Una Avvincente Colonna Sonora “Letteraria” Postuma. Richmond Fontaine – Don’t Skip Out On Me

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Richmond Fontaine – Don’t Skip Out On Me – El Cortez Records/Décor Records/Fluff And Gravy

I Richmond Fontaine li avevamo lasciati due anni fa, in occasione di quello che doveva essere il loro ultimo lavoro in studio You Can’t Go Back If There’s Nothing To Go Back To http://discoclub.myblog.it/2016/03/18/cosi-finiscono-tutte-le-storie-richmond-fontaine-you-cant-go-back-if-theres-nothing-to-go-back-to/ , ma per mia (e spero vostra fortuna) dopo la conclusione  di un lungo tour europeo d’addio, la formazione di Portland è ritornata in studio per registrare una sorta di colonna sonora per il romanzo omonimo (il quinto), scritto dall’indiscusso e “letterato” leader della band Willy Vlautin. Precisando che il titolo del libro Don’t Skip Out On Me, viene ripescato da un brano dell’album precedente, il racconto narra la storia avventurosa di tale Horace Hopper, con origini indiane e irlandesi, un umile bracciante agricolo che abbandona le campagne del Nevada, per seguire il sogno di diventare pugile professionista, una storia perfetta quindi per l’alt-country dei Richmond Fontaine.

Per il probabile “canto del cigno” si ritrovano quindi in sala di registrazione, insieme al leader della band Willy Vlautin alle chitarre elettriche e acustiche, Freddy Trujillo al basso, Sean Oldham alle percussioni, Paul Brainard alla pedal steel, e Dan Eccles alle tastiere e piano, per una “suite” di 17 brani strumentali (di cui 7 sono brevi intermezzi sonori), il resto invece più in forma “canzone”, dove viene messa in risalto ancora una volta la bravura della band. La colonna sonora parte con la “lussureggiante” Horace Hopper, con un bel dispiego  di chitarre e pedal-steel, per poi passare al country di una vivace Dream Of The City & The City Itself, l’ariosa aria campagnola di Horace And The Trophy, e l’ammaliante lenta, indolente Rescue And Defeat In Salt Lake City. La storia si dipana sulle incantevoli note di Mr.Reese’s Place In La Jolla, e la cavalcata western di Hector Hidalgo, seguite dalla ballata “morriconiana” con tanto di armonica, intessuta una incantevole Meeting Billy In El Paso. Il gruppo ci sorprende con le trombe “mariachi” in stile Calexico di Night Out With Diego, e infine va chiudere con la galoppante The Fight With Raymundo Figueroa, la malinconica ed incantevole atmosfera di una struggente Finding Horace On The Street, ed emozionare di nuovo con la conclusiva Back Of The Pickup, a coronamento di un eccellente “ultimo” percorso musicale.

Per chi scrive, nessuno meglio del letterato Willy Vlautin e dei suoi soci Richmond Fontaine ha saputo fotografare l’America più marginale, attraverso una sorta di alternative country  in grado di narrare una serie di “short stories”, dove la musica miscela con grande abilità country, folk e rock, che hanno sempre convissuto a meraviglia, e prima o poi era da mettere nel conto che, superato il confine fra musica e narrativa, la chiusura del cerchio (e della loro carriera), non poteva che essere questo “esperimento” strumentale, rappresentato nell’occasione dall’eccellente Don’t Skip Out On Me. Per quanto mi riguarda li porterò sempre nel cuore, ma per chi non li conosce questa recensione potrebbe essere un’ottima occasione per andare a riscoprire l’eccellente discografia passata della band.

Tino Montanari

*NDB L’album sta uscendo in giro per il mondo, nelle varie edizioni, a pelle di leopardo: il CD e il vinile su Decor Records stranamente in Italia sono già disponili, come pure le versioni per il download digitale. Mentre le edizioni fisiche su Fluff And Gravy. in altri paesi, tipo Regno Unito e USA usciranno da qui alla fine di marzo.

E Così Finiscono Tutte Le Storie! Richmond Fontaine– You Can’t Go Back If There’s Nothing To Go Back To

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Richmond Fontaine– You Can’t Go Back If There’s Nothing To  Go Back To – Decor Records/Fluff & Gravy Records

Passata, al momento, l’infatuazione musicale per la cantante Amy Boone, con relativo debutto dei Delines,  lo splendido Colfax (14) http://discoclub.myblog.it/2014/05/18/aspettando-i-richmond-fontainela-sorpresa-del-2014-the-delines-colfax/ , Willy Vlautin, leader storico dei Richmond Fontaine, da Portland, Oregon, dopo cinque anni e un altro romanzo, The High Country, torna ad occuparsi della sua creatura, incidendo un decimo album di studio: questo You Can’t Go Back If There’s Nothing To Go Back To, che, come annunciato dallo stesso Vlautin, e salvo improbabili ripensamenti, rischia di diventare il loro “canto del cigno”. I Richmond Fontaine si formano nel lontano ’94, quando il cantante e autore Willy Vlautin abbandona la propria città natale Reno, per trasferirsi a Portland (ambiente più idoneo per coltivare i propri sogni artistici), dove incontra il bassista Dave Harding e il batterista Stuart Gartson, completando così la prima “line-up” del gruppo, la stessa che porta alle registrazioni  dell’esordio con Safety (96) e poi a Miles From (97). In seguito le cose cambiano: Gartson viene sostituito da Sean Oldham e viene inserito un quarto elemento, Paul Brainard alla pedal steel,  fatto che incide profondamente sul “sound” della formazione, passando dal frenetico roots-rock degli inizi ad una musica più evocativa, con ballate desertiche, venate di country e psichedelia, elementi che vengono evidenziati nel loro terzo album Lost Son (99). Un altro netto cambio stilistico avviene con Winnemucca (02) primo lavoro di una trilogia imperniata su un America desolata (non dissimile da quella di Son Volt, Wilco, e prima, degli Uncle Tupelo), che li porta ad incidere, a parere di chi scrive, il loro capolavoro assoluto, Post To Wire (04), seguito dal comunque ottimo The Fitzgerald (05). Con alle spalle questa serie di ottimi lavori, Willy Vlautin decide di recuperare una serie di brani dai primi due dischi e dare alle stampe Obliteration By Time, prima di partire per un viaggio che li porterà a toccare 13 città sparse tra Nevada, Utah, New Mexico, Arizona e il nativo Oregon, per il bellissimo Thirteen Cities (07), album che vede come compagni di viaggio componenti dei Calexico e Giant Sand (il meglio sulla piazza, nel genere), per poi cambiare palcoscenico di nuovo per le loro storie metropolitane con l’intrigante We Used To Think The Freeway Sounded Like A River (09), con uno stile dove spiccano sonorità più notturne e folkie, ed infine  approdare all’ultimo lavoro in studio The High Country (11), una sorta di “concept-album” che si sviluppa lungo 17 storie di un unico romanzo virtuale, arrangiate come una colonna sonora cinematografica https://www.youtube.com/watch?v=2-dzBPAA13c .

Per l’ultima recita Willy (chitarre e voce), porta nei Flora Studios di Portland la attuale line-up del gruppo, composta dal produttore e chitarrista John Morgan Askew, Sean Oldham alla batteria e percussioni, Paul Brainard alla pedal steel, Freddy Trujillo al basso, Dan Eccles, alla solista e al piano, e con il contributo di amici di lunga data tra i quali l’ex bassista Dave Harding all’acustica e la tastierista dei Decemberists Jenny Conlee. https://www.youtube.com/watch?v=WucmFCvbve4 Il disco inizia, forse non a caso, con un brano strumentale Leaving Bev’s Miners Club At Down, dove scarni tocchi di chitarra disegnano un suono dolente e di abbandono, per poi passare subito al country-rock di Wake Up Ray, all’incedere straziante di I Got Off The Bus, alla lenta ballata di atmosfera Whitey And Me, con il canto sofferto di Willy, mentre Let’s Hit One More Place (mi duole dirlo) mi sembra il brano meno riuscito del lavoro. Come sempre la voce di Vlautin è avvolgente. Come ad esempio nella melanconica I Can’t Black It Out If Wake Up And Remember (un titolo più corto no? Ma è una domanda platonica in quanto è sempre stata una loro caratteristica), come nella successiva Don’t Skip Out On Me, impreziosita dalla chitarra slide e da coretti soul, passando per il folk geniale di Two Friends Lost At Sea, con la tromba aggiunta di Paul Brainard, per poi ritornare alla ballata quasi recitativa di una acustica Three Brothers Roll Into Town, e al roots-rock dalle tastiere penetranti di Tapped Out In Tulsa. Con lo strumentale The Blind Horse arriva anche una certa sperimentazione, con suoni e atmosfere che rimandano per certi versi anche ai Pink Floyd, e, per l’ascoltatore, è il momento di farsi venire un bel groppo alla gola con la sontuosa ballata notturna A Night In The City, dove il tempo viene dettato da una batteria appena accennata, e chiudere infine alla grandissima, per spegnere la luce, con la pianistica e commovente Easy Run. Sipario!

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Willy Vlautin è un magnifico specialista di “short stories”, e i Richmond Fontaine negli ultimi vent’anni sono diventati una delle realtà musicali più rappresentative e sincere del folto panorama americano, attraverso un “alternative-country” evocativo che ha aiutato a creare quelle ambientazioni desolate, di cui la band da molto tempo si è fatta portavoce, oggi come ieri, pienamente riassunte in questo ultimo You Can’t Go Back If There’s Nothing To Go Back To. Per chi scrive è bellissimo quando un disco lascia trasparire certe emozioni, è gratificante appurare che si tratta di un lavoro sincero e che raggiunge il profondo dell’anima, e se avrete voglia di approfondire a ritroso il percorso musicale di questa magnifica band, forse riuscirà a fare lo stesso effetto anche a voi, oltre a farvi ritrovare i personaggi e le storie, che, come lo stesso Wlautin ha dichiarato, voleva portare a conclusione in questo ultimo album.

Per quanto mi riguarda, so già che mi mancheranno. Grazie ragazzi.!

Tino Montanari

NDT: Per informazione: i Richmond Fontaine saranno in tour nel nostro paese fra Settembre e Ottobre di quest’anno, con date ancora da confermare. Non mancate!

Aspettando I Richmond Fontaine…La Sorpresa Del 2014? The Delines – Colfax

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The Delines – Colfax – Décor Records/Audioglobe

Non credo che esistano dischi in grado di essere ascoltati solo in un determinato contesto, è altresì vero che certe canzoni, in situazioni particolari, riescono a ricordarci emozioni profonde, in quanto ad ognuno è capitato, capita e capiterà sempre di infatuarsi di amori musicali, ed è quello che è  successo al sottoscritto nell’ascoltare l’album di debutto dei Delines, Colfax, una splendida collezione di canzoni notturne e desolate. I Delines sono un side project di Willy Vlautin, il leader dei Richmond Fontaine (anche autore di fortunate opere letterarie, come il romanzo The Motel Life), che, conquistato dalla voce della cantante dei Damnations (oscura band texana), Amy Boone, ha pensato bene di formare una sorta di mini supergruppo, se mi passate l’ossimoro, chiamando a raccolta il suo “pard” nei Richmond Fontaine il polistrumentista Sean Oldham, la tastierista Jenny Conlee dei Decemberists e Tucker Jackson dei Minus 5 alla pedal steel, che affiancati da  Freddy Trujillo al basso e dal produttore John Askew, in trasferta allo Studio Flora Recording di Portland, Oregon, nel giro di poche settimane, hanno dato vita a questa piccola meraviglia.

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Musicalmente, queste sono tra le canzoni più “ricche” mai scritte da Vlautin, e la Boone è la sua “musa”; a partire dall’iniziale dolente Calling In (si viaggia dalle parti dei primi Cowboy Junkies), passando per le atmosfere soul di Colfax Avenue (la più lunga strada americana, situata a Denver, citata più volte da Jack Kerouac in On The Road) e The Oil Rigs At Night https://www.youtube.com/watch?v=pW3zEkWfjkw , alle pennellate di pedal steel nella dolce Wichita Ain’t So Far Away e alla melodica I Won’t Slip Up https://www.youtube.com/watch?v=1gu0Q8MkRmo . L’intro di pianoforte di Sandman’s Coming sembra rubato da un brano di Randy Newman, una sorta di ninna nanna in chiave jazz, mentre in State Line la voce di Amy si manifesta in tutta la sua intima bellezza, come pure nella meravigliosa e languida Flight 31,nell’ammaliante He Told Her The City Was Killing Him, per approdare, alla fine di un innamoramento musicale, a una ballata avvolgente come I Got My Shadows (Roberta Flack ne sarebbe andata fiera), e all’arrangiamento ovattato e vagamente psichedelico di una intrigante 82nd Street.

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Per chi conosce il suono dei Richmond Fontaine ne troverà molto in questo gruppo (ma non poteva essere altrimenti), anche se è la poliedrica voce della Boone che caratterizza il disco, una voce che spazia dal soul al jazz, dal blues al folk, accomunando idealmente Memphis a Nashville.

Per dare un indirizzo d’ascolto si possono azzardare paragoni con i Walkabouts più intimi (quando canta Carla Torgerson), i Cowboy Junkies di Margo Timmins, gli Spain di Josh Haden e volendo, direi anche due gruppi minori (ma non meno bravi), come Hem e Trespassers William, depositari di una musica dai suoni notturni, da ascoltare dopo la mezzanotte, possibilmente in dolce compagnia.

Tino Montanari

Novità Di Settembre Parte I. Southside Johnny, Chris Rea, Martin Simpson, Richmond Fontaine, Kd Lang, Lindsey Buckingham, Slaid Cleaves, Horrible Crowes, Eccetera

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Ripartiamo con le uscite della prima settimana di settembre, giorno 6 per la precisione. Ricordato che martedì escono Jeff Bridges e Ry Cooder per il mercato europeo (e italiano) nonché il nuovo Eric Sardinas già recensito in illo tempore e il secondo tributo a Buddy Holly di cui vi ho riferito ieri. Vi ricordo altresì che considerando che spesso non ho poi il tempo (nonostante tutta la buona volontà) di ritornarci con recensioni più apporfondite spesso approfitto di questo spazio delle anticipazioni per delle mini-recensioni.

Per esempio quel Southside Johnny & The Asbury Jukes arriva assolutamente a sorpresa. Si tratta di un CD doppio dal vivo che esce per la Secret Records (!?!) a prezzo speciale, registrato in quel di Newcastle, Opera House il 26 novembre 2002 e riporta anche una presentazione brano per brano dei contenuti ad opera dello stesso Southside Johnny. Occhio perché era già uscito nel 2009 con il titolo From Southside to Tyneside e in DVD come Live At The Opera House. Se non lo avete vale la pena.

Questi i brani:

  1. Take It Inside
  2. Baby Don’t Lie
  3. All Night Long
  4. Long Distance
  5. Gin Soaked Boy
  6. Without Love
  7. No Easy Way Down
  8. Coming Back
  9. All I Needed Was You
  10. Living With The Blues
  11. Help Me
  12. Cadillac Jack’s Number One Son
  13. This Time Baby’s Gone For Good
  14. Some Thing’s Just Don’t Change
  15. I Won’t Sing
  16. Pipeline
  17. Sleepwalk
  18. I Don’t Want To Go Home
  19. I Don’t Want To Go Home – Reprise
  20. Passion Street
  21. This Time Is For Real
  22. Hearts Of Stone

Martin Simpson è uno dei cantautori (e chitarristi) più talentuosi della scena folk britannica, e non solo. Questo nuovo Purpose + Grace prosegue nella sua rinascita artistica ed è forse il suo album più bello e compiuto di sempre. C’è solo un brano originale firmato da Simpson più uno strumentale, ma covers di Brothers Under The Bridge di Springsteen con Richard Thompson all’elettrica, Little Liza Jane con BJ Cole alla pedal steel, Brother Can You Spare A Dime cantata da Dick Gaughan, Strange Affair di Richard Thompson con la voce di June Tabor, compensano abbondantemente. Senza dimenticare la title-track, un brano scritto da Yip Harburg, lo stesso di Somewhere Over The Rainbow. Etichetta Topic Records. 

Nuovo album per i Richmond Fontaine, The High Country. Il gruppo di Willy Vlautin, uno dei migliori della scena indipendente americana questa volta si è spinto fino a realizzare quello che loro hanno definito una song-novel. Un vero e proprio romanzo breve che racconta, attraverso 17 brani, la travagliata storia d’amore tra un meccanico e una cassiera, ambientata in una piccola cittadina dell’Oregon. Se mantiene fede alle premesse potrebbe essere un ennesimo grande disco di questo misconosciuto gruppo. Bravissimi e da conoscere, se non avete già provveduto. Esce per la El Cortez Records.

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Anche questa volta non manca “a volte ritornano”: Chris Rea su Rhino Records pubblica questo nuovo Santo Spirito Blues che continua nel suo riscoperto spirito Blues. C’è la versione singola con 13 brani nuovi e quella quintupla con altri due CD e due DVD. Questi ultimi sono un documentario sul duro mondo delle corride e uno sulla città di Firenze entrambi con la colonna sonora di Rea. Costa poco più di un doppio, quindi vedete voi.

Lindsey Buckingham in questo Seeds We Sow che esce per la Eagle Records, suona tutti gli strumenti, canta, mixa e produce. Il suo sesto album da solista ritorna alle sonorità del periodo Tusk (più o meno).

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La BGO pubblica questo doppio CD con i primi tre album di Jessi Colter, I’m Jessi Colter, Jessi e Diamond in The Rough, tutti e tre gli album pubblicati negli anni ’70 e molto belli per la moglie di Waylon Jennings. Outlaw Country di gran classe. Attenzione perchè l’australiana Raven ha messo in circolazione un doppio Cd piuttosto caro dove ci sono solo il primo e il terzo disco.

La Left Media inglese continua nella sua serie di pubblicazione di dischi dal vivo (semi) ufficiali, dopo Springsteen e Jackson Browne adesso è la volta di K.D. Lang con questo Summertime In The Windy City The Lost Transmission che è appunto un broadcast radiofonico dai Soundstage Studios di Chicago nel 1993. 15 brani più 5 bonus registrate tra il 1987 e il 1992 nei vari Tonight Show, SNL, Letterman e Arsenio Hall Show. Per i fans (e le fans soprattutto direi, in questo caso)!

All’inizio dell’anno è scomparso silenziosamente Gerry Rafferty (anch’io mi sono dimenticato di segnalarlo), ora la EMI gli dedica giustamente una doppia Collector’s Edition di City to City il suo album più celebre quello con Baker Street. Una curiosità: nel secondo CD, quello con i demo originali inediti c’è una versione di “quel brano” che sostituisce il famoso assolo di sax di Raphael Ravenscroft con un assolo di wah-wah.

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Gli Horrible Crowes sono il side project di Brian Fallon dei Gaslight Anthem in coppia con Ian Perkins. Meno roots ed atmosferico, li hanno paragonati a Tom Waits e Afghan Whigs. A me questo Elsie sembra decisamente bello ed in alcuni brani affiora una spirito Springsteeniano come in Behold The Hurricane e Go tell everybody. Etichetta SideOne Dummy Records.

Stephin Merritt sarebbe Mr. Magnetic Fields e questo Obscurities, come da titolo, è una raccolta di rarità sia come solista che con il gruppo (che poi è sempre lui). Domino Records.

Questo doppio dei 16 Horsepower su Glitterhouse più o meno è la stessa cosa, rarità e b-sides nel secondo CD e nel primo i brani preferiti dai fans scelti in rete. Da lì il titolo, Yours Truly.

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Per gli appassionati di folk inglese questa è un’altra bella sorpresa. Si chiama Cecil Sharp Project 2011 e prende lo spunto dal grande musicologo inglese. Una confezione CD e DVD che riporta i risultati dell’incontro di otto musicisti britannici, prima in un cottage inglese e poi in una serie di concerti tra cui uno alla Cecil Sharp House a Londra (mai stati? E’ da vedere se capitate a Londra).Si tratta di Steve Knightley, Jackie Oates, Andy Cutting, Caroline Herring, Jim Moray, Patsy Reid, Leonard Podolak and Kathryn Roberts. Alcuni li conosco e sono molto bravi altri mi sono ignoti ma il progetto sembra intrigante. Temo una non facile reperibilità, etichetta Shrewsbury Folk Fest.

Altro doppio, questa volta solo CD, sempre dal vivo, per Slaid Cleaves uno dei migliori cantautori folk-country dei giorni nostri, una sorta di Townes Van Zandt senza le stesse tendenze autodistruttive. Si chiama Sorrow And Smoke: Live at The Horsehoe Lounge ed esce per la Music Road Records.

Secondo John Mayall è stato il miglior chitarrista che ha militato nei suoi Bluesbreakers (ma si sa che Mayall è un po’ anzianotto, meglio di Clapton, Peter Green e Mick Taylor? Shurely sham misstake come direbbe un inglese ubriaco). Comunque Buddy Whittington è un signor chitarrista e questo Six String Svengali, il suo secondo disco da solista pubblicato dalla Manhaton Records è un ottimo esempio di Texas Blues-rock. Tra l’altro Whittington dopo aver suonato con Clapton al concerto per i 70 anni di Mayall aveva dichiarato che Eric era il suo “eroe” da sempre.

That’s All Folks. A proposito di Blues, visto che entriamo in periodo Busca e quindi nei prossimi giorni sarò alla prese con alcune interessanti uscite nel genere, non le ho inserite nelle Anticipazioni.

Come il nuovo, fantastico, Tom Russell, Mesabi cui dedicherò uno spazio apposito. Comunque esce anche lui martedì 6 settembre per la Shout Factory in Usa e il 12 per la Proper in UK. Recensione in mezzo a quelle date. In ogno caso la cover di A Hard Rain’s A Gonna di Dylan con Lucinda Williams e Calexico è uno dei brani dell’anno!

Bruno Conti