Per Amanti Di Un Pop Raffinato E Fruibile Al Tempo Stesso! Lake Street Dive – Side Pony

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Lake Street Dive – Side Pony – Nonesuch/Warner

Il disco precedente mi era piaciuto parecchio http://discoclub.myblog.it/2014/03/12/raffinato-quartetto-che-voce-la-ragazza-lake-street-dive-bad-self-portraits/ e sottoscrivo tutto quello che avevo detto, anzi se lo non avessi già usato utilizzerei lo stesso titolo. Questo nuovo Side Pony, a grandi linee, replica il sound e i contenuti di Bad Self Portraits: però c’è una nuova etichetta, un nuovo produttore, il Re Mida degli ultimi anni, Dave Cobb, per la prima volta alle prese con uno stile che non affonda le sue radici nel country, nel rock e nel southern, ma che contiene molta musica con derivazioni soul, peraltro decisamente diverse da quelle presenti nel disco di un altro cliente di Cobb, ovvero Anderson East. Dove in quel disco trovavamo una voce profonda e matura, a dispetto dell’età, e con molti richiami al sound Stax e deep soul in generale, in questo album dei Lake Street Dive ne abbiamo una femminile, Rachael Price, dal contralto puro, con toni jazzati, in questo caso sfumati verso un tipo soul più “lavorato” e di epoca tarda, Philly Sound, Motown, le prime propaggini della disco, quando era ancora funky o Blaxploitation, uniti ad una passione sfrenata per il pop raffinato dei Beatles, lato McCartney, le cantautrici primi anni ’70, Nyro, Simon, Carole King e anche le armonie vocali dei Beach Boys o dei Mamas And Papas. Ho letto un paio di recensioni non entusiastiche per Side Pony ( che sarebbe poi la pettinatura a coda di cavallo laterale che sfodera la bassista Bridget Kearney sulla copertina del disco), qualcuno che non ha apprezzato il pop “stiloso” e forse leggerino della band, ma per il resto c’è stata una unanimità di giudizi estremamente positivi a cui mi accodo.

Anche questo tipo di musica ha i suoi aficionados e non è detto che si debbano fare per forza, rock, country, blues, folk, roots music o Americana per essere apprezzati, pure la musica pop, se ben realizzata, non è un’anatema per chi ama il rock inteso nella sua accezione più ampia, lasciando da parte le “musicacce” orribili e ormai standardizzate (i.e. tutte uguali tra loro) che appestano, con qualche eccezione, le classifiche e le radio, chi le ama continui ad ascoltarle, noi (inteso come Blog, e anche la rivista dove scrivo),  cerchiamo di rivolgerci ad un altro tipo di pubblico, più ristretto per ovvi motivi, ma non per questo meno significativo, gli amanti della buona musica, che non sono molto serviti da stampa e mezzi di comunicazione. Ma torniamo al disco: troviamo dodici brani, tutti scritti dai componenti della band fondata a Boston, Massachusets nel 2004, ma provenienti da Minneapolis ed ora residenti a New York. Per completare questo ecumenismo di diverse città, il disco è stato inciso negli studi Sound Emporium di Nashville, dove opera il produttore Dave Cobb, che per l’occasione ha invitato i musicisti ad un approccio diverso dal solito, proponendo ai componenti del gruppo di presentarsi alle sessioni di registrazione solo con brani in embrione, non completi, da sviluppare: idee, spunti, da cui improvvisare ed ottenere delle canzoni finite. Mi sembra che il metodo abbia funzionato e nell’album troviamo molti generi diversi, dove la voce della Price, che è comunque la stella polare del gruppo, è stata inserita, lei consenziente, in un un sound d’assieme variegato e dove tutti i componenti dei Lake Street Dive hanno il giusto spazio.

Così nel CD troviamo il soul-pop incalzante dell’iniziale Godawful Things, scritta dal chitarrista e tastierista Mike “McDuck” Olson, con i complessi intrecci vocali del quartetto subito in evidenza e continui cambi di tempo, mentre in Close To Me, firmata dal batterista Michael Calabrese, ci sono incontri ravvicinati tra un sound di chitarra che rimanda ai Beatles di Abbey Road, unito al classico genere raffinatissimo del gruppo, che per certi versi può rimandare alla musica della migliore Carole King. In Call Off Your Dogs, dalla penna della bassista Bridget Kearney, ci si trova di nuovo immersi in un suono inizio anni ’70 che profuma di Tamla Motown e Philly Sound, divertente, forse “stupidino” ma comunque delizioso. Spectacular Failure è un pop-rock di perfetta fattura, tra chitarre, fiati aggiunti e ritmica serrata, oltre a quelle voci incredibili; con I Don’t Care About che sembra nuovamente un pezzo dei Beatles, ma cantato da Mama Cass dei Mamas And Papas, per l’occasione nelle vesti dell’eccellente Rachael Price e qualche evoluzione vocale alla Beach Boys. So Long viceversa è una bella ballata, soffice e morbida, quasi alla Burt Bacharach.

How Good It Feels è un pezzo tra blues e soul, ancora una volta cantato veramente bene dalla Price, con la sua voce duttile in grado di districarsi in tutti i diversi stili che compongono la tavolozza di colori del gruppo, in questo caso con organo e chitarra in primo piano, in Side Pony, la title-track, un jazzy pop-soul sempre in punta di ugola, per poi lanciarsi in Hell Yeah, che suona come avrebbero potuto fare i B-52’s se avessero avuto una cantante brava come Rachael, anche con vaghi retrogusti psych-soul-garage. Rachael Price che firma un unico brano nel CD, Mistakes, quello con i tratti sonori più jazzati, quasi da light crooner, con il suo contralto delizioso che veleggia sul tappeto sonoro della canzone, dove una “sontuosa” tromba suonata da Olson, aggiunge un tocco di gran classe, sempre con armonie vocali cesellate tra jazzy pop e soul. Non manca neppure il blaxploitation sound di una Can’t Stop che sembra uscire da una vecchia pellicola anni ’70 con Pam Grier o da qualche remake di Quentino Tarantino. Si finisce con il quinto e ultimo contributo compositivo di Bridget Kearney, la più prolifica della band, una Saving All My Sinning, ennesimo brano pop-rock dove la voce della Price assume tonalità non dissimili da quelle da Tony Childs (l’avevo detto per il disco precedente e anche in questo caso mi ripeto)), per quello che è comunque globalmente uno sforzo di gruppo di tutta la band, ma si regge soprattutto sulla vocalità della suddetta Rachael.

Bruno Conti 

Un Raffinato Quartetto: E Che Voce La Ragazza! Lake Street Dive – Bad Self Portraits

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Lake Street Dive – Bad Self Portraits – Signature Sounds

Il recente successo di Inside Llewyn Davis ha scatenato tutto un indotto intorno al film e alla colonna sonora, e in occasione del lancio del film, si è tenuto un concerto “One Night Only” dove alcuni musicisti, invitati da Burnett e dai fratelli Cohen, hanno cantato alla Town Hall di New York brani ispirati da quell’epoca gloriosa. Diventerà un CD/DVD, Another Day, Another Time, più avanti nell’anno (a marzo esce quello del film) ma non è inerente al CD di cui stiamo parlando, se non fosse per il fatto che i Lake Street Dive sono tra coloro che sono stati invitati da T-Bone Burnett per questa serata speciale e questo denota, secondo me, che si tratta di gente di valore http://www.youtube.com/watch?v=np3ru7z-PRE .

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Non fanno folk, ma qualcosa c’è, probabilmente, se non in piccola parte, non fanno neppure il jazz che gli viene attribuito come genere principale, ma fanno un pop assai raffinato e ricco di sfumature soul,  qualche brivido rock, folk e jazz intesi in un’ottica alla Laura Nyro o Carole King, in virtù del fatto che il gruppo ruota tutto intorno alla voce di Rachael Price, che è il motivo per cui questo Bad Self Portraits è così piacevole http://www.youtube.com/watch?v=crqkkXCGMyk . Non la solita da voce da cantante o cantautrice triste e malinconica che va per la maggiore al momento (e al sottoscritto ce ne sono molte che piacciono, è un genere che frequento con piacere, quindi non è una critica), quanto una bella voce pimpante, con dei piccoli timbri gutturali, di gola, alla Tony Childs, (ricordate?), oppure quelle voci bianche, ma innamorate della musica nera, un blue eyed soul semplice ma movimentato, musica che ha dei ritmi  vivaci e mossi, frutto di parecchi anni on the road, dove hanno affinato lo stile, portato alla luce da metà anni 2000, in quel di Boston, Massachusetts, con alcuni album, quattro in tutto, dove lentamente ma con progressi costanti, sono passati dalla indie jazz band degli inizi, al raffinato quartetto che pubblica questo nuovo lavoro per la Signature Sounds, probabilmente il loro migliore fino ad ora.

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Il disco è stato registrato in uno studio di una piccola cittadina del Maine, Parsonsfield, meno di 2.000 anime, mentre, come raccontano nelle note, un piccolo terremoto per fortuna innocuo si abbatteva sui dintorni del piccolo borgo. Non so se il tutto abbia contribuito a dare una piccola scossa alla loro creatività, ma il prodotto che ne è uscito è estremamente piacevole: il loro amore per il soul, la musica di Hall & Oates, i Beatles e in particolare Paul McCartney, i Fleetwood Mac, i Mamas and Papas, i Drifters, i primi Jackson 5 (su YouTube circola un video, dove, all’impronta, per le strade di Brighton, Ma., improvvisano una versione di I Want You Back http://www.youtube.com/watch?v=6EPwRdVg5Ug ), tutto questo confluisce nel CD, che non sarà di quelli che fanno svoltare la storia della musica, ma per chi ama tutti i nomi citati potrebbe essere una piacevole sorpresa.

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La Price è la frontwoman della band, e i tre musicisti che completano il gruppo scrivono tutto il materiale, Mike “McDuck” Olson, che oltre alla chitarra, suona anche tromba, trombone e piano, la bassista (anche al piano) Bridget Kearney, forse l’autrice principale e alla batteria Mike Calabrese, tutti contribuiscono al sound strumentale e vocale che è raffinato il giusto, senza eccessi. In effetti la Price ha anche una carriera parallela come cantante jazz, ma qui il pop-soul più gioioso impera: la Kearney al contrabbasso e Calabrese alla batteria “swingano” a tempo di rock-soul sin dall’iniziale title-track, giravolte di piano e chitarra, ambientazioni sudiste, accenni di doo-wop, la voce squillante di Rachael http://www.youtube.com/watch?v=nCHiB1IymBQ , ancora intrecci vocali beatlesiani in una Stop Your Crying ricca di energia 60’s. Better Than è soul music divina, con un organo in sottofondo, la voce di gola della Price e un assolo di tromba di Olson delicatissimo. Rabid Animal ricorda il miglior Billy Joel degli anni ’70 con un pianino insinuante http://www.youtube.com/watch?v=zSDeO66VxL8  mentre You Go Down Smooth ha l’energia irrefrenabile di Walking On Sunshine di Katrina And The Waves http://www.youtube.com/watch?v=GfOkqLxjaMI .

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Use Me Up si appoggia sul fantastico contrabbasso della Kearney e sulle tastiere di Sam Kassirer, il produttore del disco, che aggiunge dei piccoli tocchi di genialità al suono d’assieme della band. Anche Bobby Tanqueray ha quel suono volutamente retrò e arrangiamenti pop raffinatissimi, studiati per valorizzare la voce di Rachael Price. Just Ask avreste potuto trovarla su Back To Black di Amy Winehouse, con la voce che ha la stessa intensità della scomparsa cantante inglese, tonalità quasi perfette. Seventeen è un’altra costruzione sonora semplice e complessa al tempo stesso, con voci e strumenti che si incastrano alla perfezione e in What About Me, per una volta si fanno più aggressive, prima di lasciare spazio ad una ballata pianistica molto McCartney come Rental Love http://www.youtube.com/watch?v=5wUvzfz6F-A . Se vi piacciono le bravi cantanti e il pop raffinato qui troverete pane per i vostri denti!                                                                    

Bruno Conti

“Neri Dentro”! Jesse Dee – On My Mind/In My Heart

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Jesse Dee – On My Mind/In My Heart – Alligator

Questa recensione potrebbe appartenere a due rubriche (se esistessero): “E intanto la Alligator non sbaglia un colpo” e “Neri Dentro”. Per l’etichetta di Chicago si tratta dell’ennesimo disco centrato, in una sequenza di pubblicazioni che negli ultimi anni non hanno mai mancato l’obiettivo di divertire ed emozionare. Il divertire è uno degli scopi massimi di questo CD di Jesse Dee (il suo secondo, anche se in alcune discografie gliene attribuiscono un terzo, ma è di un omonimo canadese), soulman bianco di Boston, la patria della J.Geils Band e Peter Wolf, volendo rimanere nel genere “musica nera rivisitata”. Come il suo grande amico e sodale, con cui spesso divide il palcoscenico dal vivo, e che sta dall’altra parte dell’Oceano, ovvero James Hunter, Jesse Dee è un grande appassionato e cultore del soul, ma quello vero, Al Green, Otis Redding, Etta James, soprattutto Sam Cooke, ma anche il primo Marvin Gaye, i Temptations e lo stile più leggero e pop della prima Motown e mille altri che non citiamo ma si possono immaginare.

Già il precedente Bittersweet Batch pubblicato dalla Munich Records aveva lasciato intravedere il suo talento, che ora viene confermato da On My Mind/In My Heart, non parliamo di capolavori ma di dischi piacevolissimi da gustare, centellinare, mentre ascolti questo giovane che in un mondo musicale falso e plastificato è in grado di (ri)proporre una musica fresca e frizzante come quella dei suoi predecessori, senza la stessa classe, ovviamente indirizzata ai cultori del genere, ma che può essere apprezzata da tutti senza riserve, ti consoli delle brutture di molto cosidetto “nu soul” attuale. I brani sono tutti “originali” (almeno nel nome e nel contenuto, magari le melodie un po’ meno), firmati dallo stesso Jesse Dee, che si avvale di un gruppo di musicisti, probabilmente non molto conosciuti al di fuori della’area dello stato del Massachussetts (dove è stato registrato l’album), ma assolutamente validi e pertinenti allo stile che perseguono.

Undici brani che si muovono nei meandri del soul e del R&B con leggerezza estrema: dall’apertura ricca di fiati della title-track che tra organo e chitarrine ritmiche ficcanti permette al bravo Jesse di mettere in evidenza la sua voce vellutata e senza tempo, una partenza blue-eyed soul, magari non è un testifier alla Redding o alla Pickett, ma si capisce subito che è uno bravo, come conferma il ritmo alla Marvin Gaye primo periodo della funky No matter where I Am propulsa da un basso molto marcato o le belle melodie della dolce Fussin’ and Fightin’ dove aleggia lo spettro di Sam Cooke, ma anche il miglior Robert Cray in salsa soul potrebbe essere un riferimento. I Won’t forget about you ha quella andatura alla Temptations di The Way You Do The Things I Do, divertente e spensierata, sempre con i fiati in libertà. Ottima anche Tell Me (Before It’s Too late) già nel suo repertorio live da qualche anno, con retrogusto gospel e qualche prova di falsetto sempre gradita.

E che dire del coinvolgente duetto con Rachael Price (una bravissima giovane cantante dell’area di Boston, ma nativa del Tennessee, solista nei Lake Street Dive,  gruppo che vi consiglio), ha la spensieratezza dei duetti dell’epoca d’oro del soul e tutti e due i cantanti hanno quel quid inspiegabile nella voce che distingue i cavalli di razza dai ronzini. Anche in The Only Remedy sfoggia un falsetto in alternativa alla sua voce naturale arricchita da quel tocco di raucedine che fa soul dal primo ascolto, mentre la dolce ballata What’s A Boy Like Me To Do? ci riporta al Cooke più mellifluo e anche melismatico e vi assicuro che è un bel sentire, potrebbe ricordare anche i brani più melò della scomparsa Amy Winehouse. Sweet Tooth con la sua energia sixties potrebbe far parte del repertorio più scatenato del suo omologo James Hunter. Boundary Line è un sontuoso gospel soul alla Al Green, passione e grinta convogliati in una voce in grado di emozionare. E per finire una Stay Strong di nuovo sbarazzina come i singoli più spensierati di quel Sam Cooke che è un po’ il punto di riferimento irrinunciabile della musica di Jesse Dee, bianco fuori ma nero dentro. E la ricerca continua.

Bruno Conti