Lo Springsteen Della Domenica Anche In Tempi Di Coronavirus: Una Serata Di “Ordinaria Amministrazione”, Ma Con Un Finale Da Paura! Bruce Springsteen & The E Street Band – Detroit 1988

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Joe Louis Arena, Detroit 1988 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Di tutte le tournée intraprese da Bruce Springsteen nella sua carriera, quella del 1988 è sempre stata una di quelle che mi ha convinto di meno, e forse la meno brillante di tutte quelle con la E Street Band, non solo per il grande spazio dato all’allora nuovo album Tunnel Of Love (un disco con il quale ho sempre avuto un rapporto complesso fin dai tempi della sua uscita), ma anche per certe performance un po’ con il freno a mano tirato. Intendiamoci, stiamo parlando di Springsteen, uno che ha completamente ridefinito gli standard delle esibizioni dal vivo, e quindi ogni giudizio va rapportato a quello che lui e la sua band “storica” hanno negli anni dimostrato di saper fare su un palco. La penultima uscita della serie di album dal vivo tratti dagli archivi del Boss si rivolge proprio a questo tour (per la quarta volta) con uno dei suoi primi show, registrato il 28 marzo 1988 alla Joe Louis Arena di Detroit: un buon concerto, godibile e con i nostri in ottima forma, che pur non essendo al livello di altri spettacoli usciti in questa serie non farà rimpiangere i soldi spesi per l’acquisto (download o “fisico” che sia), soprattutto per una parte finale nella quale per un attimo ricompare il Bruce da leggenda degli anni settanta.

Ma andiamo con ordine: il fatto che siamo agli inizi del tour lo si capisce anche dalla scaletta, che nella parte di concerto prima dei bis (i primi due CD) dà grande spazio all’ultimo album del momento ma anche al precedente Born In The U.S.A., eliminando addirittura dalla setlist canzoni che solitamente non mancano mai ad un concerto del Boss, come Badlands, Thunder Road, Darkness On The Edge Of Town e The Promised Land. I pezzi tratti da Tunnel Of Love sono ben nove: si parte proprio con la title track (mai stata una grande canzone, e poi c’è troppo synth), per poi dare spazio ad una serie di ballate di buon livello medio, soprattutto la sixties-oriented All That Heaven Will Allow e la semi-acustica Two Faces, ed anche la poco conosciuta (ed anche poco suonata durante il tour) Walk Like A Man non è male con il suo leggero sapore blue-eyed soul, mentre One Step Up non l’ho mai gradita molto. La quota rock’n’roll è riservata a Spare Parts, brano “cattivo” e piuttosto coinvolgente nonostante il nostro abbia scritto di meglio; capitolo a parte per i due episodi migliori di Tunnel Of Love, cioè l’orecchiabile pop song Brilliant Disguise (che negli anni è cresciuta molto nella mia considerazione) e soprattutto la straordinaria Tougher Than The Rest, una delle ballate più belle del Boss, ancora più emozionante dal vivo che in studio.

Sempre nella prima parte da Born In The U.S.A. abbiamo la title track, Cover Me e le “poppeggianti” I’m On Fire e Dancing In The Dark, mentre il periodo “classico” si limita a soli tre brani: una notevole e deflagrante Adam Raised A Cain, una corretta She’s The One e la trascinante You Can Look (But You Better Not Touch) simile alla prima versione all’epoca inedita, più rock’n’roll e migliore di quella finita su The River. Nei concerti di quel periodo venivano suonati anche diversi brani rari, ed anche a Detroit ne possiamo ascoltare più d’uno: Seeds era abbastanza facile da sentire negli show degli anni ottanta del Boss, a differenza della coinvolgente Roulette che era molto meno frequente, mentre le seppur potenti War (cover di Edwin Starr) e Light Of Day non hanno mai incontrato i miei favori (e c’è anche la godibile I’m A Coward, un inedito pezzo dal sapore errebi con i fiati guidati da Richie “La Bamba” Rosenberg in evidenza). Poi ci sono due canzoni uscite al tempo come lati B, e se la scintillante Be True può essere comparata ai classici del nostro, il reggae di Part Man, Part Monkey è indiscutibilmente un brano minore. I bis iniziano con una Born To Run acustica come si poteva ascoltare solo in quel tour, e proseguono con un paio di “crowd pleasers” (Hungry Heart e Glory Days) e con una sorprendente ed inattesa versione di Love Me Tender di Elvis, discreta ma non imperdibile.

Dopo un omaggio al passato con Rosalita ecco però che il Boss si trasfigura letteralmente e per un quarto d’ora torna ad essere quello leggendario dei seventies, con un formidabile e travolgente Detroit Medley (non poteva mancare vista la location) in una delle versioni migliori mai sentite, quindici minuti di performance assolutamente incendiaria che vince a mani basse il premio di highlight della serata: avrei voluto durasse mezz’ora. Finale con una colorata e festosa Raise Your Hand di Eddie Floyd e, come bonus, una Reason To Believe presa dal soundcheck in una inedita rilettura elettrica full band che in scaletta avrebbe funzionato alla grande (e che non verrà invece mai suonata durante tutto il tour). Arrivederci al prossimo episodio, che vedrà un Boss “europeo” esibirsi in terra svedese in uno show del 2012.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Ancora Al Madison, Questa Volta “Denuclearizzato”. Bruce Springsteen & The E Street Band – Madison Square Garden 1988

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Madison Square Garden 1988 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Solo pochi giorni fa mi sono occupato dei due concerti che Bruce Springsteen e la sua E Street Band tennero nel 1979 al Madison Square Garden di New York come headliners del famoso evento denominato No Nukes, documentato da uno degli ultimi episodi degli archivi live del Boss: il volume successivo vede i nostri ancora all’interno della nota arena newyorkese, ma con uno spostamento temporale di nove anni in avanti, e nello specifico per lo show conclusivo della parte americana del tour di Tunnel Of Love (e quindi con una Patti Scialfa in più ed un avvicendamento tra Little Steven e Nils Lofgren). Molti fans di Springsteen, tra cui il sottoscritto, non hanno mai amato particolarmente questo tour, che vedeva un Boss meno arso dal sacro fuoco del rock’n’roll rispetto al solito, impegnato com’era a fare gli occhi dolci alla Scialfa sul palco, e con una band che dava la sensazione di procedere spesso col freno a mano tirato (si scoprì dopo che si erano già manifestate le prime crepe, che porteranno allo scioglimento di lì a breve), e con delle strane setlist che davano poco spazio ai classici e molto di più a brani minori.

Come in tutti i tour del nostro, però, c’è sempre qualche serata degna di essere consegnata ai posteri, ed è sicuramente il caso di questo concerto del 23 Maggio nella Big Apple, uno show che rispetta la tradizione di uno Springsteen che durante gli spettacoli conclusivi di una tournée (o di una parte di essa) non si risparmia e dà tutto sé stesso sul palco, con gli E Streeters che mettono da parte gli eventuali dissapori per roccare come sanno (aiutati dalla sezione fiati di cinque elementi guidata da Richie “La Bamba” Rosenberg). La scaletta ricalca solo in parte quella del resto del tour, in quanto ci sono diverse sorprese, tra cover e rarità; ben otto pezzi provengono da Tunnel Of Love, ed anche dal vivo si evidenzia la qualità altalenante di quel disco: se la title track è una canzone che potrei tranquillamente definire brutta (e soprattutto inadatta ad aprire lo show), ascoltiamo riempitivi di lusso, ma pur sempre riempitivi (One Step Up, Two Faces, Ain’t Got You, tutti brani che oggi Bruce non prende neanche più in considerazione), materiale di buon livello (All That Heaven Will Allow, la roccata e trascinante Spare Parts), la deliziosa pop song Brilliant Disguise ed almeno un capolavoro assoluto, cioè quella Tougher Than The Rest che dopo tanti anni è ancora uno dei pezzi più belli del Boss, ed ancora più intensa in questa versione rallentata rispetto a quella in studio (al punto che all’epoca uscì come singolo proprio in una resa dal vivo, però tratta dal concerto alla Sports Arena di Los Angeles).

Anche i brani rari sono numerosi, ed anche qui c’è un pezzo così così (Part Man, Part Monkey), ma il resto è eccellente: Be True è comunque un piccolo classico, ed è puro E Street sound, I’m A Coward è una rock song tirata e potente, che avrebbe meritato una fama maggiore, Seeds è trascinante come sempre e Light Of Day, che presenta anche un accenno a Born To Be Wild degli Steppenwolf, forse non è una grande canzone ma dal vivo è una cavalcata elettrica che funziona sempre. Anche in questa serata i classici del Boss si contano a malapena sulle dita di due mani: da Darkness On The Edge Of Town viene suonata solo una peraltro roboante Adam Raised A Cain (e l’assenza di Badlands è un evento), da The River la poppettara Hungry Heart (con prevedibile singalong del pubblico) ed una eccellente You Can Look (But You Better Not Touch) decisamente rock’n’roll e simile alla prima versione che poi non finì sul disco originale; l’album Born To Run è più fortunato, dato che vengono riprese la title track (acustica e quasi irriconoscibile, come da prassi in questo tour), l’incalzante She’s The One, l’errebi Tenth Avenue Freeze-Out e la splendida Backstreets (ma niente Thunder Road). Born In The U.S.A. all’epoca era ancora un disco recente, e quindi viene omaggiato a dovere con una title track di oltre otto minuti, una Cover Me decisamente rock, la discreta I’m On Fire (che non mi ha mai fatto impazzire) e la solita festa on stage provocata da Glory Days.

Infine, quello che è forse il piatto più ghiotto del triplo CD, ossia le cover: se Boom Boom di John Lee Hooker (inserita al secondo posto in scaletta) e War dei Temptations erano una presenza fissa del tour, troviamo sorprese come una splendida resa di Vigilante Man di Woody Guthrie (che quell’anno uscì in una versione di studio all’interno del bellissimo tributo Folkways: A Vision Shared, dedicato a Guthrie stesso ed a Leadbelly), un’energica e coinvolgente Have Love, Will Travel dei Sonics e soprattutto un gran finale a tutto soul e rhythm’n’blues composto da Sweet Soul Music (Arthur Conley), Raise Your Hand (Eddie Floyd) e Lonely Teardrops (Jackie Wilson), una chiusura del concerto che da sola vale l’acquisto ( o il download). Come bonus, primo caso in tutta la serie, un brano tratto dal soundcheck, e cioè un’inattesa ma bellissima ripresa del classico di Ed Townshend For Your Love. Non ho cambiato idea sul fatto che la tournée di Tunnel Of Love sia stata una delle meno “imperdibili” di Bruce Springsteen, ma se tutti i concerti fossero stati del livello di questo show al MSG oggi il mio giudizio sarebbe diverso. Per il prossimo episodio andremo avanti di vent’anni rispetto al 1988, per una serata piena di momenti emozionanti e commoventi.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Divertimento Assicurato! Bruce Springsteen – Fair Grounds Race Course, New Orleans April 30, 2006

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Bruce Springsteen – Fair Grounds Race Course, New Orleans April 30, 2006 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 2CD – Download

Eccoci per il consueto appuntamento con gli archivi live di Bruce Springsteen, che questa volta propongono il primo concerto in assoluto del Boss con la Seeger Sessions Band, quel fantastico ensemble che nel 2006 pubblicò il favoloso We Shall Overcome – The Seeger Sessions, uno strepitoso album nel quale Bruce andava a recuperare una serie di brani della tradizione popolare resi noti in passato dal grande Pete Seeger, arrangiando il tutto in maniera assolutamente coinvolgente, passando con disinvoltura dal folk al country al bluegrass all’old-time music. Questo live, più corto del solito (è “solo” doppio), rappresenta l’esordio assoluto dal vivo del Boss con questa band, soltanto sei giorni dopo l’uscita del disco, al New Orleans Heritage & Jazz Festival. Sul blog collegato al sito che vende in esclusiva i concerti di Bruce questa scelta è stata anche criticata, un po’ perché c’era già una valida testimonianza ufficiale del tour (lo splendido Live In Dublin, anche in DVD), ed anche perché il nostro è uno che entra in “forma Champions” man mano che la tournée procede, mentre all’inizio ci potrebbero essere problemi di rodaggio. Ebbene, all’ascolto di questo doppio album sembra che il gruppo fosse già in giro da mesi, tale è l’affiatamento, e se forse può essere condivisibile il fatto che il concerto di Dublino sia più completo, anche qui la goduria musicale tocca vette altissime: tra l’altro questa serata è sempre stata molto cara al Boss, in quanto la capitale della Louisiana si stava provando a rialzare proprio in quel periodo dopo i devastanti effetti dell’uragano Katrina.

Il concerto è quindi splendido, un concentrato irresistibile di suoni e colori, nel quali il nostro scava a fondo nelle proprie radici, ma lo fa con l’energia e la grinta tipica da rocker: io li avevo visti due volte, a Milano e Torino, e mi ricordo due dei concerti più divertenti di sempre, con il pubblico che cantava a squarciagola canzoni che avevano anche un secolo sulle spalle. Non sto a nominare tutti i componenti della band, ci vorrebbe una recensione a parte (compreso Bruce sono in venti), ma di sicuro non posso non citare la strepitosa sezione fiati di sei elementi guidata da Richie “La Bamba” Rosenberg, il violino di Sam Bardfeld, il banjo di Mark Clifford, il piano ed organo di Charlie Giordano (che di lì a breve sostituirà il povero Danny Federici nella E Street Band), e le vecchie conoscenze Patti Scialfa e Soozie Tyrell alle voci (la Tyrell anche al violino). Il primo CD è occupato quasi completamente dai brani di The Seeger Sessions, dalla scintillante apertura tra gospel e dixieland della straordinaria O Mary Don’t You Weep, perfetta per New Orleans, agli scatenati country-grass Old Dan Tucker, My Oklahoma Home e John Henry, tutti potenziati dai fiati così da creare un formidabile “wall of sound” di stampo roots, alla stupenda Jesse James, che parte come una vivace country song e termina con un suono degno della Preservation Hall Jazz Band. Non mancano le radici irlandesi del nostro, con la drammatica Mrs. McGrath (peccato però per l’assenza di Erie Canal), o il folk appalachiano Eyes On The Prize, davvero emozionante e con uno strepitoso intermezzo dixieland; l’unica canzone appartenente al passato del Boss è Johnny 99, in una strana versione funkeggiante a mio parere non molto riuscita (preferisco quando la suona con gli E Streeters, puro rock’n’roll).

Il primo dischetto si chiude con tre brani di matrice gospel: la maestosa How Can A Man Stand Such Times And Live?, con l’arrangiamento più “rock” della serata, l’irresistibile Jacob’s Ladder, dal crescendo continuo, ed una rilettura lenta e toccante dell’inno We Shall Overcome, il brano più noto dell’intero progetto. Il secondo CD, solo sei canzoni, inizia con una travolgente versione boogie-woogie in stile big band (alla Brian Setzer) di Open All Night, uno degli highlights dello show, con una prestazione monstre della sezione fiati e del pianoforte, subito seguita dalla altrettanto irresistibile Pay Me My Money Down, perfetta per il singalong con il pubblico (me la ricordo ancora al Forum di Assago, ballava anche il servizio d’ordine). Pausa di riflessione con la splendida My City Of Ruins (dedicata a New Orleans), molto vicina all’originale e tra le più applaudite, e poi la festa riprende con il country-dixieland Buffalo Gals, divertimento puro, ed una You Can Look (But You Better Not Touch) quasi irriconoscibile, tra swing e cajun. Essendo nella “Big Easy”, il finale con una commovente e lenta When The Saints Go Marching In, uno degli inni della città, è perfetto, e chiude alla grande un altro episodio imperdibile di questa benemerita serie di concerti.

Già pregusto il prossimo della serie (che dovrei ricevere a giorni), che ci riporterà negli anni settanta, con uno degli show che hanno contribuito a costruire la leggenda di Bruce come performer.

Marco Verdi