basso, nonché il ritorno del mago della chitarra slide, Sonny Landreth, tutti eccellenti nella ballata My Old Friend, dove Hiatt sfodera anche una armonica d’annata, oltre all’utilizzo delle tastiere, affidate al produttore Jay Joyce e allo stesso Hiatt, Everybody Went Low è uno dei tanti capolavori scritti nel corso di una carriera prodigiosa con un Landreth devastante.

Cambio di etichetta per il successivo Beneath This Gruff Exterior, dalla Vanguard alla New West, ma i musicisti rimangono i Goners, produce Don Smith, i brani scelti sono My Baby Blue e Circle Back, due robusti pezzi rock, da riscoprire. Da Master Of Disaster, altro disco gagliardo da riascoltare, con babbo Dickinson alla produzione e i figli Cody e Luther, batteria e chitarra, oltre a David Hood al basso, per una title-track, anche questa volta tra le cose migliori della sua carriera, molte volte “coverizzata”.  Same Old Man, altro signor album, con il ritorno di Blevins e l’arrivo di Patrick O’Hearn al basso, oltre a Luther che rimane alla chitarra, la figlia Lily alle armonie, una produzione “semplice” a cura dello stesso Hiatt, e due ballate di una bellezza sopraffina come Love You Again e What Love Can Do.

Nel successivo The Open Road arriva Doug Lancio, altro mostro della chitarra e si ritorna all’Hiatt rocker. Il gruppo, ironicamente, ora si chiama Ageless Beauties e inizia l’era Kevin Shirley, con due album bellissimi come Dirty Jeans & Mudslide Hymns, Damn This Town e Adios To California i brani scelti, e Mystic Pinballs, con l’ottima We’re Alright Now, classico Hiatt con Lancio grande alla slide e Blues Can’t Even Find, una delle canzoni più tristi (e più belle) del canone hiattiano. Anche Here To Stay, l’inedito, è un blues con Bonamassa alla slide che fa i numeri e non si capisce perché sia stato lasciato fuori da Dirty Jeans, ma adesso è qui, insieme alle altre 16 canzoni, a testimoniare la classe immensa di uno più bravi cantanti e autori (di culto) di sempre. Quattro stellette per le canzoni, mezza in meno per l’operazione commerciale, un inedito, si sono sforzati!

Bruno Conti    

Il Disco E’ Sempre Bello, Come Al Solito, Ma Cosa Diavolo E’ Un Flipper Mistico?!? John Hiatt – Mystic Pinball

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John Hiatt – Mystic Pinball – New West – 25-09-2012 CD/LP 3 facciate 180 grammi

In Same Old Man si facevano chiamare Ageless Beauties e a fianco di Patrick O’Hearn al basso e Kenneth Blevins alla batteria c’era Luther Dickinson alla chitarra, nel successivo The Open Road e anche per Dirty Jeans And Mudslide Hymns, pur con l’arrivo del nuovo chitarrista Doug Lancio, hanno mantenuto lo stesso nome. Anche in Mystic Pinball a fianco di John Hiatt ci sono sempre loro, ma il nome del gruppo si è tramutato in un più funzionale The Combo.

Questa volta ho voluto iniziare dai musicisti che suonano nel disco di Hiatt: è dai tempi di Bring The Family con Ry Cooder, Nick Lowe e Jim Keltner che sarebbero diventati con lo stesso Hiatt, in seguito, i Little Village, che il buon John ha fiuto con i musicisti. Vogliamo parlare dei Goners di Slow Turning dove c’era già Blevins con un certo Sonny Landreth alla chitarra? E in Stolen Moments, altro piccolo (o grande) capolavoro c’era un giovane Ethan Johns, non ancora diventato produttore, alla batteria, a dividersi la sezione ritmica con il veterano Pat Donaldson (quello dei dischi di Sandy Denny, Richard Thompson e John Cale), e alla chitarra c’era un certo Mike Henderson che oltre a suonare con la crema della musica americana, negli anni successivi, ha avuto una eccellente carriera anche da solista e annovera Mark Knopfler tra i suoi grandi fans.

Perché vi dico tutto ciò? Non lo so! No, questa lo so. Nelle mie recensioni, e parlando di musica in genere, mi piace citare i nomi dei musicisti che suonano in un disco, ma non si tratta di vile nozionismo, è importante “anche” sapere chi suona in un album. Certo, per i nuovi gruppi o i nomi emergenti forse è pleonastico, ma poi questi musicisti si costuiranno in futuro, se sono bravi, un curriculum che nel prosieguo della loro carriera sarà importante, come in tutti i mestieri, anche quelli artistici. Qualcuno  potrebbe diventare un “genio”( pochi, pochissimi, sempre meno), ma molti diventeranno degli onesti o “geniali” artigiani, per cui sapere con chi hai a che fare quando ascolti un disco è importante. Poi contano le canzoni, la bravura dell’artista, il produttore, l’ispirazione, ma partire bene non è mai una cattiva idea. Detto questo veniamo al disco, come dice il titolo del Post, sempre bello ma, a parere di chi scrive (e chi altri se nò?), e dopo alcuni ascolti, leggemente inferiore al precedente e-intanto-john-hiatt-non-sbaglia-un-colpo-dirty-jeans-and-mu.html. La critica ricorrente ai dischi di John Hiatt (come a quelli di Van Morrison, per fare il nome di un altro “bravino”) è “che si assomigliano tutti un po!”. Sarà anche verò, ma meglio uno che fa tanti dischi uguali, ma belli, perché nel corso degli anni si è creato un suo canone musicale personale o quei geniazzi sempre alla ricerca di nuove strade e sonorità, spesso con risultati disastrosi (ma che qualche estimatore trovano sempre), solo per questa ricerca spasmodica della “giovinezza artistica” a tutti i costi?

Non per nulla, se ci fate caso, Hiatt, da qualche anno, ha anche sempre lo stesso tipo di cappello nelle foto e sulle copertine, cambia il colore, ma il modello è quello, come i musicisti, negli anni cambiano, ma il modello è sempre, almeno per Hiatt, chitarra, basso e batteria (poi ci si ricama sopra) e una voce della madonna! Il discorso è sempre quello, si ricasca sempre a parlare delle stesse cose, quando chi critica dice, un po’ di coraggio nel cambiamento, cosa ci si aspetta? Un disco di musica elettronica, contaminazioni ambient, heavy metal, folk, dubstep, un bel disco di jazz alla Glenn Frey (notare l’ironia)? Tutto il resto c’è già: rock, blues, soul, country, canzoni d’autore, sapientemente miscelati e poi la voce, unica e caratteristica. Il produttore, Kevin Shirley, (lo stesso di Bonamassa, un dischetto insieme?), come nel precedente, aggiunge quella definizione dei suoni, una patina rock che domina i primi brani, quel’aria da It’s Only Rock and Roll, alla Stones, con il riff bluesato di We’re Alright Now e la slide di Lancio che taglia il tessuto della canzone, il basso marcato di O’Hearn e la batteria agile di Blevins, il “solito” Hiatt. Stesso discorso per Bite Marks, un brano rock ancora più aggressivo e cattivo, quasi fossero i vecchi Free di Fire and water. It All Comes Back Someday viceversa è uno dei classici brani del suo repertorio, solare e avvolgente, cantata alla grande e suonata anche meglio, con versi e ritornello al loro posto, quella bella “vecchia musica” soddisfacente. Wood Chipper è un Hiatt più bluesato, per certi versi vicino al suono di Crossing Muddy Waters, recentemente ristampato, con i suoni di chitarra, basso (fantastico O’Hearn) e batteria, molto ben delineati. Anche My Business, aperta dal consueto ululato dell’Hiatt più arrapato, è un qualche standard indefinito del Blues, con un nuovo testo, un po’ come fa Dylan ultimamente.

E poi c’è I Just Don’t Know What To Say! Una di quelle ballatone d’amore meravigliose che sa scrivere (e cantare) solo John Hiatt: aahh, tirate un profondo respiro, vi accomodate su una poltrona, alzate il volume e vi godete questi quattro minuti e mezzo di grande serenità, non sarà più incazzato come ai tempi d’oro, ma canta sempre un gran bene e la slide e il mandolino di Lancio aggiungono spessore alla canzone così come il piano suonato dallo stesso John. Come direbbe Cetto La Qualunque “Più Hiatt Per Tutti!” deve essere il motto. Tornando seri, e al disco, anche I Know How To Love You appartiene al filone più riflessivo, da balladeer, meno intensa della precedente ha comunque quell’andatura caratteristica di Hiatt, con spunti melodici piacevoli, ma in effetti queste lui le scrive anche dormendo, mentre in dischi di altri farebbero gridare al miracolo. Si torna ai riff stonesiani (o alla Mellencamp, che è “quasi” la stessa cosa) per una onesta You’re All The Reason I Need e poi nuovamente al sound bluesato per una One Of Them Days con fiati ed un inconsueto Doug Lancio che estrae dal cilindro un breve e ficcante solo con wah-wah.

No wicked grin è l’altra ballata del CD, acustica e malinconica, sempre cantata con grande partecipazione da Hiatt, semplice e genuina come la sua musica. Give It Up è il quasi inevitabile omaggio alla musica country, un altro degli ingredienti immancabili della musica del cantante di Indianapolis, ovviamente non quella bieca della Nashville peggiore, ma dal Tennessee, patria anche di grande soul, quindi un brano, dove al fianco della pedal steel convivono il call and response che i coristi ricavano dall’errebì più genuino. Blues can’t even find me potrebbe essere una svolta futura, un Hiatt che tra dobro, slide e contrabbasso esplora le radici acustiche della sua musica con ottimi risultati.

Esce il 25 settembre, ma come dicevo nell’anteprima viene già venduto nelle date del suo tour americano. Non ho visto altre recensioni per cui credo di essere il primo a parlarne, a parte le consuete decine di Post costruiti con il copia e incolla del comunicato stampa senza neppure ascoltare l’album, come è ormai usanza deleteria.

Ricordate dove lo avete letto per la prima volta, nel frattempo la ricerca continua privilegiando, ove possibile, i dischi di cui non hanno ancora parlato le riviste cartacee (anche il Buscadero su cui scrivo)! Sempre ricordando un altro dei motti della gloriosa Mai Dire Gol, “ascolta un cretino”!

Bruno Conti