Un Album Che E’ Di Nuovo Un Capolavoro (Con L’Aggiunta Del “Solito” Disco Dal Vivo). Grateful Dead – American Beauty 50th Anniversary

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Grateful Dead – American Beauty 50th Anniversary – Rhino/Warner 3CD Deluxe – LP Picture Disc

Com’era prevedibile, a pochi mesi dalla ristampa deluxe di Workingman’s Dead, seminale album del 1970 dei Grateful Dead che sancisce la fine del periodo psichedelico a favore di sonorità più roots https://discoclub.myblog.it/2020/07/25/da-gruppo-leader-del-rock-psichedelico-a-paladini-del-suono-americana-grateful-dead-workingmans-dead-50th-anniversary/ , le edizioni per i cinquantesimi anniversari degli LP di studio della storica band californiana proseguono con American Beauty, che viene quasi all’unanimità considerato il loro capolavoro. Stiamo infatti parlando di un album nel quale i Dead consolidano la loro posizione preminente di paladini del crescente sound country-rock, un genere che in America in quel periodo sta prendendo sempre più piede grazie al lavoro di gruppi come Byrds, Flying Burrito Brothers e New Riders Of The Purple Sage (che devono ancora esordire su disco ma sono già in giro da un paio d’anni, e partecipano anche ad American Beauty nelle persone di David Nelson e Dave Torbert).

Ma il disco non si fa notare solo per il suono roots (già ampiamente nelle corde di Jerry Garcia, basta guardare i suoi esordi), ma soprattutto per il fatto che contiene una serie di canzoni formidabili che vanno a formare una tracklist pazzesca, che lo fanno sembrare più un’antologia di successi che un disco nuovo e che da lì in poi costituiranno gran parte dell’ossatura dei loro concerti. L’album contiene la miglior canzone di Phil Lesh (l’iniziale Box Of Rain, splendida nonostante Phil non sia un granché come cantante) e la miglior canzone di Bob Weir (l’irresistibile Sugar Magnolia), ma anche Garcia non è da meno con la straordinaria e toccante Ripple (che vede l’amico David Grisman al mandolino), che se non è il suo brano più bello di sempre rientra di sicuro tra i primi cinque. Poi c’è una delle loro rock’n’roll songs più trascinanti (Truckin’, rara collaborazione tra Weir e Garcia in sede di scrittura), l’ultima testimonianza in studio del tastierista Ron “Pigpen” McKernan (che morirà all’inizio del 1973) che per una volta non ricorre alle sue influenze blues ma propone un gradevole country-rock intitolato Operator, mentre un Garcia in stato di grazia contribuisce con altri cinque pezzi, la mitica Friend Of The Devil, due sontuose country ballads (Candyman e Brokedown Palace), la coinvolgente ‘Till The Morning Comes ed il bellissimo slow Attics Of My Life, contraddistinto da una impeccabile armonia a tre voci tra Jerry, Bob e Phil.

Un disco ancora da cinque stelle a 50 anni dall’uscita originale, e che oggi viene ripubblicato in una confezione tripla con aggiunto l’ennesimo concerto inedito del gruppo, mentre come per Workingman’s Dead le sessions di studio sono state messe a disposizione solo online sotto il nome di The Angel’s Share. La (parziale) delusione per la poca fantasia di chi gestisce l’eredità della band ha lasciato però spazio alla soddisfazione nell’ascolto del secondo e terzo CD, in quanto stiamo parlando di uno degli show a lungo invocati dai “Deadheads”, che lo hanno sempre considerato uno dei migliori del periodo, vale a dire quello tenutosi il 18 febbraio del 1971 al Capitol Theatre di Port Chester, nello stato di New York (cosa ancor più degna di nota dal momento che il biennio 1971-72 è forse il migliore di sempre dei Dead dal vivo). Un concerto potente, suonato alla grande e cantato senza sbavature, con parecchie canzoni all’epoca recenti (e di alcune ancora oggi non esiste la versione in studio), qualche omaggio agli anni 60 ed una serie di cover molto interessanti.

Apertura tipica di quel periodo con la coinvolgente Bertha, seguita subito dai nove minuti di una Truckin’ tiratissima e con Garcia e la sua chitarra che mostrano di essere in serata; una solida It Hurts Me Too di Elmore James (canta Pigpen) precede Loser, deliziosa ballata di Jerry, e la breve Greatest Story Ever Told di Weir, che a sua volta confluisce in un trittico di cover che vanno dal rock’n’roll (Johnny B. Goode di Chuck Berry) al country (Mama Tried di Merle Haggard) all’errebi (Hard To Handle, Otis Redding). La mitica Dark Star, con un Jerry stellare, viene divisa in due da Wharf Rat, altro slow tra i più apprezzati di Garcia, ed a chiudere il primo CD c’è la consueta rilettura di Me And My Uncle di John Phillips. La seconda parte si apre con Casey Jones, altro classico senza tempo, e prosegue con l’interlocutoria Playing In The Band ed una bella versione di Me And Bobby McGee di Kris Kristofferson; dopo due estratti da American Beauty (una notevole Candyman di otto minuti e la sempre travolgente Sugar Magnolia) ed un viscerale omaggio di McKernan a Willie Dixon con Big Boss Man, i Dead entrano nel finale del concerto con un lucido omaggio al loro periodo psichedelico (St. Stephen) e la rilettura rielaborata alla loro maniera di Not Fade Away di Buddy Holly, anch’essa divisa in due dalla splendida Goin’ Down The Road Feeling Bad. Una serata quasi perfetta non può che chiudersi con la più bella canzone di sempre dei Dead, ovvero l’inimitabile Uncle John’s Band, degno finale di un concerto più che adeguato ad impreziosire un disco come American Beauty.

La prossima celebrazione di un cinquantennale dei Grateful Dead arriverà solo nel 2023 (il sottovalutato Wake Of The Flood), ma credo proprio che nei prossimi due anni le pubblicazioni d’archivio del gruppo non mancheranno di certo.

Marco Verdi

Finalmente Anche I Dead Pubblicano Un Bel Disco Dal Vivo! Grateful Dead – Pacific Northwest ’73-’74: Believe It If You Need It

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Grateful Dead – Pacific Northwest ’73-’74: Believe It If You Need It – Rhino/Warner 3CD

Il titolo del post odierno è chiaramente ironico, in quanto sul mercato esistono più dischi dal vivo dei Grateful Dead di quanti uno possa ragionevolmente riuscire ad ascoltare in un anno intero (con pause per i pasti ed almeno otto ore di sonno per notte). Però quando una proposta discografica è targata Rhino, state certi che il contenuto è meritevole di attenzione. Non fa eccezione questo Believe It If You Need It, triplo CD che è in realtà un condensato del solito mega-cofanetto in tiratura limitata (e parecchio costoso), cioè Pacific Northwest ’73-’74, un box di 19 CD che presenta sei concerti completi che lo storico gruppo di San Francisco tenne nel Maggio e Giugno del 1973 e 1974 in Oregon (a Portland), nello stato di Washington (a Seattle) e nella British Columbia canadese (a Vancouver): Believe It If You Need It è quindi costituito dalle migliori performances di quelle serate, ed è compilato come se si trattasse di un concerto a sé stante (solo Truckin’ è presente due volte). I Dead sono in sei (l’unico batterista è Bill Kreutzmann, Mickey Hart in quel periodo era fuori dalla band), ma sarebbero andati bene anche in cinque, dato che i gorgheggi di Donna Jean Godchaux sono più di danno che di utilità, e vedono Jerry Garcia in forma strepitosa, protagonista di una serie di assoli di rara bellezza, sia nei momenti più “roots” che in quelli più acidi, ed una sorpresa è anche la performance di Keith Godchaux, mai troppo considerato come pianista, ma che qui suona con una liquidità notevole.

E’ noto che la prima metà degli anni settanta è stato forse il periodo migliore per quanto riguarda le prove dal vivo dei nostri, e questo album lo conferma appieno: in più, l’incisione è davvero spettacolare, nitida, pulita e forte, come se si trattasse di musica registrata solo qualche mese fa. Si capisce che Garcia e soci sono in palla già dall’iniziale China Cat Sunflower (brano che molto spesso apriva i loro concerti), con la chitarra di Jerry subito protagonista in maniera magistrale con una serie di fraseggi distesi, ben assecondato da un Godchaux in gran spolvero. I Know You Rider vede i nostri lanciati come un treno, Bird Song arriva ad un quarto d’ora, una ballata melodicamente impeccabile, suonata in maniera spettacolare (e perdoniamo pure a Jerry una prestazione vocale appena sufficiente), mentre Box Of Rain è da sempre una gran bella canzone, e qui Phil Lesh la canta un po’ meglio del solito. Brown-Eyed Women è splendida, una delle più dirette ed orecchiabili del songbook di Garcia e Hunter; poi abbiamo una monumentale jam che parte da una travolgente Truckin’ e confluisce in Not Fade Away e nella travolgente Goin’ Down The Road Feeling Bad, prima del rock’n’roll di One More Saturday Night, che chiude la prima parte.

Il secondo CD è composto da sole quattro canzoni, ma il vero highlight è una leggendaria Playing In The Band, che con i suoi 46 minuti di durata è il brano singolo (quindi non mescolato con altri) più lungo mai suonato dal gruppo: una versione apocalittica, un’esperienza quasi extrasensoriale (o come dicono in America, una “mind left body jam”), nella quale i nostri toccano vette di pura psichedelia che neanche negli anni sessanta durante gli acid test. Il resto del CD vede una rara Here Comes Sunshine (ma sentite Garcia, un fenomeno) ed una sempre eccellente Eyes Of The World, che si fonde con la lenta China Doll. Nel terzo dischetto i Dead tornano con i piedi per terra (più o meno), iniziando in maniera sublime con la splendida Sugaree, tra le più belle composizioni di Garcia, e poi con un super medley (registrato a Vancouver) formato dalla cristallina He’s Gone, un’altra grandiosa Truckin’ (26 minuti solo questa, compreso una lunga improvvisazione con il basso di Lesh come strumento solista), una rimembranza dei sixties con The Other One, la solida ballata Wharf Rat e gran finale con la sempre coinvolgente Sugar Magnolia, in assoluto uno dei pezzi migliori di Bob Weir. Altra ottima proposta dunque dagli infiniti archivi live dei Grateful Dead, e stavolta direi che è sufficiente questo estratto in tre CD rispetto al mega-box (ammesso che sia ancora disponibile), dato che nei mesi di Ottobre e Novembre, tra box di Dylan, Petty, Lennon, Beatles, Kinks e Hendrix le vostre (anzi, nostre) tasche saranno messe a durissima prova.

Marco Verdi

Uno Dei Dischi Cardine Della Psichedelia Californiana Degli Anni Sessanta. Grateful Dead – Anthem Of The Sun 50th Anniversary

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Grateful Dead – Anthem Of The Sun 50th Anniversary – Rhino/Warner 2CD

Prosegue la ristampa della discografia ufficiale dei Grateful Dead in occasione dei cinquantenari dall’uscita degli album originali: dopo la ripubblicazione deluxe del loro esordio omonimo avvenuta lo scorso anno https://discoclub.myblog.it/2017/01/29/ci-mancavano-solo-le-ristampe-dei-cinquantesimi-grateful-dead-50th-anniversary-deluxe-edition/ , un’operazione che ha attirato diverse critiche in quanto dovrebbe terminare nel 2039 con la riedizione di Built To Last (il loro ultimo disco in studio), con il rischio concreto che molti fans della prima ora non possano completare l’opera per motivi anagrafici (ammesso e non concesso che tra 21 anni esisteranno ancora i CD). Anthem Of The Sun, uscito appunto nel 1968, è considerato da molti il primo vero album in cui i Dead introducono il loro suono, in quanto nel debutto di The Grateful Dead, pur essendo presenti diversi futuri classici delle loro esibizioni dal vivo, il gruppo di San Francisco aveva deciso di includere canzoni piuttosto brevi (con l’eccezione di Viola Lee Blues) e con arrangiamenti rock che non avevano ancora del tutto le caratteristiche del suono che li renderà famosi.

Per contro, Anthem Of The Sun è esattamente l’opposto, in quanto presenta soltanto cinque brani, di cui uno solo di breve durata: non solo, ma di tutta la discografia dei Dead è quello in assoluto che si avvicina di più al suono dei loro concerti, grazie soprattutto all’idea, decisamente innovativa per l’epoca, di mischiare incisioni in studio con spezzoni di vari live show, creando una sorta di ibrido. In seguito diventerà la prassi per molti artisti “aggiustare” i dischi dal vivo con incisioni in studio (e quasi mai dichiarandolo), ma il caso di Anthem Of The Sun, cioè un disco in studio viceversa aggiustato con frammenti live, è tuttora abbastanza unico. I cinque brani presenti in questo disco diventeranno tutti dei veri classici del gruppo, e sono ancora oggi considerati uno dei punti più alti della musica psichedelica dell’epoca, con una band in stato di grazia, guidata da un Jerry Garcia ai vertici della sua creatività: in questo album i Dead sono tra l’altro in una formazione a sette elementi che non durerà a lungo, con Tom Constanten che si aggiunge allo zoccolo duro formato da Garcia, Bob Weir, Ron “Pigpen” McKernan (il sui organo è un altro elemento indispensabile nell’economia del suono), Phil Lesh e la doppia batteria di Mickey Hart e Bill Kreutzmann. Questa ristampa deluxe, che esce con la copertina a cui è stato donato uno splendido effetto lenticolare in 3D, presenta nel primo CD l’album originale in due diversi missaggi, quello del 1968 ed il remix del 1971: le differenze sono minime, anche se il secondo sembra meno confuso ed “impastato”, oltre a prolungare la durata di alcuni brani.

I cinque pezzi del disco sono, come ho già detto, tutti molto noti tra i fans dei Dead, a partire dalla straordinaria That’s It For The Other One, una mini-suite in quattro movimenti che lascia ampio spazio alle scorribande dei nostri, con Garcia e Weir che si alternano alle parti vocali soliste: pura psichedelia, con tanto di finale rumoristico ad opera di Constanten. La lenta e sinuosa New Potato Caboose (di Lesh), che vede addirittura spuntare un clavicembalo, ha soluzioni melodiche e strumentali che la avvicinano al pop, anche se la parte centrale dà spazio ad una grande performance di Jerry, mentre Born Cross-Eyed mantiene le atmosfere lisergiche nonostante duri poco più di due minuti. Il disco termina con la rockeggiante Alligator, ancora di Lesh, che è un fluido brano tutto giocato su cambi di ritmo ed improvvisazioni varie, e con Caution (Do Not Stop On Tracks), un rock-blues allucinato che è anche il momento in cui Pigpen si prende il centro della scena (ma Garcia si fa largo a suon di assoli).

Il secondo CD propone un concerto, ovviamente inedito, registrato al Winterland di San Francisco nell’autunno del 1967 (anche la ristampa dello scorso anno prendeva in esame uno show dell’anno precedente). Un concerto bello, potente e lisergico quanto basta, con Garcia ovviamente sugli scudi ma anche il resto della band (ancora senza Constanten) che lo segue con sicurezza, con McKernan in testa. La serata inizia con una vibrante versione dell’apocalittica Morning Dew, molto bella, e prosegue tra momenti di pura psichedelia (New Potato Caboose, con Jerry strepitoso), cover di classici del blues (It Hurts Me Too di Elmore James) e brani dove emergono sia il lato roots della band (Cold Rain And Snow) che quello rock’n’roll (Beat It On Down The Line). Le due canzoni restanti sono anche gli highlights del concerto: una scintillante rilettura di Turn On Your Lovelight di Bobby “Blue” Bland, che diventerà un must dei loro show, ed una spettacolare That’s It For The Other One di 15 minuti, che chiude la serata in deciso crescendo.

Quindi all’anno prossimo, con la ristampa di uno dei lavori dei Dead che preferisco (Aoxomoxoa) e, se la campagna di riedizioni prevede anche i dischi dal vivo, di Live/Dead, uno degli album registrati on stage più importanti di sempre.

Marco Verdi

Un’Ottima Band Dal Nobile Lignaggio! Midnight North – Under The Lights

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Midnight North – Under The Lights – Trazmick CD

I Midnight North sono un quintetto californiano con già due album in studio ed un live all’attivo, e sono guidati da un giovane chitarrista e cantante, Grahame Lesh, che è anche figlio d’arte, e non uno qualsiasi: infatti il padre è proprio Phil Lesh, storico bassista dei Grateful Dead, una delle colonne portanti del leggendario gruppo di San Francisco sin dalla prima ora. Quindi Grahame non ha avuto un’infanzia ed un’adolescenza qualunque, ma è cresciuto respirando grande musica ogni singolo giorno, cosa che sicuramente gli è servita a formarsi un background culturale di tutto rispetto: questo è evidente ascoltando questo Under The Lights, terzo album della sua band, che è indubbiamente un signor disco. Lesh Jr. (che è coadiuvato dalla seconda voce solista di Elliott Peck, che nonostante il nome è una ragazza, dal polistrumentista Alex Jordan e dalla sezione ritmica formata da Alex Koford e Connor O’Sullivan) ha però uno stile diverso dal gruppo di suo padre, in quanto è fautore di un rock chitarristico decisamente diretto ed imparentato con il genere Americana: Graheme scrive canzoni semplici e fruibili, ma non banali, ha un senso della melodia non comune e le sue canzoni sono tutte estremamente piacevoli; l’unico punto in comune con i Dead può essere una certa tendenza alla jam nella coda strumentale di alcuni pezzi, anche perché se ci pensiamo un attimo anche il combo guidato da Jerry Garcia nei dischi in studio era spesso piuttosto diverso che durante i concerti.

Under The Lights è quindi un disco di puro rock, con qualche aggancio al country ed una brillante propensione alle melodie corali e dirette, un lavoro fresco e piacevole, che spero metta in luce questo gruppo aldilà del cognome del suo leader. Anche se poi mi viene in mente che i due più bei dischi di studio dei Dead, Workingman’s Dead ed American Beauty, erano anch’essi esempi di Americana ante litteram, e quindi in un certo senso il cerchio si è chiuso. Il CD parte col piede giusto con la bella title track, una rock song fluida e scorrevole, dall’ottimo refrain corale, un tocco country ed un uso scintillante di piano e chitarra. E Grahame è un cantante migliore di suo padre (non che ci volesse molto). Playing A Poor Hand vede la Peck alla voce solista (lei e Lesh si alterneranno per tutto il disco), per una rock ballad ariosa, cadenzata e decisamente gradevole, con un bel gusto melodico che è un po’ il fiore all’occhiello del gruppo; la gioiosa Everyday è una via di mezzo tra un errebi con tanto di fiati ed un pop-rock alla Fleetwood Mac, mentre Greene County è chiaramente una country ballad, sempre di stampo californiano, con qualcosa di Eagles e del Bob Seger più bucolico (Fire Lake).

Roamin’ ha un approccio più rock, con sonorità anni settanta ed il solito ritornello immediato, Headline From Kentucky è una ballata elettrica dal ritmo sostenuto e dal mood intrigante, con un ottimo motivo senza sbavature: tra le più belle del CD; una bella chitarra introduce la fluida Back To California, fino ad ora la più dead-iana (più nella parte strumentale che nella melodia), ed anche qui siamo di fronte ad un brano coi fiocchi, mentre la saltellante e coinvolgente One Night Stand dona al disco un altro momento di allegria e buona musica. Echoes è un rock a tutto tondo, tra le più elettriche del lavoro e con tracce di Tom Petty, con ottime parti di chitarra e solito refrain vincente, The Highway Song è vera American music, un pop-rock terso ed altamente godibile, che porta in un soffio alla conclusiva Little Black Dog, puro country elettroacustico ancora corale e gioioso, che ricorda quasi la Nitty Gritty Dirt Band dei bei tempi. Midnight North è un nome da tenere a mente, il nome di un’altra piccola grande band sotto il sole della California.

Marco Verdi

Che Natale (O Santo Stefano) Sarebbe Senza Un Bel Box Dei Dead? Grateful Dead – RFK Stadium 1989

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Grateful Dead – RFK Stadium 1989 – dead.net Store – Rhino/Warner 6CD Box Set

Ormai ci ho fatto il callo: con puntuale cadenza semestrale, solitamente in primavera ed autunno, esce un nuovo cofanetto dei Grateful Dead, e qualche volta anche qualcosa di più in altri periodi dell’anno, ma diciamo che almeno due uscite ogni 365 giorni sono garantite. Lo scorso Maggio avevo celebrato lo splendido Cornell 5/8/1977, estratto del super box Get Shown The Light, ed ora mi trovo a parlarvi di un’altra eccellente uscita riguardante il gruppo di San Francisco: RFK Stadium 1989  è un boxettino di sei CD che contiene due concerti completi tenutisi nella location e nell’anno del titolo (a Washington DC), rispettivamente il 12 e 13 Luglio, un cofanetto in tiratura limitata di 15.000 copie ed in vendita solo sul sito della band (quindi per una volta non esiste la consueta versione ridotta disponibile su larga scala, anche se mentre scrivo queste righe i box disponibili sono ancora più di 4.000). Gli anni che vanno dal 1987 al 1990 sono tra i migliori in assoluto per quanto riguarda l’attività live dei Dead, che avevano ritrovato sia uno stato di forma smagliante (a differenza del periodo a metà della decade, anche a causa dei problemi di salute di Jerry Garcia, problemi che si ripresenteranno nei novanta portandolo alla morte prematura nel 1995) sia il successo commerciale con l’ottimo album In The Dark del 1987, unico della loro storia ad entrare nella Top Ten. In quegli anni, un po’ come Elvis che negli anni settanta aveva raggiunto la piena maturità vocale, i Dead erano in grado di suonare qualsiasi cosa, ed erano famosi per proporre scalette completamente diverse da una serata all’altra quando si esibivano nella stessa location per più di una volta.

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Questo è esattamente quello che accade in questi due concerti registrati nella capitale nell’estate del 1989, con i nostri in grande spolvero e che suonarono due setlists differenti al 100%: Garcia era sempre di più un chitarrista formidabile, le sue prestazioni erano uno spettacolo nello spettacolo, ma anche i suoi compagni non perdevano un colpo, dalla chitarra ritmica di Bob Weir al basso di Phil Lesh alla doppia batteria di Mickey Hart e Bill Kreutzmann, fino alle tastiere di Brent Mydland (che qui è alle sue ultime esibizioni, in quanto morirà l’anno dopo per overdose, sostituito da Vince Welnick e, provvisoriamente, da Bruce Hornsby, che è già presente in questo box come ospite speciale in due canzoni a sera). Un box decisamente godibile quindi, un lungo viaggio nel songbook dello storico gruppo, inciso tra l’altro molto bene, con gli unici due difetti dell’uso saltuario del sintetizzatore da parte di Mydland e delle voci non sempre intonate, specie nelle armonie dove spesso ognuno va per conto suo (ma è risaputo che questo è sempre stato il tallone d’Achille dei Dead). Per chi scrive la scaletta migliore è quella della prima serata, in quanto sono presenti quattro tra i miei brani preferiti della band: la bellissima Touch Of Grey, che apre il concerto (e con Garcia che rilascia subito un assolo dei suoi), le splendide Mississippi Half-Step Uptown Toodeloo, con Mydland ottimo al piano, ed una Sugaree con Horsby alla fisarmonica, oltre al finale con la struggente Black Muddy River. Ma ovviamente ci sono anche altri highlights, come una lunga ed intensa Ship Of Fools, la sempre vibrante Eyes Of The World (perfetta per le jam liquide del gruppo), ed una cristallina cover del classico dei Traffic Dear Mr. Fantasy, con Jerry incontenibile.

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https://www.youtube.com/watch?v=eEG2PnRl9zI

La cover dylaniana Just Like Tom Thumb’s Blues viene affidata a Lesh, che per una volta non fa danni dal punto di vista vocale (ed il pezzo ne esce molto bene), mentre i contributi migliori di Weir alla serata sono una fluida Cassidy (grande ancora Garcia), il sempre coinvolgente rock’n’roll di Chuck Berry Promised Land ed una guizzante e solare Man Smart, Woman Smarter (un classico calyspo inciso tra gli altri da Harry Belafonte ed i Carpenters), in duetto vocale con Mydland. Il secondo show, accanto a canzoni discrete ma “normali” come Let It Grow, Looks Like Rain, I Will Take You Home (anteprima dall’album Built To Last, che uscirà qualche mese dopo) e Throwing Stones, offre comunque diverse performances solide, come l’apertura Hell In A Bucket, che forse non sarà una grande canzone ma garantisce un avvio potente (e Jerry è formidabile). Poi i nostri piazzano un uno-due notevole con la classica Cold Rain And Snow ed una sopraffina rilettura di Little Red Rooster (Willie Dixon): il blues non era tra le specialità dei Dead, ma qui suonano eccome, specie un Garcia insolitamente alla slide. Altri momenti di impatto sono la cadenzata Tennessee Jed, un’altra tra le migliori del binomio Garcia-Hunter, la splendida e raramente eseguita To Lay Me Down e la suite Terrapin Station, in quella serata ridotta a “soli” 13 minuti ma sempre molto bella. C’è spazio anche per un po’ di psichedelia con The Other One, ed il finale è a tutto rock’n’roll con una scintillante Good Lovin’ dei Rascals e la trascinante U.S. Blues. Un (altro) ottimo cofanetto per i Grateful Dead: varrebbe la pena di fare uno sforzo per accaparrarselo.

Marco Verdi

Se Non E’ Il Loro Miglior Concerto Di Sempre, Poco Ci Manca! Grateful Dead – Cornell 5/8/77

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Grateful Dead – Cornell 5/8/77 – Rhino 3CD – 5LP

Credo che stilare una classifica dei migliori concerti di sempre dei Grateful Dead sia impresa alquanto ardua per chiunque, dato che nel loro periodo di attività (e cioè fino alla morte di Jerry Garcia avvenuta nel 1995) hanno suonato on stage per ben più di duemila volte. Se si parla con i Deadheads più integralisti, però, in almeno otto casi su dieci verranno fuori un nome ed una data: Cornell 1977. Si dice infatti che fu in quella serata, più precisamente il 5 Maggio (Cornell è il nome di un’università, la città è Ithaca, nello stato di New York), che il gruppo di Garcia e soci, e cioè Bob Weir, Phil Lesh, Keith Godchaux, Donna Jean Godchaux, Mickey Hart e Bill Kreutzmann, suonò il suo miglior show di sempre, tanto che il concerto fu definito il Santo Graal delle loro performances. Ora, a distanza di giusto quarant’anni, i Dead pubblicano questo Cornell 5/8/77, un triplo CD (o quintuplo LP) che permette a tutti di condividere l’esperienza di una serata a suo modo leggendaria, un’operazione subito salutata da fans e addetti ai lavori con grande entusiasmo, nonostante in questi ultimi anni il mercato discografico sia stato letteralmente inondato da album targati Grateful Dead (il triplo si trova anche all’interno di un box di 11 CD, intitolato May1977: Get Shown The Light, che comprende anche i concerti di quel periodo a New Haven, Buffalo e Boston, cofanetto in vendita solo sul sito della band e da tempo esaurito).

Ebbene, non so se questo show di Cornell sia effettivamente il migliore di sempre del gruppo di San Francisco, i loro live pubblicati ufficialmente li ho quasi tutti ma non me li ricordo certo a memoria (e ho sempre considerato il biennio 1971/1972 come il loro periodo top, anche se so che anche gli anni che vanno dal 1977 al 1979 sono molto considerati), ma dopo averlo ascoltato attentamente posso confermare che ci troviamo davanti ad uno show fantastico, nel quale tutti i componenti della band sembrano quasi suonare in balia di un’estasi mistica, con Garcia naturalmente cinque spanne sopra tutti, ma anche con la sezione ritmica più presente del solito e senza passaggi a vuoto, un Weir decisamente in palla e Godchaux che fa vedere perché i nostri lo avessero scelto come tastierista dopo la dipartita di Pigpen. L’ascolto di questo triplo CD è dunque una vera esperienza che, una volta arrivato all’ultima canzone, mi fa quasi prendere come buone le parole dei fans: anche le prestazioni vocali, spesso il tallone d’Achille nei concerti dei Dead, qua sono rigorose, senza sbavature ed in linea con le parti strumentali. Che la serata è destinata ad entrare nella storia lo si capisce dall’iniziale New Minglewood Blues, solitamente un brano minore ma che qui vede subito una band in forma ed un Garcia subito ispirato e liquidissimo, pezzo a cui fanno seguito una fluida e vibrante Loser ed una eccellente cover di El Paso di Marty Robbins, a quell’epoca molto comune nei concerti del Morto Riconoscente. Ma il primo CD contiene già degli highlights assoluti, a partire da una splendida They Love Each Other, dove Garcia sembra veramente nella forma strumentale e vocale dei concerti europei del 1972, oltre ad una Jack Straw solida e potente come non mai, la sempre trascinante Deal (e come suona Jerry!), la straordinaria Brown-Eyed Women, da sempre una delle mie canzoni preferite dei Dead, per finire con una maestosa Row Jimmy, con Garcia formidabile alla slide ed uno squisito sapore reggae (e notate che a me di solito il reggae non piace), forse la migliore mai sentita.

Con il secondo dischetto si entra nella leggenda: solo quattro canzoni, ma straordinarie, un CD aperto da una magistrale Dancing In The Streets di sedici minuti (e con Jerry in modalità extraterrestre, non ho parole per descrivere come suona) e chiuso da una altrettanto bella Estimated Prophet; in mezzo un medley inarrivabile che fonde Scarlet Begonias e Fire On The Mountain, quasi mezz’ora di musica a livelli celestiali, in assoluto una delle cose più belle che ho sentito fare dai Dead. Il terzo CD ci dà il colpo di grazia con una scintillante (ed insolitamente sintetica) St. Stephen, che confluisce in una Not Fade Away da favola, più di sedici minuti di sublime Dead sound; ma ecco il momento centrale di tutta la performance, con una Morning Dew incredibile, una rilettura davvero leggendaria, di certo la migliore versione di uno dei brani più intensi del loro repertorio live, con Garcia semplicemente stellare e Godchaux che fa di tutto per stare al suo livello: un pezzo che in quella sera trasmise davvero all’ascoltatore tutta l’inquietudine post-atomica di cui parla il testo originale. Chiude il triplo una coinvolgente One More Saturday Night, più rock’n’roll che mai: sono tre CD, ma alla fine avrei voluto che fossero almeno sei.

Si dice che non esista un concerto dei Grateful Dead uguale ad un altro: di sicuro non ne esiste uno uguale a Cornell 5/8/77.                                                                                                                      Irrinunciabile.

Marco Verdi

Devo Averle Già Sentite Da Qualche Parte Queste Canzoni! Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia

dear jerry celebrating the music of jerry garcia 2 cd

VV.AA. – Dear Jerry: Celebrating The Music Of Jerry Garcia – Rounder 2CD – 2CD/DVD

Da dopo la morte di Jerry Garcia avvenuta nel 1995, il mercato è stato letteralmente invaso di prodotti che avevano in qualche modo a che fare con i Grateful Dead, ma nessun periodo è minimamente comparabile all’ultimo anno. Da Ottobre 2015 sono infatti usciti, nell’ordine: il megabox di 80 CD 30 Trips Around The Sun (e la sua versione ridotta in quattro CD), i vari formati dei concerti di addio Fare Thee Well, il sontuoso tributo quintuplo Day Of The Dead curato dai National, il triplo della Rhino Red Rocks 1978 (ed il superbox con tutti i concerti del periodo), due volumi ravvicinatissimi della serie Garcia Live ed il nuovo album solista di Bob Weir, Blue Mountain http://discoclub.myblog.it/2016/10/07/finalmente-arrivato-anche-il-momento-che-disco-bob-weir-blue-mountain/ . E non ho citato i nuovi episodi dei Dave’s Picks. Ma i nostri, che la paura di inflazionare il mercato direi che non l’hanno mai avuta, si saranno detti: “Ci siamo dimenticati un bel concerto tributo!”. Detto fatto, ecco qui questo doppio CD (esiste anche con DVD allegato) intitolato Dear Jerry, che documenta l’esito di una serata organizzata da Bob Weir il 14 Maggio dello scorso anno (al Merriweather Post Pavilion di Columbia, Maryland), durante la quale i quattro Dead superstiti (oltre a Weir, Phil Lesh, Bill Kreutzmann e Mickey Hart) si sono alternati sul palco con una bella serie di ospiti. Come però suggerisce il titolo, non è un tributo ai Dead, ma in particolare alle canzoni di Garcia, incluse alcune da lui incise come solista e qualche cover di brani che Jerry usava suonare dal vivo nelle varie configurazioni della Jerry Garcia Band (che è sorprendentemente assente, dato che ancora esiste e si esibisce come JGB, avrebbe potuto partecipare suonando per esempio un brano di Bob Dylan, autore più volte ripreso da Jerry e dai Dead). Certo, un altro lavoro dove si prendono in esame canzoni che nell’ultimo anno sono state strasentite potrebbe far alzare più di un sopracciglio, ma sarebbe un errore ignorarlo, in quanto siamo di fronte ad una performance splendida, con una serie di gruppi e solisti in grande forma, una house band stellare (che comprende gente del calibro di Don Was, che è anche direttore musicale e produttore, Sam Bush, Matt Rollings, Buddy Miller, Audley Freed, ex chitarrista dei Black Crowes, e le McCrary Sisters ai cori), una resa sonora strepitosa e, ma era scontato, una serie di grandi canzoni.  In poche parole, uno dei migliori prodotti Dead-related usciti nell’ultimo periodo, superiore per esempio, e di gran lunga, ai concerti di addio Fare Thee Well, sia come suono che come qualità della performance.

Che non si scherza lo fa subito capire Phil Lesh, che si esibisce con la sua nuova band, i Communion nel medley The Wheel/Uncle John’s Band, suono Dead al 100%, piano liquidissimo (Marco Benevento) e subito due grandi canzoni (anzi, la seconda è forse la mia preferita in assoluto del Morto Riconoscente), per quasi 17 minuti di musica sublime: tra le qualità di Lesh non c’è mai stata la voce, ma questa sera Phil canta stranamente bene, anche se è aiutato, e molto, dalle voci di sostegno del resto del gruppo. Allen Toussaint, qui in una delle sue ultime apparizioni, ci propone l’errebi di sua composizione Get Out Of My Life Woman, un pezzo che Jerry amava molto, con un bel botta e risposta vocale tra Allen e le sorelle McCrary: anche Toussaint non era mai stato un grande vocalist, ma quando appoggiava le dita sulla tastiera riusciva a zittire tutti. David Grisman è un vecchio compagno di viaggio di Jerry, ha inciso con lui diversi bellissimi dischi acustici (oltre a militarci insieme nel supergruppo Old And In The Way), e nell’occasione ci delizia con una splendida versione del traditional Shady Grove, tra folk, bluegrass ed old time music, con ottimi interventi di fisarmonica e violino, altri quattro minuti e mezzo di puro godimento A prima vista Peter Frampton in una serata come questa potrebbe starci come i cavoli a merenda, ma il nostro, alle prese con il classico di Junior Walker (I’m A) Roadrunner, se la cava alla grande: la voce e la chitarra ci sono, e la versione, decisamente potente e roccata, è godibilissima. Buddy Miller non lo scopriamo certo oggi e, alle prese con Deal, una grande canzone, fa faville, dandoci una delle prestazioni più convincenti della serata (bellissimo l’assolo di slide, ma pure Rollings fa i numeri al piano); Jorma Kaukonen va a nozze con brani come Sugaree, e nel concerto ci dà pure un saggio della sua classe con la chitarra, mentre il bravissimo Jimmy Cliff, e ve lo dice uno che non ama il reggae, ci diverte con la sua The Harder They Come insieme a Kreutzmann e Hart, un brano tra i più suonati dalla JGB e, raggiunto anche da Weir, bissa con una discreta Fire On The Mountain. Il primo CD si chiude con il nuovo gruppo di Kreutzmann, Billy And The Kids, che rileggono lo splendido medley che apriva Blues For Allah (Help On The Way/Slipknot!/Franklin’s Tower) in maniera rigorosa, ma con un’energia straordinaria e poi, con i Disco Biscuits, un altro medley stellare con Scarlet Begonias/I Know You Rider, davvero da applausi e con un formidabile assolo chitarristico di Tom Hamilton.

Il secondo dischetto inizia con la rock ballad Loser proposta dai Moe, molto bravi e rispettosi al limite del didascalico, ma il brano è talmente bello che ne esce benissimo ugualmente; eccellenti gli Oar con St. Stephen, alla quale tolgono gli elementi psichedelici e la trasformano in una pura e sontuosa rock song, potente e grintosa; i Los Lobos avevano già suonato Bertha sul tributo Deadicated del 1991 e, insieme a Weir, la replicano in maniera mirabile, grande canzone e grandissima band, mentre i Trampled By Turtles si esibiscono nell’abituale veste acustica con una fulgida Brown-Eyed Women, tra le mie preferite in assoluto dei Dead.

Shakedown Street non mi è mai piaciuta molto, e gli Yonder Mountain String Band, pur mettendocela tutta in una versione stripped-down, non riescono a farmi cambiare idea. Ma subito dopo torna Bob Weir che, in compagnia della bella Grace Potter, rilegge in maniera vibrante Friend Of The Devil, ottima versione, toccante a dir poco, pianistica e molto soulful. Eric Church a mio parere è un sopravvalutato, ma la sua Tennessee Jed, tra country, rock e southern, è ben fatta, anche se meglio, molto meglio fanno i Widespread Panic con una Morning Dew davvero intensa e fluida, impreziosita da un assolo di chitarra incredibile da parte di Jimmy Herring. Gran finale con tre dei quattro Dead (manca Lesh), per una stupenda e corale Touch Of Grey, perfetta in questa posizione visto il testo ottimistico, e tutti insieme per una commovente Ripple, splendida sotto ogni punto di vista, il modo migliore per chiudere una serata da ricordare.

In un anno in cui non sono certo mancati i dischi dal vivo di grande valore, questo Dear Jerry è sicuramente uno dei più belli.

Marco Verdi

“Finalmente” Un Cofanetto Dal Vivo Dei Dead! Grateful Dead – Fare Thee Well: Chicago, IL, Soldier Field

grateful dead fare thee well complete

Grateful Dead – Fare Thee Well: Chicago, IL, Soldier Field – Warner/Rhino 2 CD (Best Of) – 2 DVD – 2 BluRay – 3 CD + 2 DVD – 3 CD + 2 BluRay – Super Deluxe 12CD/7DVD – 12CD/7BluRay

Il titolo del post è volutamente sarcastico, dato che per l’anno della celebrazione dei 50 anni di attività dei Grateful Dead  (anche se negli ultimi 20 si sono più che altro occupati dei loro archivi), pensavo che sarebbe bastato (e avanzato) il box di 80CD 30 Trips Around The Sun http://discoclub.myblog.it/2015/09/28/anteprima-mondiale-meno-male-che-gli-anni-trenta-grateful-dead-30-trips-around-the-sun/ , o la sua versione ridotta a 4CD, ma come potevano esimersi i membri superstiti (quindi senza il leggendario leader Jerry Garcia e tutti i tastieristi della loro storia – anni fa, giuro, ho letto una classifica delle cause di morte più comuni tra musicisti rock, ed una di esse era ‘essere tastieristi dei Grateful Dead’) dal pubblicare ufficialmente un resoconto dei loro concerti d’addio di quest’estate? Cinque spettacoli tutti esauriti, due a Santa Clara ed i tre finali al Soldier’s Field di Chicago (dove nel 1995 tennero il loro ultimo show prima del ricovero e della susseguente morte di Garcia), e proprio queste tre serate sono oggetto di questo Fare Thee Well, pubblicato in vari formati: un CD doppio che raccoglie il meglio di tutti i tre concerti, un box triplo (più due DVD o BluRay, che escono anche da soli) con la serata finale, e la solita versione monstre limitata e numerata con i tre show completi su 12CD e 7DVD (o BluRay), con le immagini che comprendono anche i dietro le quinte e la parte audio che aggiunge 3 CD dei Circles Around The Sun (la nuova band di Neal Casal) con le loro improvvisazioni di rock psichedelico suonate negli intervalli (saranno anche bravi, ma forse tre dischetti interi sono anche troppi), il cui meglio è uscito anche a parte su doppio CD con il titolo Interludes For The Dead.

neal casal interludes

Ma veniamo ai nostri: Bob Weir, Phil Lesh, Mickey Hart e Bill Kreutzmann, con l’aggiunta alle tastiere di Jeff Chimenti e Bruce Hornsby (il quale nel biennio 1990-1991 suonò diverse date coi Dead) e soprattutto con Trey Anastasio al posto di Garcia (scelta più che logica, il leader dei Phish è sempre stato un deadiano di ferro, e secondo me può essere l’erede naturale di Jerry) hanno fatto le cose in grande, celebrando il loro passato davanti ad un pubblico immenso, che forse neppure si aspettavano, una gigantesca festa in musica che ha permesso ala band di uscire di scena in grande stile (anche se poi secondo me hanno rovinato un po’ le cose continuando in autunno con altre date come Dead & Company insieme a John Mayer).(NDM: so che Tom Constanten e Donna Godchaux sono stati due membri che poco hanno inciso nella storia dei Dead, ma visto che sono entrambi in vita una ospitata come special guests in un paio di canzoni sarebbe stata una cosa carina).

grateful dead fare thee well 3 cd + 2 dvd

Cinquant’anni (o forse è meglio dire trenta) di grande musica in tre serate, anche se però sono costretto a far notare qualche magagna, principalmente tre. La prima è il suono, più che buono, ma che secondo me poteva essere molto meglio, dato che ho ancora nelle orecchie gli ultimi live di Eric Clapton e Who incisi meravigliosamente; in seconda battuta le scalette: so benissimo che ognuno ha la sua setlist preferita (personalmente io adoro Brown Eyed Women, Mississippi Half-Step Uptown Toodeloo, Alabama Getaway e Black Muddy River, e chiaramente a Chicago non ne hanno suonata mezza – ma le prime tre a Santa Clara sì), ma trovo inconcepibile che non si sia trovato posto in nessuna delle tre serate né per Dark Star, la signature song dei Dead, né per Uncle John’s Band, cioè quella che quasi all’unanimità viene considerata la loro canzone più bella, e che sarebbe stata perfetta per chiudere la serata finale al posto dell’anonima Attics Of My Life, inserendo però brani minori come Passenger, Lost Sailor, Saint Of Circumstance, la soporifera Stella Blue (so che ha molti estimatori, ma io l’ho sempre trovata di una noia mortale), Days Between o, in ogni show, il binomio Drums/Space che ho sempre considerato uno spreco di minutaggio.

Ma la magagna più seria a mio giudizio è la qualità complessiva della performance, troppo discontinua e che, soprattutto nella prima serata, mostra la ruggine accumulatasi sugli ex membri del gruppo in vent’anni di inattività (almeno come Dead), con performance vocali di Weir e Lesh di molto sotto la media (specie il secondo, che non è mai stato un cantante) ed i due batteristi che vanno spesso fuori tempo: i tre show comunque mostrano un deciso crescendo, dato che la seconda serata inizia maluccio ma si tira su su quasi subito, e nella terza fila tutto abbastanza liscio, con molti momenti di eccellenza che ricordano il periodo d’oro. Il merito della riuscita complessiva va sicuramente attribuita anche ai tre membri aggiunti (Hornsby ed Anastasio sono anche due cantanti migliori, ma non hanno tutto lo spazio vocale che meriterebbero, probabilmente a causa della loro non appartenenza alla band storica), che anche nei momenti più difficili della prima serata si caricano sulle spalle la responsabilità di dare un senso alla performance.

grateful dead fare thee well 2 dvd

Serata 1 – 3 Luglio: iniziare con la pur bella Box Of Rain forse non è la scelta migliore, dato che in cinquant’anni Lesh non ha mai imparato a cantare, ma il concerto si raddrizza subito con una solida Jack Straw e con la bellissima Bertha, solitamente scintillante ma stasera appena sufficiente, con Anastasio che si barcamena come può, abituato com’è alla precisione dei Phish. Dopo una trascurabile Passenger abbiamo una liquidissima The Wheel (anche se non tutto è perfetto), seguita da una Crazy Fingers che vede i Dead un po’ confusi e sfasati. Tra i pochi highlights ci sono la sempre solare Scarlet Begonias e la rara (e qui plaudo alla scelta) Mason’s Children, che purtroppo viene affidata alla voce monocorde e stonata di Lesh. Il medley Help On The Way/Slipknot!/Franklin’s Tower, una delle cose più belle dei Dead, ed una toccante Ripple cantata a più voci (questa sì eseguita come Dio comanda) chiudono in crescendo un concerto tutto sommato mediocre.

Serata 2 – 4 Luglio: anche qui si comincia maluccio con una versione approssimativa e troppo lunga di Shakedown Street (un brano che non ho mai amato), per di più cantata malissimo da Weir, seguita da Liberty che non è certo uno dei pezzi più riusciti del binomio Garcia-Hunter. Ma già con la terza canzone, Standing On The Moon, ben cantata da Trey, la serata si alza di livello: le cose migliori sono la splendida Tennessee Jed, dove Weir, Hornsby ed Anastasio si alternano alla voce solista, una Little Red Rooster ben suonata (anche se il blues non è molto nelle loro corde), la vivace Deal, anche se ne ho sentite di molto migliori quando c’era Garcia, una Bird Song liquida al punto giusto (finalmente!), la solida e vibrante West L.A. Fadeaway e la sempre gradevole Foolish Heart, con un grande Anastasio.

Serata 3 – 5 Luglio: lo show finale è nettamente il migliore dei tre, un po’ per la presenza di vari classici assodati del gruppo (l’uno-due iniziale China Cat Sunflower e I Know You Rider, la splendida Althea, una delle mie preferite, la coinvolgente Truckin’ e la sontuosa Terrapin Station), ma soprattutto per la qualità della performance, finalmente degna del passato della band. Built To Last non la ricordavo così bella, Throwing Stones è uno dei brani più diretti di Weir, mentre, subito dopo una trascinante Not Fade Away (il classico di Buddy Holly è ormai in tutto e per tutto un classico dei Dead), la serata si chiude con l’inno Touch Of Grey, una delle canzoni più belle di Garcia, e con la già citata Attics Of My Life, carina ma poco adatta a mio parere a dare l’addio definitivo.

In conclusione un box altalenante, che presenta un gruppo parecchio incerto all’inizio ma finalmente padrone della situazione nella serata finale (che consiglio a chi non vuole accaparrarsi il super box da 12 CD), ma che conferma ciò che avevo sempre pensato, e cioè che i Grateful Dead con Jerry Garcia erano una delle migliori band di sempre, mentre senza di lui sono poco più di un gruppo di ottimi mestieranti.

Marco Verdi

L’Ultimo Capitolo Di Una Saga Interminabile? Grateful Dead – Fare Thee Well: Chicago, IL, Soldier Field, July 5th, 2015

grateful dead fare thee well 3 cd + 2 dvd grateful dead fare thee well the best 2 cd grateful dead fare thee well 2 dvd

Grateful Dead – Fare Thee Well: Chicago, IL, Soldier Field, July 5th, 2015 – 2 CD (Best Of) – 2 DVD – 2 Blu-ray – 3 CD + 2 DVD – 3 CD + 2 Blu-ray – Warner/Rhino 20-11-2015

Il titolo ovviamente fa riferimento solo alla pubblicazione di materiale “nuovo” con la formazione attuale dei Grateful Dead, ristampe, live e cofanetti assortiti continueranno a uscire per chissà quanti anni ancora. E comunque non sono convinto che non ci saranno seguiti a questa serie di concerti del 2015, anche se il 50° Anniversario è un bel numero tondo difficile da replicare.

Come vedete sopra ne usciranno cinque edizioni diverse: non ho capito quella in doppio CD, definita Best Of, che però comprende 16 brani del concerto, quindi ne mancano solo due rispetto al concerto completo, ma come dico spesso non comprendo le strategie delle case discografiche (ammesso che ce ne siano). La formazione è quella classica dei “sopravvissuti”, cioè, in ordine alfabetico, Mickey Hart, Bill Kreutzmann, Phil Lesh, e Bob Weir, con l’aggiunta di Trey Anastasio alle chitarre e Bruce Hornsby Jeff Chimenti alle tastiere. Alle tre serate del 3, 4 e 5 luglio, nello stadio Soldier Field di Chicago, hanno assistito circa 200.000 persone e il tutto è stato registrato e ripreso con le migliori tecnologie disponibili. Per il momento esce solo la data del 5 luglio (ma conoscendo i nostri amici non si escludono futuri cofanetti), con questo contenuto:

Disc: 1 1. China Cat Sunflower (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 2. I Know You Rider (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 3. Estimated Prophet (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 4. Built To Last (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 5. Samson And Delilah (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 6. Mountains Of The Moon (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 7. Throwing Stones (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015)

Disc: 2 1. Truckin’ (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 2. Cassidy (Live at Soldier Field, Chicago, IL 07/5/2015) 3. Althea (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 4. Terrapin Station (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 5. Drums (Live at Soldier Field 7/5/2015)

Disc: 3 1. Space (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 2. Unbroken Chain (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 3. Days Between (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 4. Not Fade Away (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 5. Touch Of Grey (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 6. Attics Of My Life (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015)

Disc: 4 1. China Cat Sunflower (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 2. I Know You Rider (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 3. Estimated Prophet (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 4. Built To Last (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 5. Samson And Delilah (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 6. Mountains Of The Moon (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 7. Throwing Stones (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015)

Disc: 5 1. Truckin’ (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 2. Cassidy (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 3. Althea (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 4. Terrapin Station (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 5. Drums (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 6. Space (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 7. Unbroken Chain (Live at Soldier Field 7/5/2015) 8. Days Between (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 9. Not Fade Away (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 10. Touch Of Grey (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015) 11. Attics Of My Life (Live at Soldier Field, Chicago, IL 7/5/2015)

Ovviamente i primi tre dischetti sono i CD, gli altri i DVD o i Blu-ray, con lo stesso contenuto. Alcuni siti di vendita riportano edizioni da 4 CD + 2 DVD o Blu-Ray, ma è un errore, non ci sono altre edizioni.

Presumo che leggerete il resoconto dell’amico Marco (mi impegno per lui) non appena sarà disponibile sul mercato, ovviamente dopo il 20 novembre.

Alla prossima.

Bruno Conti

Anteprima Mondiale. E Meno Male Che Gli Anni Sono Solo Trenta! Grateful Dead – 30 Trips Around The Sun

grateful dead 30 tripsgrateful dead 30 trips box

Grateful Dead – 30 Trips Around The Sun  – Rhino 80 CD Box Set

Come saprete, quest’anno i Grateful Dead fanno cinquant’anni di carriera, e hanno quindi deciso di celebrare alla grande l’evento, prima con i concerti d’addio dello scorso Luglio (ma pare che ci abbiano ripensato), i cui ultimi tre, quelli al Soldiers Field di Chicago, usciranno a Novembre in un altro box set multiplo (tanto per non inflazionare il mercato), ma soprattutto con questo monumentale 30 Trips Around The Sun, super box di 80 CD e più di settanta ore di musica, che contiene trenta concerti, completamente inediti, uno per ogni anno di attività (dal 1995, anno della morte di Jerry Garcia, i Dead di fatto non sono più stati in attività come gruppo), un’operazione impressionante (e costosa) che fa impallidire perfino il box di 73 CD uscito qualche anno fa e relativo ai concerti europei del 1972. Io di solito sto alla larga da queste operazioni (a parte Spring 1990, che però erano “solo” 18 CD), ma questa volta non ho resistito, attirato dalla suggestiva possibilità di ascoltare l’evoluzione dal vivo di uno dei miei gruppi preferiti di sempre.

(NDM: il box è già andato esaurito, ma per tutti gli altri è già uscita una versione ridotta a soli 4 CD, con un brano scelto da ogni concerto).                                                 Fisicamente il cofanettone uscirà a fine Ottobre, ma, in quanto acquirente, ho avuto la gradita sorpresa di trovarmi nella mail il file con il contenuto completo degli 80 CD, che vado a riassumere spero il più brevemente possibile, omettendo per praticità l’indicazione del luogo dei vari concerti.

1966: un anno prima del loro esordio discografico, i Dead erano noti soltanto nella comunità di San Francisco e dintorni: i pezzi di questo concerto sono relativamente brevi, il suono ancora in parte influenzato dal blues, anche se il tutto risulta godibile, con buone versioni di Nobody’s Fault But Mine, Viola Lee Blues, Big Boss Man e Beat It On Down The Line, ma anche chicche come He Was A Friend Of Mine, Gangster Of Love ed il classico di Wilson Pickett In The Midnight Hour.

1967: solo nove brani, cominciamo a vedere i Grateful Dead acidi della Summer Of Love (Viola Lee Blues dura sedici minuti): il meglio i nostri lo danno con l’inquietante Morning Dew e con la lunga suite The Other One/Cryptical Envelopment, oltre che con la finale Caution.

1968: ancora più psichedelici, ancora meno canzoni (solo sette), la leggenda dei Dead nasce in concerti come questo: Dark Star dura “solo” dieci minuti ma è già una goduria, così come le lisergiche St. Stephen e The Eleven.

1969: l’anno del mitico Live/Dead, e scaletta che ricalca abbastanza quella di quel doppio album: Garcia e soci sono allo zenith del loro periodo psichedelico, inutile citare un brano piuttosto che un altro, l’intero concerto è una sorta di sinfonia acida, ma se proprio devo, i 22 minuti di Dark Star non fanno prigionieri.

1970: i Dead cominciano ad introdurre elementi roots-rock (è l’anno del fondamentale Workingman’s Dead) ed il concerto è una sorta di ibrido, quindi di fianco alle consuete Cryptical Envelopment, The Other One e Turn On Your Lovelight trovano posto Mama Tried di Merle Haggard, Dire Wolf (splendida versione) ed una sorprendente cover del classico di James Brown It’s A Man’s Man’s Man’s World.

1971: il passaggio a rock band pura è completato (complice anche la pubblicazione di American Beauty), ed i nostri offrono spumeggianti versioni di Casey Jones, Bertha, Truckin’ e Sugar Magnolia, suonate alla grande (il ’71 è una delle loro annate migliori): la finale Uncle John’s Band, forse la canzone dei Dead che preferisco, è una delle più belle mai sentite.

1972: forse l’anno migliore di tutta la storia dei Dead. Grande scaletta e concerto strepitoso, con splendide riletture di Brown-Eyed Women, Bertha, Tennessee Jed e Sugar Magnolia, ed una Dark Star insolitamente breve (quattro minuti).

1973: scaletta non molto diversa dalla precedente ed altro concerto altamente godibile: Goin’ Down The Road Feeling Bad, Eyes Of The World, una tostissima Truckin’ ed una toccante Row Jimmy le cose migliori.

1974: un concerto che inizia con Uncle John’s Band non può che essere un bel concerto, ma poi abbiamo altre grandi canzoni come Scarlet Begonias, Deal, To Lay Me Down (da pelle d’oca questa), Ship Of Fools e U.S. Blues, che fanno passare in secondo piano la presenza di una sciocchezza come Loose Lucy.

1975: Help On The Way – Slipknot! – Franklin’s Tower sono sempre state un grande trittico, e qui sono presenti in versioni da manuale, ma meritano una citazione anche la bellissima It Must Have Been The Roses ed il finale a tutto rock’n’roll Goin’ Down The Road Feeling Bad – One More Saturday Night.

1976: non l’anno migliore per quanto riguarda i Dead dal vivo, ma questo concerto non ha sbavature anche se è leggermente meno brillante dei precedenti: comunque troviamo solide versioni di Bertha, Deal, Sugaree e The Wheel.

1977: i Dead rialzano la testa e ci danno uno dei concerti migliori del box: poche sorprese (Peggy-O), ma la parte del leone la fanno le sempre splendide Brown-Eyed Women, Scarlet Begonias, la nuova (all’epoca) Fire On The Mountain e soprattutto una versione accorciata ma sublime della suite Terrapin Station.

1978: serata che inizia con la grandissima Mississippi Half-Step Uptown Toodeloo, una delle mie preferite, e poi prosegue con la poco eseguita Cassidy e l’intensa They Love Each Other. Un concerto molto rock, con fluide versioni di Looks Like Rain, Let It Grow, Ship Of Fools e la cover di Chuck Berry Around And Around.

1979: tornano in scaletta brani della prima ora come The Other One e Black Peter, insieme a cose nuove come Easy To Love You e Lost Sailor e classici assodati come Franklin’s Tower, Deal, Jack Straw ed una scintillante Stagger Lee di quasi nove minuti.

1980: grandi versioni, tra le migliori mai ascoltate, di Little Red Rooster, Tennessee Jed, Deep Elem Blues, una fluida Feel Like A Stranger e la rara ma sempre toccante To Lay Me Down.

1981: splendida scaletta e grande concerto, con ottime rese di Friend Of The Devil, la bellissima Althea (una delle migliori composizioni di Garcia), la raramente suonata High Time, la mossa Don’t Ease Me In ed un finale da urlo con in sequenza Stella Blue, Goin’ Down The Road Feeling Bad, One More Saturday Night e Uncle John’s Band.

1982: un altro dei migliori concerti del box, un inizio a tutto rock’n’roll con le coinvolgenti Alabama Getaway e Promised Land, poi altro trittico super con Candyman, El Paso (Marty Robbins) e Bird Song. Nel finale ancora splendide versioni di Uncle John’s Band, Truckin’ e, dal passato, una liquidissima Morning Dew.

1983: La sorpresa qui è senz’altro Touch Of Grey, in anticipo di quattro anni dalla versione ufficiale in studio (unico successo da Top Ten della carriera dei Dead) e già bellissima, ma poi abbiamo una roboante I Need A Miracle, un tris da brividi composto da Scarlet Begonias, Fire On The Mountain e Uncle John’s Band e la sempre trascinante Johnny B. Goode.

1984: il triennio che va da quest’anno al 1986 è poco documentato, ma la band, problemi di salute di Garcia a parte, suonava con la solita maestria: qui abbiamo le raramente eseguite On The Road Again, Don’t Need Love, la sempre splendida Jack-A-Roe e la festosa Good Lovin’ come bis.

1985: Alabama Getaway apre il concerto subito con il piede giusto, ma poi non mancano altri brividi con il traditional Iko Iko, il blues di Howlin’ Wolf Smokestack Lightnin’ e la lenta Comes A Time.

1986: un concerto solido, senza particolari guizzi (Garcia stava poco bene in quel periodo, e difatti Bob Weir fa la parte del leone), ma buone versioni di High Time, Goin’ Down The Road Feelin’ Bad, Beat It On Down The Line e Sugar Magnolia.

1987: un anno importante per i Dead: il primo album di studio in sette anni (In The Dark), il tour estivo con Bob Dylan ed una ritrovata voglia di suonare. Tre cover di Dylan (When I Paint My Masterpiece, All Along The Watchtower e Knockin’ On Heaven’s Door – ma Bob non c’è), una Good Lovin’ mescolata con La Bamba ed una Terrapin Station da favola sono gli highlights della serata.

1988: ancora Dylan (Queen Jane Approximately), ma anche Beatles (Hey Jude), Meters (Hey Pocky Way) e Traffic (una Dear Mr. Fantasy incredibile), oltre alle sempre belle Touch Of Grey e Tennessee Jed ed una deliziosa ballata, I Will Take You Home, cantata da Brent Mydland. 

1989: l’accattivante Foolish Heart apre una serata fantastica, dove i Dead, ormai una macchina perfettamente oliata, suonano brani che da anni non facevano, come Me & My Uncle (John Phillips), Big River (Johnny Cash), la stessa Dark Star, Brown-Eyed Women, fino al mitico finale a cappella di We Bid You Goodnight.

1990: una scaletta abbastanza classica, senza grosse sorprese (anche se Crazy Fingers non la facevano spesso), però il gruppo è in serata e lo dimostra con belle versioni, tra le altre, di China Cat Sunflower, Sugaree, Ramble On Rose e Stella Blue.

1991: qui i pezzi da novanta sono altri due brani di Dylan (It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry ed una intensissima It’s All Over Now, Baby Blue), il mitico trittico che apriva Blues For Allah, una lunghissima Dark Star ed una riesumata Turn On Your Lovelight. Ennesima serata in stato di grazia.

1992: apre il concerto la solida Hell In A Bucket, seguita dalla sempre splendida Althea; Dylan è qui rappresentato da Maggie’s Farm ed il finale con Dark Star e The Other One rimanda ai giorni di San Francisco.

1993: i Dead provano nuove canzoni (The Same Thing, Days Between), oltre ad una sorprendente versione della bella Broken Arrow (di Robbie Robertson), purtroppo affidata alla voce di Phil Lesh, e soprattutto come bis la trascinante, in qualsiasi stile venga suonata, I Fought The Law, una rarità nei concerti del Morto Riconoscente.

1994: ancora il tris Help On The Way – Slipknot! – Franklin’s Tower che apre alla grande, poi un concerto che è un capolavoro dopo l’altro: Althea, Just Like Tom Thumb’s Blues (Dylan), The Last Time (Stones), la nuova So Many Roads (che sarebbe potuta diventare un altro classico), Scarlet Begonias, Terrapin Station, Stella Blue e l’inedita Liberty come bis finale.

1995: uno degli ultimi concerti, poche settimane prima della morte di Garcia: Jerry già non è al meglio, ma usa il mestiere e se la cava. Il resto lo fanno la band e la scaletta, con l’inusuale Wang Dang Doodle (Willie Dixon), la nuova Samba In The Rain, la sempre gradevole Foolish Heart, la poco nota That Would Be Something (Paul McCartney) e soprattutto una Visions Of Johanna (Dylan, of course) da lacrime agli occhi, con un’eccellente prova di Vince Welnick, forse il miglior pianista che i Dead avessero mai avuto.

Come bonus (anche nei file online) un 45 giri, sempre inedito, con sul lato A una prima versione incisa nel 1965 di Caution, spedita e molto bluesata, e sul retro la sempre bella Box Of Rain (tratta da un concerto del 1995), che Lesh però fa di tutto per massacrare.

Un entusiasmante tour de force: il costo elevato ed il fatto di essere già esaurito mi lasciano titubante nel definire imperdibile questo box, ma insomma la parola è quella…

Marco Verdi

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P.S. *NDB Visto che la recensione è breve (si fa per dire), ma considerando la mole dell’opera mi sembra il giusto spazio, aggiungo anche la lista completa dei concerti così sapete di cosa si parla, magari se volete comprare una della circa 200 chiavette USB ancora disponibili!

1966 – 7/3, Fillmore Auditorium, San Francisco, CA
1967 – 11/10, Shrine Auditorium, Los Angeles, CA
1968 – 10/20, Greek Theater, Berkeley, CA
1969 – 2/22, The Dream Bowl, Vallejo, CA
1970 – 4/15, Winterland, San Francisco, CA
1971 – 3/18, Fox Theater, St. Louis, MO
1972 – 9/24, Palace Theater, Waterbury, CT
1973 – 11/14, San Diego Sports Arena, San Diego, CA
1974 – 9/18, Parc des Expositions, Dijon, France
1975 – 9/28, Lindley Meadows, Golden gate Park, San Francisco, CA
1976 – 10/3, Cobo Arena, Detroit, MI
1977 – 4/25, Capitol Theater, Passaic, NJ
1978 – 5/14, Providence Civic Center, Providence, RI
1979 – 10/27, Cape Cod Coliseum, South Yarmouth, MA
1980 – 11/28, Lakeland Civic Center, Lakeland, FL
1981 – 5/16, Cornell University, Ithaca, NY
1982 – 7/31, Manor Downs, Austin, TX
1983 – 10/21, The Centrum, Worcester, MA
1984 – 10/12, Augusta Civic Center, Augusta, ME
1985 – 6/24, River Bend Music Center, Cincinnati, OH
1986 – 5/3, Cal Expo Amphitheater, Sacramento, CA
1987 – 9/18, Madison Square Garden, New York City, NY
1988 – 7/3, Oxford Plains Speedway, Oxford, ME
1989 – 10/26, Miami Arena, Miami, FL
1990 – 10/27, Zenith, Paris, France
1991 – 9/10, Madison Square Garden, NY, NY
1992 – 3/20, Copps Coliseum, Ontario, Canada
1993 – 3/27, Knickerbocker Arena, Albany, NY
1994 – 10/1, Boston Garden, Boston, MA
1995 – 2/21, Delta Center, Salt Lake City, UT