Più “Contemporaneo”, Ma Pur Sempre Ottimo Blues E’. Rick Estrin & The Nightcats – Contemporary

rick estrin & the nightcats contemporary

Rick Estrin & The Nightcats – Contemporary – Alligator Records/Ird

Come già raccontato in altre occasioni , nel 2008 Charlie Baty, dopo 32 anni on the road e una decina di album pubblicati, decise per un ritiro dalle scene, sciogliendo di conseguenza la sua “creatura” Little Charlie & The Nightcats: in seguito ci ha ripensato e ultimamente è entrato a far parte della formazione di  Sugar Ray and the Bluetones, coi quali ha anche registrato un album di prossima uscita. Quasi immediatamente comunque Rick Estrin ha preso in mano le redini della formazione, in fondo il cantante e armonicista era lui, e con l’ingresso come sostituto del bravissimo Kid Andersen alla chitarra, ha deciso di proseguire la carriera con la stessa ragione sociale, sostituendo solo il proprio nome a quello di Little Charlie. Da allora la band ha pubblicato, sempre per la Alligator, quattro album, tutti molto buoni, con Lorenzo Farrell, confermato al basso e all’organo, e il nuovo arrivato Derrick “D’Mar” Martin’ che sostituisce il batterista Pettersen, per questo  Contemporary. Produce, insieme ad Estrin, che scrive nove canzoni del CD, appunto Kid Andersen, al suo Greaseland Studio di San Jose, California e, come lascia intuire il titolo, a tratti c’è una svolta più contemporanea nel sound del gruppo, senza snaturare peraltro troppo il loro classico Electric Chicago Blues, ma con la ricerca di nuove sonorità, grooves e soluzioni musicali, ancora una volta con ottimi risultati, d’altronde, come è noto, la Alligator da parecchio tempo non sbaglia un disco.

Non ho molte altre informazioni da fornirvi, al limite andate a rileggervi i vecchi post https://discoclub.myblog.it/2017/10/27/eccellente-chicago-blues-elettrico-anche-se-nessuno-viene-da-li-rick-estrin-the-nightcats-groovin-in-greaseland/ , per cui lasciamo parlare la musica: I’m Running, come da titolo, viaggia e corre a tempo di swing, con organo, basso e batteria a tenere un tempo incalzante, Christoffer Kid Andersen lavora di fino coi toni e vibrati della sua solista e poi entra l’armonica scintillante di Estrin, grande partenza, e suono quasi “innovativo” per un blues più al passo con i tempi moderni, senza virare comunque nel rock, ma lavorando molto sul virtuosismo non esasperato dei musicisti. Resentment File, con il consueto cantato discorsivo e gli immancabili tocchi umoristici di Rick, è decisamente più funky e robusta, con un groove colossale del basso, dove si innestano gli assoli dell’ottimo Andersen e anche l’organo di Farrell si fa sentire, per un blues quasi “zappiano”; la title track viceversa parte come un classico shuffle in puro stile Chicago, con l’armonica insinuante in evidenza, poi cambio di tempo repentino, il suono si fa decisamente più complesso, entrano coriste e fiati, un accenno di rap non fastidioso, il wah-wah di Andersen sullo sfondo e ancora questa ambientazione sonora mutuata dal Frank Zappa più ingrifato e bluesy.

She Nuts Up è quasi felpata e notturna, il talking tipico del nostro e organo, chitarra e ritmica ad imbastire una base per le divagazioni dell’armonica, mentre New Shape (Remembering Junior Parker) è un omaggio a tempo di R&B all’autore di Mystery Train, per un brano che fa molto 70’s funky nel suono https://www.youtube.com/watch?v=5XBhiqT0GZE .House Of Grease è uno strumentale jazzy brillante e ricercato, sulla falsariga del classico organ trio (più piano) sound con i vari solisti che si prendono il loro tempo;, soprattutto un Andersen straripante; Root Of All Evil, è sempre divertente e piacevole, ma meno consistente di altri brani, non manca il classico “lentone” nella forma della solenne The Main Event, con armonica, organo e chitarra a fronteggiarsi, prima di passare ad un altro strumentale Cupcakin’ che rimanda molto al suono di Booker T & The Mg’s, con armonica aggiunta https://www.youtube.com/watch?v=zSVf-YdLbO8 . Niente male anche la swingata New Year’s Eve, con la solista pungente di Andersen, alternata agli altri due solisti del gruppo, Nothing But Love è più vicina alle 12 battute più classiche, con il cantato laconico di Estrin che ricorda quello di David Bromberg, lasciando alla vorticosa Bo Dee’s Bounce, un altro pezzo strumentale, il compito del commiato.

Bruno Conti

Eccellente Chicago Blues Elettrico, Anche Se Nessuno Viene Da Lì. Rick Estrin & The Nightcats – Groovin’ In Greaseland

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Rick Estrin & The Nightcats – Groovin’ In Greaseland – Alligator Records

“Non c’è il tre senza il quattro” si potrebbe dire, per parafrasare ed aggiornare il famoso detto: in effetti questo è il quarto album della formazione di Chicago dopo il cambio di nome (anche se poi a ben guardare, il leader del gruppo Rick Estrin, è di San Francisco e il suo chitarrista Kid Andersen (che di recente ha co-prodotto anche l’ultimo bellissimo disco di Tommy Castro http://discoclub.myblog.it/2017/10/09/delaney-bonnie-e-pure-eric-clapton-avrebbero-approvato-tommy-castro-the-painkillers-stompin-ground/) è addirittura norvegese, ma lo stile è Electric Chicago Blues, come testimonia la loro etichetta, Alligator, questa sì della Windy City). Quanto detto nell’incipit non si riferisce solo allo stile musicale del quartetto, ma anche ad una inconsueta costanza nella qualità musicale degli ultimi dischi, uno migliore dell’altro. Se per l’ultimo, il Live You Asked For It… era quasi “obbligatorio” un album così fresco e pimpante http://discoclub.myblog.it/2014/06/29/lavete-chiesto-voi-rick-estrin-and-the-nightcats-you-asked-for-it-live/ , anche i precedenti Twisted e One Wrong Turn erano delle prove di studio  più che soddisfacenti e brillanti, ai livelli delle migliori uscite della Alligator, che negli anni 2000 sembra avere trovato una sorta di formula alchemica della eterna giovinezza per i propri prodotti, calati nel sound delle 12 battute classiche, ma con quel piccolo tocco di giusta modernità , quel quid che distingue il buon Blues, da quello spesso troppo scolastico o “filologico” a tutti i costi di molti, troppi dischi che vogliono sembrare i portatori di una tradizione che deve rimanere per forza inalterata nei decenni e nei secoli, come i Carabinieri.

Ma visto che ho detto quanto sopra molte altre volte non vi tedierò ulteriormente, limitandomi a dire che con questo Groovin’ In Greaseland il rischio non si corre, anzi, come già il titolo segnala, oltre allo stile conta anche il groove, che se seguiamo la traduzione letterale del termine inglese, vuole dire “divertirsi intensamente”, e nei tredici brani del disco il divertimento non manca. Greaseland è il nome dello studio a San Jose in California, dove è stato registrato l’album, composto da undici brani firmati da Estrin, e uno a testa da Andersen e Lorenzo Farrell, che oltre a suonare il basso si disimpegna con abilità anche alla tastiera, mentre il poderoso Alex Pettersen, il nuovo arrivato, pure lui arrivato dalla Norvegia, alla batteria, completa la formazione. Quindi tredici pezzi “nuovi”, ma il risultato è comunque classico: Estrin è un discepolo di Little Walter all’armonica, ma è anche un cantante dalla buona vocalità, Christoffer “Kid” Andersen, è un chitarrista completo, della scuola Gibson, degno erede di Jimmie Vaughan (se mai vorrà ritirarsi, ma tra poco sul Blog leggerete del nuovo Live del texano) come tipo di approccio sonoro, ma anche con nuances soul, un pizzico di rock e tanta tecnica. The Blues Ain’t Goin’ Nowhere posta in apertura, sembra un brano della migliore Butterfield Blues Band, con il soffio potente dell’armonica di Rick, il groove incalzante della sezione ritmica e un bel uno-due della chitarra di Andersen e dell’organo di Farrell; Looking For A Woman è un divertente pezzo tra funky e R&B.

Dissed Again fa parte di quelle canzoni quasi autobiografiche, su cui Estrin costruisce divertenti siparietti dal vivo, in questo caso a tempo di R&R e sempre con armonica e chitarra in evidenza. Tender Hearted è il classico slow blues d’atmosfera che non può mancare in un disco Alligator, con in più il tocco dell’organo di Farrell che quasi rimanda a Al Kooper o Ray Manzarek, ottimo, come pure il vorticoso strumentale MWAH!, dove appare anche un sax di fianco alla chitarra di Andersen e all’organo, per un sound molto anni ’60. I Ain’t All That è classico Chicago blues, con un pianino malandrino sullo sfondo e Estrin che gigioneggia come è sua usanza; un altro “lentone” Another Lonesome Day, alza di nuovo l’intensità dell’album, con Estrin e Andersen che danno il meglio di loro stessi ai rispettivi strumenti. Lo shuffle di Hands Of Time non molla la presa sull’attenzione dell’ascoltatore, mentre Cool Slaw, senza voler scomodare Smith e Montgomery è uno strumentale per organo e chitarra (senza dimenticare l’armonica) che ricorda molto Ronnie Earl. Big Money è un R&B leggerino con uso fiati, Hot In Here uno shuffle veloce, piacevole ma non memorabile, con la potente Living Hand To Mouth che alza nuovamente l’asticella della qualità con un elegante tourbillon dei vari solisti, prima di congedarci con un altro strumentale So Long (For Jay P.), dove Rick Estrin conferma la sua maestria alla mouth harp.

Bruno Conti

L’Avete Chiesto Voi? Rick Estrin And The Nightcats – You Asked For It…Live

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Rick Estrin And The Nightcats – You Asked For It…Live – Alligator 08-07-2014

Non so se abbiamo proprio chiesto per averlo (voi lo avete fatto? Io no, o non me ne sono accorto), comunque un bel CD dal vivo di Rick Estrin And The Nightcats è sempre cosa gradita. Si tratta ovviamente del primo Live del gruppo, che in anni recenti, con la nuova ragione sociale, ha prodotto solo un paio di dischi in studio, entrambi molto buoni e fedelmente riportati da chi scrive (http://discoclub.myblog.it/2012/07/13/e-intanto-l-alligator-non-sbaglia-un-disco-rick-estrin-and-t/) , ma la dimensione concertistica ha sempre un suo fascino particolare, soprattutto per ciò che concerne il blues e dintorni, ma anche in generale. Per parafrasare un famoso disco di Jimmy Buffett, You Had To Be There, ma anche se non c’eravate il surrogato del disco rende bene l’idea e se qualcuno ha chiesto per averlo una ragione ci sarà pure stata. Oltre a tutto, anche come Little Charlie And The Nighcats, quando Charlie Baty era ancora il leader della formazione, non usciva un Live dal lontano 1991. Dei vecchi, a parte Estrin, non c’è più nessuno, ma sound ed etichetta, la Alligator, sono sempre quelli. Quindi ben venga questo You Asked For It…, pimpante album che ci permette di gustare una formazione al top della forma, con l’armonicista e cantante Rick Estrin (in occasione del suo 64° compleanno si è registrato questo disco al Biscuits And Blues di San Francisco, sua città natale) che divide gli spazi solisti con l’ottimo Christoffer “Kid” Andersen, chitarrista norvegese che ad ogni disco si conferma sempre più come uno dei migliori al suo strumento (l’erede, se e quando vorrà ritirarsi, di Jimmie Vaughan, o comunque un suo pari) e con Lorenzo Farrell, il bassista, che opera anche all’organo e al Moog conferendo al sound una maggiore varietà di opzioni e J. Hansen, batterista dallo swing quanto mai accentuato.

Il pubblico apprezza e si diverte, anche per i divertenti siparietti e presentazioni che un “vecchio” gigione come Estrin ha metabolizzato in oltre 40 anni sui palchi di mezza America. Prendete la presentazione di My Next Ex-Wife, anche con qualche parolaccia “bippata”, mette il pubblico nella giusta predisposizione per gustarsi il brano al meglio, su un groove funky che avrebbe reso orgoglioso l’Isaac Hayes più nasty dei tempi di Shaft, Rick racconta le disavventure del suo divorzio, ma poi la band cattura un mood Stax anni ‘70 dove l’organo di Farrell, la chitarra in overdrive di Andersen, molto hendrixiana e l’armonica di Estrin fanno meraviglie, grande gruppo .

Ma già dalla partenza, con il classico “Are You Ready For The Blues” che introduce una fulminante Handle With Care, dove il materiale è veramente da maneggiare con cura, si capisce perché la formazione è considerata tra le migliori della Bay Area ed il suo leader spesso candidato come miglior armonicista ed Entertainer ai Blues Music Awards, senza dimenticare il fantastico l’assolo di Kid Andersen, un miracolo di equilibri sonori, in bilico tra R&R e Blues  Non tutto il disco è così scintillante, ma anche la divertente New Old Lady, molto Blues Brothers, e comunque tipica delle revue anni cinquanta e sessanta dove blues, rock and roll, soul, R&b e divertimento si intrecciavano con gusto sopraffino. O una New Old Lady, funky blues d’annata si accoppia con le classiche dodici battute di Baker Man Blues, cantate con grande aplomb dal batterista J. Hansen, che ha anche scritto il pezzo.

Trascinante anche il ritmo scandito nella poderosa Keep Your Big Mouth Shut o nello shuffle della divertente Smart Like Einstein per poi rallentare in That’s Big, anche questa preceduta da una lunga introduzione di Estrin, sempre istrionico e buffo nelle sue divagazioni, ma poi è blues, swingato e classico, prima di tuffarsi in una divagazione country, come You Gonna Lie, dove Johnny Cash sposa i Blasters e Kid Andersen estrae dal cilindro (fate conto che lo abbia) una lunga improvvisazione sulla sua chitarra che è da ascoltare per crederci, micidiale, rockabilly boogie, con la solista che si inerpica su territori che furono cari al Danny Gatton più funambolico, prima di lasciare il giusto spazio ai brevi assolo della sezione ritmica . A proposito di Blasters, uno slow blues con uso d’organo come Never Trust A Woman porta la firma di Rick Estrin e Dave Alvin e avrebbe fatto un figurone su Super Session con ancora un maiuscolo lavoro di Andersen alla solista https://www.youtube.com/watch?v=RjdaBBxa5Cc . Dump That Chump, richiesta a gran voce dal pubblico. è un altro dei cavalli di battaglia dei Gattoni Notturni, e Don’t Do It sembra un brano dei migliori Fabulous Thunderbirds mentre la conclusiva Too Close Together, un brano di Sonny Boy Williamson, solo un contrabbasso ad accompagnare l’armonica di Estrin, è l’occasione per ascoltare un maestro al lavoro, avete presente Room To Move su The Turning Point di John Mayall? Siamo da quelle parti https://www.youtube.com/watch?v=d6gPtj-LA-s . Settantacinque minuti che passano in un baleno!

Bruno Conti

E Intanto L’Alligator Non Sbaglia Un Disco! Rick Estrin And The Nightcats – One Wrong Turn

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Rick Estrin And The Nightcats – One Wrong Turn – Alligator Records

C’era un vecchio disco di Luca Carboni che si intitolava “E Intanto Dustin Hoffman Non Sbaglia un Film” e per un lungo periodo, in effetti, il titolo ha corrisposto alla verità, ma da allora, purtroppo, anche il grande attore Americano i film ha iniziato a sbagliarli, e a raffica. Ultimamente la Alligator Records di Chicago http://www.alligator.com/, con la politica dei piccoli passi, all’incirca un disco al mese, anche qualcosa di meno, parafrasando quel vecchio titolo, si potrebbe dire che “difficilmente” sbaglia un album. Entrando nel loro sito si viene accolti proprio dalla musica di Rick Estrin e di questo One Wrong Turn, ma risalendo a ritroso si trovano le ultime uscite, tutte ottime, di Lil’ Ed & The Blues Imperials, Anders Osborne, Curtis Salgado, Janiva Magness e Joe Louis Walker e per settembre si annuncia il nuovo Michael Burks. E questa è solo l’annata 2012.

Già il precedente Twisted del 2009, quello che sanciva la fuoriuscita di Little Charlie Baty dalla formazione e l’ingresso del nuovo chitarrista Chris “Kid” Andersen, era un buon disco. Pur non spostando di molto gli equilibri sonori, considerando che l’autore principale della band, nonché armonicista e cantante, è sempre stato Rick Estrin. Ma l’adozione di “nuove” sonorità chitarristiche, pur inserite nel suono volutamente vintage del gruppo, aveva dato nuova freschezza al sound del gruppo. One Wrong Turn mi sembra un ulteriore passo in avanti: sempre sapendo cosa aspettarsi, ovvero un disco di Blues, nell’insieme dei dodici brani contenuti, ogni tanto, ci sono degli scatti qualitativi che in molti dischi dell’attuale scena blues non sempre è facile trovare (mi sto arrampicando sugli specchi per non dire che molti album che escono ultimamente, soprattutto quelli più classici e canonici, spesso sono anche tremendamente “pallosi”, e diciamolo!). Va bene il rigore e l’aderenza alle norme ma qualche sussulto ogni tanto non ci sta male. E nel dischetto di cui ci stiamo occupando alcuni brani, soprattutto nella seconda parte del disco, ma direi in generale, questi sussulti li regalano. Se dovessi dare una definizione “fulminante” di questo CD potrei dire che sembra un album “bello” di Duke Robillard, con una varietà anche maggiore. Così quelli che si annoiano a leggere le recensioni possono dedicarsi ad altro.

Per chi volesse approfondire vi segnalo il classico Lucky You a “train time” con l’armonica di Estrin e la chitarra “vibrata” di Andersen a scambiarsi fendenti, i tempi scanditi di Callin’ All Fools, prima a tempo di organo, suonato dal bassista Lorenzo Farrell, e armonica e poi con il notevole solo in crescendo della chitarra di Andersen, per non dire del divertente e salace boogie “I Met Her On The” Blues Cruise dove fanno capolino anche i fiati e vengono citati nomi (e cognomi) di illustri colleghi impegnati a soddisfare durante la crociera una intraprendente signorina, e non solo a livello musicale, con tanto di finale a sorpresa. C’è il dolce sound anni ’50 di Movin’ Slow ma anche il suono più ribaldo e sixties, di nuovo con uso d’organo, della title-track One Wrong Turn, con la chitarra di Kid che sferraglia di gusto a fronteggiare l’armonica spiegata di Estrin.

Ci sono soprattutto un paio di strumentali: la jazzata Zonin’, in perfetto stile “Wes & Jimmy”, con organo e chitarra, nel finale anche con wah-wah, a contendere la scena al sax dell’ospite Terry Hanck  e lo strepitoso brano firmato da Kid Andersen, The Legend Of  Taco Cobbler, che nei sei minuti e mezzo del brano (ri)percorre la storia della musica, dai ritmi country & western dell’inizio, passando per surf, beat sixties, dove svisa di gusto con l’organo, per arrivare ad un travolgente finale retro-futuribile dove le sonorità della chitarra si avviano verso tonalità degne del Jeff Beck più sfrenato dei primi anni, varrebbe da sola il prezzo di ammissione. Ma possiamo aggiungere anche la divertente (e Mayalliana, alla Turning Point) Old News, solo voce, armonica e battito di mani e la trascinante You Ain’t The Boss Of Me, scritta e cantata dal batterista J. Hansen, con tutto il gruppo che gira a mille. E non dimenticherei neppure lo slow blues Broke and Lonesome guidato ancora una volta dalla lancinante chitarra di Andersen.

Bruno Conti

Novità Di Luglio Parte I. James Dickinson & North Mississippi Allstars, Rick Estrin, Jimmie Van Zant, Keller Williams, Wyland Blues Planet Band, Chris Smither

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Riprendiamo i nostri appuntamenti con le uscite discografiche, anche se questa prima settimana di luglio non ci riserva grandi nomi e nemmeno molte uscite, mentre sembra più interessante la prossima con le ristampe di Hendrix (Berkeley, per l’ennesima volta), il nuovo Zac Brown, il box di Woody Guthrie, Hank Williams Jr. e qualche altra pubblicazione interessante. Questa settimana escono anche Blasters e Little Feat di cui si è già detto in altre pagine virtuali del Blog. Vediamo comunque le uscite del 3 luglio.

Prima di tutto, pubblicato dalla Memphis Int’l, un ulteriore capitolo delle vicende della famiglia Dickinson. Questa volta si tratta di un disco postumo attribuito a James Luther Dickinson and North Mississippi Allstars, I’m Just Dead I’m Not Gone, registrato dal vivo al New Daisy Theater di Memphis, Tennessee nel 2006, contiene 9 brani scelti tra classici e brani oscuri della musica americana, blues e non. Sul sito della band dice che è il miglior live mai registrato da Jim Dickinson, non so se è umorismo macabro, ma essendo anche l’unico disco dal vivo mai registrato sarebbe difficile credere il contrario. Comunque da quello che ho sentito mi sembra gagliardo, compresa la surreale intro parlata all’iniziale Money Rice di Sir Mack Rice e quando fa viaggiare il pianino indiavolato come nella poderosa Rooster Blues. Dalla copertina deve essere anche in mono, ma il suono è molto buono.

Da quando si sono persi per strada Little Charlie mi sembra che quelli che ora si chiamano Rick Estrin & The Nightcats, giunti al secondo album con la nuova formazione, One Wrong Turn, oltre al chitarrista hanno perso anche un po’ della grinta del passato. Comunque ascolterò meglio e poi vi riferirò, l’etichetta è sempre la Alligator. E il nuovo chitarrista “Kid” Andersen è comunque molto bravo.

Jimmie Vant Zant è il cugino di Ronnie, Donnie e Johnny, ma mi sembra che sia sempre stato il meno dotato della famiglia. Questo Feels Like Freedom, pubblicato dalla MRI, anche se contiene un brano che si intitola Southern Rock mi sembra più che altro rock Americano, AOR non particolarmente brillante, tipo i 38 Special nei loro album più commerciali. D’altronde quando leggi nelle note di presentazione che trattasi di album caratterizzato da un “innovativo suono crossover”, sai già cosa aspettarti. Nulla di buono (nemmemo di tragico per la verità), a meno che non ami il genere, niente in contrario ma come sono uso dire in questi casi “It’s not my cup of tea”! Il singolino del video è uno dei brami migliori del disco, quindi occhio al resto!

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Keller Williams è uno dei musicisti più interessanti che si muovono in quell’area che sta fra Bluegrass e Jam Grass acustico: cantante e polistrumentista, con una quindicina di album pubblicati per la Sci-Fidelity Records, per questo Pick si accompagna alla famiglia bluegrass dei Travelin’ McCourys, che poi sarebbero la Del McCoury Band senza il babbo. Se vi piace il genere assolutamente consigliato.

Dopo il primo capitolo di qualche mese fa, torna la Wyland Blues Planet Band con questo Blues Planet II, su etichetta Rocket Science. Le facce in copertina mi sembrano più o meno le stesse del primo album e visto che si tratta di una trilogia, tutto mi fa pensare che sia stato registrato in un’unica occasione in quel fatidico Maggio 2011 a New Orleans nei famosi Piety Street Recordings Studios e il materiale viene poi pubblicato di volta in volta. Rod Piazza, Taj Mahal, Honey Alexander, Jon Cleary, Johnny Lee Schell, Rusty Zinn e molti altri gli artisti coinvolti in questo progetto ecologico dall’artista Wyland per una buona causa con della buona musica, il Blues. E se vi siete persi il primo.

Per finire, il nuovo album di Chris Smither, Hundred Dollar Valentine, Crs/Signature records. Dovremmo essere a una quindicina di album di studio più 6 o 7 dal vivo per questo veterano della scena blues-folk in attività da una quarantina di anni, con qualche pausa discografica. Negli anni ’90 quando ha pubblicato i suoi dischi migliori mi piaceva moltissimo e anche a Bonnie Raitt che lo ha sempre considerato una specie di controparte maschile e pure a Emmylou Harris, John Mayall, Diana Krall e molti altri che hanno inciso i suoi brani. Negli ultimi dischi soprattutto acustici e in solitaria ha accentuato sempre più la quota Blues a scapito di quella cantautorale ma, come dimostra questo album, la voce è sempre bella, lo stile chitarristico rimane notevole e sono presenti anche, il violino in molti brani e la slide di David Goodrich che è il produttore del disco. C’è pure un batterista in quasi tutti i brani (ma niente basso), il cello di Kris Delmhorst e la seconda voce femminile di Anita Suhanin. Così vi ho fatto una spece di mini-recensione se non avrò il tempo di tornarci più dettagliatamente. 10 brani + la classica hidden track Rosalie, annunciata nel libretto. Non ho mai capito se la traccia deve essere “nascosta” perché l’annunciano sui CD. Mistero!

Alla prossima!

Bruno Conti