Segnarsi Il Nome, Ne Vale La Pena! Sari Schorr – A Force Of Nature

sari schorr a force of nature

Sari Schorr – A Force Of Nature – Manhaton Records

Ogni tanto, dal nulla (ma ci sono sempre anni di gavetta e lavoro alle spalle, nel caso in questione, con Popa Chubby e Joe Louis Walker) sbucano nuove voci femminili interessanti: all’inizio dell’anno mi era capitato di parlarvi della finlandese Ina Forsman http://discoclub.myblog.it/2016/02/06/sorpresa-dalla-finlandia-ecco-grande-nuova-voce-blues-ina-forsman/ , di recente anche Annika Chambers http://discoclub.myblog.it/2016/10/12/nuovi-talenti-scoprire-annika-chambers-wild-and-free/ , e pure non scherza la canadese Colleen Rennison dei No Sinner http://discoclub.myblog.it/2016/05/17/anteprima-dal-canada-band-solida-cantante-esagerata-sinner-old-habits-die-hard/ , tutte, chi più chi meno, con diverse sfumature di genere, legate a quel filone rock-blues da cui discendono Beth Hart e Dana Fuchs, aggiungerei anche la svedese Erin Larsson dei Blues Pills http://discoclub.myblog.it/2016/08/09/nuova-razione-pillole-rivigorenti-rock-blues-dal-nord-europa-blues-pills-lady-gold/ . L’ultima arrivata è questa Sari Schorr, americana, “scoperta” da Mike Vernon, il grande produttore inglese nell’epoca d’oro del british blues, mentre era in trasferta al Blues Challenge di Memphis nel 2015 per ricevere il premio “Keeping The Blues Alive” e da lui vista nel corso dei concerti che facevano da contorno alla consegna dei premi.

Favorevolmente colpito dalle notevoli capacità vocali della “ragazza” Vernon ha deciso di produrle il disco di esordio, nei suoi studi spagnoli di Siviglia, portandosi come ospiti, alle chitarre, gente come Walter Trout, Innes Sibun (chitarrista inglese, già nella band di Robert Plant, anni fa) e l’ex giovane prodigio Oli Brown, anche lui inglese e tra i protetti di Vernon. Nel disco suonano dei musicisti spagnoli che non erano apparsi nei recenti dischi (discreti ma non esaltanti) del suddetto Vernon http://discoclub.myblog.it/2015/12/29/il-ritorno-dei-fondatori-del-british-blues-mike-vernon-just-little-bit/ : gente che risponde ai nomi di Quique Bonal, alla chitarra Julian Maeso, tastiere, Jose Mena, batteria e Nani Conde, basso, a loro agio in questo A Force Of Nature, grazie alla voce potente e grintosa della brava Sari, temprata nel rock, ma con venature blues e qualche tocco soul e jazz, più simile come timbro alle citate Dana Fuchs, Larsson o la Rennison che a Beth Hart, più eclettica e francamente di un’altra categoria, rendendo comunque il sound a tratti piuttosto duretto e di chiaro stampo rock-blues, con decise sterzate anche nell’heavy-rock, peraltro di buona qualità, dipanandosi però senza eccessive forzature verso derive fastidiose e pure un po’ tamarre.

Insomma un buon disco nell’insieme: molti i brani firmati dalla stessa Sari Schorr, a partire dal fluido blues-rock dell’iniziale Ain’t Got No Money, dove le chitarre di Bonal e Sibun sono molto presenti e sostengono le vigorose sfuriate vocali della signora https://www.youtube.com/watch?v=NfRl3onLHvI. Aunt Hazel, è sempre un brano rock, ma con vaghi sentori country got soul, la voce molto simile a quella della bravissima Dana Fuchs e le chitarre sempre pungenti, come pure nella suggestiva hard ballad Damn The Reason dove si gusta pure l’ottimo lavoro della solista di Oli Brown. Cat And Mouse introduce elementi funky-soul, con un intrigante wah-wah a dare pepe ad un brano impertinente e sbarazzino, con l’organo sempre di supporto al lavoro brillante della chitarra. La cover di Black Betty più che all’originale di Lead Belly, citato nell’avvio folk, ovviamente si rifà alla versione rock dei Ram Jam, con il classico riff, rallentato e sparato a tutta potenza, a duettare con la voce grintosa della Schorr. Work No More è un brano di Walter Trout, con lo stesso chitarrista americano impegnato alla solista, ben coadiuvato dalle tastiere di Dave Keyes, un ottimo blues elettrico dove la voce di Sari è più misurata e meno sopra le righe.

Anche Demolition Man viaggia ancora in territori blues, con Innes Sibun impegnato a una tagliente slide che punteggia il brano e Bonal alla solista, oppure è viceversa, non saprei, comunque il risultato è ottimo https://www.youtube.com/watch?v=4t_Qi9MM-Ys . Oklahoma ha un taglio più jazzato e raffinato, con la Schorr in grado di padroneggiare la sua esuberanza vocale, mentre Oli Brown lavora di nuovo di fino con la solista, con un solo ricco di feeling e tecnica, per un brano dal crescendo molto piacevole; Letting Go viceversa è una ballata più misurata e raccolta, ricca di raffinate sfumature vocali, con l’organo di Jesus Lavillas a dividersi gli spazi con la lirica chitarra di Sibun. Kiss Me è di nuovo un bel pezzo rock, ricco di riff e grinta, che poi lascia spazio ad una sorprendente e intensa cover di Stop In The Name Of Love, il classico Motown delle Supremes, che diventa una sorta di deep soul ballad di marca Stax, rallentata e rivoltata, in una operazione di restyling perfettamente riuscita, con la Schorr che la canta in modo splendido, da sentire per credere. E a confermare le grandi qualità della nostra amica, in conclusione troviamo una bellissima ballata pianistica come OrdinaryLife, dove si gusta ancora appieno il talento vocale di questa brava cantante. Segnarsi il nome, ne vale la pena.

Bruno Conti      

Il Tempo Si E’ Fermato E Nessuno Mi Ha Avvertito? – Mark Lindsay – Life Out Loud

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Mark Lindsay – Life Out Loud – Bongo Boy CD

Devo confessare che mi ero completamente dimenticato dell’esistenza di Mark Lindsay, ex voce solista di Paul Revere And The Raiders, una delle band più popolari in America a cavallo tra gli anni sessanta e settanta con la loro miscela di pop e garage rock (anche se il loro contributo alla storia della musica non si può certo definire determinante), con brani di successo come Kicks, Hungry, Good Thing ed il loro unico numero uno, Indian Reservation http://www.youtube.com/watch?v=zQ6RjP7MlXk

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Quando ho visto questo Life Out Loud, nuovissima fatica del cantante originario dell’Oregon, mi sono dunque stupito due volte (ho anche controllato che non fosse un altro musicista con lo stesso nome): la prima perché Mark non è mai stato molto prolifico da quando nei seventies ha lasciato i Raiders (il suo ultimo disco di brani originali, Video Dreams, è del 1996, dopodiché solo un album natalizio e qualche live), e la seconda, dopo averlo ascoltato, perché…è un disco della Madonna http://www.youtube.com/watch?v=qOEQL1MRXyI ! 

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Temevo infatti una mezza ciofeca, il classico disco di una vecchia gloria (in America direbbero has been) trascinata controvoglia in uno studio di registrazione per tentare inutilmente di rievocare i bei tempi che furono; niente di tutto ciò: Life Out Loud è un signor disco, fresco, diretto, cantato con grinta e convinzione e soprattutto suonato con una energia ed un feeling che non immaginavo.                                 

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Lo stile è quello classico che ha reso famoso il gruppo di Revere: un garage rock chitarristico con una spiccata sensibilità pop, un suono decisamente anni sessanta, ma che beneficia delle tecniche di registrazione odierne anche se le quattordici canzoni sono state incise come si faceva una volta, senza computers e pro-tools ma suonando e cantando dal vivo in studio, con pochissimi overdubs.                         

Anzi, la maggior parte dei brani (tutti originali e nuovi, non è un disco di vecchi successi re-incisi) è stato pubblicato senza essere remixato più di tanto, per dare l’idea della spontaneità e comunicare a gran voce che Mark non si è dimenticato come si fa del sano rock’n’roll.  

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Non conosco la discografia solista di Lindsay (*NDB Tre o quattro ai tempi dei Raiders, buoni e, tre o quattro in tempi recenti, niente di memorabile, quindi ha ragione Marco, questo è il migliore!) ma non mi stupirei che Life Out Loud venisse considerato il suo album migliore: gran parte del merito va certamente attribuito a Gar Francis, che ha scritto tutte le canzoni a quattro mani con Mark, ha prodotto il CD in maniera molto diretta e ha suonato tutti gli strumenti a parte la batteria (Richard Heyman e Kurt Reil) ed il basso (ad opera di Mike Caruso).  

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L’iniziale Baby Come Back mette subito le cose in chiaro: grinta a volontà, chitarre in tiro e la voce di Mark che sembra quella di quattro decadi fa. Siamo quasi dalle parti dei Creedence più elettrici, e non è poco. Anche Easy Street picchia duro, Mark canta come se non ci fosse domani e la batteria pesta di brutto: garage rock at its best.                                                                                                                           

La cadenzata Everything About You è decisamente sixties (a partire dal suono dell’organo), ma il suono è teso e diretto: se fosse uscita 45 anni fa sarebbe di certo entrata in classifica.                        

Sono stupito da questo inizio, Mark ha la grinta di un ragazzino (anzi, di più, vista la media dei ragazzi in giro oggi, e non solo in campo musicale) http://www.youtube.com/watch?v=uR7NJHV2QqA .  

                                                                                 

Rainy Day Children alza un po’ il piede dall’acceleratore, il suono si fa leggermente più morbido e pop, anche se non dovete aspettarvi una ballata (in questo disco non c’è spazio per brani lenti), mentre con l’essenziale Ghost Of A Girl si torna al rock’n’roll più puro e diretto.                                    

Like Nothing That You’ve Seen (nella quale troviamo un cameo vocale di Little Steven, grande amico e fan di Lindsay) ha un riff che ricorda Louie Louie, ed è una rock song potente con Mark perfettamente a suo agio (ed ascoltando questo brano appare chiaro come anche Tom Petty debba aver ascoltato parecchio i Raiders in gioventù), mentre Let’s Fly Away sembra presa pari pari da Nuggets http://www.youtube.com/watch?v=8VZOHtLj3yo . 

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 La saltellante I Can’t Slow Down è, appunto, un jumpin’ blues con assolo di sax da parte dello stesso Lindsay (qualcuno ha detto Thorogood?), la vigorosa Don’t Stop non abbassa l’asticella del ritmo, così come la bluesata Rush On You (con Myke Scavone all’armonica, vi ricordate dei Ram Jam e di Black Betty?), uno schiaffo in faccia senza neanche chiedere scusa.                                              

La bella New Thing è rock’n’roll deluxe, una delle migliori del CD, Show Me The Love è ancora tutta chitarre e sudore, così come i due pezzi conclusivi, la tesa Poco Loco Crazy e la rutilante Merry Go Round, una pop song coi fiocchi dalla deliziosa melodia, che chiude degnamente un album che, ripeto, mi ha stupito non poco.                                                                                                                  

Un disco d’altri tempi, come se Lindsay fosse stato ibernato nel 1970 e liberato solo ora.

Marco Verdi

P.s Anche questo disco in effetti sarebbe uscito a giugno del 2013, ma visto che parliamo di dischi da “carbonari” che si trovano a fatica, come diceva il buon maestro Manzi, non è mai troppo tardi. BC

Vecchie Glorie 12. Pat Travers – Live At The Bamboo Room

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Pat Travers – Live At the Bamboo Room – CD+DVD Purple Pyramid/Cleopatra

Spesso trovare un incipit per un articolo o una recensione è impresa ardua: ti infili in citazioni colte o ti rifugi in una battuta, magari scontata. Anche per gli artisti, soprattutto nei loro dischi dal vivo, non è un’arte facile da praticare. O hai un MC (Master of Ceremonies) rodato da mille battaglie (BB King, James Brown e i grandi artisti neri in generale) o stai facendo la storia del rock e lo fa per te un Bill Graham o qualcuno di simile nei grandi Festival oppure ancora ci sono quelle introduzioni “classiche”, semplici ma indimenticabili – From Los Angeles California, The Doors! A Man And His Guitar, Jimi Hendrix – e anche quelle selvagge che caricano il pubblico come per l’apertura del formidabile Kick Out The Jams degli MC5.

Nel suo piccolo anche Pat Travers in questo Live At The Bamboo si carica e “aizza” il suo pubblico con un iniziale: “ How you doin’ everybody, my name is Pat Travers, this is my band, we’re gonna kick your ass tonight…one, two, three, four” e parte una sparatissima Life In London, due chitarre, basso, batteria, del rock-blues ad alto potenziale, come se gli anni ’70 non fossero mai passati e gente come Travers continuasse a portare la bandiera di gente come Hendrix, il suo idolo, in primis, ma anche dei vari Ted Nugent, Frank Marino, Robin Trower, più raffinato e bluesy, i Thin Lizzy o Rory Gallagher con una classe superiore, gli hard rockers della seconda e terza generazione che hanno sempre tenuto alta la bandiera del genere, con cadute di gusto e qualità, come lo stesso Travers, ma senza scadere nel metal più bieco, pur senza toccare le vette dei Led Zeppelin, Deep Purple, dei primi Black Sabbath, che so, dei Free o dei Bad Company, i primi Aerosmith e mille altri che non citiamo. Pat Travers arriva sulle scene a metà anni ’70, dal Canada, scoperto da Ronnie Hawkins e portato in Inghilterra dove viene messo sotto contratto dalla Polydor e partecipa al Rockpalast nel 1976

Già dal secondo album, Makin’ Magic del 1977, il batterista della band è Nicko McBrain, che poi troverà fama e fortuna negli Iron Maiden, nel quarto album arriva il secondo chitarrista solista Pat Thrall e nello stesso anno, 1979, esce Live, Go For What You Know, che è  forse il disco da avere della sua discografia, e che contiene una versione gagliarda di Boom Boom Out Goes The Light di John Lee Hooker che rimane tuttora una dei suoi cavalli di battaglia, presente in Bamboo Room. Questo nuovo CD con DVD allegato, o viceversa, di Pat Travers riprende i temi dei suoi album migliori, un misto di brani originali, come alcuni dei suoi più grandi successi, Snortin’ Whiskey, Drinkin’ Cocaine scritta dalla coppia Travers/Thrall, Crash And Burn, Heat In The Street e alcune delle cover più riuscite della sua carriera. I’ve Got News For You dal repertorio di Ray Charles, ma perché ce lo dice lui, dalla violenza che si sprigiona dalle chitarre non si direbbe, Black Betty, scritta da Leadbelly, ma conosciuta da tutti nella versione durissima dei Ram Jam. Riprese di classici del blues come Death Letter di Son House, If I Had Possession Over Judgment Day dal repertorio di Robert Johnson o una sudista Statesboro Blues, scritta da Blind Willie McTell, ma qui nella versione resa celebre dagli Allman Brothers, con le due soliste usate all’unisono, come avviene peraltro spesso nel corso del concerto, l’altro chitarrista Kirk McKim è pure lui un ottimo manico, e ben si amalgama con la solista e la slide di Pat Travers,

Il brano appena citato, insieme a Rock’n’Roll Susie, appare solo nella versione CD del live, mentre la versione eccellente di Travers di Red House di Jimi Hendrix appare solo nel DVD, ma questi sono i misteri imperscrutabili della discografia, visto che comunque i due supporti vengono venduti insieme. Nel finale del concerto appaiono anche alcuni dei vecchi componenti della Pat Travers Band originale e devo dire che complessivamente il concerto è molto meglio di quanto mi aspettavo, non solo vecchie glorie o meglio ci sono, ma “vivi e vegeti” e in grado, soprattutto dal vivo, di fare ancora della buona musica; registrato a dicembre del 2012 in quel di Lake Worth, Florida, del sano hard rockin’ blues di grana grossa, ma ricco anche di finezze e tanta energia, gli appassionati del genere sanno di cosa stiamo parlando ed il disco è assolutamente valido.

Bruno Conti     

Come Se Gli Anni ’70 Non Fossero Mai Passati! Blindside Blues Band – Doppia Razione.

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Blindside Blues Band – Rare Tracks – Grooveyard Records

Blindside Blues Band – Smokehouse Sessions Volume Two – The Blues Is Evil – Grooveyard Records

Ascoltando questi due nuovi dischi (usciti in contemporanea) della Blindside Blues Band del chitarrista e cantante Mike Onesko sembra di avere preso una macchina del tempo con fermata anni ’70 quando il rock-blues e il power-trio imperavano e la chitarra elettrica era lo strumento principe del rock. Non lo dico in una accezione negativa del fenomeno, ogni tanto non mi dispiace ascoltare dischi come questi, solo del sano rock(blues) come Dio comanda, senza tanti fronzoli e elucubrazioni sonore, un buon “manico” che ti riporta ai grandi chitarristi del passato.

Senza neanche tirare fuori dalle loro belle custodie i vecchi dischi della vostra collezione (ci sono, ci sono, li vedo lì, un po’ nascosti ma, tutto sommato neanche troppo polverosi): e allora nel Rare Tracks che raccoglie brani registrati nel corso di varie BBC Sessions tra il 2004 e il 2008, scorrono canzoni più o meno “gloriose” come Freedom di Jimi Hendrix, I Can’t Wait Much Longer della coppia Frankie Miller-Robin Trower (forse il musicista che accosterei di più a Onesko), I’m Your Captain dei “mitici” (come direbbe il Galeazzi/Savino) Grand Funk Railroad degli esordi che andrebbero rivalutati perché erano veramente bravi. Ma anche Black Betty che è un brano firmato Ledbetter ma che tutti conoscono nella versione super riffatissima dei Ram Jam, tamarra quanto volete ma sempre trascinante.

E che dire della You Don’t Love me di Bo Diddley ma che tutti conoscono nella versione dell’Allman Brothers Band? Poteva mancare un brano dei Led Zeppelin in questo festival dell’hard rock? Certo che no e quindi vai con una tiratissima No Quarter. Mi aspettavo anche qualcosa di Black Sabbath e Deep Purple viste le atmosfere evocate ma anche se non appaiono direttamente nei brani “originali” di Onesko due o tre(cento) riff copiati (pardon, ispirati da…) non si negano a nessuno.

La chitarra di Onesko è addirittura torrenziale, un assolo tira l’altro, la voce è satura di eco e la sezione ritmica è rocciosa come poche, nelle Smokehouse Sessions ogni tanto fa capolino anche un timido organo e nel materiale contenuto in questo secondo disco spiccano un paio di brani firmati da Willie Dixon, travolti da un’orgia chitarristica di devastante potenza si intuiscono una classica Evil dal repertorio di Howlin’ Wolf e sempre del “Lupo Ululante” una Ain’t Superstitious che quasi tutti i non puristi del Blues ricordano nella versione di Jeff Beck. C’è anche un’altra cover Hendrixiana, l’immancabile Hear My Train A Comin’. Non male la cavalcata slide in Mojo Highway!

In definitiva due dischi indicati per chi ama il suo blues molto (ma molto) rock ma non disprezzabili, da maneggiare con cura ma quando siete in vena di spararvi un’oretta di riff e assoli di chitarra come piovesse potrebbe capitarvi di peggio. E poi questo Mike Onesko non sarà raffinatissimo ma la sua tecnica chitarristica, brutale e diretta, potrebbe regalare delle gioie agli amanti dell’hard blues rock che ancora non lo conoscono, e sì che dischi con la sua band non ne ha fatti mica pochi!  Aggiungiamone due!

Bruno Conti