Recensioni Cofanetti Autunno-Inverno 4. Un Album Leggendario…Minuto Per Minuto! Bob Dylan – More Blood, More Tracks – Parte 1: La Storia Del Disco Originale.

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Bob Dylan – More Blood, More Tracks: The Bootleg Series Vol. 15 – Legacy/Sony CD – 2LP – Deluxe 6CD Box Set

A quasi un anno esatto dallo splendido Trouble No More https://discoclub.myblog.it/2017/12/02/supplemento-del-sabato-lapoteosi-del-dylan-performer-bob-dylan-trouble-no-more-the-bootleg-series-vol-131979-1981-parte-i/ , che prendeva in esame il periodo “mistico” dal 1979 al 1981 https://discoclub.myblog.it/2017/12/03/supplemento-della-domenica-lapoteosi-del-dylan-performer-bob-dylan-trouble-no-more-the-bootleg-series-vol-131979-1981-parte-ii/ , ecco il quindicesimo volume delle Bootleg Series di Bob Dylan, il cui titolo, More Blood, More Tracks, ci fa capire di essere incentrato sulle sessions di uno dei suoi album per il quale la parola “leggendario” non è usata a sproposito, cioè appunto Blood On The Tracks (inizialmente sembrava dovesse essere l’undicesimo episodio della serie, poi è stato accantonato per, nell’ordine, i Basement Tapes, il bienno 1965-1966 ed appunto il box religioso dello scorso anno). Blood On The Tracks è all’unanimità considerato uno dei migliori dischi di sempre di Dylan, per alcuni il più bello in assoluto, e comunque quasi mai fuori dalle Top Three dei lavori del nostro, un album che a distanza di quasi 44 anni dalla pubblicazione (è uscito infatti nel Gennaio del 1975) non ha perso un’oncia della sua bellezza, e suona ancora attuale come se fosse stato inciso da poco tempo. Un disco pieno di canzoni amare, dolorose, in certi momenti drammatiche, ispirate a Bob tra le altre cose dal progressivo disfacimento del suo matrimonio con Sara Nozinsky (più conosciuta come Sara Lownds, che però era il cognome del primo marito).

Dylan proverà senza troppa convinzione a smentire queste illazioni, sostenendo che i testi erano stati ispirati dai racconti di Cechov, ma verrà clamorosamente sbugiardato in seguito dal figlio Jakob (proprio il leader dei Wallflowers), che dirà di non riuscire ad ascoltare questo disco, in quanto ogni volta gli sembra di sentire i suoi genitori che litigano. E d’altronde c’è poco da smentire: canzoni come You’re A Big Girl Now, Idiot Wind, If You See Her, Say Hello, Simple Twist Of Fate, pur prestandosi a diverse chiavi di lettura come molti brani di Dylan, hanno dei riferimenti chiaramente autobiografici (così come You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go, che però parrebbe dedicata ad Ellen Bernstein, una executive della Columbia che in quel periodo si vocifera avesse una relazione con Bob). Anche la genesi dell’album ha una storia piuttosto tribolata: Dylan inizialmente aveva pensato ad un disco più rock, ed aveva chiamato Mike Bloomfield per suonargli le canzoni e proporgli la collaborazione, ma il grande chitarrista non aveva trovato spazi dove avrebbe potuto dire la sua musicalmente parlando, ed aveva quindi declinato l’offerta. A questo punto Bob ripiegherà su un sound più acustico, entrando in studio a New York nel Settembre del 1974 insieme al noto tecnico del suono e produttore Phil Ramone, e con il chitarrista e banjoista Eric Weissberg (reduce dal grande successo di Dueling Banjos, dalla colonna sonora del film Deliverance, cioè Un Tranquillo Weekend Di Paura) e la sua band, appunto i Deliverance.

Ma anche qui l’alchimia con Bob non scatterà, e dopo un solo giorno di prove Weissberg e i suoi lasceranno lo studio (solo un brano finirà sul disco originale, Meet Me In The Morning), ma Dylan richiamerà dal gruppo il bassista Tony Brown, che suonerà praticamente durante tutte le sessions, e lo steel guitarist Buddy Cage, ai quali si aggiungerà l’organista Paul Griffin (già con Bob sia in Bringing It All Back Home che in Highway 61 Revisited), ed il quartetto porterà al termine le incisioni dando quindi all’album un sapore decisamente più intimista rispetto alle intenzioni originarie. La Columbia a questo punto preparò un test pressing del disco da mandare alle radio in tempo per la pubblicazione entro Natale, che Bob fece ascoltare al fratello David Zimmerman (unico momento in cui questo personaggio comparirà nella biografia dylaniana), il quale lo convinse a rimetterci le mani, dato che a suo parere il suono era troppo monocorde e cupo, e così com’era il disco avrebbe generato vendite troppo basse. Bob accettò il consiglio (e questo la dice lunga sulle incertezze e sullo scarso spirito critico che il nostro ha sempre avuto nei confronti del proprio materiale, basti vedere cosa accadrà nel 1983 con Infidels, un bel disco che però, con i brani che sono stati lasciati fuori, poteva diventare un altro capolavoro, ed anche in parte con Oh, Mercy), ed in Dicembre entrò negli studi Sound 80 di Minneapolis, in Minnesota, con un gruppo di musicisti sconosciuti reclutati dal fratello David (!), e con i quali incise ex novo cinque brani del disco, che a questo punto uscì a Gennaio dell’anno seguente in versione “ibrida”, metà registrato a New York e metà a Minneapolis.

Nel corso degli anni qualche inedito delle sessions della Grande Mela è stato pubblicato ufficialmente, prima sul cofanetto Biograph (You’re A Big Girl Now e l’inedito Up To Me), sul primo volume delle Bootleg Series (Tangled Up In Blue, Idiot Wind, If You See Her, Say Hello e l’inedito Call Letter Blues), una versione alternata ma praticamente identica all’originale di Shelter From The Storm sulla colonna sonora di Jerry MaGuire, ed un’altra take di Meet Me In The Morning come lato B del singolo Duquesne Whistle del 2012. Ora le sessions complete di New York (con in aggiunta le cinque canzoni di Minneapolis che finiranno sul Blood On The Tracks originale, purtroppo sembra che non sia sopravvissuto altro dalle incisioni in Minnesota) entrano a far parte, in ordine rigorosamente cronologico, di questo splendido box di 6CD, che ha avuto quindi lo stesso criterio di compilazione di The Cutting Edge (che però era basato su tre album distinti), cioè documentare ogni nota registrata per un album considerato giustamente epocale, non solo composto da grandi canzoni, ma con un Dylan in stato di grazia anche dal punto di vista delle interpretazioni, eseguite con una voce forte e senza sbavature ed un feeling da pelle d’oca.

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Alcuni fans non approvano questo modo di rivisitare i dischi storici, in quanto sostengono che pubblicare tutto quello che è stato documentato tolga quella patina di mistero e di immortalità, ma la maggior parte degli estimatori del nostro (me compreso) andranno in brodo di giuggiole. Il box esce nel solito elegante formato utilizzato ultimamente per questa serie, con due splendidi libri in cartone duro ricchi di foto inedite, un saggio scritto dal noto giornalista Jeff Slate e, fiore all’occhiello dell’operazione dal punto di vista grafico, la riproduzione del notebook originale di 57 pagine con i testi e le annotazioni scritti da Bob di suo pugno (al cui interno trovano spazio testi di canzoni che, per quanto ne sappiamo, non sono mai state messe in musica, come Don’t Want No Married Woman, There Ain’t Gonna Be Any Next Time, It’s Breakin’ Me Up e Where Do You Turn). Esiste anche una versione su CD singolo, o doppio LP (primo caso nella storia delle Bootleg Series, di solito l’edizione “povera” è doppia), con i dieci brani del disco originale in versione inedita, più una take alternata di Up To Me. Ma a noi chiaramente interessa il box sestuplo, e nella seconda parte di questo post analizzerò i brani salienti, che non sono pochi.

Marco Verdi

Still “Simon” After All These Years. Paul Simon – So Beautiful Or So What

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Paul Simon – So Beautiful Or So What – Hear Music/Concord/Universal CD+DVD 12-04-2011

Siamo in dirittura d’arrivo, martedì prossimo esce ufficialmente (ma non nel Regno Unito, dove evidentemente valgono delle regole diverse ed uscirà a meta giugno) il nuovo album di Paul Simon So Beautiful Or So What, il primo dopo il non riuscitissimo accoppiamento con Brian Eno per il precedente Surprise del 2006, tra folk ed elettronica ma che alla fine aveva troppo sommerso di sonorità le canzoni del disco rendendole opache e non troppo fruibili, e poi, detto fra noi, non c’erano molti brani particolarmente memorabili.

Paul Simon è un “gusto” ben definito ma con mille sfumature e il ricongiungimento con il vecchio amico Phil Ramone, che già aveva co-prodotto con lui quello Still Crazy After All These Years che ho parafrasato nel titolo del Post, ha favorito questo ritorno alla semplicità complessa che è la migliore caratteristica di questo signore che è uno dei pochi “geni” della musica contemporanea come ha giustamente sottolineato Elvis Costello recensendo questo album.

Album che non è un capolavoro assoluto, meglio dirlo subito, sono dieci canzoni per circa 38 minuti (quindi la “cosiddetta” durata perfetta), ma secondo il sottoscritto non ci sono brani memorabili anche se la qualità di ogni singola canzone è medio-alta, con qualche eccezione. Se volete sapere (ma anche se non volete, tanto ve lo dico lo stesso) per me il suo disco più bello, tra tanti bellissimi, rimane uno dei suoi più sottovalutati ovvero Hearts And Bones.

Ad esempio l’iniziale Getting Ready For Christmas Day sentita in anteprima nel video che circolava in YouTube da qualche mese mi era sembrata più bella e ficcante. Ora mi sembra una canzoncina ritmata costruita attorno ad un campionamento della voce del Reverendo JM Gates al quale Simon ha aggiunto la chitarrina ficcante di Vincent Nguini, la batteria scarna e minimale del Grizzly Bear Chris Bear, la sua acustica ritmica e niente basso ma il risultato finale è un po’ fiacco.

Molto meglio il soca della successiva The Afterlife dove i ritmi si mescolano con la melodia e la chitarra elettrica ricorda certe sonorità tipiche di Ali Farka Touré mentre il testo cita vecchi classici del R&R da Be Bop A Lula a Ooh Papa Doo con assoluta nonchalance e senza sforzo apparente in questa fusione tra il rock e la world music (per semplificare molto) che è sempre stato tra le qualità dell’innovatore Simon che già nell’album omonimo del 1972 con Mother Child Reunion (che era reggae prima del tempo, per un occidentale e bianco) e prima ancora con El Condor Pasa fu uno dei primissimi a fondere musica pop occidentale e poliritmi afro-americani.

Anche la successiva, dolcissima Dazzling Blue, riscrive appunto il suo amore per il folk più puro e genuino con percussioni quasi alla Nanà Vasconcelos , armonie vocali fantastiche (che provengono dal gruppo bluegrass di Doyle Lawson & Quicksilver) e chitarre acustiche ed elettriche che accompagnano improvvisi quasi scat vocali e vaghe nenie orientali, tutto molto bello.

Rewrite, con tanto di allegra fischiettata nel finale, unisce percussioni e ritmi minimali a fioriture di strumenti acustici a corda (guitaron?) su cui si adagia la voce pacata e matura del nostro amico per un brano che senza essere memorabile è comunque molto piacevole e racconta i ricordi di un veterano del Vietnam.

La raffinata ballata pianistica (Mick Rossi alla tastiera ma secondo me Phil Ramone a ordire nelle retrovie) Love And Hard Times ma con archi e chitarre acustiche che ampliano lo spettro sonoro è Paul Simon classico, l’avrebbe potuta donare all’amico/nemico Art che probabilmente ne avrebbe fatto buon uso, Questo non vuol dire che la versione sia scarsa era solo una suggestione.

Love Is Eternal Sacred Light è uno dei brani più complessi e ritmati, quasi rock, con una chitarra elettrica aggressiva, l’armonica a bocca, un flauto sullo sfondo, la batteria scarnificata di Bear ma manca forse allo spettro sonoro il pulsare di un basso tipo quello di Armand Sabal-Lecco che colorava i ritmi del “suo” live al Central Park che riepilogava Graceland e Rhythm Of The Saints.

Amulet è un breve strumentale acustico che ci ricorda i suoi trascorsi folk nella Londra degli anni ’60 dove agivano Bert Jansch, John Renbourn e il grande Davy Graham.

Questions For The Angels è una bellissima canzone tipica del canone del miglior Paul Simon e si respirano le arie newyorkesi tanto care al nostro amico che cita nel testo anche Jay-Z (ma lo cita solo per fortuna). Brano dolce, acustico, come al solito fintamente semplice ma molto raffinato.

Love and Blessings riprende certe tematiche di Graceland, dove gospel, blues e doo-wop si mescolano ai ritmi (anche musicali) della Savana per quelle fusioni ritmiche irresistibili tipiche del miglior Simon.

Per finire So beautiful or so what la title-track che racconta vividamente la storia dell’omicidio di Martin Luther King con tanti piccoli particolari nel testo che solo un grande poeta può profondere a piene mani. La musica è complessa e incalzante con una chitarra elettrica dal riff ricorrente sul quale si inseriscono sullo sfondo campionamenti di voci medio-orientali, battiti ritmici sia dell’acustica di Simon che della batteria di Bear e un clima sonoro molto acceso e vario che giunge fino alla citazione del gospel Saviour Pass Me Not.

A fine anno (il 13 ottobre) ne compie 70 ma non si direbbe. Well done Mister Simon!

P.S. Il DVD contiene un documentario con il Making of e relativa intervista, il video clip di Christmas Day, due tracce audio bonus e due esibizioni dal vivo create appositamente per il DVD. Quindi piatto ricco mi ci ficco!

Bruno Conti