“Sconosciuti”, Ma Validi! Gordon Bonham Blues Band – Live/Notes From The Underground

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Gordon Bonham Blues Band – Live/Notes From The Underground –Way Gone Records

Mi scuserete se ancora una volta apro questa recensione sulle solite considerazioni relative all’immane numero di formazioni blues (e dintorni) che popolano la scena musicale americana e la scelta difficile, e spesso casuale, per cui di alcune si parla e di altre no. La risposta è semplice, oltre alle evidenti questioni di tempo (la giornata ha solo 24 ore, fatta la tara sul periodo notturno), spesso la scelta deriva da una “commissione” per recensire un CD, ma anche dalla curiosità per qualcosa che si è letto e comunque moltissimi artisti, anche meritevoli, rimangono degli sconosciuti per chi scrive. Nell’occasione tocca a Gordon Bonham con la sua Blues Band essere “scoperto”: ovviamente appartiene alla categoria dei meritevoli (ce ne sono anche moltissimi che, al di là del rispetto che meritano per la passione che li anima, possono rimanere tranquillamente nell’anonimato): con tre album alle spalle, il primo acustico del 1997, e poi due elettrici con il gruppo, usciti rispettivamente nel 1998 https://www.youtube.com/watch?v=Acvd5J9_2_I  e nel 2012 https://www.youtube.com/watch?v=9LK4gNRfL9A , ha improvvisamente alzato la sua frequenza di pubblicazioni con questo disco dal vivo, Notes From The Undeground, registrato live nei sotterranei (da lì il titolo) dei Midwest Audio Studios a Bloomington, Indiana, patria del nostro amico Mellencamp, e poi mandato in onda da una piccola emittente radiofonica locale. Questo giustifica il minimo contributo del pubblico, in quanto si percepisce, a giudicare dagli applausi, la presenza di un piccolissimo contingente di presenti, che comunque non fanno mancare il loro appoggio a questa performance del settembre 2012, che mette in luce un gruppo che si districa con abilità nelle varie sfumature del blues, non saranno cinquanta (come quelle del grigio), ma si spazia dal classico Chicago blues, a shuffles texani, swing della West Coast e derive boogie, rock’n’roll e blues-rock, con molto rispetto per i nomi intramontabili delle 12 battute, misti al repertorio originale della band.

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Che si basa sull’asse dei due leader del combo: Gordon Bonham (ovviamente nessuna parentela con il grande Bonzo), titolare del nome, chitarrista e cantante e Tom Harold, virtuoso armonicista e pure lui voce solista. Naturalmente siamo di fronte ad un prodotto per appassionati che pone il solito quesito, perché questo e non un altro? Non lo so, direi a caso! Tutti questi signori hanno un CV che enumera collaborazioni con grandi del passato: nel caso di Bonham, numerose frequentazioni con Pinteop Perkins, una decina di anni passati con il mandolinista blues Yank Rachell, il fatto di essere stato band leader con Bo Diddley e altre partecipazioni a tour e dischi di bluesmen vari, tutto fa curriculum, ma poi la qualità si giudica dai risultati https://www.youtube.com/watch?v=djZmxTX1Fqo . E il suono che esce da questo CD sembra fresco e pimpante, del buon blues elettrico che potrebbe ricordare i primi Fabulous Thunderbirds, band di cui hanno aperto i concerti in varie occasioni: e così ecco scorrere il classico shuffle a firma Bonham di Local Honey, con armonica e chitarra che si dividono gli spazi solisti, un hit minore tra blues e R&B di fine anni ’50 come Just A Little Bit, dal repertorio del carneade Roscoe Gordon, un pezzo comunque divertente e piacevole, The Hustle Is On un blues swingato, cantato da Harold, poi veramente gagliardo all’armonica, che era tra i cavalli di battaglia di T-Bone Walker, ma la facevano anche i T-Birds. Last Night è uno slow Chicago blues di quelli tosti di Walter Jacobs, e dopo una bella introduzione voce e chitarra, Bonham cede il proscenio brevemente a Tom Harold, che si conferma vero virtuoso dell’armonica, e poi nuovamente Gordon per un lungo assolo ricco di feeling che strappa l’applauso ai pochi presenti.

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Sempre dal repertorio di Little Walter (ma anche della Butterfield Blues Band) una ritmata Ain’t No Need To Go No Further, dove la guida passa nuovamente a Harold, che ci delizia con la sua mouth harp, e a completare la trilogia dedicata a Jacobs una frenetica It Ain’t Right. A sorpresa un omaggio a Bob Dylan con una bella versione di Down In the Flood, che ne esalta gli aspetti blues, poi il pallino torna a Bonham che ci offre una elegante esibizione all’acustica slide in Lookin’ For My Baby e nella consueta alternanza dei due solisti è la volta di Harold che esegue una sua composizione That’s My Baby, molto jump blues, con Special Recipe Blues che ritorna alle sonorità vicine ai Fabulous Thunderbirds, tra R&R e blues assai speziato. La conclusione è affidata ad un classico di Magic Sam, una solida e ritmata You Belong To Me che conferma il buon valore di questa Gordon Bonham Blues Band.

Bruno Conti

Il “Ritorno” Di Little Mike And The Tornadoes – All The Right Moves

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Little Mike And The Tornadoes – All The Right Moves – Elrob Records

I vecchi dischi di Little Mike And The Tornadoes me li ricordo (forse ne ho recensito anche qualcuno ai tempi, tra tante recensioni ogni tanto la memoria mi difetta, ma parliamo di più di 20 anni fa). Come per altri gruppi, i primi sono quasi sempre i migliori: il primo in particolare, Heart Attack, uscito nel 1990 per la Blind Pig, era un solido disco di Chicago Blues https://www.youtube.com/watch?v=tc8k9dwAyr8 (anche se il nostro amico è originario di New York e ora vive in Florida), con alcuni ospiti di pregio, Pinetop Perkins e Hubert Sumlin, due maestri del genere a cui Mike Markowitz (che sarebbe Little Mike all’anagrafe) aveva prodotto un disco per ciascuno sul finire degli anni ’80, e tra i bianchi, Paul Butterfield, uno degli “ispiratori” di Little Mike, in quella che potrebbe essere stata una delle ultime registrazioni, presente in quattro brani e Ronnie Earl, già allora grande stilista della chitarra, più un altro nero di Chicago come Big Daddy Kinsey. La formazione era quella originale, con l’ottimo Tony O. Melio alla solista, Brad Vickers al basso e Rob Piazza (con la B) alla batteria. Per questo nuovo album Little Mike ha richiamato i vecchi amici per una nuova avventura, anticipata da un album, Forgive Me, sempre pubblicato dalla propria etichetta, che però conteneva vecchie registrazioni inedite di una decade fa. Diciamo che dopo la fine degli anni ’90 Markowitz aveva abbandonato la musica e si era trasferito in Florida con la famiglia, ma si sa che alle vecchie passioni non si comanda e quindi eccolo di nuovo in pista con i suoi Tornadoes. Per mettere subito in chiaro le cose, diciamo che questa reunion non era proprio imprescindibile, il gruppo è buono, ma come ce ne sono in giro a decine, per usare un paragone calcistico, potremmo definirli una squadra da centro classifica, il loro momento d’oro lo hanno avuto con il disco citato prima e con il secondo, sempre su Blind Pig, Payday, con altra formazione e Warren Haynes tra gli ospiti https://www.youtube.com/watch?v=9c-Ha7uh3ww .

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Non per questo il disco è disprezzabile, tutt’altro, si tratta di gagliardo blues elettrico sempre fortemente ispirato dal suono delle band che operavano a Chicago tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60, Little Mike è un notevole armonicista, Hohner, come ci ricorda la foto di copertina, ma è Tony O., quando gli viene lasciata la briglia sciolta, il purosangue del gruppo, con soli ficcanti e ricchi di feeling, un bel lavoro di raccordo con la ritmica e con il pianista ospite, un altro veterano di nome Jim McKaba https://www.youtube.com/watch?v=mLIa693SIPs . Che sia l’inconfondibile scansione ritmica della super classica Hard Hard Way, con Tony O. e Little Mike a scambiarsi assolo ai rispettivi strumenti, o i ritmi più funky di una vivace So Many Problems, Markowitz si presenta anche come ottimo cantante e Melio strapazza di gusto la sua chitarra, con Little Mike che quando serve si cimenta anche all’organo. Quando poi il gruppo si lancia in un lungo slow blues come Since My Mother Been Ill, con McKaba inappuntabile al piano e la canzone che “soffre” il giusto, come vuole il miglior Blues https://www.youtube.com/watch?v=JBlAURRj7xk , sembra quasi di ascoltare i vecchi Fleetwood Mac di Peter Green in trasferta a Chicago e in session con Otis Spann o Pinetop Perkins.

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(I Got) Drunk Last Night è un altro classico blues che racconta di whiskey e donne, immancabili argomenti in questa musica e a tempo di uno shuffle ciondolante la band si diverte. Sam’s Stomp è un breve esercizio strumentale dell’arte di Markowitz al suo strumento, il cosidetto sax del Mississippi, Little On the Side si lancia su ritmi latini ma è un po’ manieristica, poderoso viceversa l’interscambio chitarra/armonica nella title track che ricorda certo British Blues scintillante https://www.youtube.com/watch?v=qLcmCbFcMWE . Eccellente anche The Blues Is Killing Me con la pungente chitarra di Tony O. sempre in bella evidenza.e You Wonder Why, pure questa in territori cari al vecchio Muddy. All The Time vira di nuovo verso un funky-blues sempre “vecchia scuola” comunque, I Won’t Be Your Fool tra swing e boogie ci permette di gustare ancora l’armonica di Little Mike. Stuck Out On This Highway è un altro di quei “lentoni” ricchi di atmosfera che scaldano il cuore degli appassionati di Blues e anche Close To My Baby si sarebbe potuta ascoltare nei club di Chicago negli anni d’oro del blues urbano https://www.youtube.com/watch?v=jRoB3_9QHsE . Niente di nuovo quindi, però tutto sommato suonato e cantato con grande passione e grinta, per appassionati delle 12 battute!

Bruno Conti

Non Conoscevo. Per Chi Ama L’Armonica Blues. Come Da Titolo. Bob Corritore And Friends

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Bob Corritore and Friends – Harmonica Blues – Delta Groove Music

Quando uno pensa a un armonicista blues bianco oggi i primi nomi che ti vengono in mente sono Charlie Musselwhite, Kim Wilson, Rod Piazza se frughi nella memoria Paul Butterfield e John Mayall ma ce ne sono decine di altri. Ho citato questi non perché siano necessariamente i più bravi ma sicuramente sono i più conosciuti. Viceversa se pensi all’Armonicista per antonomasia il primo nome è sicuramente Little Walter, poi in base a conoscenze e preferenze pensi a Big Walter Horton, Junior Wells, James Cotton, Carey Bell, Howlin’ Wolf, cito a caso i primi che mi vengono in mente, ma sicuramente il nome Bob Corritore non è il primo e forse nemmeno il secondo che pensiamo e invece… Devo dire di non essere mai stato particolarmente attento alla sua vicenda musicale, sì mi è capitato di vedere il suo nome nei credits di molti dischi di blues e quindi l’ho sicuramente sentito ma distrattamente senza prestare una particolare attenzione.

A giudicare da questo album ho sbagliato, c’è sempre da imparare, Bob Corritore è una sorta di eminenza grigia del Blues, un cardinale Richeliu che ordisce le sue oscure trame (visto che non lo conoscono in molti), come musicista, deejay radiofonico, produttore e però si è creato una reputazione di musician’s musician, molto rispettato tra i colleghi Bluesmen che sono pronti ad accorrere al suo richiamo. La sua carriera solista non è molto prolifica, un disco nel 1999, registrato dopo oltre venti anni di carriera per la scomparsa Hightone, anche il quel caso era un summit di amici e poi, in anni più recenti, un paio di dischi con Dave Riley. Ma ha partecipato anche a moltissimi dischi come musicista e produttore ed è anche proprietario di un club dove si suona soprattutto Chicago Blues, città dove è nato nel lontano 1956.

Ho iniziato ad ascoltare distrattamente il CD ma subito la mia attenzione è stata attirata, ma questa la conosco? La voce di Koko Taylor è inconfondibile, What Kind of Man is This ci regala subito dell’ottimo blues con Corritore all’armonica, presenza costante nell’album, ci sono Bob Margolin alla chitarra e Willie “Big Eyes” Smith alla batteria, il brano è registrato nel 2005 (questa è una caratteristica di questo disco che raccoglie materiale registrato in un arco temporale che va dal 1989 al 2009, 20 anni della vita di Corritore che scorrono sotto i vostri occhi). Il classico suono alla Muddy Waters di Tell me ‘bout it ci introduce alla voce e alla chitarra di Louisiana Red registrato giusto lo scorso anno. Non ci sono Grandi Nomi ma nomi che hanno fatto grande il Blues.

Things You Do con l’amico Dave Riley a menare le danze sa un po’ di conflitto di interessi ma è buona musica, quindi perdonato. Nappy Brown registrato nel 1998 con Baby Don’t You Tear my Clothes ha sempre una voce profonda ed espressiva che è un piacere ascoltare, Kid Ramos alla chitarra. 1815 West Rosevelt è il brano più vecchio, quello del 1989, uno strumentale firmato da Bob Corritore che ci permette di gustare le sue qualità tecniche contrapposte al sax di Eddie Shaw e alla chitarra di Buddy Reed anche se non lo inserirei nel novero dei brani straordinari, dell’onesto blues di mestiere. Robert Lockwood Jr. è uno dei grandi Vecchi del Blues e That’s All Right è un perfetto esempio delle classiche 12 battute del blues, Chicago Blues per la precisione, registrato nel 2001 con il piano di Henry Gray che regala qualche emoxione. Tin Pan Alley è un ottimo slow blues dove la combinazione della voce di Big Pete Pearson e l’armonica di Corritore messe assieme stranamente mi hanno riportato alla memoria il John Mayall dei tempi d’oro e le sua atmosfere sonore. Tomcat Courtney non mi è familiare ma questa Sundown San Diego è bella tosta. Eddy Clearwater è ancora in gran forma vocale e That’s My Baby dello scorso anno lo testimonia. Henry Gray è uno degli ultimi grandi pianisti della scena di Chicago e nella sua Things have changed dimostra che nel 1997 aveva ancora anche una grande grinta vocale.

Pinetop Perkins a 97 anni è il decano dei musicisti blues e probabilmente il più vecchio musicista in assoluto in attività attualmente ma le mani volano sulla tastiera come sempre e la voce è ancora pimpante, Big fat mama ne è l’esempio lampante. Chief Schabuttie Gilliame è un incredibile personaggio con una voce alla Howlin’ Wolf che fa ancora un bel “casino” in No More Doggin’! Honeboy Edwards ci regala una onesta Bumble Bee in versione acustica mentre Carol Fran è in grandissima forma vocale in una trascinante e maliziosa I Need To Be Bed’d With, che voce ragazzi. La conclusione è affidata alla voce e alla chitarra di Little Milton in una eccellente e tirata versione di 6 Bits In Your Dollar. Corritore soffia nell’armonica di gusto e coordina le operazioni e alla fine ci lascia soddisfatti, un nome “nuovo”, tanto per cambiare.

Bruno Conti