Il Lato Oscuro Del Texas! Lord Buffalo – Tohu Wa Bohu

lord buffalo tohu wa bohu

Lord Buffalo – Tohu Wa Bohu – Blues Funeral CD

I Lord Buffalo sono un quartetto di Austin, Texas (ma il loro leader Daniel Pruitt è originario di Stillwater, Oklahoma) nato nel 2012 dalle ceneri degli Hot Pentecostals, e che ha esordito nel 2017 con l’omonimo (ed introvabile) Lord Buffalo. Il fatto che vengano dal Texas può far pensare che facciano country o southern rock, ma loro si autodefiniscono “mud-folk”: in pratica la loro musica è un cocktail di rock desertico e psichedelia, le atmosfere sono notturne e stranianti, quasi malate, come se i nostri fossero una via di mezzo tra i 13th Floor Elevators di Roky Erickson ed i Dream Syndicate, ma con un uso ancora più massiccio di sonorità plumbee. Tohu Wa Bohu (un’espressione ebraica che indica la condizione della Terra appena prima della creazione della luce nella Genesi, e già questo dovrebbe far riflettere sul tipo di musica contenuta) è il nuovo lavoro del quartetto, che oltre a Pruitt (voce e chitarra) vede Garrett Hellman alla chitarra e organo, Patrick Petterson al basso, violino e violoncello e Yamal Said alla batteria.

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Niente country quindi, e nemmeno sonorità che mettano l’ascoltatore a proprio agio: Tohu Wa Bohu è un disco indubbiamente affascinante e creativo, ma mentirei se dicessi che si lascia ascoltare con facilità; qui tutto è cupo, buio e sofferto, con gli strumenti che vengono usati non nel modo canonico ma per creare un insieme dichiaratamente spiazzante. Otto canzoni che iniziano con Raziel, un avvio inquietante e pieno di tensione, con un violoncello a fendere l’aria (giuro, mi ricorda il brano che accompagnava la scena dell’orgia in Eyes Wide Shut), poi entra una batteria plumbea ed una chitarra leggermente distorta in lontananza, per un brano che fonde psichedelia, folk gotico, rock e musica desertica https://www.youtube.com/watch?v=Jukm0rX-tSs . Il brano è volutamente dissonante, eppure il crescendo elettrico alla fine riesce a catturare l’ascoltatore (forse per ipnosi): quasi al settimo minuto il ritmo sale all’improvviso e sembra di stare all’interno di un incubo popolato da figure sinistre. Wild Hunt inizia con un’insistente percussione doppiata da un pianoforte volutamente monotono, una chitarra si fa largo e Pruitt canta un motivo apparentemente senza melodia fino all’ingresso del resto della band che trasforma il pezzo in una rock ballad ipnotica e destabilizzante https://www.youtube.com/watch?v=9VfSlDs52NY .

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Halle Berry (sì, proprio come la bellissima attrice) vede Pruitt declamare i versi come se fosse un incrocio tra Steve Wynn e Jim Morrison (però fatti di acidi), con dietro di lui una ritmica spezzettata ed il solito tappeto chitarristico obliquo https://www.youtube.com/watch?v=lNY5J_JAMRw . Non è un disco facile, per niente, e sinceramente in un anno cupo come questo 2020, inizio 2021 non so nemmeno se è ciò di cui ho bisogno: Dog Head è una sorta di folk ballad elettrica, con gli strumenti centellinati nel buio, tempo lento ed atmosfera tetra, la title track è un altro pezzo dall’incedere ipnotico e senza squarci di luce, ma anzi con chitarra e violino che fanno a gara a chi va più in distorsione, mentre Kenosis ha uno sviluppo soffuso e sinuoso, con la voce al centro ed un pianoforte gelido alle spalle: meno spiazzante delle precedenti pur rimanendo nelle tenebre. Il CD si chiude con Heart Of The Snake, un pezzo in cui il leader sembra intonare un motivo normale ed i suoi compagni si adattano fornendo un background sonoro che sa di film western psichedelico (forse il brano meno ostico di tutti) https://www.youtube.com/watch?v=1Br2AdK5omU , e con Llano Estacado No. 2, uno strumentale dal mood angosciante ed allucinato.

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Tohu Wa Bohu è quindi un disco strano, difficile e coraggioso, che ha sicuramente delle potenzialità e può anche risultare affascinante, ma che nello stesso tempo non mi sento di consigliare senza remore.

Marco Verdi

Janis Joplin, Gli Anni Del “Grande Fratello” 1966-1968 – Cheap Thrills E Il Rock Non Sarà Più Lo Stesso Parte I

Big Brother and the Holding Company promo shot, 1967

Big Brother and the Holding Company promo shot, 1967

“Le telecamere scivolano e si soffermano su quei lineamenti aspri e vissuti, come se lei fosse una incredibile bellezza e, a modo suo, lo è. Gli occhi degli uomini si fanno vitrei quando pensano a lei. I giornalisti la stuprano con le parole come se non ci fosse un altro modo di avere a che fare con lei. Erano anni che nessuno era così eccitato verso qualcuno, dal modo in cui la gente si comportava con Janis Joplin. Era una esperienza completamente nuova per chiunque. La gente doveva cambiare il proprio modo di pensare per adattarsi. La sua voce, per esempio. Le ragazze non potrebbero cantare a quel modo, completamente rauche ed insistenti e battendo i piedi. Non dovrebbero dare questa impressione che stanno urlando per essere liberate da qualche terribile, continuo dolore, che però non è  una sofferenza fisica interamente spiacevole. Per prima cosa questa è l’epoca del “figo” (più o meno vale per Aretha e Levi Stubbs, e loro sono neri, e Janis è bianca). Janis Joplin ha completamente ridefinito il concetto della cantante donna. E’ così bella che ti toglie il respiro, e non c’è nulla che sti possa far cambiare quella opinione – di sicuro non il fatto che in qualsiasi altra epoca avresti dovuto dire che la ragazza era una casalinga.

Saltella in giro, vestita come una zoccola dei bassifondi, buffi cappellini con le piume in testa, braccialetti alle caviglie,indosso raso trasandato. I suoi vestiti da battona li chiama, e ride come una battona. E beve – pensate un po’ – beve, in una generazione di drogati. Lei beve, whisky Southern Comfort, una ragazza cantante di 24 anni che ha le abitudini di un’altra decade (NDA Ma poi vedremo che purtroppo si adeguerà). […] Ogni volta che cantava, era come se quella voce ruvida, rovinata dal whisky, fosse sul punto di spezzarsi. Ha detto “Preferirei non cantare piuttosto che cantare piano” , e ha ragione, perché la frenesia che ha nei piedi e nei fianchi è anche nella sua gola. Non stupisce il fatto che dopo tutto quello che ha passato alcune volte sembri vecchia e consumata. Ma ci sono altre occasioni in cui sembra giovane e vulnerabile, e la transizione avviene in pochi istanti. […] Quello che un Jimi Hendrix o un Mick Jagger fanno , provocando degli svenimenti nelle ragazzine, Janis lo provoca negli uomini – facendo sembrare la sua intera esibizione una sfrenato, sudato, appassionato, esigente atto sessuale!”  

lillian roxon rock encyclopedia italiano lillian roxon rock encyclopedia inglese

Tutto questo, senza sapere quello che sarebbe successo in seguito, lo scriveva Lillian Roxon nel 1969, nella sua Rock Encyclopedia, forse il primo libro dedicato al rock da una scrittrice-giornalista, definita anche la Madre Del Rock, una delle più grandi conoscitrici della musica degli anni ‘60, nata ad Alassio nel 1932 da genitori polacco-australiani, e morta nel 1973 a New York, autrice di questo libro, il cui frammento che avete appena  letto, dedicato a Janis Joplin, ed estratto dalla voce dell’enciclopedia rock dedicata ai Big Brother & The Holding Company, è una mia traduzione dall’originale inglese, ma ne esiste anche una versione italiana Rock Encyclopedia E Altri Scritti, pubblicata dalla Minimum Fax, che è uno dei libri più belli dedicati alla nostra musica mai usciti (non so se la versione italiana sia completa, visto che il numero di pagine mi sembra inferiore, ma forse dipende dalla grafica diversa utilizzata).

A questo punto riavvolgiamo il nastro e torniamo all’inizio della storia.

I primi anni.

Janis Lyn Joplin nasce a Port Arthur, Texas durante la IIa Guerra Mondiale, il 19 Gennaio 1943, da una coppia in cui il padre era un ingegnere della Texaco e la madre una “cancelliera” in un college, entrambi  adepti delle “Chiese Di Cristo”. Aveva anche due fratelli minori, ma Janis è sempre stata la più inquieta e problematica, quella che richiedeva una maggiore attenzione da parte dei genitori. Già da ragazzina aveva fatto amicizia con un gruppo di “emarginati”, uno dei quali però aveva una collezione di dischi blues di Bessie Smith, Ma Raney, Lead Belly, che saranno molto importanti nella sua decisione futura di diventare una cantante. Anche se già al liceo aveva iniziato a cantare, Janis era comunque una ragazzina cicciottella e brufolosa (anzi con l’acne che le lascerà delle cicatrici perenni), bullizzata dai suoi coetanei che la chiamavano “maiale”, “fricchettona”, “mostro”, “amica dei negri”, tutte cose che la renderanno nel tempo insicura e la faranno sentire sempre poco amata, anche negli anni del suo maggior successo. Comunque, tra alti e bassi, finisce il liceo, e poi prova ad iscriversi a varie facoltà universitarie, non completandone nessuna.

Nel frattempo anche la sua carriera musicale continua in Texas a livello amatoriale, poi convinta dall’amico Chet Helms, decide di andare in autostop fino a San Francisco in California nel 1963, e l’anno successivo conosce Jorma Kaukonen con cui registra il famoso “nastro della macchina da scrivere”, che era quella usata nella stanza accanto da Margareta, la prima moglie di Jorma e che si sentiva sullo sfondo  di questi blues embrionali. Nel frattempo era stata anche arrestata per avere rubato in un negozio e nei due anni che seguirono il suo uso di droga si era fatto crescente, diventando una “speed freak” e una eroinomane, a dispetto di quanto detto dalla Roxon, tanto da essere convinta a ritornare a Port Arthur dai genitori, visto che il suo peso era calato fino a 40 chili. E anche se lei stessa, durante alcune sedute psichiatriche, si chiedeva come avrebbe fatto ad intraprendere una carriera nella musica senza cadere di nuovo nella trappola della droga, alla fine rassicurata anche dal suo medico  decide di tentare di nuovo la sorte e tra il 1965 e il 1966 ritorna ad Haight-Ashbury nella comunità hippie locale dove, tramite di nuovo la mediazione di Chet Helms, conosce il manager dei Big Brother & The Holding Co., ed inizia così la sua breve epopea musicale che la renderà la più grande voce della storia della musica rock.

The Big Brother Years 1966-1968

Per questa volta ci occupiamo dei due anni che vanno appunto dal giugno del 1966, quando si unisce alla band, al 1° dicembre 1968, giorno del suo ultimo concerto con il gruppo. Peter Albin, il leader, Sam Andrew e James Gurley, si esibivano insieme già dal 1965, partecipando anche a jam sessions organizzate dall’impresario Chet Helms, che aveva trovato loro anche un batterista Chuck Jones e quindi nel gennaio del 1966 erano nati i Big Brother & The Holding Company. A quella prima data era presente tra il pubblico anche Dave Getz, pittore e a tempo perso batterista jazz, o viceversa. Diventano la house band dell’Avalon Ballroom di San Francisco, dove suonavano un misto di pych-garage e rock strumentale, di tanto in tanto cimentandosi come cantanti, ma non era il loro forte. Per ovviare al problema Helms propose loro questa sua amica, Janis Joplin, che aveva preso anche in considerazione l’idea di entrare nei 13th Floor Elevator, il gruppo di Roky Erickson che operava in Texas. A questo punto Janis si trasferisce ancora una volta in California, e il 10 giugno del 1966 esordisce sul palco dell’Avalon Ballroom come cantante dei Big Brother.

Come ha ricordato Sam Andrew i primi incontri in cui si annusarono a vicenda non furono entusiasmanti: a Sam, per il modo in cui era vestita, come una normale ragazza del Texas e non una hippie, ricordava sua madre che veniva anche lei da quello stato, e anche a livello vocale non furono subito abbagliati dalla sua presenza, forse perché erano abituati a suonare a livelli sonori molto alti e quindi la voce si perdeva nel marasma. E a lei, come scrisse a casa, sembravano fin troppo “esotici”. Quindi ci volle del tempo prima che le due parti iniziassero ad amalgamarsi; lei si era portata dietro anche un “amico” dell’epoca, il tastierista Stephen Ryder, e poi i fans della band ci misero del tempo per abituarsi a questa nuova cantante, che però si stava impegnando a fondo per inserirsi nel suono decisamente elettrico del gruppo, e gli altri cercarono di mitigare la tendenza alle sperimentazioni sonore che li caratterizzavano. Quando ,nel settembre del 1966 si trovarono a suonare per due settimane a Chicago, alla fine i soldi ricevuti non erano sufficienti per comprarsi i biglietti per l’aereo del ritorno a San Francisco, e quindi firmarono un contratto discografico con la Mainstream Records, iniziando anche a registrare le prime quattro canzoni dell’album, che sarebbe poi stato completato a dicembre a Los Angeles.

Essendo la loro nuova etichetta abituata ad artisti jazz, il risultato finale non fu proprio quello che si aspettavano, e quindi Big Brother And The Holding Company., era a tratti più acustico e folk dell’heavy rock-blues psichedelico che erano abituati a suonare dal vivo, e francamente non particolarmente memorabile, con qualche eccezione. Oltre a tutto in quei tempi in cui tutto succedeva in fretta, il LP ci mise parecchio ad uscire: il primo singolo, con Bye Baby e Intruder, esce nei primi mesi del ’67, seguito a luglio dal secondo con Blind Man lato A e la più pimpante All Is Loneliness sul retro, e poi finalmente viene pubblicata la migliore canzone dell’album Down On Me, un traditional degli anni ’20 trasformato dalla Joplin in una vibrante canzone rock., però a questo punto siamo già ad agosto del 1967 e un fatto fondamentale ha cambiato completamente la vita del gruppo, e della sua cantante.

Fine prima parte, segue…

Piccole Gemme Dal Passato! Country Weather – San Francisco 1969-1971

country weather 1969-1971

Country Weather – Country Weather San Francisco 1969-1971 – Classic Music Vault

“E questi da dove sono sbucati?”. Mi auto cito, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente quando mi sono trovato tra le mani questo CD dei Country Weather: certo, per quanto uno possa fare mente locale, una band che nella sua breve vita musicale ha pubblicato un solo disco, inciso su una facciata e con cinque brani, in tiratura di 50 copie non rimane impresso nella mente. Poi però leggi le note del dischetto, questo nome mi ricorda qualcosa! Prendi il tuo bel Box della Rhino di Love Is The Song We Sing, San Francisco Nuggets 1965-1970,e tac, eccoli lì, CD 2, brano 17, Country Weather – Fly To New York! Secondo alcuni uno dei segreti meglio custoditi della San Francisco psichedelica di quegli anni, secondo altri, un’impronta sulla spiaggia, che non ha lasciato segni.

love is the song we singcountry weather vinile

Nel frattempo inizi ad ascoltare: il compilatore del CD ed estensore delle note Mike Somavilla, che ha assemblato questi brani, ha seguito un percorso non cronologico, si parte quindi dalla fine con quattro brani registrati nel 1971 al The Church di San Anselmo, CA, qualità sonora non eccelsa ma buona e anche il contenuto, interessante, anche se forse non giustifica completamente l’interesse creatosi intorno a questo progetto, Over And Over, un piacevole country-rock vagamente Bydsiano ultimo periodo, belle voci e armonie di Dave Carter e Greg Douglass (eppure, cazzo, ops, anche questo nome mi dice, non sarà mica il chitarrista della Steve Miller Band? Si, è proprio lui!), tipico suono dell’epoca, Boy Without A Home che è decisamente più rock, il suono si avvicina a Jefferson Airplane, Quicksilver, Country Joe, Creedence persino, con la chitarra di Douglass che comincia a viaggiare, e ancor di più in Out On The Trail, con aperture quasi stonesiane e la bella ballata corale con uso slide che risponde al nome di Yes That’s Right. Insomma niente da perderci la testa, un gruppo come ce n’erano mille nella Bay Area in quegli anni. Balzo indietro, siamo nel 1969, nel pieno del boom di San Francisco, Bill Graham li chiama ad aprire a Fillmore West e Winterland Ballroom per Big Brother, Quicksilver, Spirit, Country Joe e quindi il gruppo incide questo promo di 5 brani da mandare alle radio: Why Time Is Leaving Me Behind  è puro acid psychedelic rock, morbido ma interessante e “strano”, a un certo punto sembra finito, con la puntina che rimbalza sull’ultimo solco, ma poi riparte, New York City Blues è un blues acidissimo degno delle migliori cose di Country Joe o dei Big Brother, con la chitarra di Douglass in primo piano https://www.youtube.com/watch?v=07PpMDhqY5o , Carry A Spare ricorda moltissimo i Jefferson Airplane a trazione Kaukonen, sempre acid-rock di grande spessore, Fly To New York, il loro brano più noto, unisce sonorità californiane ai primi Pink Floyd, quelli più sperimentali con risultati notevoli, Black Mountain Rag è un piccolo frammento strumentale destinato ad essere ampliato nelle loro esibizioni Live.

Il decimo brano There I’ve Known, è l’unico inedito di questo album, ricorda il country-rock acido di New Riders, Grateful Dead, Manassas.  (l’unico non contenuto nel doppio vinile uscito per la svizzera RD Records nel 2005, con due brani dal vivo in più!!). A questo punto arriva la parte più interessante, cinque brani dal vivo registrati tra il 31 luglio e il 1° agosto al Walnut Creek Civic Center, nei sobborghi di San Francisco, da dove proveniva la band: sono quasi quaranta minuti che dimostrano perché la band era considerata tra le migliori del tempo, I Don’t Know, un brano a cavallo tra country-rock e boogie, con il basso di Dave Carter e  la poderosa batteria di Bill Baron  a sostenere le evoluzioni della chitarra dell’ottimo Greg Douglass, belle armonie vocali e tanta grinta, (Pakistan) Ring Around The Moon, niente a che vedere con la musica orientale, il brano meglio inciso dell’album, ci permette di godere ancora del sano rock, poi estrinsecato nella lunghissima, circa 15 minuti, Wake Me Shake Me, un brano che non aveva nulla da invidiare alla versione che ne facevano ai tempi i Blues Project, poderoso rock-blues tra Cream, Canned Heat e i Jefferson Airplane più allupati, un assolo di chitarra tira l’altro, non manca quello di basso, anche con fuzz, di Dave Carter che non ha nulla da invidiare a Jack Bruce o Larry Taylor, bisogna solo alzare il volume per gustarsi il tutto, fino all’immancabile assolo di batteria di Baron, più che “stoner rock” che sarebbe arrivato negli anni ’90 è stoned rock, però suonavano i ragazzi. Questa sarebbe stata la conclusione del concerto ma trattandosi di due serate diverse, per la strana sequenza dei pezzi troviamo ancora una lunghissima versione di Fly To New York, degna di Happy Trails  e lo strumentale Black Mountain Rag, entrambe con un grande Greg Douglass alla chitarra. Una bella (ri)scoperta!

Bruno Conti

Nome Intrigante, La Musica Un Po’ Meno! Kings Road Band – Spiral Stares

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Kings Road Band – Spiral Stares – Self Released

Sono un quartetto, vengono da Los Angeles, California, la loro musica si ispira a quella di Doors, Hendrix, Stones, Janis Joplin e molti altri, un misto di rock, blues elettrico e psichedelia. Wow! O così almeno recita la biografia della King Road Band https://www.youtube.com/watch?v=uG-HTDpCCQs . Ci sono due Hernandez in formazione, Carlos e Gloria, anche dai lineamenti somatici rilevati dalle foto paiono fratelli, quali in effetti sono, lui alle chitarre, lei alla voce: e qui sta l’inghippo. Musicalmente mi ritrovo con le fonti di ispirazione, l’iniziale Follow The Light addirittura ha qualche tocco à la Jefferson Airplane, con la chitarra di Carlos che traccia delle linee ispirate a quel sound e dei tocchi alla solista che potrebbero venire dai primi brani dei Big Brother, mentre l’organo di Charlie Fountaine rafforza questa vicinanza d’intenti ai Doors, anche per l’uso dei pedali, come faceva Manzarek, per sostituire il basso che non c’era in formazione https://www.youtube.com/watch?v=2mM6qG2Gyl8 . Il problema è che alla voce non ci sono Grace Slick, Janis Joplin, né tantomeno Jim Morrison, ma una ragazza dalla voce che per quanto tagliente la si voglia dipingere, sembra più una pallida controfigura (e ho detto tutto) di Susanna Hoffs delle Bangles. Forse, ma forse, anche per il tipo di voce, si potrebbero accostare agli X di Exene Cervenka e John Doe, che però erano molto più punk ed incazzati e in seguito hanno avviato una carriera all’insegna della roots music più rigorosa.

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Tornando alla Kings Road Band (da non confondere con i Kings Road, che erano molto meglio), musicalmente, pur con questa tendenza revivalistica spinta (che dal vivo si estrinseca anche in spettacoli di luci stroboscopiche molto sixties), sono anche validi, gli intrecci di chitarre e organo ogni tanto si spingono in territori psych più spinti, come nella lunga, conclusiva Third Eye Encounters, che oscilla tra Big Brother e Quicksilver, e quando la voce tace (si è capito che non mi piace molto, non è un fatto personale, un semplice parere, magari ad altri, più versati nell’indie rock, potrebbe anche essere gradita), il dualismo chitarra-organo sviluppa delle interessanti atmosfere. Altrove si potrebbero tracciare paragoni con il psych-pop divertente di ? & The Mysterian o Sam The Sham & The Pharaos (quelli di Wooly Bully), ad esempio in She’s Only Beautiful Sometimes, che potrebbe essere un singolo potenziale, da unire al riff alla Volunteers di Follow The Light.

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Altrove, ad esempio in Old Friend (l’altro brano che supera i sei minuti), quando Fountaine passa al piano, il suono si fa più classic rock, anche in Tears Of the Sun o addirittura vira al boogie, come nella scatenata Creatures Of the Night. Elementi più dark e ricercati nella lenta Killing You o bluesati come in Stacy’s Jam, che tiene fede al nome e cerca più l’improvvisazione. Però la voce da ragazzina capricciosa ed umorale della Hernandez rovina gli sforzi meritevoli degli altri musicisti, mancherebbe il batterista George Liebel da ricordare, così li abbiamo citati tutti https://www.youtube.com/watch?v=JMsKPFAgZBU . Pare che a Los Angeles siano considerati creatori di “Good Vibrations” sin dal lontano 2011, anno della loro apparizione (forse anche prima https://www.youtube.com/watch?v=Py7Ie_Gz6lY), ma lo dice sempre il loro sito, crederci o no? L’impegno c’è, per il resto vedete voi!

Bruno Conti