Trent’anni (Anzi 31) E Non Sentirli! Black Crowes – Shake Your Money Maker Deluxe Edition

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Black Crowes – Shake Your Moneymaker 30Th Anniversary Edition – Ume/Universal 3 CD

La ristampa di Shake Your Money Maker dei Black Crowes esce in una quantità spropositata di versioni (CD singolo, doppio e triplo, soft pack e Super Deluxe Edition, LP e 4 LP): avrebbe dovuto essere pubblicata lo scorso anno (ma è arrivata la pandemia a rovinare il tour commemorativo dopo poche date) per festeggiare un album che nel febbraio del 1990 riportava in auge il caro vecchio rock, prima dell’avvento del grunge, e presentava una formazione che era innamorata del classic rock di Stones, Faces, Humble Pie, ma anche Beatles e Rich Robinson aveva citato tra le influenze pure i primi Aerosmith, senza dimenticare Otis Redding, di cui incisero, proprio su Shake Your Money Maker, Hard To Handle, e i Led Zeppelin, celebrati anni dopo in Live At the Greek, insieme a Jimmy Page. Nel nuovo tour della reunion, sospeso ed ora previsto per il 2021 (ma sarà possibile?), in effetti si riuniscono solo i fratelli Chris e Rich Robinson, gli altri, per quanto bravi (?) sono tutti nuovi: Isiah Mitchell chitarra (Earthless e Void), il bassista Tim Lefebvre (ex Tedeschi Trucks Band), il tastierista Joel Robinow e il batterista Raj Ojha, non mi sembrano proprio di prima fascia, specie dovendo riproporre il vecchio repertorio e non nuove canzoni (o forse sì?).

black crowes shake your money maker 1 cd

Tornando alla nuova ristampa vediamo i contenuti del triplo: il disco originale, prodotto da George Drakoulias, che li aveva scoperti in Georgia un paio di anni prima, quando si chiamavano ancora Mr. Crowe’s Garden e messi sotto contratto per la Def American di Rick Rubin (indicato in copertina come produttore esecutivo, ma solo dopo il successo del disco), che agli inizi era soprattutto una etichetta di Metal e Rap, lo conosciamo tutti. Dieci brani, più una breve traccia nascosta, dove accanto ai fratelli Robinson, che scrivono anche tutte le canzoni, ci sono l’ottimo secondo chitarrista Jeff Cease, scomparso abbastanza presto (ora è il chitarrista di Eric Church) , Steve Gorman alla batteria, sempre presente, Johnny Colt al basso nei primi quattro album, i migliori, e alle tastiere “l’ospite” Chuck Leavell, che fa un grande lavoro di raccordo. Ci sono almeno tre super classici, ma tutto il disco è un solido album da 4 stellette (in questa edizione espansa anche mezza di più), che venderà complessivamente oltre cinque milioni di copie, trasformando i Black Crowes in un gruppo di enorme successo, tanto che il Melody Maker li definì con una iperbole “il gruppo rock’n’roll più rock’n’roll del mondo”, magari esagerando un tantinello https://www.youtube.com/watch?v=YemrzS7X4e8 . Per i “ricchi” c’è anche una versione Super Deluxe, che però ha lo stesso contenuto di quella soft pack, salvo per i memorabilia.

black crowes shake your money maker 3 cd super deluxe

Si inizia a godere con Twice As Hard, subito riff come piovesse, poi arriva la voce potente di Chris, le chitarre iniziano a ruggire, modalità normale e slide, mentre macinano sano R&R, Jealous Again è anche meglio, pianino di Leavell pronto alla bisogna, voce di Robinson pimpante, come se Rod Stewart non avesse smesso di essere il frontman dei Faces da una vita, e fratello Rich si spara un “assolino” gustoso. Ma non scherzano anche i pezzi “minori” come Sister Luck, una ballatona mid-tempo stonesiana dalla melodia deliziosa, Could I’ve Been So Blind, un altro potente R&R senza tempo, come pure le volute rock’n’soul della delicata Seeing Things, che profumano di Sud, anche grazie alle armonie vocali di Laura Creamer e all’organo sontuoso di Leavell, come ribadisce la splendida cover di Hard To Handle di Mr. Pitiful in persona Otis Redding, dove rock e soul convergono ancora alla perfezione, come se lo avessero inventato loro, e quelle chitarre tirano veramente di brutto. Sarà anche tutto derivativo, ma un bel “e chi se ne frega” lo vogliamo dire: Thickn’ Thin va di boogie-rock scatenato come non ci fosse un futuro (ma un passato di qualche vecchio vinile dei Faces o degli Humble Pie sì), la band è solida è affiatata, la produzione di Drakoulias chiara e nitida, con tutti gli stumenti e le voci ben evidenziate.

black crowes shake your money maker 3 cd

Poi arriva She Talks To Angels, un’altra piccola meraviglia, una ballata introdotta da una chitarra acustica, che poi diventerà a sua volta un classico del rock degli ultimi 30 anni, l’organo di Leavell che pennella, la ritmica perfetta e pressante nel creare un crescendo come insegnano sui Bignami della migliore musica, discreto ma coinvolgente. Struttin’ Blues non avrebbero potuto farla meglio neppure gli Humble Pie dei tempi d’oro, Steve Marriott all’epoca avrà approvato di sicuro, e anche oggi da lassù guarderà con benevolenza questi suoi “discendenti” che maltrattano le chitarre come riportano i comandamenti del R&R, che poi si ripetono anche nella conclusiva Stare It Cold, un’altra torbida e perversa dimostrazione, con uso slide, dell’assioma “it’s only rock’n’roll but we like it”, in coda la breve Mercy, Sweet Moan è solo un intramuscolo blues che chiude uno dei classici esordi della storia del rock, in seguito faranno anche meglio.

UNITED STATES - JANUARY 01: HOLLYWOOD Photo of BLACK CROWES, at the Sunset Marquis Hotel (Photo by Ian Dickson/Redferns)

UNITED STATES – JANUARY 01: HOLLYWOOD Photo of BLACK CROWES, at the Sunset Marquis Hotel (Photo by Ian Dickson/Redferns)

CD 2 Unreleased Songs & B-Sides Charming Mess è un altro omaggio ai Faces più infoiati, secondo qualcuno potrebbe essere Hot Legs di Rod Stewart con solo le parole cambiate, ma pianino malizioso e chitarre super riffate non mancano https://www.youtube.com/watch?v=OCnr8X3F6vE , poi si passa ad una bella cover di 30 Days In The Hole degli Humble Pie, ma più “impasticcata”, come si fossero gemellati con i Mott The Hoople e gli Stones, comunque sempre una goduria, sentire che chitarre e anche Don’t Wake Me “tira” di brutto, twin guitars come neanche i Lynyrd Skynyrd superati a destra a tutta velocità e Jealous Guy di John Lennon diventa molto bluesy, grazie a piano e organo, con quel cantante che sembra sempre il miglior Rod Stewart, quando non scherzava un c..zzo, ma che è capace di regalarci ballate avvolgenti come pochi altri hanno saputo fare, sentire per credere la deliziosa Waitin’ Guilty, che si anima subito tra slide malandrine e organi hammond comprati in qualche negozio vintage https://www.youtube.com/watch?v=SvL9IeKlOg8 . Niente male, per usare un eufemismo, anche la versione con fiati aggiunti di Hard To Handle, quasi più Stax degli originali di Steve Cropper e soci, quando si “divertivano” con Otis, mentre le due canzoni unplugged, Jealous Again, per sola voce, chitarre acustiche e battito di mani e She Talks To Angels,con piano alla Elton John “americano” e tamburello aggiunti all’acustica, sono solo incantevoli. Meno interessanti, ma comunque gradevoli i due brani dell’era Mr. Crowe’s Garden, con florilegi country-folk, quando non avevano forse ancora deciso se diventare i nuovi Stones/Faces, ma Rod Stewart, quello dei dischi solisti, era già un modello, versioni ruspanti, anche a livello tecnico di registrazione, di She Talks To Angels, e dalla aia di casa Robinson, una Front-Porch Sermon molto country campagnola (uhm, un ossimoro) con tanto di banjo aggiunto.

black crowes 1990

Quando a dicembre tornano trionfanti ad Atlanta dopo un tour micidiale (magari anche con qualche scazzottata tra i fratelli), come direbbe Abantuono sono diventati una “putenza”, ed ecco nel CD 3 un fantasmagorico concerto, 14 brani + introduzione, dove i Robinson e soci a questo punto hanno fatto una scelta, o forse no, tra Stones, Faces, Humble Pie, Led Zeppelin e Lynyrd Skynyrd, tutti rollati in uno. Ripeto, non saranno originali, ma cazzarola, averne di “imitatori” così. I Corvi Neri non prendono prigionieri: Cease, che sarà sostituito a breve da Marc Ford, è un fior di chitarrista ed insieme a Rich dà vita a delle sismiche sarabande rock, mentre le immancabili tastiere aggiungono quel tocco di raffinatezza che se non sei un power trio, fanno anche la differenza. Visto che nella versione tripla soft pack quasi te lo regalano, il concerto comunque sarebbe da avere anche come manufatto a sé stante: si parte con Thick’N’Thin con Jeff Cease, chiamato a gran voce da Chris, che comincia a darci dentro alla grande nel Black Crowes Rock And Roll Show, mentre Rich gli risponde da par suo nella “outtake” degli Stones che è You’re Wrong, energia misurata nel potenziometro rock pari a 10, quando arrivano Twice As Hard il pubblico è già sudato ed eccitato come una colonia di maiali, e loro reiterano con l’epitome di quel che si usa definire hard ballad, ma con chitarre a destra e manca, anche con bottleneck alla bisogna. Eccellenti anche Could’ve Been So Blind e Seeing Things (ma ce n’è qualcuna scarsa?) https://www.youtube.com/watch?v=JCHVptbP0OI , altre fabbriche di riff all’ingrosso, la seconda che dà un attimo di tregua al pubblico, grazie al lavoro “sudista” di organo e piano e ad una interpretazione quasi dolente di Chris Robinson, che rispolvera i suoi vecchi vinili di soul music per un veloce ripasso della materia, prima di gettare il pezzo da novanta di una superba She Talks To Angels con il pubblico in delirio https://www.youtube.com/watch?v=ziURlpcUIfA .

black crowes 1990 2

Prosegue la sezione meno assatanata del concerto con Sister Luck, uno dei loro brani stonesiani fino al midollo, in questa versione dal vivo molto ispirata e vicina alla perfezione, poi si innesta la quinta marcia per una poderosa Hard To Handle, che viene seguita dalla cover di Shake ‘em On Down di Fred McDowell che da blues del Delta diventa rock and roll da stadio con wah-wah e bottleneck a manetta, mentre Get Back dei Beatles viene proposta in una versione “brutta e cattiva” tiratissima, con accelerata nel finale e nella successiva e dura Struttin’ Blues si rende omaggio al sound dei Led Zeppelin di Page e Plant, con i fratelli nei rispettivi ruoli, in un anticipo del futuro Live At The Greek. Words You Throw Away, che era uscita come B-Side del singolo Hotel Illness diventa un tour de force di oltre tredici minuti dove la band esprime tutta la sua potenza devastante, ma anche all’interno del brano momenti di calma https://www.youtube.com/watch?v=lRCR27o5O7s , per il finale si torna in modalità Humble Pie per Stare It Cold con le due chitarre ad inseguirsi https://www.youtube.com/watch?v=LyScXLWdDUA  e poi tra Faces e derive sudiste per una sanguigna Jealous Again dove anche il piano fa sentire la sua presenza. Per una volta una ristampa dove i contenuti extra sono all’altezza del resto: ottimo ed abbondante.

Bruno Conti

Il Primo Disco Ufficiale Di Studio: Ma Anche Il Precedente Non Era Per Niente Male. Magpie Salute – Heavy Water I

magpie salute heavy water I

Magpie Salute – Heavy Water I – Mascot Provogue EU/Eagle Rock USA

Questo a tutti gli effetti sarebbe il secondo disco ufficiale dei Magpie Salute, ma coloro che devono a tutti i costi complicare le cose lo hanno presentato come il primo vero album ufficiale di studio della band (registrato a Nashville nei Dark Horse Studios), perché il primo omonimo era altresì composto prevalentemente da cover, a parte la traccia iniziale, e con un paio di pezzi ripescati dal repertorio dei Black Crowes: e oltre a tutto era quasi totalmente registrato dal vivo in studio. A questa stregua non dovremmo contare, per fare un esempio, molti dei primi dischi di Beatles o Stones, perché rientravano in queste caratteristiche, pochi brani originali e molte cover, oppure tanti dischi classici del rock registrati in parte dal vivo e in parte in studio, bah! Comunque al di là di queste quisquilie quello che conta è se il disco sia bello oppure no? E lo è, come pure il precedente, peraltro. La “Gazza” ha assestato la propria formazione ad un sestetto classico, dopo la scomparsa del tastierista Eddie Harsch, avvenuta durante la registrazione del primo CD. A fianco di Rich Robinson, voce e chitarra, Marc Ford, chitarra e voce, ed il cantante John Hogg, che firmano complessivamente tutte le dodici canzoni, troviamo il nuovo tastierista Matt Slocum, comunque già presente nel primo album, e la sezione ritmica con Sven Pipien al basso, anche lui proveniente dai Crowes, e Joe Magistro alla batteria, più gli ospiti Byron House al contrabbasso e Dan Wistrom alla pedal steel, e quindi niente voci femminili di supporto questa volta.

Si diceva che i pezzi in totale sono dodici, niente brani lunghi per l’occasione, solo due superano i cinque minuti, ma nel complesso il lavoro continuo delle chitarre e delle tastiere è sempre presente, forse meno jam e più sostanza, anche se al sottoscritto il primo disco eponimo era piaciuto parecchio https://discoclub.myblog.it/2017/06/06/quasi-black-crowes-the-magpie-salute-the-magpie-salute/ , ma Heavy Water I (che fa presupporre un secondo capitolo già annunciato per il 2019) è un emblematico album di rock che mette in evidenza tutte le classiche influenze dei Magpie Salute, che erano poi pure quelle dei Black Crowes ( e Chris Robinson ha anche messo in piedi una band, As The Crow Flies, solo per suonare il repertorio del suo vecchio gruppo), quindi rock anni ’70 alla Faces, Stones, Humble Pie, ma anche Led Zeppelin, Free, un po’ di psichedelia, qualche tocco country e molto southern, anche piccoli rimandi ai Beatles, nell’insieme, come direbbero quelli che parlano bene, un disco derivativo, con i piedi ben piantati nel passato, e proprio per questo ci piace parecchio, essendo suonato e cantato con passione e classe dai degni prosecutori di questi suoni classici e senza tempo. Mary The Gipsy, con finto applauso iniziale, è il classico pezzo heavy rock a tutto riff, tipico della famiglia Robinson, firmato infatti dal solo Rich, chitarre che impazzano a destra e a manca e ritmi gagliardi https://www.youtube.com/watch?v=AsZE6WVQl00 , che poi si stemperano nella eccellente High Water, la title track, quasi sei minuti aperti da un delizioso intreccio di chitarre acustiche, per una idilliaca ballata elettroacustica co-firmata da Hogg, che la canta quasi in souplesse, mentre elettrica e slide, come pure le tastiere allargano lo spettro sonoro di un brano che rimanda comunque alle sonorità dei Crowes, molto bello e raffinato anche l’arrangiamento vocale.

Send Me An Omen è di nuovo virata decisamente british rock, con elementi Free, Faces, Zeppelin, grazie alla voce ricca e potente di Hogg e alle chitarre arrotate di Robinson e Ford, senza perdere comunque il gusto per la melodia. For The Wind, l’altro brano che supera, di poco, i cinque minuti, mescola i Led Zeppelin bucolici del terzo album, con chitarre acustiche e tastiere in evidenza nella parte iniziale, poi si fa decisamente più varia, con ripartenze più dure e psichedeliche alternate a momenti più quieti di stampo folk-rock, molto bello anche il lavoro delle due soliste nella parte centrale; Sister Moon è il primo brano che porta la firma di Marc Ford (sempre con Hogg), con tracce dei Beatles dell’ultimo periodo, ma anche dei cantautori classici anni ’70, un pizzico di Nash e uno di Paul Simon, belle melodie, quindi lidi sonori diversi rispetto al precedente album, mentre Color Blind abbraccia anche tematiche razziali nella storia (autobiografica) di un giovane, metà svedese e metà africano, in una Londra indifferente, ovviamente parliamo di Hogg, che canta questo brano con quel pizzico di malinconia e rassegnazione che potrebbe rimandare, almeno come costruzione sonora, non certo nella voce, agli Stones dei brani meno tendenti al riff’n’roll, Un po’ di sana slide guitar e un piano insinuante ci introducono a Take It All,  un blues-rock abbastanza muscolare e tirato, con elementi southern e la grinta poderosa della voce di Hogg https://www.youtube.com/watch?v=ZNbMxuUlAfg .

Walk On Water, di nuovo scritta da Ford come la precedente, con il tema dell’acqua che ritorna, è un’altra bella ballata mid-tempo dal tempo danzante, con intrecci di chitarre acustiche ed elettriche, e anche le voci che lavorano coralmente, con qualche vago rimando al Tom Petty dei dischi solisti anche grazie al jingle-jangle delle chitarre. Hand In Hand profuma di nuovo di British folk-rock, quello un po’ indolente, a tempo di ragtime, del compianto Ronnie Lane o del primo Albert Lee, del periodo Heads, Hands & Feet, tra chitarre acustiche e piano accarezzati; You Found Me è uno dei tre brani scritti in solitaria de Rich Robinson, una deliziosa country song, con tanto di pedal steel, suonata da Dan Winstrom, e anche Can You See porta la firma del solo Rich, una tersa rock-song di nuovo con elementi sudisti, nell’intreccio incisivo delle chitarre acustiche che poi si aprono per lasciare spazio a delle grintose chitarre elettriche che regalano nerbo ad un altro brano che evidenzia la più ampia ricerca sonora delle “Gazze”, impiegata in questo album. Che si chiude sulle cadenze scandite delle bluesata Open Up, dove il piano insinuante di Slocum spalleggia con grinta le chitarre sempre con leggeri spunti psych, in un’altra traccia dove il sound d’assieme è spesso più importante del lavoro dei singoli. Non un capolavoro, ma un disco decisamente solido e convincente, destinato agli amanti di un rock classico ma variegato.

Bruno Conti

 

Quasi Black Crowes! The Magpie Salute – The Magpie Salute

the magpie salute

The Magpie Salute – The Magpie Salute – Eagle Rock/Universal 09-06-2017

Da una costola dei “Corvi Neri” ora arrivano le “Gazze”, che peraltro in ornitologia risultano essere della stessa famiglia. E anche musicalmente parlando nei Magpie Salute di “vecchi” Black Crowes ce ne sono ben tre, oltre al tastierista Eddie Harsch, scomparso nel novembre del 2016, ma presente tra i membri fondatori della nuova band ed alle registrazioni dell’album, insieme ai due chitarristi Rich Robinson Marc Ford e al bassista Sven Pipien. In effetti, guardando la foto di copertina, che li riprende di spalle, la formazione del gruppo conta su ben dieci elementi (quasi come la Tedeschi Trucks Band, altro riferimento sonoro, ma senza i fiati): oltre ai nomi citati ci sono anche Matt Slocum alle tastiere, il vocalist di colore John Hogg e il batterista Joe Magistro, tutti provenienti dalla band di Rich Robinson, che aveva registrato l’ottimo Flux lo scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/07/04/era-meglio-se-i-fratelli-rimanevano-insieme-rich-robinson-flux/ . Anzi, da quella band arriva pure la voce femminile di Katrine Ottosen, che insieme a Adrien Reju e Charity White, fornisce il consistente supporto vocale della pattuglia femminile, e per non farsi mancare nulla c’è anche un terzo chitarrista, Nico Beraciartua. Il loro omonimo esordio è stato registrato lo scorso anno dal vivo agli Applehead Studios per la serie delle Woodstock Sessions, mentre il primo brano, un inedito, firmato da Hogg e Robinson, Omission, è stato registrato live in studio, mi pare senza la presenza del pubblico ed il suono è veramente potente, il classico rock alla Crowes, con elementi Led Zeppelin, grazie alla voce di Hogg, e molto southern rock assai robusto robusto, con chitarre e voci ovunque.

Ma è la parte delle “cover” che è il piatto forte del disco, a partire da una Comin’ Home di Delaney & Bonnie che non ha nulla da invidiare all’originale, il classico rock got soul a tutto chitarre, soliste e slide che imperversano, armonie vocali importanti, ritmica solida e le tastiere a “colorare” il sound di Sud, e il pubblico apprezza. A proposito di “casa” What Is Home? era su Before The Frost dei Black Crowes, un altro pezzo tipicamente sudista dove si apprezza il lavoro del piano e dell’organo di Hearsch (o Slocum?), mentre la parte vocale, con molti musicisti impegnati al canto, ha un appeal quasi Westcoastiano, tipo i pezzi più rock di CSNY, con le chitarre più sognanti, ma sempre in tiro ed eccellenti intrecci melodici, d’altronde Ford e Robinson non sono i primi due che passano per strada, e nella lunga parte strumentale lo dimostrano. Wiser Time, da Amorica, in una versione sontuosa, rincara la dose, forse mancano il nome e la voce solista, ma per il resto sono proprio i Black Crowes, e si sente, oltre nove minuti di grande musica a ribadire la classe di questa “nuova” formazione, dove comunque ha sempre molta importanza l’impasto vocale d’assieme, ma l’ugola di Hogg è notevole, però è la parte strumentale che si gode al massimo, con continui assoli e rilanci dei diversi chitarristi, con le tastiere che svolgono un eccellente lavoro di raccordo. Goin’ Down South, una splendida incursione nel jazz, dal repertorio del vibrafonista Bobby Hutcherson, prevede proprio la presenza di questo strumento che apre la lunga parte introduttiva, prima di trasformarsi in una bella jam strumentale, liquida e ricercata, quasi alla Grateful Dead, con le chitarre che conquistano lentamente il proscenio, mentre piano e vibrafono lavorano ancora di fino sullo sfondo, su un eccellente groove della sezione ritmica, mentre il brano sfuma…

E anche War Drums, la cover del pezzo dei War, ha una forte propensione ritmica, con un rotondo giro del basso di Pipien ad introdurre le danze, prima che il tempo latin jazz e precussivo del brano venga sviluppato attraverso gli oltre nove minuti di durata del pezzo, di nuovo con le chitarre in grande spolvero, attraverso una serie di assoli incrociati e triplicati che virano quasi verso il jazz-rock e la fusion e derive santaneggianti. Vista l’aria di Woodstock che si respira nelle sessions non poteva mancare un omaggio alla Band con una ripresa di Ain’t No More Cane, molto rispettosa dell’originale, con gli splendidi intrecci vocali della band di Levon Helm, Rick Danko, Richard Manuel Robbie Robertson (per non parlare di Garth Hudson, ma lui non cantava) rivisti attraverso l’ottica dei Magpie Salute, che in questo brano è molto vicina allo spirito della canzone originale, musica del Sud, registrata nel profondo Nord del continente statunitense, la vera musica “Americana”. E non mancano neppure gli omaggi al lato ispiratore “inglese” dei vecchi Crowes, prima i Pink Floyd, con una bella Fearless, ripresa da Meddle, e di cui viene accentuato lo spirito americano, senza dimenticare il lavoro della slide di Gilmour, qui a cura di Rich Robinson, che canta anche il brano, mentre il lato più “cialtrone” e rock dei “Corvi” è insito nella rivisitazione di Glad And Sorry dei grandi Faces, una sorta di  nostalgica rock ballad che ricordiamo su Ooh La La, nella interpretazione del suo autore, il compianto Ronnie Lane. Come sapete non amo molto il genere, ma la versione di Time Will Tell di Bob Marley & The Wailers, già su The Southern Harmony and Musical Companion dei Black Crowes, in questo Melting Pot di generi musicali ci sta perfettamente e chiude alla grande un ottimo album. Quindi salutiamo la gazza perché Rich Robinson (e la superstizione) ci dicono che non farlo porta male, ma la musica basta e avanza, anche se attendiamo altri capitoli. Esce venerdì 9 giugno anche questo.

Bruno Conti

Un Fratello Tira L’Altro. Chris Robinson Brotherhood – Anyway You Love, We Know How You Feel

chris robinson brotherhood any way you love

Chris Robinson Brotherhood – Anyway You Love, We Know How You Feel – Silver Arrow

A poco più di un mese dall’uscita del disco del fratello Rich http://discoclub.myblog.it/2016/07/04/era-meglio-se-i-fratelli-rimanevano-insieme-rich-robinson-flux/, esce, sotto l’egida della fratellanza, o della confraternita, se preferite, il nuovo album di studio di Chris Robinson, Anyway You Love, We Know How You Feel, il quarto in compagnia del suo gruppo, che per questo CD presenta una nuova sezione ritmica, Tony Leone (vecchio collaboratore di Levon Helm, ma anche della figlia Amy negli Olabelle, di recente con Anders Osborne, pure lui provetto mandolinista oltre che batterista) e Ted Pecchio, bassista (con Susan Tedeschi Derek Trucks, Shemekia Copeland e di recente anche con Rich Robinson). Come vedete anche se i fratelli al momento non si frequentano, per certi versi si rincorrono, pur se questo nuovo disco di Chris segnala, in alcuni brani, una sorta di svolta più marcata in direzione di sonorità più funky, soul e roots, evidenziando meno il rock chitarristico e psichedelico dei dischi precedenti, che è comunque presente, Diciamo che sommando i due album solisti dei fratelli Robinson ci avviciniamo molto complessivamente al suono dei Black Crowes, ma se la incompatibilità di carattere, speriamo momentanea, non permette la reunion agognata, accontentiamoci perché entrambi hanno realizzato degli ottimi album.

In effetti  il precedente Phosphorescent Harvest non aveva avuto critiche unanimi favorevoli (anche se al sottoscritto era piaciuto), ma questo nuovo Anyway You Love, We Know How You Feel, per la prima volta prodotto in autonomia dal gruppo, evidenzia come al solito i punti di forza dei Brotherhood, ovvero le chitarre di Neal Casal e le tastiere di Adam MacDougall, oltre alla voce di Chris Robinson, sempre potente e duttile, impegnato anche ad armonica e alla seconda chitarra. Gli ospiti sono un paio, Barry Sless, alla pedal steel, proveniente dal giro Jefferson Starship, oltre che dai Great American Taxi e dalla band di Phil Lesh, nonché Meg Baird, cantautrice e voce solista del gruppo psych-folk Espers (in stand-by dal 2009) alle armonie vocali nell’ottimo brano Forever As The Moon, un ottimo pezzo che mi ha ricordato il suono della Tedeschi Trucks o delle vecchie revue soul-rock di inizio anni ’70, con la slide di Casal veramente efficace nell’aggiungere il consueto retrogusto stonesiano, mentre la voce di Chris stranamente in questa canzone mi ha ricordato il timbro di David Bowie o Elliott Murphy, se mai si fossero cimentati con questo stile. grande canzone, con pianoforte e interventi vocali sontuosi, un bel drive e un approccio roots simile alle ultime prove dei “Corvi”, bene come si diceva il piano di MacDougall e in chiusura piccoil interventi dell’armonica. Che è più utilizzata nell’iniziale Narcissus Soaking Wet, dove si veleggia verso un funky-rock molto seventies, tra clavinet, mouth harp, chitarra con wah-wah e una atmosfera vagamente vicina a certe cose del miglior Stevie Wonder del periodo d’oro (che però sono ormai quasi 40 anni che non fa un disco decente). Le tracce sono sempre tra i cinque e i sette minuti, ma oltre a curare la parte strumentale Chris Robinson si conferma come è sua tradizione ottimo autore di canzoni, perciò non solo grooves, ma pezzi composti da una melodia, un ritornello e quindi con tutti i crismi della buona musica.

Persino quando ritmi e approccio sonoro si avvicinano a quello più jam dei Grateful Dead (grande passione di Casal) o dei loro discepoli Phish, come nella lunga Ain’t It Hard But Fair, il pezzo ha comunque un suo appeal e una piacevolezza acuita anche dalla bravura dello stesso Casal e di MacDougall nel colorire il tutto con classe e misura. Give Us Back Our Eleven Days è una breve traccia strumentale di impronta vagamente “spaziale”, sempre con i Dead in mente, niente di memorabile, mentre la “campagnola” Some Gardens Green, tra chitarre acustiche, tastiere sognanti e un racconto più intimo, è una bella ballata dall’andatura caratterizzata da un leggero affascinante crescendo. Diverso il discorso per Leave My Guitar Alone, che mette in chiaro il contenuto fino dal titolo ed è il pezzo più vicino al classico sound dei Black Crowes, un boogie-rock tagliente dove Neal Casal è libero di dare libero sfogo alla sua chitarra tra riff e soli, ottimi anche il lavoro delle tastiere e il coretto vagamente divertito e beatlesiano. Tastiere di Adam MacDougall che hanno ancora libertà di improvvisare in piccole jam con la chitarra anche nella piacevole Oak Apple Day, di nuova vicina a certi brani di studio dei Grateful Dead. Conclude California Hymn, sulle ali di una sognante pedal steel, un classico suono West Coast (tipico di quei signori barbuti e capelloni che ci guardano dalla copertina del CD) come di più non si potrebbe fare, con tracce country e gospel, oltre all’immancabile roots rock di marca Robinson, ottima conclusione di un album più che positivo. Se fosse il risultato di una partita tra i fratelli Rich e Chris, direi 1-1 palla al centro, un pareggio movimentato e di buona fattura, per entrambi.

Bruno Conti 

P.s Mi scuso ma nel weekend ci sono stati problemi tecnici nel Blog, ed essendo agosto non è stato possibile risolverli. Sperando che non ripetano riprendiamo con nuovi Post.

Ma Non Era Meglio Se I Fratelli Rimanevano Insieme? Forse, Ma Il Disco E’ Bello Comunque! Rich Robinson – Flux

rich robinson flux

Rich Robinson – Flux – Eagle Rock

Naturalmente la risposta al quesito posto nel titolo del Post è pleonastica, o se preferite altri sinonimi, ovvia, scontata, superflua, e quindi è un bel sì! Perché in effetti musicalmente gli album dei due fratelli Rich Chris Robinson, dopo lo scioglimento dei Black Crowes, sono molto simili (anche se non parrebbe) a quelli del gruppo originale: ovvero, in teoria quelli di Chris con i Brotherhood sono più orientati verso un sound psichedelico, da jam band, lunghi brani ricchi di improvvisazioni chitarristiche affidate alla solista di Neal Casal, ma anche pezzi intrisi delle radici rock-blues e southern, senza dimenticare gli amati Stones Faces. Invece quelli di Rich pure; o meglio, come appare evidente anche in questo Flux, il fratello minore, anche perché non provvisto della voce poderosa del fratello, spesso si affida a brani mid-tempo, più liquidi e sognanti, anche se non mancano le tracce dove il sound del vecchio gruppo prende il sopravvento e le chitarre si fanno più cattive e “lavorate”, i ritmi si fanno serrati e il rock domina. Allora non era meglio se stavano insieme, unendo le forze di un grande chitarrista e di un grande vocalist e autore? Certamente, ma i problemi non sono di carattere musicale ma caratteriale, i Black Crowes si erano già separati anche in altre occasioni nella loro traiettoria musicale e gli “scazzi” fra i due ci sono sempre stati stati, anche nei periodi migliori.

Quindi godiamoci i dischi solisti di entrambi (a fine luglio è annunciato anche quello nuovo di Chris Robinson Brotherhood) e constatiamo che Rich Robinson dai tempi del suo esordio solista Paper del 2004, e attraverso una serie di album ed EP, ripubblicati quest’anno dalla Eagle Rock, ha avuto una crescita continua e costante a livello qualitativo e come autore, e questo Flux è il suo disco migliore in assoluto: ricco di brani legati al suono della vecchia band, quindi fiammate rock-blues, richiami stonesiani, ma anche divagazioni nel suono West Coast e in quello southern, come pure aperture melodiche, brani che nella struttura, anche per il tipo di voce di Rich, mi hanno ricordato certe cose del primo George Harrison solista, quello di All Things Must Pass per intenderci, dove rock, melodia e jam andavano a braccetto. Qualcuno potrà dirmi che lo stesso si può dire dei dischi di Chris, magari sostituendo Harrison con Rod Stewart, Jagger o Steve Marriott, ma poi il risultato è abbastanza simile. Cosa posso dirvi? E’ vero, sono d’accordo: l’importante è che siano i contenuti a prevalere e mi sembra che in questo CD, anche se non possiamo gridare al capolavoro, i motivi per rallegrarsi sono parecchi. Accompagnato da un ottimo gruppo di musicisti: Joe Magistro alla batteria, Zack Gabbard al basso (solo nel brano iniziale, nel resto del disco lo suona lo stesso Rich) e Matt Slocum alle tastiere (in alternanza a Marco Benevento), il nostro, che compone tutti i brani e produce l’album, registrato negli Applehead Studios di Woodstock, NY, ci regala 13 brani ricchi di spessore.

Si va dall’iniziale The Upstairs Land, un classico brano rock à la Crowes con organo e chitarre ben presenti che poi lasciano spazio alla guizzante slide di Rich, semplice ma efficace, passando per Shipwreck, abbastanza simile al precedente, sempre del sano rock anche se un filo più funky, con gli spunti di chitarra che sono sempre il punto forte del pezzo e ancora The Music That Will Lift Me, il primo “singolo” tratto dall’album, dove la presenza dell’ospite Charlie Starr dei Blackberry Smoke (visti dal vivo a Milano qualche giorno fa, ottimi, non posso che confermare il giudizio), aggiunge una quota country-soul-southern che potrebbe ricordare gli amati Stones ma anche gli Allman Brothers del periodo Brothers And Sisters, con chitarre in libertà. Molto buona anche Everything’s Alright, con il piano di Slocum in bella evidenza, come pure la voce della nera veterana Daniela Cotton che aggiunge una quota soul, o meglio rock got soul e grazie agli intrecci della ritmica, sempre incentrata sul lavoro dell’ottimo Magistro, batterista assai eclettico, siamo dalle parti della Tedeschi Trucks Band, mentre Eclipse The Night, con doppia tastiera, tra cui un bel piano elettrico, voce filtrata per coprire le piccole magagne della voce di Rich (che non è il fratello), e un bel solo di wah-wah a movimentare il mood del brano, ricorda il sound dei dischi passati.

Bellissima Life, uno di quei brani elettroacustici mid-tempo, a metà strada tra west coast psichedelica e l’Harrison pastorale ricordato prima, con sognante intermezzo strumentale, come pure ottima Ides Of Nowhere, molto sixties nella sua costruzione sonora legata al lavoro della chitarra e niente male anche Time To Leave, dove Rich Robinson suona tutti gli strumenti con l’eccezione delle tastiere e compresa la batteria, altra bella ballata con il piano di Benevento in evidenza, un brano quasi da cantautore classico, leggermente van morrisoniana. Come lo è, almeno nel titolo, la successiva Astral, che viceversa ci riporta al classico southern sound degli Allman più raffinati, di nuovo con il lavoro di Magistro alla batteria molto vario e incalzante. John Hogg, vecchio compagno di avventura negli Hookah Brown, ritorna per unire la sua voce a quella di Rich per un’altra eccellente ballata come For To Give, che non ha nulla da invidiare alle migliori canzoni dei Black Crowes (e, insisto, sempre al George Harrison più volte citato). Which Way Your Wind Blows, il brano più lungo dell’album, è psichedelia allo stato puro, voce filtrata e sognante, piano elettrico e una chitarra fuzzata e acidissima, con Surrender che ci riporta al rock classico dei migliori Black Crowes, con la chitarra che vola agile e sicura, prima del finale zeppeliniano della tirata Sleepwalker, direi epoca Houses Of Holy, con batteria marcata, tastiere e chitarre acustiche a circondare la voce di Robinson che ci regala un ultimo assaggio della sua destrezza alla solista. Vedremo se la “pausa di riflessione” dei fratelli avrà sbocchi positivi, per il momento, come diceva Nero Wolfe ad Archie Goodwin, “soddisfacente”

Bruno Conti

Novità Di Giugno, Terza Decade. Neil Young, Jerry Garcia, Rich Robinson, Felice Brothers, Royal Southern Brotherhood, Eggs Over Easy, Yardbirds, Sam Bush

neil young earth

Ecco le uscite più interessanti della terza decade del mese, previste per venerdì 24 giugno. Partiamo con il nuovo doppio CD dal vivo (o triplo LP, o download tramite Pono) di Neil Young con i Promise Of The Real: come è noto da tempo l’album si intitola Earth, etichetta Reprise e all’inizio di ogni brano il vecchio Neil ha inserito, diciamo, degli inserti ecologici, rumori della terra, uccellini vari, insetti, cani, rane, pure clacson di automobili e altro, ma anche, e soprattutto tredici brani Live molto interessanti, tra cui una poderosa Love And Only Love di oltre 28 minuti.

Questa è la tracklist completa:

[CD1]
1. Mother Earth
2. Seed Justice
3. My Country Home
4. The Monsanto Years
5. Western Hero
6. Vampire Blues
7. Hippie Dream
8. After the Gold Rush
9. Human Highway

[CD2]
1. Big Box
2. People Want to Hear About Love
3. Wolf Moon
4. Love and Only Love

Recensione completa nei prossimi giorni.

jerry garcia garcialive volume six

Tra una uscita e l’altra dei Grateful Dead esce anche il sesto capitolo della serie GarciaLive, triplo CD pubblicato dalla ATO Records, di nuovo con il tastierista e cantante Merl Saunders, il concerto è stato registrato al Lion’s Share di San Anselmo, CA, (un locale con una capienza di 200 posti, dove la band suonava spesso, quindi potremmo aspettarci altri capitoli della saga), e siamo al 5 luglio 1973, quindi più o meno all’epoca del Live At Keystone, ma il repertorio è differente. Nel secondo set c’è anche un trombettista aggiunto di cui è ignota l’identità, mentre la sezione ritmica è formato dai soliti John Kahn al basso e Bill Vitt alla batteria. C’è un medley di She’s Got Charisma That’s Alright Mama che dura più di 31 minuti e una versione di My Funny Valentine che ne dura quasi 20, comunque ecco la lista completa dei contenuti.

[CD1]
1. After Midnight
2. Someday Baby
3. She’s Got Charisma ->
4. That’s Alright, Mama

[CD2]
1. The System
2. The Night They Drove Old Dixie Down
3. I Second That Emotion
4. My Funny Valentine
5. Finders Keepers

[CD3]
1. Money Honey
2. Like A Road
3. Merl’s Tune ->
4. Lion’s Share Jam
5. How Sweet It Is (To Be Loved By You)

rich robinson flux

Primo album di materiale nuovo per Rich Robinson, dopo una serie di ristampe di album ed EP vari pubblicati nel 2016. Si intitola Flux, esce per la Edel il 24 giugno e contiene 13 brani scritti per l’occasione da Rich:

1. The Upstairs Land
2. Shipwreck
3. Music That Will Lift Me
4. Everything’s Alright
5. Eclipse The Night
6. Life
7. Ides Of Nowhere
8. Time To Leave
9. Astral
10. For To Give
11. Which Way Your Wind Blows
12. Surrender
13. Sleepwalker

Nel disco, registrato aglii Applehead Studios di Saugerties, NY, nella zona di Woostock, dove sono stati registrati altri album di Robinson, suonano Matt Slocum (tastiere), Marco Benevento (tastiere), Danny Mitchell (tastiere) Zak Gabbard (basso), Joe Magistro (batteria / percussioni), e John Hogg e Danielia Cotton alle armonie vocali. A fine luglio, il 29, è prevista anche l’uscita del disco del fratello Chris, come Chris Robinson Brotherhood Anyway You Love, We Know How You Feel

felice brothers life in the dark

Sempre a proposito di fratelli, in questo fine settimana è prevista l’uscita anche del nuovo album dei Felice Brothers Life In The Dark, etichetta Yep Rock. Come certo saprete Simone Felice, che chi scrive considera il fratello più bravo della famiglia, non fa più parte in modo stabile della band, salvo saltuarie partecipazioni, preferendo concentrarsi sulla sua carriera solista e sui dischi dei The Duke And The King, di cui attendiamo con ansia nuove prove. Comunque anche gli altri fratelli Ian James Felice sono bravi (come i fratelli Robinson) e continuano a fare buona musica per cui sentiremo con fiducia il nuovo album.

1. Aerosol Ball
2. Jack At The Asylum
3. Life In The Dark
4. Triumph ’73
5. Plunder
6. Sally!
7. Diamond Bell
8. Dancing On The Wing
9. Sell The House

Un paio di ristampe…

Eggs Over Easy Good 'N' Cheap The Story

Gli Eggs Over Easy, pur essendo americani, anzi californiani, per la precisione venivano da Berkeley, sono stati una delle punte di diamante del cosiddetto filone del pub rock inglese, quello da cui sono venuti in seguito anche Ducks Deluxe, Bees Make Honey e Dr. Feelgood, e più o meno in contemporanea anche i grandi Brisnley Schwarz di Nick Lowe e soci. Grande band che fu “scoperta” da Chas Chandler, l’ex Animals, manager orfano di Jimi Hendrix, che li portò nel 1971 agli Olympic Studios di Londra per incidere quello che avrebbe dovuto essere il loro album di esordio grazie ad un contratto con una grande major dell’epoca. Quando il contratto non si materializzò più, le registrazioni vennero accantonate, e nel 1972 il gruppo, questa volta negli Stati Uniti, registrò il proprio debutto Good’N’Cheap, pubblicato dalla A&M e con la produzione di Link Wray. Gli Eggs Over Easy avevano tre grandi songwriters nelle loro fila :Jack O’Hara, Austin de Lone e Brien Hopkins, soprattutto il secondo e proponevano un sound che miscelava country-rock, blues, rock classico, grandi armonie vocali alla CSN&Y, e appunto pub rock, ma non ebbero, purtroppo, nessun successo, pubblicando un secondo album, Fear Of Frying, uscito nel 1980 e passato nel dimenticatoio e poi ancora qualche singolo e delle compilations postume.

Ora la Yep Rock fa uscire questo doppio CD splendido (ma assai costoso, circa 30 euro per 2 CD, anche con un libretto di 24 pagine, mi sembrano eccessivi): il titolo dice tutto: Good ‘N’ Cheap: The Eggs Over Easy Story e raccoglie l’album di esordio, il secondo disco. le sessions del 1971 a Londra e due canzoni uscite su un singolo. Comunque questa è la lista completa dei contenuti del doppio.

 [CD1]
1. Party Party
2. Arkansas
3. Henry Morgan
4. The Factory
5. Face Down in the Meadow
6. Home to You
7. Song is Born of Riff and Tongue
8. Don’t Let Nobody
9. Runnin’ Down to Memphis
10. Pistol on a Shelf
11. Night Flight
12. I’m Gonna Put a Bar in the Back of My Car (& Drive Myself to Drink)
13. Horny Old Lady
14. Fire
15. Scene of the Crime
16. Forget About It
17. Louise
18. Lizard Love
19. You Lied
20. Driftin’
21. She Love Me
22. Action
23. Mover’s Lament
24. Nonnie Nookie No

[CD2]
1. Goin’ To Canada
2. I Can Call You
3. Right On Roger
4. Country Waltz
5. Give Me What’s Mine
6. Across From Me
7. Waiting for My Ship
8. January
9. Give and Take
10. Funky But Clean
11. I’m Still the Same
12. 111 Avenue C

Questa è proprio la classica band di culto, da conoscere assolutamente, anche se il prezzo del doppio dischetto che esce, come detto, per la Yep Rock, ripeto, mi pare eccessivo.

yardbirds live at the bbc

In attesa del nuovo CD di quel signore che vedete in primo piano nella foto qui sopra (esatto, Jeff Beck, del quale è in uscita appunto un nuovo album di studio il 15 luglio, e di cui leggerete prossimamente, prima sul Buscadero e poi sul blog, per ora mi limito ad un Uhm, chi vuol capire…). esce questa ennesima doppia compilation della Repertoire intitolata Live At The BBC e dedicata al gruppo in cui hanno militato anche Eric Clapton Jimmy Page, ovvero gli Yardbirds. Se volete il mio parere mi sembra una mezza fregatura: la stessa Repertoire aveva già pubblicato in passato, nel 2000 (ma si trova tuttora), un The BBC Sessions 1965-1968, singolo, ma con 33 pezzi, che raccoglieva le registrazioni di quel periodo glorioso. Ora, la nuova versione di brani ne riporta 40, ma otto sono interviste o interventi parlati, quindi vedete vobis. Vi inserisco la lista dei brani e poi decidete se vale la pena di (ri)comprare per l’ennesima volta questo materiale, considerando che anche nelle riedizioni dei vari album c’erano spesso delle bonus tracks e pure altre etichette hanno pubblicato in passato questi brani (On Air della Band Of Joy e BBC Sessions della Warner Archive)

CD1]
1. I Ain’t Got You
2. Interview: Keith Relf talks about the band’s background
3. For Your Love
4. I’m Not Talking (Tracks 1 – 4: Top Gear, Recorded 22nd March, 1965, Broadcast 10th April, 1965)
5. I Wish You Would
6. Interview: Paul Samwell – Smith talks about the recordingand the USA tour
7. Heart Full Of Soul (Tracks 5 – 7: Saturday Club, Recorded 1st June 1965, Broadcast 5th June, 1965)
8. I Ain’t Done Wrong
9. Heart Full Of Soul (Alternate version) (Tracks 8 – 9: Saturday Club, Recorded 21st June, 1965, Broadcast 26th June, 1965)
10. Too Much Monkey Business
11. Love Me Like I Love You
12. I’m A Man (Tracks 10 – 12: You Really Got Me (Kinksize Live Pop Package with The Kinks & other guests), Recorded 6th August, 1965, Broadcast 30th August, 1965)
13. Evil Hearted You
14. Interview: Paul Samwell – Smith talks about the ‘Still I’m Sad’ single
15. Still I’m Sad
16. Hang On Sloopy (Tracks 13 – 16: Saturday Club, Recorded 27th September, 1965, Broadcast 2nd October, 1965)
17. Smokestack Lightning
18. Interview: The Yardbirds give their New Year’s resolutions
19. You’re A Better Man Than I
20. The Train Kept A-Rollin’
21. Smokestack Lightning (Edited version) (Tracks 17 – 21: This Must Be The Place, (with The Hollies, The Ivy League & other guests), Recorded 18th November, 1965, Broadcast 27th December, 1965)

[CD2]
1. Shapes Of Things
2. Dust My Broom
3. You’re A Better Man Than I (Tracks 1 – 3: Saturday Club, Recorded 28th February, 1966, Broadcast 5th March, 1966)
4. Baby, Scratch My Back
5. Interview: Keith Relf talks about his solo single
6. Over, Under, Sideways, Down
7. The Sun Is Shining (Edited version)
8. Interview: Keith Relf talks about their USA tour
9. Shapes Of Things (Alternate version)
10. The Sun Is Shining (Tracks 4 – 10: Saturday Swings, Recorded 6th May, 1966.Broadcast 21st May, 1966)
11. Over, Under, Sideways, Down (Original TV version)
12. Comment: Jeff Beck’s guitar playing (Tracks 11 – 12: BBC1 ‘A Whole Scene Going’, Broadcast 18th June,1966)
13. Most Likely You Go Your Way (And I’ll Go Mine)
14. Little Games
15. Drinking Muddy Water (Tracks 13 – 15: Saturday Club, Recorded 4th April, 1967, Broadcast 15th April, 1967)
16. Think About It
17. Interview: Jimmy Page talks about touring
18. Goodnight Sweet Josephine
19. My Baby (Tracks 16 – 19: Saturday Club, Recorded 15th March, 1968, Broadcast 16th March, 1968)

Se non avete nulla ovviamente il disco è indispensabile, una delle più grandi ed innovative band inglesi degli anni ’60, con tre grandissimi chitarristi, soprattutto Beck all’epoca.

royal southern brotherhood - royal gospel

Tornando a fratelli e “fratellanze” vi segnalo anche l’uscita del nuovo album dei Royal Southern Brotherhood The Royal Gospel, sempre su etichetta Ruf come i precedenti quattro (tre in studio e uno dal vivo). Questo è il secondo per la formazione Mark II (e pure di questo, penso, troverete la recensione sul Buscadero del mese prossimo, un po’ di pubblicità, e poi anche sul Blog). Mi limito da anticiparvi che il disco mi pare buono e contiene i seguenti pezzi.

1. Where There’s Smoke There’s Fire
2. I’ve Seen Enough To Know
3. Blood Is Thicker Than Water
4. I Wonder Why
5. I’m Comin’ Home
6. Everybody Pays Some Dues
7. Face Of Love
8. Land Of Broken Hearts
9. Spirit Man
10. Hooked On The Plastic
11. Can’t Waste Time
12. Stand Up

E sopra una piccola anticipazione sui contenuti.

sam bush storyman

E per finire, il nuovo album di Sam Bush Storyman, presentato dallo stesso musicista americano come il suo primo disco da “cantautore”, l’album , pubblicato dalla Sugar Hill, distribuita dal gruppo Universal, contiene 11 brani nuovi, firmati da Bush in coppia con grandi autori della scena roots, Emmylou Harris, Jon Randall Stewart, Jeff Black e altri, oltre ad uno scritto con Guy Clark, Carcinoma Blues, dove i due musicisti esorcizzavano i problemi avuti di entrambi con i tumori e che poi, recentemente, si sono portati via il cantante texano.

Ecco i brani:

1. Play By Your Own Rules
2. Everything Is Possible
3. Transcendental Meditation Blues
4. Greenbrier
5. Lefty’s Song
6. Carcinoma Blues
7. Bowling Green
8. Handmics Killed Country Music
9. Where’s My Love
10. It’s Not What You Think
11. I Just Wanna Feel Something

Il mandolinista e violinista è accompagnato dalla sua band e nel CD si trova anche un brano strumentale, It’s Not What You Think, firmato da tutta la band  Il disco è stato registrato tra la Florida e Nashville nell’arco degli ultimi quattro anni ed è il seguito dell’ottimo Circles Around Me pubblicato nel lontano 2009.

Alla prossima.

Bruno Conti

Addirittura Mille, Bravi Però! A Thousand Horses – Southernality

a thousand horses southernality

A Thousand Horses – Southernality – Republic Nashville/Universal

I cavalli, solitari o numerosi, sono sempre stati presenti nell’iconografia del rock, ma gli A Thousand Horses hanno voluto esagerare e sbaragliano la concorrenza, presentandosi in mille. Giovani “cavallini” alla prima prova lunga, Southernality, nel 2010 avevano pubblicato un EP d’esordio, prodotto da Dave Cobb, ( Jason Isbell e Sturgill Simpson, ma anche Chris Stapleton, Houndmouth e Whiskey Myers, un nuovo piccolo Re Mida del sound ); sono attualmente un quartetto, anche se il batterista Chris Powell, presunto membro esterno,  appare in tutti i brani del nuovo album: li guida il cantante Michael Hobby, che compone anche gran parte del materiale, mentre le due chitarre soliste sono affidate a Zach Brown (con l’h finale) e Bill Satcher, con Graham De Loach al basso e Michael Webb, spesso aggiunto alle tastiere https://www.youtube.com/watch?v=qj3n9kwoKbY . A giudicare dalle foto sono ancora abbastanza giovani, vengono da Nashville, Tennessee e questo album fa ben sperare per il futuro: un esordio interessante, che oltre al southern, presente nel titolo, aggiunge fortissimi elementi country, ampie dosi di rock classico, con influenze degli Stones come dei Black Crowes, oltre ad Allman Brothers e Lynyrd Skynyrdlo scorso anno sono stati indicati come gli esordienti più interessanti all’Austin City Limits Festival –  questo album, secondo chi scrive, li inserisce in quella ristretta pattuglia di nuove band rock sudiste, tipo Blackberry Smoke e Whiskey Myers, che vale la pena di seguire. E per essere precisi fino in fondo, Hobby e Satcher vengono dal South Carolina, quindi dal profondo Sud.

L’iniziale First Time, forse il brano migliore del CD, sembra proprio un pezzo degli Stones del periodo americano o dei Black Crowes, con tanto di coretti femminili alla Gimme Shelter, volendo un po’ derivativo (tolgo il forse?), ma l’insieme di chitarre spianate, organo e piano a decorare il tutto, è quanto di meglio il rock classico possa offrire, e se non è “nuovo” ce ne faremo una ragione, il cuore e lo spirito sono al posto giusto, i ragazzi ci danno dentro di gusto e siamo solo al primo brano https://www.youtube.com/watch?v=3pPS6x4a-4Q . Heaven Is Close con Dave Cobb all’acustica, un violino e un banjo non accreditati ma presenti, a fianco delle chitarre di Brown e Satcher, con Hobby che canta con voce forte e sicura è un brano di chiara impronta country-rock, con tanto di citazione di Me And Bobby McGee nel testo, in questo viaggio ideale alla ricerca del Paradiso, dalle Grandi Pianure a New Orleans al fiume Mississippi, conferma che i ragazzi hanno classe e anche le canzoni per mostrarcela. Smoke è una ballatona country-rock di quelle classiche americane, ancora con grande uso di armonie vocali corali, piogge di chitarre, anche l’aggiunta della steel di Robby Turner, è significativa, tastiere avvolgenti, con Webb impegnato a Moog e Mellotron, oltre che al violino (quindi probabilmente era lui anche nel brano precedente). Travelin’ Man, con Hobby pure  all’armonica, ha un taglio decisamente più sudista, andatura incalzante, l’organo che disegna sottofondi accattivanti e le soliste taglienti di Brown e Satcher che si sfidano in continui duetti, grande pezzo rock https://www.youtube.com/watch?v=Yg5C9vH22fA .

Tennessee Whiskey non è quella del recente album solista di Chris Stapletonbella comunque, è firmata da Hobby e Satcher, ma in comune con il brano del musicista di Traveller ha una chiara impronta country, di quello rootsy e ruspante però, con la steel nuovamente tra le protagoniste assolute della canzone. Sunday Morning, porta anche la firma di Rich Robinson, ed in effetti le ballate più riflessive dei Black Crowes vengono subito alla mente, rock anni ’70 e spruzzate soul che si estrinsecano nella coralità delle armonie vocali, affiancate dal suono morbido della solita pedal steel. Rock chitarristico nuovamente protagonista nella title-track Southernality, con piano ed armonica, oltre ad uno slide malandrina, ad aumentare la quota southern delle operazioni. (This Ain’t No) Drunk Dial è una di quelle hard ballads che provengono da una lunga discendenza che parte dai Lynyrd meno ingrifati, passa per lo Steve Earle elettrico e arriva fino ai Blackberry Smoke, altro grande brano, molto cantabile; Landslide, come dicono loro stessi nel testo, potrebbe essere “southern soul”, non male come definizione, mentre Back To Me è un’altra ballata sincera, con il cuore in mano, armonie e intrecci elettroacustici che ci rimandano al miglior country https://www.youtube.com/watch?v=HLEZvj1F4T8 . Trailer Trashed, nella giusta alternanza, è un altro stilettata rock, chitarristica ed irruenta, seguita, indovinato, da un’altra ballata come Hell On My Heart, dove le chitarre vivacizzano il tono della canzone e Where I’m Going rimane in territori decisamente country, per un finale morbido e più vicino al classico country di Nashville, non troppo bieco ma neppure trasgressivo. Bravi, anche se dovrebbero temperare una tendenza verso certi momenti dove la quota zuccherosa è forse troppo accentuata, ma l’esordio è di quelli interessanti, da consigliare a chi ama il genere.

Bruno Conti