Siamo Arrivati A Quel Periodo Dell’Anno! Il Meglio Del 2018 In Musica Secondo Disco Club, Parte III

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Ovviamente lui come pensatore non aveva (quasi) uguali, però almeno i baffi sono in comune tra di noi. Scherzi a parte ecco la mia (prima) lista, in qualità di titolare del Blog. Si tratta di quella che poi uscirà anche sul Buscadero del prossimo mese, e quindi abbastanza di dimensioni ridotte, che verrà integrata però un altro Post contenente alcuni titoli che non erano rientrati per motivi di spazio, e che ho definito “Rinunce dolorose!”, anche perché quando devo indicare dei titoli come le mie preferenze per l’anno in corso preferisco farlo all’impronta, salvo poi avere mille ripensamenti, e in linea di massima valgono solo per quel momento preciso, ma ce ne sarebbero molti che appunto dolorosamente rimangono fuori da queste classifiche di fine anno. Quindi ecco la mia lista: commenti non ne trovate, anche perché i link che seguono quasi tutte le scelte sono relativi alle mie recensioni, che volendo potete rileggervi integralmente.

Il Meglio Del 2018 di Bruno Conti

ry cooder the prodigal son

Ry Cooder – Prodigal Son

https://discoclub.myblog.it/2018/05/28/chitarristi-slide-e-non-solo-di-tutto-il-mondo-esultate-e-tornato-il-maestro-ry-cooder-prodigal-son/

beth hart live at the royal albert hall dvd

Beth Hart – Live At The Royal Albert Hall

https://discoclub.myblog.it/2018/11/24/che-voce-e-che-concerto-spettacolare-uno-dei-migliori-del-2018-beth-hart-live-at-the-royal-albert-hall/

mary chapin carpenter sometimes just the sky

Mary Chapin Carpenter – Sometimes Just The Sky

janiva magness love is an army

Janiva Magness – Love Is An Army

https://discoclub.myblog.it/2018/04/11/voci-e-dischi-cosi-non-se-ne-fanno-quasi-piu-janiva-magness-love-is-an-army/

fairport convention what we did on our saturday

Fairport Convention – What We Did On Our Saturday

https://discoclub.myblog.it/2018/07/15/i-migliori-dischi-dellanno-2-fairport-convention-what-we-did-on-our-saturday/

amy helm this too shall light 28-9

Amy Helm – This Too Shall Light

https://discoclub.myblog.it/2018/10/01/unaltra-rampolla-di-gran-classe-sempre-piu-degna-figlia-di-tanto-padre-amy-helm-this-too-shall-light/

richard thompson 13 rivers 14-9

Richard Thompson – 13 Rivers

https://discoclub.myblog.it/2018/09/23/forse-sempre-uguale-ma-anche-unico-richard-thompson-13-rivers/

magpie salute heavy water I

Magpie Salute – High Water 1

https://discoclub.myblog.it/2018/08/13/il-primo-disco-ufficiale-di-studio-ma-anche-il-precedente-non-era-per-niente-male-magpie-salute-heavy-water-i/

paul rodgers free spirit

Paul Rodgers – Free Spirit

https://discoclub.myblog.it/2018/07/13/i-migliori-dischi-dal-vivo-dellanno-1-paul-rodgers-free-spirit/

nathaniel rateliff tearing at the seams

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Tearing At The Seams

Ristampe Dell’Anno:

beatles white album

Beatles – White Album 50th Anniversary Edition

https://discoclub.myblog.it/2018/11/27/correva-lanno-1968-1-the-beatles-white-album-50th-anniversary-edition-parte-i/

https://discoclub.myblog.it/2018/11/28/correva-lanno-1968-1-the-beatles-white-album-50th-anniversary-edition-parte-ii/

jimi hendrix electric ladyland box front

Jimi Hendrix Experience – Electric Ladyland 50th Anniversary Deluxe Edition

In questo caso anche se poi trovate il link della recensione, un breve commento mi scappa: il disco rientra di dovere tra le ristampe più importanti dell’anno, per il valore dell’album, ma non per i contenuti del cofanetto,”interessanti”, ma si poteva fare molto di meglio

https://discoclub.myblog.it/2018/12/03/correva-lanno-1968-2-jimi-hendrix-experience-electric-ladyland-deluxe-edition-50th-anniversary-box/

bob dylan more blood more tracks

Bob Dylan – More Blood More Tracks Bootleg Series vol.14

Il link della recensione completa lo trovate poi nei Best di Marco Verdi.

Concerto:

van morrison in concert

DVD Van Morrison in Concert

Un Van Morrison nelle mie liste di fine anno ci sta sempre, questa volta ho scelto uno strepitoso video.

https://discoclub.myblog.it/2018/03/30/from-belfast-northern-ireland-il-van-morrison-pasquale-van-morrison-in-concert/

A questo punto mancano solo i migliori di Marco Verdi, che troverete domani, e poi nei giorni natalizi un Post con l’integrazione della mia classifica.

Bruno Conti

I Migliori Dischi Dal Vivo Dell’Anno 1. Paul Rodgers – Free Spirit

paul rodgers free spirit

Paul Rodgers – Free Spirit – Quarto Valley Records CD/DVD – Blu-ray – 3 LP  

Paul Rodgers è una delle quattro/cinque più grandi voci mai espresse dal rock britannico, punto, punto e virgola, due punti: anzi, dirò di più, mi sembra che lui e Mick Jagger (e anche Van Morrison per la verità) siano quelli che nel corso degli anni hanno mantenuto inalterato timbro vocale, purezza, nel caso di Rodgers anche la potenza, oggi, come 50 anni fa, il cantante di Middlesborough è ancora una vera turbina inarrestabile e carismatica, e questo Free Spirit lo dimostra abbondantemente. Certo, la forza del repertorio aiuta parecchio: l’idea, a quasi 50 anni dalla nascita dei Free (visto che il concerto è stato registrato nel 2017 e i loro inizi si fanno risalire all’aprile 1968, anche se Paul Rodgers e Paul Kossoff si erano incontrati già nel 1967, ma sono quisquilie, per rimanere in ambito Totò) di fare un breve tour per riappropriarsi della grande eredità del quartetto britannico è stata quasi doverosa. Rodgers poi ha militato in un’altra grande rock band come i Bad Company, benché il resto della sua carriera non è stata così esaltante, i Firm e i Law non rimarranno di sicuro negli annali del rock, anche l’avventura con i Queen non era forse l’ideale per il suo approccio, quindi rimangono un paio di grandi album come Muddy Water Blues: A Tribute To Muddy Waters el’EP The Hendrix Set, come acuti nella discografia da solista, e ora Free Spirit, che è una grande e piacevole sorpresa, per quanto anche The Royal Sessions era un ottimo disco https://discoclub.myblog.it/2014/01/25/incontro-nobili-quel-memphis-paul-rodgers-the-royal-sessions/ in ambito soul, non per nulla il nostro amico è chiamato anche “The Voice”.

Poteva essere un azzardo cimentarsi con il repertorio di quattro baldi giovanotti, che tra il 1968, quando erano in pratica ancora dei teenager, e il 1973, ci hanno regalato diverse perle nell’ambito del blues-rock e in generale del rock britannico: Paul Kossoff, grande chitarrista, e Paul Rodgers, appaiono tuttora nelle classifiche dei migliori chitarristi e vocaliist all-time, Andy Fraser era uno dei bassisti più interessanti ed innovativi prodotti da quella scena, e Simon Kirke, un batterista solido e potente. Quindi il rischio era quello di non potere riproporre nella giusta maniera una eredità sonora veramente ingombrante: invece Rodgers per la breve tournée inglese del maggio 2017, una quindicina di date in tutto, ha saputo scegliere una pattuglia di musicisti che si sono rivelati veramente all’altezza delle aspettative, un gruppo che abitualmente è la touring band di Deborah Bonham (sorella di John “Bonzo” Bonham e zia di Jason), con Pete Bullick alla chitarra solista, Ian Rowley al basso, Gerard Louis “G” alle tastiere (una variazione nel sound della band originale che non ne prevedeva l’uso se non saltuariamente, ma riuscita), e parlando sempre di parenti, Rich Newman alla batteria, che è il figlio del grande Tony Newman, quello che era nel Jeff Beck Group e nella band di Bowie, tra i tanti. Ho sentito moltissime volte l’advance CD di questo Live e devo dire che più lo ascoltavo, più mi piaceva, suono solido, grande performance della band e di Paul Rodgers, eccellente scelta dei brani, con tutti i dischi dei Free ben rappresentati in questa serata registrata alla Royal Albert Hall il 28 maggio dello scorso anno, suono scintillante e persino un paio di canzoni che non erano mai state eseguite dal vivo.

Anche la scaletta, si diceva, è stata studiata attentamente, non si parte subito col botto, il concerto ha un crescendo lento ma inesorabile, però si capisce fin dall’iniziale Little Bit Of Love, che era su Free At Last, a sorpresa uno dei dischi più saccheggiati, con ben quattro brani ripresi dall’album del 1972, che il gruppo è rodatissimo, Rodgers è in grande serata, comanda il pubblico con l’usuale carisma, e il power rock misto a blues della band risalta nel suo innegabile vigore, un misto di riff trascinanti, belle armonie porte dalla voce inconfondibile e passionale di Rodgers, la chitarra inizia a macinare assoli, la sezione ritmica picchia e pompa con costrutto, Ride On A Pony, con il basso rotondo di Rowley in evidenza è un altro grande brano, estratto da Highway, e Woman, che era sul secondo album, accentua anche il lato white soul-rock della band, con Bullick sempre perfetta spalla per Paul, come ribadisce la lunga hard ballad Be My Friend, con una sontuosa interpretazione vocale del nostro amico, che poi omaggia anche il lato più “pop” della loro musica, quello più vicino alla musica di Small Faces, Rod Stewart e altre colonne della musica britannica, con la piacevole My Brother Jake, preceduta da una breve intro di “G” Louis che cita Per Elisa di Beethoven! Love You So è un altro brano che illustra il lato più “ gentile” della loro musica, un’altra lunga ballata intensa, suonata per la prima volta dal vivo e cantata sempre alla grande, Travellin’ In Style, con Rodgers all’acustica, tra blues, country e folk, è una ulteriore perla del loro songbook, come pure la sinuosa Magic Ship, ancora da At Last, partenza attendista, e poi il consueto aumento di intensità tipico dei loro brani.

A questo punto, siamo a metà concerto, partono i fuochi d’artificio, verso la metà di Mr. Big quando il copione prevede il crescendo ascendente dell’assolo di basso con gli armonici impazziti di Ian Rowley, che duplica alla perfezione quello di Andy Fraser, la band innesta una marcia superiore, sembra che sul palco per magia siano ritornati i Free originali, la musica esplode, basso e batteria sono irrefrenabili, Bullick, nel classico brano “da faccine” alla chitarra, magnifico e Rodgers canta come un uomo posseduto da sé stesso, dal suo io più giovane, veramente strepitosa, versione da incorniciare, ma pure nelle successive The Stealer, una magmatica Fire And Water, la gagliarda The Hunter, il gruppo pare posseduto dallo spirito del rock e suona in modo incredibile, incantando un pubblico giustamente in delirio che canta assieme a Rodgers. E quando al momento dei bis parte il riff di All Right Now, uno dei quattro o cinque più conosciuti e trascinanti di sempre, il concerto, se possibile, si fa ancora più incandescente e il gruppo per un attimo non ha nulla da invidiare alla potenza di fuoco dei Free originali, Wishing Well è un’altra canzone portentosa, un pezzo rock formidabile, prima di addentrarsi nell’omaggio al loro lato più blues (rock) con Rodgers che sfodera l’armonica per un ritorno sentito alle radici per Walk In My Shadow, altro pezzo devastante. E per finire in gloria, l’altro inedito in versione live, una incalzante Catch A Train che conferma la serata di grazia di Rodgers e soci: scusate la profusione di aggettivi magniloquenti, ma  per una volta sono del tutto meritati, un disco dal vivo veramente superbo e da non mancare, tra i più belli di questo 2018!

Bruno Conti

Supplemento Della Domenica: Finalmente Si Ripara Ad Una Grave Mancanza! Bad Company – Live 1977 & 1979

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Bad Company – Live 1977 & 1979 – Rhino/Warner 2CD

Sembra incredibile, ma i Bad Company, uno dei gruppi più popolari degli anni settanta (in un certo senso una delle rock band per antonomasia) all’epoca non aveva mai pubblicato un disco dal vivo, cosa ancor più strana dato che il “doppio live album” era un po’ il punto di arrivo per tutti i musicisti di quei tempi. Sarà che il loro manager era lo stesso dei Led Zeppelin (che un live lo avevano fatto uscire, ma The Song Remains The Same non rifletteva minimamente i leggendari show del Dirigibile), e cioè il famoso Peter Grant, il quale non amava gli album dal vivo, ma resta il fatto che il supergruppo formato da Paul Rodgers, Simon Kirke (entrambi ex Free), Mick Ralphs (ex chitarrista dei Mott The Hoople) ed il bassista Boz Burrell (già bassista dei King Crimson), che era un combo formidabile on stage, vide la propria carriera limitata ai lavori di studio, almeno per quanto riguarda il periodo d’oro con Rodgers alla voce ( quindi a parte un trascurabile Live In Albuquerque 1976 uscito nel 2006 per la famigerata Cleopatra). Oggi finalmente la Rhino ripara al torto, e lo fa in maniera sontuosa, con uno splendido doppio CD intitolato semplicemente Live 1977 & 1979, che documenta il meglio di due differenti concerti, appunto del 1977 a Houston e del 1979 all’Empire Pool di Londra, con una qualità di incisione perfetta, un libretto esauriente e ben due ore e mezza di pura e scintillante rock music. Paul Rodgers è sempre stato uno dei migliori cantanti inglesi, in possesso di una voce calda dalle sfumature blues e soul, potente e dolce a seconda delle esigenze (non per niente in anni recenti Brian May e Roger Taylor lo hanno chiamato per sostenere le parti vocali di Freddie Mercury nella reunion live dei Queen), la sezione ritmica di Burrell e Kirke è uno stantuffo cresciuto a pane e rock, e Ralphs un chitarrista spesso dimenticato ma dal fraseggio superbo. Una rock’n’roll band con il suono spesso più americano che britannico, e che finalmente possiamo apprezzare al suo apice in questi due CD, nei quali soltanto due brani si ripetono (Shooting Star e Feel Like Makin’ Love, oltre al Drum Solo di Kirke, una pratica tipica dell’epoca ma un po’ noiosa da ascoltare) e dove, purtroppo, mancano totalmente i pezzi dei Free, cosa che mi ha un po’ sorpreso dato che metà del gruppo proviene da lì.

Il primo CD è una bomba, e parte con una tonante versione di Burnin’ Sky (titolo anche del nuovo disco di quell’anno), dominata dai riff secchi di Ralphs e dalla voce potente di Paul, che confluisce senza interruzioni nell’altrettanto vigorosa Too Bad, un avvio micidiale per un doppio album che promette faville. E le promesse non vengono smentite, a cominciare da Ready For Love, classica ballata anni settanta, otto minuti di rock a cinque stelle, proseguendo con la mossa Heartbeat, tra rock ed errebi (perfetta per la voce del leader) e con la fluida Morning Sun. Non sto a nominarle tutte, ma di certo non posso tralasciare l’aggressiva Man Needs Woman, con Rodgers e Ralphs formidabili, la godibile Leaving You o la splendida Shooting Star, uno dei loro pezzi più noti. Senza dimenticare la scintillante rock ballad Simple Man, con la voce di Paul più soulful che mai, l’irresistibile rock’n’roll Movin’ On, il quasi hard rock di Live For The Music e la bellissima Feel Like Makin’ Love, uno dei maggiori hit del gruppo.

Il secondo CD, tratto dal tour di Desolation Angels, è leggermente inferiore (ma proprio di poco), più che altro per un paio di pezzi minori e l’utilizzo per fortuna limitato del synth: si parte comunque benissimo con la stupenda Bad Company, una delle loro signature songs, guidata dal piano di Rodgers (suonato peraltro molto bene), melodia epica, solito prolungato assolo di Ralphs e notevole jam session finale, seguita da Gone, Gone, Gone, unico brano scritto da Burrell ed infatti non un granché, ma si corre subito ai ripari con una sontuosa Shooting Star, anche meglio di quella del 1977. Gli altri brani degni di nota (ma non è che quelli che non nomino li dovete saltare) sono il saltellante rock blues Rhythm Machine, con Ralphs incontenibile, la quasi sudista Oh, Atlanta, che non è quella dei Little Feat ma ne ricalca quasi lo stile, la vibrante e maestosa Run With The Pack, la rutilante Evil Wind, con la sezione ritmica che picchia come poche. Passando per un trittico di puro e trascinante rock’n’roll formato da Honey Child, Rock Steady e Rock’n’Roll Fantasy e per finire con la solita cristallina Feel Like Makin’ Love e con la strepitosa Can’t Get Enough, il loro più grande successo come singolo. In mezzo, l’unica cover del doppio, un’ottima e molto “hendrixiana” versione di Hey Joe.

I due live album usciti di recente che documentavano la reunion dei membri originali (meno Burrell, che è passato a miglior vita nel 2006) erano buoni, ma quello da avere assolutamente è questo Live 1977 & 1979.

Marco Verdi

Più Che Un Tributo, Una Goduria! The Art Of McCartney

art of mccartney 2 cd art of mccartney 2 cd + dvd

The Art Of McCartney – Arctic Poppy 2CD – Deluxe 2CD/DVD – Super Deluxe 4CD/DVD/4LP/USB

E’ solo negli ultimi anni che la critica “intelligente” ha riabilitato e sdoganato Paul McCartney. Infatti, per decenni il buon Paul era considerato l’anima poppettara e commerciale dei Beatles, a lui si preferiva di gran lunga John Lennon, che rappresentava alla perfezione l’essenza di artista radical-chic, con cuore a sinistra e portafoglio a destra (e lussuoso appartamento nell’Upper West Side di New York), o anche George Harrison (da sempre il Beatle preferito da chi scrive), per la sua riservatezza, la sua spiritualità, il suo sarcasmo e la sua elegante e raffinata tecnica chitarristica (Ringo Starr è invece sempre stato visto come il simpaticone del gruppo e basta).

art of mccartney super deluxe

A concorrere all’opera di riabilitazione artistica di McCartney un posto di primo piano lo occupa questo sontuoso tributo appena uscito, The Art Of McCartney, nel quale le canzoni dell’ex scarafaggio vengono rivisitate da una serie impressionante di artisti.

Il curatore e produttore del progetto, Ralph Sall, è un esperto del settore, avendo in passato pubblicato lo splendido Deadicated, che omaggiava i brani dei Grateful Dead, ed il popolarissimo Common Thread, dedicato agli Eagles (Stoned Immaculate, che riguardava le canzoni dei Doors, è meno conosciuto). Sall ha impiegato ben undici anni per mettere insieme il cast presente su questo tributo (non faccio nomi per ora per non ripetermi dopo), ma il risultato finale lo premia oltremodo: The Art Of McCartney è un lavoro splendido, nel quale tutti gli artisti coinvolti hanno dato il meglio, con esiti quasi sempre eccellenti, specie nel primo CD, che sfiora a mio parere il massimo dei voti.

art of mccartney paul mccartney

Certo, ci sono dei brani sottotono, qualche assenza importante (la più clamorosa quella di Ringo, ma aggiungerei anche quella di Elvis Costello, che alla fine degli anni ottanta collaborò con Paul alla stesura di varie canzoni), ma è il classico pelo nell’uovo: The Art Of McCartney è senza dubbio il tributo dell’anno, ed uno dei più belli degli ultimi anni.

Merito anche dell’idea di Sall di usare come house band, tranne pochi casi, il gruppo che da anni accompagna Paul dal vivo, e che quindi conosce le canzoni a menadito: Brian Ray, Rusty Anderson, Paul “Wix” Wickens ed Abe Laboriel Jr.

E poi ci sono, naturalmente, le canzoni, molte delle quali sono tra i capolavori degli ultimi cinquant’anni. L’album esce in versione standard doppia con 34 canzoni, doppia con un DVD che presenta un documentario sulla realizzazione (che al momento non ho ancora visto), ed una Super Deluxe Edition con un CD aggiuntivo con otto brani extra, un altro CD che però è la parte audio del documentario, il DVD, quattro LP colorati con tutte le 42 canzoni ed una chiavetta USB a forma di basso Hofner con i pezzi dei primi due dischetti (oltre ad uno splendido libro, vari poster, ecc.).

Ed è proprio questa versione che vado ad esaminare.

art of mccartney billy joel maybe

Il tributo si apre con il redivivo Billy Joel che rifà alla grande Maybe I’m Amazed, la prima grande canzone del Paul solista: Billy è in ottima forma, è ancora in possesso di una gran voce, e la band fornisce un background lucido e potente. Non male come inizio https://www.youtube.com/watch?v=8nJZwRIy8G8 .

art of mccartney dylan

Il fiore all’occhiello del lavoro è senza dubbio la presenza di Bob Dylan: il Vate rifà alla sua maniera Things We Said Today, uno dei brani simbolo del periodo noto come Beatlemania, la band lo segue con discrezione e Bob dylaneggia alla grande, secondo me divertendosi non poco https://www.youtube.com/watch?v=efr5XyMd-sw .

art of mccartney ann wilson

Mi sono sempre piaciute le Heart (soprattutto Nancy Wilson, e non solo musicalmente), e con Band On The Run, una delle grandi canzoni di Paul, hanno gioco facile: il brano si impenna come al solito con l’arrivo del tema centrale ed Ann Wilson si dimostra una cantante di peso (battuta scontata, lo so) https://www.youtube.com/watch?v=mXBLUmAo0j8 .

Steve Miller negli ultimi anni ne ha azzeccate poche, ma Junior’s Farm è una pop song gradevole e Steve non delude; di primo acchito The Long And Winding Road non è il primo pezzo che assocerei a Cat Stevens (o Yusuf che dir si voglia), ma il Gatto è ancora un grande e la sua versione, pianistica e senza l’overdose di archi dell’originale dei Beatles, è ben fatta.

Quel piacione di Harry Connick Jr. se la vede con My Love, un brano che mi ha sempre lasciato indeciso: melodia bellissima ma arrangiamento troppo zuccheroso nell’originale di Paul (anzi, dei Wings), e qui il dubbio rimane perché Harry non cambia una virgola, anche se la voce non è male.

art of mccartney brian wilson

Ed ecco uno degli highlights del triplo CD: Brian Wilson si porta la sua band da casa e ci regala una versione scintillante di Wanderlust https://www.youtube.com/watch?v=kG9tXM_x_1o , uno dei brani di punta di quel grande disco che era Tug Of War. L’ex leader dei Beach Boys è in forma smagliante, e se non fosse per il “giovanotto” che incontreremo tra due brani, la palma del migliore se la aggiudicherebbe lui. Bluebird, per contro, è un pezzo che non ho mai amato, e Colinne Bailey Rae non fa molto per farmi cambiare idea.

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Non pensavo di dover arrivare nel 2014 per ascoltare la versione definitiva di Yesterday, un brano che vanta circa 315.600 riletture, eppure Willie Nelson riesce, con il solo ausilio della sua voce, di tre strumenti in croce e di tonnellate di feeling, a regalarci qualcosa di meraviglioso, al limite del commovente: a 81 anni Willie è ancora uno dei numeri uno, e che voce… https://www.youtube.com/watch?v=0KZYBvkVq0M

Da brividi.

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Il mio amico Jeff Lynne non ha mai fatto mistero di essere un grande fan di McCartney, e la sua versione della bella Junk ha il suo tocco tipico (oltre ad un suo intervento in sede di produzione) e si rivela godibilissima, come peraltro anche l’ex leader dei Bee Gees (e purtroppo l’unico in vita), Barry Gibb, con una divertente e scanzonata rivisitazione di When I’m 64.

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Confesso di non conoscere Jamie Cullum, ma la sua Every Night è fatta con gusto e misura, mentre un altro momento clou è la riproposizione di Venus And Mars/Rock Show da parte dei KISS: Gene Simmons e Paul Stanley (gli altri due non ci sono) fanno quello che sanno fare meglio, cioè rock’n’roll, e la canzone ne esce rivitalizzata, addirittura non di tanto inferiore all’originale.

Paul Rodgers è ancora in possesso di una gran voce, e Let Me Roll It è una grande canzone: il risultato non può che essere esplosivo, meglio di quanto faccia Roger Daltrey con Helter Skelter, ma forse solo perché il brano mi piace di meno. Perfino i Def Leppard si ricordano di essere una rock band che quando vuole sa suonare, e la loro Helen Wheels ha un sapore boogie che l’originale non aveva; viceversa, i Cure non mi sono mai piaciuti, anche se alle prese con Hello Goddbye (insieme al figlio di Paul, James McCartney) riescono a non deludere https://www.youtube.com/watch?v=uDxDW9jEjHg .

http _www.rockol.it_img_foto_upload_Chrissie Hynde

Billy Joel apre anche il secondo CD, stavolta con la potente Live And Let Die; stesso discorso fatto prima; non pensavo che Let It Be, un capolavoro ma comunque una ballata, potesse riuscire bene nelle mani di Chrissie Hynde, che è essenzialmente una rockeuse, ma la bruna leader dei Pretenders fornisce un’interpretazione di gran classe https://www.youtube.com/watch?v=0egprfEy6yM .

Robin Zander e Rick Nielsen dei Cheap Trick si occupano di Jet, e qui più che in altri momenti affiora l’effetto karaoke, in quanto il brano è proposto pari pari; meno male che c’è Joe Elliott, in ottima forma anche senza i Leppard, che rocka e rolla da par suo con la trascinante Hi Hi Hi.

Ancora le Heart, ancora brave con l’ottima Letting Go, mentre meno bene la seconda chance di Steve Miller: Hey Jude, grandissima canzone, non è secondo me assolutamente tagliata per lui (una provocazione: e chiamare a cantarla Julian Lennon, primogenito di John, dato che Paul l’aveva dedicata a lui?).

art of mccartney perry farrell

I peggiori del lotto sono però gli Owl City, una band di pop elettronico senza alcun talento (ma che ci fanno qui?), che provano a rovinare Listen To What The Man Said e non ci riescono del tutto solo perché la canzone è bella; Perry Farrell invece si dimentica di essere il leader dei Jane’s Addiction e mi stupisce con una versione decisamente in parte di Got To Get You Into My Life, mentre mi aspettavo di più da Dion: il rocker del Bronx, alle prese con Drive My Car, sembra infatti avere il freno a mano tirato.

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Allen Toussaint è un grandissimo arrangiatore, un ottimo pianista ma come cantante non è mai stato il massimo, e pertanto alla sua Lady Madonna manca qualcosa (peccato), ed anche Dr. John, solitamente una sicurezza, arranca non poco con Let ‘em In, a causa anche della pochezza del brano.

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Per fortuna termina questo piccolo momento di crisi con il grande Smokey Robinson: So Bad è una bella canzone romantica, con il tasso zuccherino tenuto a bada, e poi il vecchio Smokey ha ancora una grande voce. I poco noti Airborne Toxic Event rilasciano un’ottima No More Lonely Nights in versione ballata acustica, una piccola perla, mentre Alice Cooper è una delle migliori sorprese del tributo: non pensavo che un giorno avrei trovato il suo nome nella stessa frase con la parola “classe”, ma provate ad ascoltare la sua Eleanor Rigby e poi mi direte. Da non credere https://www.youtube.com/watch?v=sdsevtSO_FU .

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Non amo molto il reggae, ma Toots Hibbert, insieme con Sly & Robbie, rilascia una versione divertente e solare di Come And Get It (un brano a suo tempo ceduto da Paul ai Badfinger), l’enorme (in tutti i sensi) B.B. King bluesa da par suo con On The Way (alzi la mano che si ricorda la versione di Paul, era su McCartney II), mentre chiude il doppio CD “regolare” il rossocrinito Sammy Hagar, che alle prese con Birthday ci regala una versione un po’ sguaiata e sopra le righe.

art of mccartney sammy hagar

Il terzo dischetto vede ancora sotto i riflettori Robert Smith, stavolta senza i Cure: C Moon non è mai stata una gran canzone, e Smith non è certo quello che può migliorarla; Booker T. Jones invece personalizza alla grande Can’t Buy Me Love, sostituendo la parte cantata con il magico suono del suo organo: eccellente. Ma il top il CD lo raggiunge con Ronnie Spector, che fornisce una grande interpretazione di P.S: I Love You: con alle spalle un wall of sound che avrebbe fatto felice l’ex marito Phil Spector, l’ex leader delle Ronettes tira fuori una voce modificata dagli anni e dai vizi, ma profonda e carismatica come poche (alla Marianne Faithfull per intenderci). Meritava di stare nei primi due CD. Sempre scuderia Spector con Darlene Love: qui la voce è ancora purissima, e All My Loving è sempre bella; Ian McCulloch, ex frontman di Echo & The Bunnymen, non è un granché, e così anche For No One risulta un po’ piatta.

La band indie svedese Peter, Bjorn & John rifà molto bene Put It There, una delle ballate acustiche di Paul che preferisco (complimenti anche per la scelta), mentre la “nonna del rock” Wanda Jackson mostra grinta e feeling nella mossa Run Devil Run, nonostante la voce da cartone animato. Chiude ancora Alice Cooper, che dimostra di essere in stato di grazia roccando con finezza e misura con la coinvolgente Smile Away.

Un opera importante quindi, nonostante qualche episodio di livello inferiore: so che questo tributo ha ricevuto critiche controverse da più parti, ma per quanto mi riguarda rientra nella categoria imperdibili.

Marco Verdi

*NDB Come forse sapete anche il titolare del Blog, cioè il sottoscritto è un fan dei Beatles, e di conseguenza di Paul McCartney, anzi alla famose domande: preferisci i Beatles o i Rolling Stones? Ami di più Paul McCartney o John Lennon? Ho sempre risposto: entrambi (ma con una leggerissima preferenza per i primi in entrambi i quesiti, anche se non era politically correct)! Quindi mi unisco agli elogi di Marco per questa operazione, ma secondo me ci si può “accontentare” anche della versione in doppio CD!

Incontro Tra “Nobili” In Quel Di Memphis! Paul Rodgers – The Royal Sessions

paul rodgers royal sessions

Paul Rodgers – The Royal Sessions – Caroline/429 Records/Universal 28/01 o 04/02

Partiamo da un presupposto (anche due, forse tre): come potrebbe essere brutto un disco che contiene quattro canzoni del repertorio di Otis Redding (una via O.W. Wright), due di Albert King, una di Ann Peebles (ma la faceva anche Tina Turner), una scritta da Bacharach/David, ma nella versione Stax sfavillante di Isaac Hayes, una scritta da Smokey Robinson per i Temptations (cantata pure dal grande Otis nel ’66) e che inizia con uno dei brani più famosi del repertorio di Sam and Dave? La risposta è ovviamente no, a prescindere! Se a questo aggiungiamo che a cantare “tutto sto popò di roba” c’è una della più grandi voci bianche “nere” della storia della musica rock, Paul Bernard Rodgers, da Middlesborough, Inghilterra, bisognerebbe essere folli a pensarlo. E per mettere anche il carico, i musicisti che suonano nel disco sono (Reverend) Charles Hodges, all’organo, Michael Toles alla chitarra (se dico Shaft può bastare?), LeRoy Jones, al basso, “Hubby” Archie Turner, al piano elettrico Wurlitzer, Steve Potts e James Robertson, alla batteria. Più una quantità notevoli di cantanti di supporto e fiati, radunati ai Royal Studios di Memphis, dove tutti questi “benedetti” signori registravano, sotto la guida di Willie Mitchell, nei dischi di Al Green, Ann Peebles, O.W. Wright, Syl Johnson e miriadi di altri, dischi nati nel profondo Sud degli Stati Uniti, a cavallo tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, quando la soul music era al suo apogeo creativo.

Il titolo un po’ criptico del Post sta a significare proprio questo, un incontro della “nobiltà” della musica, cantanti, canzoni (che perdono la loro intangibilità, tanto sono belle), musicisti, studi di registrazione, tutte le cose che la musica moderna sta cercando di ammazzare. Il tutto unito dalla voce ancora incredibile di Paul Rodgers, uno che nella sua carriera ha cantato ogni genere: il blues e il rock fusi in un tutt’uno nei leggendari Free (All Right Now la conoscono anche i giovanissimi, perchè periodicamente riappare in uno spot o in una colonna sonora, con il suo riff inconfondibile http://www.youtube.com/watch?v=bHNxuo4i5Ds ), l’hard -rock, american style, che ha influenzato intere generazioni di rockers negli anni a venire, ma che era suonato da quattro musicisti inglesi, e anche un po’ di avventure finite male, i Firm con Jimmy Page e i Law con Kenney Jones, è meglio non ricordarli. Come molte delle avventure soliste del nostro amico: con una grande eccezione, guarda caso un altro tributo, Muddy Water Blues: A Tribute To Muddy Waters, il titolo dice tutto e Rodgers era accompagnato da una sflilza di chitarristi da paura (però sono passati più di 20 anni, era il 1993, anno in cui usciva anche uno splendido EP dal vivo, altrettanto bello, The Hendrix Set, dove omaggiava il mancino di Seattle

Nel frattempo reunion varie dei Bad Company, con molti dischi e DVD dal vivo, qualcuno anche bello e l’avventura con i Queen, dove, francamente, la voce pur potente ed espressiva di Paul, che aveva influenzato proprio quella di Mercury, non c’entrava molto con il repertorio degli ultimi anni della band inglese, con un risultato non disastroso, ma fondamentalmente inutitle. Come “splendidamente” inutile è questo The Royal Sessions. Molti si chiedono che senso ha rifare, quasi pari pari, dei classici della musica soul, quando potresti fare qualche bel dischetto di dubstep o nu soul “moderno? Ahia, mi sono fatto male mordendomi la lingua, boccaccia mia statti zitta, una risposta ce l’avrei ma mi taccio! Oppure cantanti come Bruno Mars, Pharrell o gruppi come i Daft Punk ed altri che eccellono proprio quando i “loro” brani meglio riescono ad imitare gli originali, presentando le canzoni come frutto di ispirazione quasi preternaturale (non sentite su vecchi dischi, aleggiano nell’aria), o i geni dell’hip-hop e del rap che per fare prima i brani famosi li campionano, però tutto questo è di Moda!

Allora a questo punto meglio un disco come questo, dove tutto è quasi “matematico”, gli arrangiamenti, la produzione (di Perry Margouleff, che con assoluta nonchalance passa dai Maroon 5 al soul della Hi Records), l’abilità dei musicisti e quella componente spesso trascurabile, come si chiamano quelle robe? Ah sì, le “canzoni”, un fattore infimo! E allora scorrono I Thank You di Sam & Dave , Down Don’t Bother Me di Albert King e I Can’t Stand The Rain, che cantava da par suo Ann Peebles, tutte in versioni gagliarde e sanguigne, con Rodgers che ha ancora una voce della madonna, dategli delle canzoni e lui sa cosa farci. L’uno-due da sballo di I’ve Been Loving You Too Long (To Stop Now) (in una long version memorabile) e That’s How Strong My Love Is, tratte dall’opera di Otis Redding, fa bene al cuore e alle coronarie. La versione di Walk On By non è quella, peraltro sontuosa, scritta da Burt Bacharach per Dionne Warwick, ma è quella concepita alla Stax da Isaac Hayes per il suo stupendo Hot Buttered Soul. Senza raggiungere i dodici minuti di quella versione memorabile gli elementi ci sono tutti, il wah-wah di Toles, gli archi, le coriste “in calore”, una piccola meraviglia. Questo signore compie 65 anni a fine anno, ma è ancora una potenza, non per niente nel 2007 si è pure sposato una Miss Canada ( un po’ di gossip). Any Ole Way è considerato un brano minore dell’opera di Otis Redding, era il lato B di Satisfaction, poi inserito nella Collector’s Edition di Otis Blue, il capolavoro del King Of Soul , ma averne di canzoni “minori” così. Anche It’s Growing non è conosciutissima ma canzoni così sono delle perle della soul music. I Free avevano altri brani del repertorio di Albert King nel loro carniere (The Hunter!), ma questa versione di Born Under A Bad Sign risveglia vecchi ricordi, il blues si riaffaccia sul percorso sonoro di Rodgers, meno dura e più sinuosa rispetto alle “cattiverie” dei vecchi tempi, ma sempre un bel sentire. La conclusione sarebbe affidata ad una strepitosa I’ve Got Dreams To Remember, sempre Otis!, mamma mia come canta, come si chiama quella cosa che o ce l’hai o se no non la inventi? Feeling, forse? Qui ce n’è a tonnellate. D’altronde si tratta di una delle più belle canzoni di tutti i tempi: senza urlare, strepitare, esagerare, Paul Rodgers la canta come se ne andasse della sua vita.

Dicevo sarebbe, perché se comprate la versione Deluxe del CD (vi pareva potesse mancare) trovate altri tre brani: due omaggi al maestro di Otis (perchè tutti ne hanno avuto uno), quel Sam Cooke dalla voce melismatica che potrebbe essere considerato uno degli inventori della soul music, con altre due versioni micidiali di Shake e Wonderful World, e uno a sé stesso con Walk In My Shadow ,che era uno dei brani più belli dei Free. Non vi basta ancora? C’è pure il DVD con il “making of” del tutto, dove potete vedere un drappello di grandiosi musicisti mentre si preparano a regalarci questa delizia che spero si poserà nei vostri lettori al più presto. Dal 28 gennaio in Europa e dal 4 febbraio negli Usa. Nel 2013 Boz Scaggs aveva registrato un ottimo Memphis che correva più o meno su queste coordinate http://discoclub.myblog.it/2013/02/27/la-classe-non-e-acqua-boz-scaggs-memphis/ , Royal Sessions forse è anche meglio, il tempo lo dirà!

Bruno Conti

Vecchie Glorie 8. Paul Rodgers & Friends – Live At Montreux 1994

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Paul Rodgers & Friends – Live At Montreux 1994 – CD o DVD – Eagle Records/Edel

Sicuramente Paul Rodgers è stato una delle più grandi voci prodotte dal rock(blues) britannico sin dal lontano 1968 quando alla guida dei grandi Free (dove nessuno aveva ancora compiuto 20 anni e il bassista Andy Fraser ne aveva 16 e Paul Kossoff 18), si proponeva come uno dei migliori interpreti del british blues dell’epoca. Finita l’avventura Free è stato poi il leader dei Bad Company, altro grande gruppo rock che è durato fino alla fine anni ’70 con alcune riprese. Poi da allora non ne ha azzeccata una, tra Firm, Law e carriera solista non si ricordano dischi memorabili, sempre una gran voce ma il resto…Con una eccezione. Nel 1994 decide di incidere un disco, Muddy Water Blues:A Tribute To Muddy Waters, un disco potente e sanguigno dove Rodgers rivisita il repertorio del grande Muddy con una all-star band dove brillano le chitarre di Buddy Guy, Jeff Beck, Steve Miller, David Gilmour, Gary Moore, Brian May e Neal Schon, tra gli altri. E con lo stesso Schon pubblica anche un EP dal vivo, The Hendrix Set di notevole impatto. Nel tour mondiale che segue, nel luglio del 1994 lo spettacolo approda al Festival di Montreux dove viene organizzata una delle loro tipiche serate “Friends and stars” che viene registrata e oggi dopo 17 anni diventa un CD o DVD. Nel frattempo il repertorio si è ampliato fino a contenere molti dei suoi cavalli di battaglia anche se il Blues rappresenta il “cuore” del concerto. Poteva mancare una nutrita serie di ospiti? Certo che no, ma il grosso è rappresentato da bluesmen neri sia pure solo in un brano: la band fissa è composta da Jason Bonham alla batteria, John Smithson al basso e Ian Hatton e Neal Schon alle chitarre, ma sul palco si alternano anche Brian May, Steve Lukather e un manipolo di prodi musicisti blues, Eddie Kirkland, Sherman Robertson, Luther Allison, Robert Lucas e Kenny Neal per l’ultimo brano.

16 brani in totale, una ottantina di minuti di power-rock-blues con la voce di Rodgers in grande spolvero e una serie di canzoni che spaziano tra i due generi: Travelling Man, Wishing Well, Lousiana Man, Muddy Water Blues, Good Morning Little Schoolgirl con Brian May, ma anche Mr. Big con il suo giro di basso inconfondibile, Feel Like Makin’ Love, una scintillante The Hunter che era di Booker T & the Mg’s ma i Free l’avevano fatta loro nel primo album, dove la voce di Rodgers ricorda moltissimo quella di Steve Marriott, altra grande voce del rock inglese di quegli anni. E ancora, in sequenza, due belle versioni di Can’t Get Enough (of your love) e All Right Now,con il suo riff immortale. Poi il gran finale Blues con Crossroads e Hoochie Coochie Man, tutti insieme sul palco per due pietre miliari della storia della musica.

Negli anni a venire, Paul Rodgers avrebbe registrato altri mediocri dischi da solista, quelli dal vivo buoni (ma non come questo) e partecipato alla reunion dei Queen in sostituzione di Freddie Mercury (non una buona idea) e riformato i Bad Company per una serie di concerti e dischi (e DVD dal vivo) non male. Ma questa serata rimane sicuramente una delle migliori testimonianze della sua bravura di cantante, play loud!

Data di uscita 13-09 internazionale e il 20 settembre in Italia.

Bruno Conti