Degna Figlia Di Tanto Padre, Parte Seconda! Saluti Da Pieta Brown – Postcards

pieta brown postcards

 Pieta Brown  – Postcards  – Lustre Records

Titolo già usato in passato per il Post dedicato a Amy Helm, ma sempre valido anche per questo disco.

La musica evidentemente per Pieta Brown  è stato sempre un affare di famiglia (non dimentichiamo che è la figlia del grande Greg Brown, uno dei  migliori cantautori americani e tra i miei preferiti assoluti, che non pubblica nulla dal 2012, ma nel frattempo ci pensa la nuova moglie Iris DeMent), tanto da sposarsi pure Bo Ramsey, per anni sodale proprio di Greg, grande chitarrista e produttore in proprio, che come dote si è portato pure i figli, grandi musicisti nel gruppo The Pines. Come se non bastasse, Pieta in questo nuovo album, Postcards (che arriva a tre anni dal precedente Paradise Outlaw ed è stato concepito, come ha confessato lei stessa, in giro per stanze d’albergo sparse per gli States) si è anche circondata di grandi musicisti, incontrati nel suo peregrinare per spettacoli e dischi altrui: e così nel disco troviamo gente “importante” come i Calexico, Mike Lewis, Mason Jennings, Mark Knopfler, Carrie Rodriguez, Chad Cromwell, David Lindley, Eric Heywood & Caitlin Canty, e, quasi inevitabilmente, i Pines. Ognuno presente in un brano del nuovo album, dove il ruolo principale della costruzione sonora è affidato a Bo Ramsey e alla stessa Pieta, che hanno registrato le parti basilari di voce e chitarra nel piccolo studio-garage di casa e poi, come piccole cartoline sonore, le hanno spedite ai vari artisti perché aggiungessero le loro parti.

Un approccio quindi diverso dal precedente Paradise Outlaw, che pure era un signor album, e prevedeva la presenza di alcuni ospiti, Justin Vernon, Amos Lee e il babbo Greg Brown (che ultimamente si ritaglia queste partecipazioni, oltre alla figlia e alla moglie, anche Jeff Bridges, The Pines e qualche tempo fa Anais Mitchell), più uno sforzo d’assieme, concepito negli studi di Bon Iver, mentre questo album è stato assemblato mettendo insieme le diverse parti, ma ascoltandolo non si direbbe perché l’album sembra veramente molto unitario, con alcune punte di eccellenza. La Brown, scrivendo i brani, aveva già pensato ai musicisti con i quali le sarebbe piaciuto collaborare, e li ha costruiti pensando alle loro caratteristiche: ed ecco quindi nell’iniziale In The Light, cantata con voce suadente da Pieta, il sound raffinato e “desertico” dei Calexico, che hanno aggiunto prima batteria e vibrafono, e poi in un secondo tempo, da un’altra località, basso e armonie vocali, il risultato è splendido, una ballata sospesa e sognante, quasi una ninna nanna futuristica. Non mancano i Bon Iver, questa volta nella persona di Mike Lewis, che in Rosine, una canzone nata da un sogno su Bill Monroe (?!?), ha aggiunto le sue parti fiatistiche, leggere e sobrie, ma molto efficaci, quasi folk-prog; brano seguito dalla collaborazione con David Mansfield, che ha inserito magici tocchi di mandolino e chitarra Weissenborn alla splendida Once Again, dove si sente pure il tocco di Ramsey, per una folk tune di grande sensibilità e dolcezza. Niente male, per usare un  eufemismo, anche How Soon, dove il bravissimo cantautore Mason Jennings, ha sommato le sue parti di batteria, basso e tastiere, oltre ad eccellenti armonie vocali, per un brano che, in un leggero crescendo, ha un suono quasi da gruppo folk-rock.

E una piccola meraviglia è anche la canzone Street Tracker, dove si ascolta la magica chitarra di Mark Knopfler (registrata in quel di Londra): i due si erano conosciuti in un tour del musicista inglese e l’alchimia funziona sempre alla perfezione, un suono intimo e raccolto che vale più di mille pezzi rock. In Stopped My World Carrie Rodriguez ha incorporato il suo guizzante violino e le armonie vocali, per un delizioso brano country-folk, dove si ascolta anche il clawhammer banjo della stessa Pieta Brown. Nella successiva Station Blues, Chad Cromwell aggiunge la batteria che ricrea il rombo di in treno in avvicinamento, sulle evocative note di una bottleneck, forse la stessa Brown, che ci fa tuffare nelle 12 battute più classiche. Di nuovo le slide protagoniste nella successiva Take Home, e chi meglio di uno dei maestri dello strumento come David Lindley poteva svolgere questo compito (ma mi pare che pure Ramsey non scherzi), e il risultato è una ballata splendida che evoca paesaggi infiniti e un viaggio verso casa, ho già detto splendida? On Your Way prevede la presenza di Eric Heywood, impegnato alla pedal steel e all’e-bow, come pure della bravissima Caitlin Canty, una delle voci emergenti più interessanti della scena country-Americana di Nashville, altro brano prezioso e di una dolcezza infinita. A chiudere il tutto arriva il brano con il resto della famiglia Ramsey, ovvero i “figliastri” The Pines, presenti in una scintillante, benché sempre raccolta All The Roads, che chiude in gloria quello che è veramente un piccolo gioiellino di album confezionato da una “artigiana” di rara bravura come si dimostra Pieta Brown in questo suo invio di Postcards veramente gradite!

Bruno Conti

Non Solo Figli Di Papà, Ma Anche Ottima Musica! Una Piccola Cronistoria Dei Pines.

pines above the prairie

Pines – Above The Prairie – Red House Records 2016

Pines – Dark So Gold – Red House Records 2012

Pines – Tremolo – Red House Records 2009

Pines – Sparrows In The Bell – Red House Records 2007

Pines – The Pines – Trailer Records 2004

Dobbiamo ringraziare Bo Ramsey storico collaboratore, autore, produttore, chitarrista (anche di Joan Baez e Lucinda Williams) ma principalmente amico e sodale di Greg Brown, se abbiamo scoperto i Pines, una indie-band originaria dello stato dello Iowa, ma di stanza nel Minnesota. In pista da più di  una decade, i Pines nascono come un trio, formatosi nel lontano 2002 per merito del cantante-chitarrista David Hulkfelt, e dei multi-strumentisti Benson e Alex Ramsey (entrambi figli di cotanto padre), cresciuti e abbeverati musicalmente alle radici del country, del folk e del blues.

pines the pines

Il loro esordio con l’etichetta Trailer Records, prodotto guarda caso da Bo Ramsey, avviene con l’omonimo The Pines (‘04), un lavoro con brani up-tempo folk rock, che vedeva coinvolti amici e colleghi musicisti, tra i quali il bravo David Zollo (visto recentemente in concerto a Pavia), Dave Moore e Pieta Brown (figlia di Greg Brown) alternando brani strumentali con il bluesy folk di Bound The Fall, la dolce melodia di Pale White Horse, e le svisate blues più accentuate di Stevenson Motel Breakdown.

pines sparrows in the bell

Dopo qualche anno di gavetta si accasano alla Red House Records (l’etichetta fondata da Greg Brown) e incidono Sparrows In The Bell (07) con brani in gran parte acustici e di atmosfera, contando ancora sull’apporto della chitarra di Bo, e avendo come ospiti musicisti di valore tra i quali Chris Morrissey della band di Andrew Bird, J.T.Bates, e il cantautore Mason Jennings, album che ha i suoi momenti memorabili nel decadente blues di Don’t Let Me Go e Careless Love, il lieve country-folk di Midnight Sun e Circle Around The Sun, e il delicato bluegrass dell’iniziale Horse & Buggy.

pines tremolo

Con Tremolo (09) prosegue il percorso indie-rock, ma anche folk dei Pines, disco dove spiccano Heart & Bones https://www.youtube.com/watch?v=lyQ5FZ9y51s , due ballate lente e sussurrate come Meadows Of Dawn e Shiny Shoes, e cover d’autore come Skipper And His Wife di John Koerner e Spike Driver Blues del grande Mississippi John Hurt. Con la produzione sempre di Ramsey babbo, negli anni i Pines diventano una vera e propria band con l’aggiunta di Michael Rossetto al banjo, J.T.Bates alla batteria, James Buckley al basso e il chitarrista Jacob Hanson.

pines dark so gold

E con il quarto lavoro Dark So Gold (12) i ragazzi alzano l’asticella: a partire dall’ottima Cry Cry Crow, un brano che tanti osannati gruppi oggi non sanno più scrivere https://www.youtube.com/watch?v=3ZbcWxWCGqE , i dolci accordi di una strumentale Moonrise, Iowa, le note elettriche di un blues moderno in Rise Up And Be Lonely, una ballata dolceamara come Be There In Bells dove si rincorrono il piano e una slide guitar, fino ad arrivare al vivace folk -rock di una solare Chimes.

Adesso arriva sul nostro lettore questo Above The Prairie, e i Pines sono pronti a fare il botto, e per farlo si sono chiusi in sala d’incisione oltre ai due leader David Hulkfelt chitarra acustica e voce, e Benson Ramsey chitarre, tastiere e voce, il fratello Alex Ramsey al pianoforte e voce, di nuovo J.T.Bates alla batteria, James Buckley al basso, Jacob Hanson alle chitarre elettriche, Michael Rossetto al banjo, e una schiera di ospiti capitanati dal violinista Ray David Young (membro dei Trampled By Turtles), Tim Britton flauto e pipes, il compianto John Trudell (grande musicista nativo americano, poeta e attivista, scomparso da poco), Iris DeMent, e il non trascurabile apporto della famiglia Brown (Greg (padre), Pieta e Constie (figlie e sorelle), e per quanto riguarda la produzione la lascio indovinare a chi legge.

Come nei lavori precedenti le dieci tracce di Above The Prairie si suddividono in canzoni e brani strumentali, entrambi di notevole fattura. Il brano d’apertura Aerial Ocean si differenzia subito dalle altre canzoni, con una melodia che dà supporto alla voce del cantante su tematiche care a Mark Knopfler, a cui fanno seguito la bella There In Spirit dall’incedere “folkeggiante”, il primo brano strumentale del lavoro Lost Nation, con delle note che disegnano una musica da “paesaggi lunari”, e la ritmata Hanging From The Earth, dove il pianoforte di Alex si mescola con i battiti della batteria. Con Here arriva la perla del disco, con un intro lento del pianoforte, che poi nello sviluppo si tramuta quasi in un inno di stampo “celtico”, pezzo che vede il violino di Young svolazzare sulle armonie vocali della brava Iris DeMent e il resto della famiglia canterina di Greg Brown, mentre un bel vortice di suoni accompagna in tutto il suo percorso Where Something Wild Still Grows, passando poi ad una tenue e sussurrata Sleepy Hollow, che introduce il secondo brano strumentale Villisca, dove emerge la bravura di Britton alle cornamuse, e una “dylaniana” Come What Is dal suono indie-folk. L’album si chiude con un’epica ballata Time Dreams, che vede la partecipazione di John Trudell e dei suoi Quitman (probabilmente si tratta del suo testamento musicale, è morto il giorno 8 Dicembre dello scorso anno), con la splendida voce narrante di John che recita pensieri spirituali e profondi, “sopra la prateria”.

I Pines (il nome è inspirato a In The Pines , una canzone della tradizione folk degli Appalachi) con questo Above The Prairie, chiudono idealmente un percorso iniziato con Sparrows In The Bell e soprattutto Tremolo e Dark So Gold (quelli che li hanno fatti conoscere non solo al pubblico del Midwest). Il passaggio fondamentale è stato l’inserimento di altri strumenti, tra cui chitarra elettrica, basso e batteria, oltre all’uso determinante del pianoforte e violino, a completamento di testi fortemente introspettivi, che tendono a creare composizioni sicuramente eterogenee, magistralmente giocate sulle voci particolari di Ramsey e Huckfelt. In conclusione Above The Prairie è un ottimo disco, suonato e arrangiato benissimo, con una band assolutamente da scoprire e amare, e per chi scrive si tratta della seconda “rivelazione” di inizio anno, dopo l’album di Marlon Williams http://discoclub.myblog.it/2016/02/11/vecchio-nuovo-debutto-bollino-blu-marlon-williams-marlon-williams/ .

NDT: Ascoltando questi dischi ho mi è parso di cogliere anche qualche similitudine con gli ultimi lavori dei Lowlands dell’amico Ed Abbiati, e questo deve certamente suonare a favore di Ed e del suo gruppo, in quanto forse non è da tutti avere alle spalle la distribuzione di una etichetta piccola ma gloriosa come la Red House, e la produzione di “babbo” Bo.!

Tino Montanari

Suoni Di Frontiera! Calexico – Edge Of The Sun

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Calexico – Edge Of The Sun – City Slang Records/Anti – Deluxe Edition

I Calexico li avevamo lasciati dalle parti di New Orleans, in occasione del precedente disco Algiers (12), ed ora  per questo nuovo lavoro, Edge Of The Sun, li ritroviamo nel cuore del Messico. La band di Tucson (che viaggia verso il diciottesimo anno di attività) chiude con questo Edge Of The Sun, una trilogia “messicana” iniziata con il capolavoro The Black Light (98), e proseguita con il poco considerato Carried To Dust (08), tutti album segnati dalla cultura del paese messicano, con inevitabili influenze tex-mex, folk e country-western. Le tematiche del disco traggono ispirazione da un viaggio fatto dai due “leader storici” John Convertino (batteria) e Joey Burns (basso, chitarra e voce) a Mexico City, dove riescono a portare in studio, nelle varie “sessions” di registrazione, “compari” musicisti come Ben Bridwell (Band Of Horses), Sam Beam (Iron & Wine con cui avevavano già colloborato nell’EP In The Reins (05), Pieta Brown (figlia di Greg Brown), la rediviva Neko Case, Nick Urata (Devotchka), il polistrumentista Greg Leisz, e sconosciute cantanti d’area come la bravissima messicana Carla Morrison, la spagnola Amparo Sanchez, la guatemalteca Gaby Moreno, e un gruppo folk greco come i Takim, con il consueto apporto del fratello di Joey, John Burns, e dei co-produttori Craig Schumacher e Sergio Mendoza.

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Le “border-song” iniziano con Falling From The Sky cantata in coppia con Ben Bridwell, con una robusta sezione fiati ad accompagnare il motivo https://www.youtube.com/watch?v=B8SBTpLVil4 , seguita dal vocione di Sam Beam utilizzato in una spettrale Bullets & Rocks https://www.youtube.com/watch?v=Cgw0FAC3Bko , passando per la “dylaniana” When The Angels Played con la flebile seconda voce di Pieta Brown e il robusto apporto di Greg Leisz, il folk di Tapping On The Line dove si risente piacevolmente ai cori Neko Case, cambiando ritmo con i suoni caraibici della divertente Cumbia De Donde, con la cantante spagnola Amparo Sanchez https://www.youtube.com/watch?v=tjzxxzBTNmw  e la ballata di frontiera Miles From The Sea dove brilla il controcanto di Gaby Moreno. I suoni “messicani” vengono ribaditi nello strumentale Coyoacan (in puro sound Calexico) https://www.youtube.com/watch?v=nusixXIdCnU  e le trombe “mariachi” di una travolgente Beneath The City Of Dreams con la Moreno di nuovo in evidenza, mentre il suadente Woodshed Waltz, a tempo di danza, si avvale della chitarra del leggendario Greg Leisz https://www.youtube.com/watch?v=NVt-h6Tgt4M , tornando ai ritmi latini di Moon Never Rises, in duetto con Carla Morrison, per finire con la crepuscolare e intensissima World Undone con la formazione dei Takim (probabilmente la canzone più intrigante del lotto) https://www.youtube.com/watch?v=XiZT1IU4rrU , e la bellissima melodia di Fallow The River, interpretata dal cantante Nick Urata dei Devotchka (per chi scrive un gruppo meraviglioso e sottostimato). Per i fans del gruppo, nell’edizione Deluxe ci sono sei brani, Calavera, Roll Tango, Rosco Y Pancetta, Volviendo, Lei It Slip Away e Esperanza, che probabilmente sono le basi per il prossimo lavoro dei Calexico.

La musica dei Calexico è  spesso una sorta di “road movie” alla Sergio Leone, che si consuma tra i deserti dell’Arizona e le suggestioni delle feste messicane, una miscela di suoni che nel corso degli anni ha funzionato a dovere, infilando rock e mariachi, folk e country, umori zingareschi e musica latina, il tutto convogliato su paesaggi sonori alla Ennio Morricone e che riconferma questa formazione come una delle realtà musicali più creative del panorama post-rock di “frontiera” americano. Gracias amigos !

Tino Montanari

Da Tucson A New Orleans! Calexico – Algiers

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Algiers – Calexico – City Slang 2012 – Deluxe Edition 2 CD

Torna la Band che meglio di chiunque altra, sul finire degli anni novanta (periodo in cui il rock cercava forme diverse di musica), ha saputo creare un sound roots-rock postmoderno, illustrato da lavori affascinanti come la pietra miliare The Black Light (98), l’intrigante Hot Rail (2000) e le splendide suggestioni di Feast of Wire (2003), certificato dal genio artistico di Joey Burns e John Convertino (la sezione ritmica dei Giant Sand). In seguito, l’uscita di In The Reins (2005) (un EP con Iron & Wine), ha rappresentato la svolta musicale del gruppo, e negli ultimi anni il suono ha  lasciato il posto ad un folk-rock sempre ben curato, ma con dischi non indispensabili come Garden Ruin (2006)  e Carried To Dust (2008).

Questo nuovo lavoro Algiers (è un quartiere francese di New Orleans) non si discosta dalla seconda parte di carriera dei Calexico, ma fortunatamente in queste dodici tracce, hanno assimilato in modo intelligente, quella musica magica, tipica della suggestiva capitale della Lousiana. Registrato negli studi del quartiere (The Living Room) e prodotto dagli stessi Burns e Convertino, il disco si avvale di una valida schiera di musicisti (18 per la precisione), fra cui spiccano nomi eccellenti quali Jacob Valenzuela, Martin Wenk, Paul Niehaus, Sergio Mendoza, il co-produttore Craig Schumacher e la dolce Pieta Brown (figlia d’arte) ai cori.

Ascoltando Algiers dall’inizio alla fine, si passa dall’iniziale Epic che ricorda il classico suono della band, proseguendo con il folk-rock di Splitter, l’affascinante post-rock di Sinner In The Sea  (che mi ricorda il compianto Willy Deville), la delicata ballata Fortune Teller con al controcanto Pieta, e poi ancora le armonie di Para, per chiudere la prima parte con lo strumentale Algiers , un brano latineggiante che rievoca atmosfere sudamericane. Si riparte con la classica ballata Maybe On Monday, seguita dalla spagnoleggiante Puerto, il minimale accompagnamento acustico di Better And Better,  l’intro messicano di No Te Vayas (cantata in spagnolo da Jacob Valenzuela) con trombe “mariachi” in sottofondo, l’accorata ballad intimista Hush, per chiudere in gloria con l’ambiziosa e commovente The Vanishing Mind, sicuramente la traccia più splendente del lavoro.

Ultimamente le Deluxe Editions riservano piacevoli sorprese, in questo caso il secondo dischetto dal titolo Spiritoso, cattura i Calexico in una performance dal vivo registrata con le Symphonic Orchestras di Vienna e Potsdam, con una scaletta che riporta in buona parte i brani di Algiers, ma con la strumentazione che viene arricchita dai violini, le immancabili trombe mariachi, cori a cascata che elevano ulteriormente il livello di un concerto intensamente lirico. Spendete qualche euro in più, assolutamente ne vale la pena, e per chi ancora non li conosce, farete conoscenza con una grande Band.

Tino Montanari

Novità Di Settembre Parte V E Ultima. Matthew Sweet, Meg Baird, Bill Frisell, Josh Rouse, Steven Wilson, Pieta Brown

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Oggi razione doppia di Post: a parte leggete dei Dead Man Winter (se qualcosa sfugge o non viene citato in questa rubrica delle anticipazioni è perché gli verrà dedicato uno spazio ad hoc). Ultima parte dedicata alle uscite di un settembre quanto mai ricco di bei dischi.

Iniziamo con Matthew Sweet orfano di Susanna Hoffs (tornata con le Bangles) con cui aveva pubblicato due deliziosi dischi sotto il titolo Under The Covers in cui rivisitava molti classici pop e rock della canzone anglo-americana torna con questo Modern Art a fare lo stesso, ma con brani scritti alla bisogna e proponendo comunque quella sua solita alchimia di power pop, rock e anni ’60 che si ispira alla musica di tutti i gruppi che iniziano con la B: Beatles, Beach Boys, Big Star, Byrds. Magari non con la classe del disco d’esordio del 1991 Girlfriend ma sempre musica di buona qualità!

Nuovo album per Meg Baird, Seasons On Earth per la Wichita Recordings. Vedo già delle faccine perplesse, chi è costei? E’ la cantante degli Espers, uno dei gruppi che per primi ha dato vita a questo nuovo revival della musica folk inglese. Per chi ama Pentangle, Sandy Denny e ovviamente gli Espers. C’è persino una cover di Friends da Mark-Almond II (quelli bravi) e anche Beatles And Stones dei non dimenticati House Of Love.

Di solito non parlo di album di jazz salvo rare eccezioni, questa è una di quelle. Il nuovo album di Bill Frisell si chiama All We Are Saying… sottotitolo Frisell plays Lennon ed è una piccola meraviglia con i brani dei Beatles e della carriera solista di John, suonati con un gruppo di musicisti dove spiccano la violinista Jenny Scheinman e la pedal steel di Greg Leisz, un uomo per tutte le stagioni. Etichetta Savoy Jazz/Universal, è uscito ieri in Inghilterra e States esce il 3 ottobre in Italia.

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Nuovo CD anche per Josh Rouse And The Long Vacations, una sorta di mini-album con nove brani e 25 minuti di musica, pubblicato dalla Bedroom Classics, sempre con quell’intreccio tra sonorità latine e musica americana che ha inaugurato da quando vive in Spagna e che non sempre convince a fondo ma si trova sempre qualche piccola gemma come Oh, Look What The Sun Did! anche in questo album.

Pieta Brown è la figlia di Greg Brown, ma è anche una bravissima cantautrice in proprio e questo Mercury pubblicato dalla etichetta di famiglia, la Red House, lo conferma ancora una volta. Il sesto della serie (EP compresi) e prodotto da Greg Brown, sembra un nuovo album di Lucinda Williams, molto bello e con un band da sogno, Richard Bennett (che co-produce), Glenn Worf, Chad Cromwell, David Mansfield e in So Many Miles c’è anche la solista di Mark Knopfler.

Steven Wilson tra una ristampa dei King Crimson (due nuove ai primi di ottobre) e una dei Jethro Tull (Aqualung a fine ottobre) e i suoi dischi con i Porcupine Tree, oltre alle produzioni per gli Opeth e Anja Garbarek trova anche il tempo per pubblicare dei dischi solisti per la Kscope come questo Grace For Drowning che esce in versione doppia, doppia limitata con libro solo sul sito e in alcuni negozi mirati e Bluray.

Direi che per oggi (e per settembre, forse) è tutto.

Bruno Conti