Miliardario, Filantropo E Pure Bravo Come Musicista! JD & The Straight Shot – Ballyhoo!

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JD & The Straight Shot – Ballyhoo! – JD & The Straight Shot CD

Nel mondo della musica può capitare di imbattersi in artisti che hanno anche uno spiccato senso degli affari e non hanno bisogno di manager per gestirli: il caso più eclatante è forse quello di Gene Simmons, bassista e membro fondatore dei Kiss e da sempre responsabile in prima persona della gestione della loro immagine, capace di trasformare una rock’n’roll band in una vera miniera d’oro (e facendo molti più soldi con il merchandising che con le vendite dei dischi). Più rari sono i casi di musicisti che si guadagnano da vivere facendo altro: per esempio Kevin Deal, oltre ad un’ottima ma poco remunerativa carriera come artista di country e Americana, porta avanti l’attività di famiglia che consiste in un’impresa di costruzioni in pietra specializzata nella realizzazione di chiese. Ma un musicista, e pure bravo, che fosse un magnate delle telecomunicazioni non l’avevo ancora visto: è questo il caso di James Dolan, un newyorkese di sessanta anni (quindi non esattamente di primissimo pelo) che è a capo dell’emittente via cavo Cablevision Systems Corporation (la quinta per importanza negli Stati Uniti), oltre ad essere presidente della nota squadra di basket dei New York Knicks, per non parlare del fatto che è anche chairman del Madison Square Garden! Un businessman con le palle quindi (che è anche impegnato in varie iniziative benefiche, il famoso concerto 12-12-12 per le vittime dell’uragano Sandy lo ha organizzato lui) ma anche un genuino appassionato di musica che nel 2005 ha formato una vera e propria band di roots-rock e Americana, JD & The Straight Shot (nascondendo quindi il suo nome dietro le iniziali, è pure umile l’amico… qualche difetto no?), con la quale ha pubblicato cinque album (compreso l’ultimo di cui parlerò tra poco) ed un EP, e trovando pure il tempo di girare gli States esibendosi come opener di gente come Allman Brothers Band, Eagles, Bruce Springsteen e ZZ Top: anche noi in Italia abbiamo un magnate delle telecomunicazioni e presidente di una nota squadra (di calcio), il cui amore per la musica si limita però alle serenate con Apicella e le tournée non le fa cantando ma sparandole grosse da un palco e in TV (in quello comunque nel nostro paese è in ottima compagnia).

Ebbene, oltre ad essere un uomo ricco e di successo, Dolan è pure musicalmente dotato, e lo dimostra ampiamente con l’ultima fatica della sua band, intitolata Ballyhoo!, per la quale si è pure preso lo sfizio di registrare completamente con strumenti acustici (cosa annunciata fin dalla copertina), a differenza dei dischi precedenti che erano elettrici: la cosa però ha una sua logica, in quanto James ha detto che lui ed i ragazzi (Marc Copely, chitarre, Byron House, basso, la bravissima Erin Slaver, voce e violino ed Aidan Dolan, figlio di James, anch’egli alle chitarre) sono soliti provare le canzoni senza la spina attaccata e solo in seguito danno loro un arrangiamento rock, mentre con Ballyhoo! si sono semplicemente fermati al primo step. A monte di tutto, devo dire che sono stupito dalla qualità del disco: Dolan intanto è un musicista capace, ottimo songwriter (ma collaborano anche gli altri) e cantante in possesso di una bella voce profonda e vissuta, e le canzoni sono intrise fino al collo della più pura tradizione americana, con rimandi al suono delle ballate folk dei tempi della Grande Depressione (caratteristica accentuata dal fatto che il disco è acustico), mescolando il tutto con uno stile degno di una esperta southern band; un gruppo che sa il fatto suo dunque, che riesce a stare in piedi con le sue gambe e va ben aldilà del capriccio di un miliardario che si vuole divertire: la produzione di Chuck Ainlay, uno che ha prodotto tutti gli album solisti di Mark Knopfler (tranne l’ultimo, Tracker) oltre a Miranda Lambert e Jewel, è la classica ciliegina su una torta già molto gustosa. Blues, rock acustico, old-time music, folk ed un pizzico di country: incredibile per uno che nella vita fa tutt’altro.

Il CD inizia subito benissimo con Empty, un blues rurale con tanto di slide acustica, la voce sudista del leader ed un motivo che sembra la versione unplugged di un classico pezzo dei Lynyrd Skynyrd (con in più l’ottimo violino della Slaver, vera e propria arma “segreata” del disco). Better Find A Church è quasi un brano a cappella, nel senso che le voci (James ed Erin) sono accompagnate prima solo dal basso, poi entrano due chitarre ma restano piuttosto nelle retrovie, e la ritmica è fatta dallo schioccare delle dita e dal battito di mani, con una melodia, tra modernità e tradizione, pura come l’acqua di montagna: splendida. Under That Hood è ancora un folk-blues molto intenso, un brano che risente della lezione di Mississippi John Hurt, con un gran gioco di voci ed una solidità impressionante per uno che, a conti fatti, è musicista per hobby. Bella anche Perdition, ancora con la struttura tipica delle band sudiste: la scelta di lavorare in acustico è comunque vincente, in quanto la purezza di queste canzoni viene preservata; Glide ha un arpeggio chitarristico tipico di una bluegrass band (e pure i cori), un pezzo dal sapore tradizionale al 100%, che mostra di che pasta sono fatti i ragazzi. Nature’s Way, guidata da un riff di violino, ha una melodia più legata ai giorni nostri, ma rimane comunque una signora canzone, Don’t Waste My Time è languida e resa malinconica ancora dal bell’uso del fiddle, mentre Dolan intona un motivo che sembra provenire da un’altra epoca: grande pathos, favorito anche dal crescendo sonoro nella seconda parte. La title track, cantata con voce molto bassa, è una ballata di spessore ed intensità, nonostante i due strumenti in croce (ma anche le voci fanno la loro figura), con uno splendido break strumentale molto Irish guidato come sempre dal violino; Hard To Find è invece una pura e semplice, ma solida, country ballad, che rimanda al suono anni settanta del movimento Outlaw.   L’album si chiude con la spedita Here He Comes, altro scintillante folk tune d’altri tempi, e con la spoglia ma struggente I’ll See You Again: un disco sorprendente, da parte di un personaggio che in America definirebbero larger than life, e di una band che sembra un manipolo di professionisti del folk revival https://www.youtube.com/watch?v=DdBydkyUZrM .

Marco Verdi

*NDB Senza dimenticare, a proposito di “ricchi dilettanti”, il caso di Paul Allen, co-fondatore delle Microsoft e pure lui multimiliardario, a cui il disco glielo aveva addirittura pubblicato la Sony Legacy, con la partecipazione di nomi illustri, come vi avevo raccontato in questo Post di tre anni fa http://discoclub.myblog.it/2013/09/05/dal-rock-alla-microsoft-e-ritorno-con-calma-paul-allen-and-t/

Dal Rock Alla Microsoft E Ritorno, Con Calma! Paul Allen And The Underthinkers – Everywhere At Once

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Paul Allen and The Underthinkers – Everywhere At Once – Sony Legacy

Paul Allen è, nell’ordine, co-fondatore della Microsoft, multimiliardario, filantropo e musicista rock, chitarrista per la precisione; ma nella sua testa immagino che l’ordine sia invertito o così probabilmente pensava alla fine degli anni ’60, dopo avere visto uno dei concerti del suo concittadino, anche lui di Seattle, (e idolo) Jimi Hendrix. A questo punto si sarà detto, la chitarra elettrica l’hanno già inventata, come quel mancino dubito di potere mai suonare, meglio che faccia altro. E direi che l’ha fatto benino, ma la storia la conoscono tutti. Però la “passionaccia” per la musica evidentemente non l’ha mai persa e dopo tanti anni, nel tempo libero, ha deciso di rendere concreto il suo contributo alle sette note tramite un disco della sua band, gli Underthinkers, un gruppo di amici con cui si esibisce dal vivo per diletto.

Ma immagino anche che si sarà detto: “hey sono Paul Allen, fatemi controllare la mia agendina!” (elettronica). Dunque vediamo, i miei amici Santana, Buddy Guy, Robbie Robertson e Ron Wood non possono, aspetta che chiamo la Sony e vediamo se gli interessa un mio disco? Sissignore, è la risposta. I soldi non mi servono, facciamo che sia un disco i cui ricavati andranno in beneficenza. E questo mi sembra etico (parla il vostro recensore). Torna Paul: ho un po’ di brani scritti con John Bohlinger, il secondo chitarrista della band, Doug Barnett, il bassista, che non suona nel disco e li faccio cantare a Tim Pike, il nostro cantante, che ha anche una bella voce. E magari chiamo qualche amico a suonare e cantare. Riprendo l’agendina e mi do da fare. Direi che a parte la Q, negli oltre 40 musicisti che suonano nel disco, è rappresentato tutto l’alfabeto della musica rock, soul, blues e funky americana.

Il disco parte benissimo e in quella che una volta sarebbe stata la prima facciata si ascolta dell’ottimo rock misto a blues, poi si vira verso un sound vagamente neo-soul e più morbido e parti chitarristiche a parte, l’album si regge sulla grande professionalità e classe dei musicisti che suonano nel CD: per esempio Wendy Moten, viene dalla città giusta, Memphis, ha una bella voce, ma anni di collaborazioni con Michael Bolton e altri “luminari” non le hanno fatto bene e a parte il duetto con Ivan Neville, Restless, dove il pianino New Orleans di Jon Cleary conferisce verve al brano, alcuni brani, quelli “neri”, hanno quel che di blando della produzione ultima di Stevie Wonder, tanto per non fare un esempio. E anche il soul “sinfonico” con archi di Divine, cantato da Amy Keys, ha degli echi delle vecchie produzioni di Isaac Hayes. A proposito di produttori, la maggior parte del lavoro ricade su Doyle Bramhall, ottimo alla chitarra anche in tutto il disco, meno come cantante in Cherries Fall, che però ha un bel tiro hendrix-vaughaniano nel lavoro delle chitarre di Paul Allen (bravo in tutto il disco, non è solo quello che mette i soldi), Bramhall e David Hidalgo dei Los Lobos che appaiono in parecchi brani. Bene anche la sezione ritmica di Matt Chamberlain e Tommy Sims, anche se quella con Jimmy Haslip e Gary Novak, più Michael Landau alla chitarra, praticamente i Renegade Creation senza Robben Ford, mi sembra migliore. Però a parziale smentita di quello che ho appena detto (mi contraddico da solo), Healing Hands è una bellissima ballata soul à la Aretha Franklin, cantata dalla Moten, con Neville all’organo, Matt Rollings al piano e le chitarre di Allen, Bramhall, Hidalgo a cui si aggiunge Derek Trucks.

L’unico blues presente nell’album, Big Blue Raindrops è cantato ottimamente da Pike e le chitarre dei vari ospiti hanno l’occasione di brillare, per l’occasione si aggiunge anche Greg Leisz alle steel (ah quell’agendina!) che già aveva lavorato da par suo nella vagamente country Rodeo, una primizia per Chrissie Hynde che la interpreta veramente bene. Chi manca? Le sorelle Ann & Nancy Wilson, ossia le Heart, in un bel brano rock, l’iniziale Straw Into Gold ritagliato perfettamente per loro, e quindi per proprietà transitiva sui Led Zeppelin. Di nuovo Ivan Neville e Derek Trucks nei ritmi funky New Orleans di Inside Out. Un altro vigoroso pezzo rock come la lunga Pictures Of A Dream, dove tutti i chitarristi si caricano a palla, soprattutto nella jam strumentale in coda dove anche Chamberlain alla batteria è devastante. E ottimo, sempre a livello rock, il pezzo cantato (e suonato) alla grande  da Joe Walsh, Six Strings From Hell, un titolo, un programma, con un organo alla Deep Purple che apre le operazioni. Tutto sommato un bel dischetto, meglio di quello che si poteva pensare e con un sound gagliardo. Si può fare!

Bruno Conti

Novità Di Agosto Parte Ib. Paul Allen, Heather Myles, Gregory Alan Isakov, Moreland & Arbuckle, Amanda Shires, Ivan Neville Dumpstaphunk

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Proseguiamo con le novità in uscita on questi giorni, tre nomi magari non celeberrimi ma conosciuti dai frequentatori del Blog.

Per la verità il primo nome lo conoscono tutti. E’ proprio quel Paul Allen, il co-fondatore della Microsoft, proprietario dei Portland Trail Blazers ed ora anche musicista con i suoi Underthinkers. Il disco si chiama Everywhere At Once esce oggi per la Sony Legacy negli Stati Uniti e Allen che suona la chitarra in tutti i 13 brani del CD, che suona inequivocabilmente rock e blues, si fa aiutare da una pattuglia di musicisti “giusti”: ci sono Ann & Nancy Wilson delle Heart, Chrissie Hynde dei Pretenders, Joe Walsh, Ivan Neville, Doyle Bramhall, Derek Trucks, Wendy Moten, David Hidalgo dei Lobos. Oltre a tantissimi altri, tra cui ancora, Matt Rollings, Greg Leisz, David Landau, Jimmy Haslip, Jon Cleary, Matt Chamberlain e per la miseria, esageriamo! I proventi del disco andranno in beneficenza. Se aggiungiamo che non sembra per niente male, potremmo assecondare le velleità musicali di un “amico” del nostro PC. Un piccolo appunto, ma uno dei geni dell’informatica un piccolo misero video in rete non poteva caricarlo?

Heather Myles, spesso definita, e giustamente, la Dwight Yoakam al femminile, negli Stati Unti ha un suo programma televisivo, Tru Country. Ora esce questo Live On Trucountry, una confezione CD+DVD pubblicata dalla Floating World inglese che in 22 brani propone il meglio dalle quattro stagioni della trasmissione. Per chi ama il country ruspante, l’honky tonk e le belle voci femminili, qui ci sono tutti gli ingredienti giusti.

Gregory Alan Isakov è un cantautore americano, nativo di Johannesburg in Sudafrica, ma allevato negli Stati Uniti, con questo The Weatherman, che esce per la Suitcase Town Music, è già al suo quinto disco e il Blog si era già occupato brevemente di lui in passato buona-anche-la-seconda-gregory-alan-isakov-this-empty-northe.html. Spesso associato a Brandi Carlile, con la quale ha collaborato spesso, sia dal vivo che in studio, ma non in questa occasione, si conferma artista di talento anche con il nuovo disco. Vediamo se ci scappa la recensione completa nei prossimi giorni.

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Anche Moreland And Arbuckle sono “clienti abituali” del Blog: moreland+and+arbuckle. Questo 7 Cities sarebbe il quarto album che pubblicano con questa ragione sociale, ne avevano fatti anche due poco conosciuti come Moreland, Arbuckle & Floyd. Comunque poco importa, il nuovo disco è la consueta miscela ad altissimo potenziale di rock e blues. Dustin Arbuckle è il cantante e armonicista, Aaron Moreland è il chitarrista e confermano la formula che ha fatto la fortuna di gruppi come i Fabulous Thunderbirds, Nighthawks, Nine Below Zero, per citare i primi che mi vengono in mente con un asse devastante armonicista/cantante, chitarrista, sezione ritmica poderosa e vai col (rock)blues. E’ la seconda produzione con la Telarc ed è uscito la scorsa settimana.

Ebbene sì, anche di Amanda Shires ci siamo già occupati sul Blog (d’altronde se qualcuno fa buona musica, non si sfugge, prima o poi, tempo permettendo, una bella recensione non può mancare): un-altra-giovane-bella-e-talentuosa-songwriter-dagli-states.html. Cosa è successo nel frattempo? La nostra amica si è sposata con Jason Isbell: ecco perché appariva sia nel disco del recente consorte che nella sua apparizione al David Letterman Show. E pubblica per la sua etichetta, che questa volta si chiama Lightning Rod Records (forse in onore dell’album precedente) il nuovo CD intitolato Down Fell The Doves e, stranamente, nel disco suona anche Jason Isbell. Prodotto da Andy LeMaster, oltre al suono del violino di Amanda questa volta c’è pure una piccola sezione fiati. Sentito velocemente mi pare buono, ma, sempre compatibilmente con il tempo (pare che il giorno abbia 24 ore), vediamo se riusciamo a dargli il giusto spazio.

Ivan Neville è il figlio di Aaron Neville, non è bravo come il babbo, ma insieme al cugino Ian, che è il figlio di Art, l’altra colonna dei Neville Brothers, da qualche anno ha fondato i Dumpstaphunk, che hanno esordito qualche anno con un Live al famoso Jazz And Heritage Festival di New Orleans, della serie Live At Jazz Fest, ne esistono moltissimi, pubblicati a livello locale, ma ogni tanto approdano anche nelle nostre lande, e spesso sono bellissimi. Dirty Word è il secondo album di studio che pubblicano e se siete amanti del funky più torrido, quello di Funkadelic e Parliament, ma anche di Larry Graham e Betty Davis (per gli “ignari” era la seconda moglie di Miles Davis  e secondo alcuni pareri è anche tra le inventrici della fusion), qui troverete pane per i vostri denti. Con ospiti come Ani DiFranco e Flea dei Red Hot, i cugini Neville confezionano un gustoso disco tra funky e New Orleans Sound che ha un solo difetto, la scarsa reperibilità. In effetti i prodotti della Louisiana Red Hot Records non si trovano dietro l’angolo, questo in particolare è uscito da un paio di settimane. Fiati, ospiti a go-go, ci sono anche Art Neville e la Rebirth Brass Band, formazione con doppio bassista e nella cover del pezzo di Betty Davis, If I’m In Luck, quello dove appare anche Flea, i bassisti sono tre. Se vi piace il Crescent City Sound molto funky, ma molto, non cercate ulteriormente, questo è il disco che fa per voi.

Bruno Conti