Da Cat Stevens A Yusuf E Ritorno, Parte I.

cat stevens 1970

Anzi a volere essere ancora più precisi: da Steven Demetre Georgiou a Cat Stevens fino al 1978, poi dopo la sua conversione alla religione musulmana, prima Yusuf Islam, e poi in una concessione al suo passato Yusuf/Cat Stevens. Per me, ad essere sinceri, rimarrà sempre Cat Stevens, almeno a livello musicale: quel ragazzo di origine greco-cipriota che nella Swingin’ London degli anni ‘60 inizia una carriera (e proprio a voler essere addirittura pignoli, quando inizia ad esibirsi nel 1965, sceglie il nome d’arte Steve Adams). E già in quell’anno deposita il suo primo demo come autore, ovvero The First Cut Is The Deepest. Nel contempo, diventato Cat Stevens, inizia ad esibirsi nei pub e nelle coffee houses: e sviluppa anche questa passione, magari un po’ interessata per l’uso di nomignoli e poi titoli di canzoni, e infine dischi, che hanno a che fare con gli animali. Viene notato a 18 anni, nel 1966, dal manager Mike Hurst (ex degli Springfields, il gruppo della sorella Dusty), che gli fa avere un contratto la Deram, sussidiaria della Decca, che all’inizio aveva rifiutato i Beatles, ma poi non poteva continuare così, prima i Rolling Stones, e poi altri talenti del nascente panorama pop (e rock) britannico firmano con loro.

1967-1969 Le origini.

cat stevens 1967

Già a fine settembre del 1966 pubblica il primo singolo I Love My Dog (era già ecumenico sin dall’inizio). In seguito ammetterà che aveva solo aggiunto il testo ad un brano del jazzista Yuseef Lateef The Plum Blossom, musicista a cui poi pagherà sempre le royalties e che apparirà anche come coautore della canzone; il lato B Portobello Road viceversa ha il testo di Kim Fowley e musica di Stevens. Comunque il 45 giri è un successo che entra al 28° posto delle classifiche. Entrambi i brani vengono inseriti in

Matthew_and_Son_cover

Matthew And Son – 1967 Deram ***

Il primo album, prodotto proprio da Hurst, si avvale dell’utilizzo di orchestrali vari e musicisti di studio, tra cui spiccano John Paul Jones al basso e Nicky Hopkins alle tastiere nella title track Matthew And Son, che addirittura raggiunge il 2° posto nelle charts, e l’album complessivamente al n°7. Mica male per un debutto. Ovviamente negli anni il disco è uscito anche in CD, aggiungendo di volta in volta parecchi brani nelle varie riedizioni, quella del 2003 arriva a 22 pezzi. Niente per cui strapparsi le vesti, gli arrangiamenti con archi e fiati sono a tratti invadenti, però il singolo di Matthew And Son ha una bella grinta R&B con il marcato groove del basso di JP Jones, la voce di Cat Stevens che è già quella profonda e risonante che conosciamo, un tipico buon 45 giri dell’epoca, come pure I Love My Dog, arrangiamenti, ridondanti ma non irritanti, a parte, ha una bella melodia, arpeggi di chitarra acustica, a cura dello stesso Cat.

Anche Here Comes My Baby (un successo per i Tremeloes sui due lati dell’oceano) è un gradevole esempio di pop britannico dell’epoca, mentre in altre canzoni ci sono influenze sudamericane ed in altre di cantautori americani ammirati come Dylan e Paul Simon, per esempio, fischiettata a parte, nelle chitarre arpeggiate di Portobello Road. A marzo, esce un altro singolo non incluso nell’album, ma nella riedizione in CD, I’m Gonna Get Me A Gun ,che raggiunge il sesto posto delle classifiche: un buon esordio, è nata una stella. Stevens gira l’Inghilterra con Engelbert Humperdinck e Jimi Hendrix, e la casa discografica lo spedisce in studio a registrare un seguito

Cat_Stevens_New_Masters

New Masters -1967 Deram **1/2

Che però si rivela un clamoroso flop commerciale, anche se contiene The First Cut Is The Deepest, che sarà un grande successo per P.P. Arnold e qualche anno dopo per Rod Stewart. La canzone obiettivamente è bella, anche nella versione di Cat Stevens, un pezzo folk-pop con una melodia immediata, anche se al solito molto orchestrata: lo stesso non si può dire del resto dell’album, registrato ai Decca Studios e pubblicato a dicembre 1967. Il singolo Kitty è allegrotto, ma non particolarmente memorabile, appena meglio A Bad Night aggiunto all’edizione in CD, ma anche questo fa molto Eurovision Song Contest, insomma si fatica a ricordare qualche canzone, forse la delicata Blackness Of The Night, e nonostante il costante touring anche durante tutto il 1968, nulla succede.

1970-1978 Gli Anni Del Grande Successo

All’inizio del 1969 Stevens contrae la tubercolosi, va vicino alla morte, rimane a lungo in ospedale e poi durante una lunga convalescenza si dà alla meditazione, allo yoga, agli studi di metafisica e di altre religioni, diventa vegetariano, ed avendo molto tempo a disposizione scrive circa 40 canzoni, che poi appariranno sui suoi album nel corso degli anni successivi, e decide per un cambio totale del suo stile musicale e dei contenuti letterari dei testi: dopo una audizione con Chris Blackwell viene messo sotto contratto per la Island, che lo affida al produttore Paul Samwell-Smith, ex bassista degli Yardbirds, che per lui avrà la stessa importanza di Chas Chandler per Jimi Hendrix, e gli cuce addosso uno stile folk-rock, affiancandogli il chitarrista acustico Alun Davies, che sarebbe dovuto rimanere per un solo album, ma sarà fedele compagno ed amico in tutta la prima parte della carriera di Cat: registrato a gennaio e febbraio del 1970 tra Olympic Studios e Abbey Road arriva

Mona_Bone_Jakon_Album

Mona Bone Jakon – 1970 Island/A&M ****

L’ho già ricordato nella recensione dell’ultimo album https://discoclub.myblog.it/2020/10/19/anche-questo-disco-compie-50-anni-facciamolo-di-nuovo-cat-stevensyusuf-tea-for-the-tillerman2/ , ma così ci togliamo il pensiero sullo strano titolo dell’album, lo ha detto lui stesso, era un nomignolo per il suo pene, che ci vogliamo fare? Venendo a cose più serie Cat Stevens firma un contratto per pubblicare i suoi album anche negli Usa con la A&M: la prima canzone del disco, e il primo singolo a uscire è Lady D’Arbanville, dedicata alla sua “vecchia” fidanzata, la modella e attrice Patty D’Arbanville, si tratta di una delicata e sognante ballata, tutta giocata sulla chitarra acustica arpeggiata in fingerpicking di Davies, ma anche sulle percussioni di Harvey Burns e il contrabbasso di John Ryan, oltre alle tastiere e alla chitarra suonate dallo stesso Stevens che inaugura quello stile particolare dove la sua voce ora sussurra, ora si arrampica, mantenendo comunque quel timbro profondo e risonante, tipico del suo stile vocale.

Come ribadisce la bellissima Maybe You’re Right dove le improvvise esplosioni della voce ben si amalgamano anche con i sobri arrangiamenti orchestrali di Del Newman, nulla a che vedere con quelli pomposi del periodo Deram. In Pop Star ci sono anche retrogusti vagamente white soul con la voce che sale e scende di continuo, sottolineata dal basso e dall’acustica e da improvvisi coretti. Nella mossa e pianistica I Think I See The Light il ritmo si fa più incalzante, con improvvise accelerazioni che ricordano come arrangiamenti quello che sull’altro lato dell’oceano stavano facendo Carole King e altri cantautori e cantautrici allora nascenti come movimento.

Altra canzone splendida di questo album è Trouble, sempre con un arrangiamento complesso e ricercato, senza rinunciare alla immediatezza delle melodie del nostro. Mona Bone Jakon, con la voce raddoppiata e minacciosa, e sapendo ora il significato del termine, potrebbe essere anche triviale, ma d’altronde pure Chuck Berry ha dedicato un brano al suo Ding-A-Ling e i bluesmem ci sguazzavano nei doppi sensi. Tre brani del disco tra l’altro vennero inseriti nella colonna sonora della commedia nera Harold e Maude, due appena ricordate e la terza, l’altrettanto bella I Wish, I Wish, una ennesima prova dell’ispirazione che lo sorreggeva in quel periodo, altro pezzo affascinante anche a livello strumentale con la chitarra di Alun Davies e il piano del nostro in bella evidenza, oltre ad intricati passaggi vocali.

La soffusa Katmandu prevede la presenza di un giovane Peter Gabriel al flauto, la breveTime, con la classiche pennate dell’acustica in primo piano, precede Fill My Eyes, un altro classico esempio del folk cantautorale sviluppato da Stevens e soci per questo album, che si chiude sulle note di Lillywhite, un’altra delle sue eteree canzoni d’amore dove gli archi di Newman sono protagonisti di un superbo lavoro di coloritura. Proprio in questi giorni è annunciata una nuova Deluxe Edition in 2 CD, di cui però non so i contenuti (ma li troverete nell’appendice di questo articolo). All’inizio l’album non sfonda subito a livello commerciale ma poi lentamente diventa disco di platino in tutto il mondo e spiana la strada per

Tea_for_the_Tillerman.jpeg

Tea For The Tillerman – 1970 Island/A&M *****

Il classico disco da 5 stellette, a parte per il critico del Village Voice Robert Christgau che lo definì monotono, ma il giornalista di New York era uno specialista nello stroncare i dischi (non sempre). I musicisti sono gli stessi del disco precedente, ma l’album contiene alcune canzoni che sono diventate degli standard assoluti della canzone d’autore, a partire da Father And Son una canzone sui conflitti generazionali che ancora oggi rimane il brano più popolare della discografia di Cat Stevens, come peraltro tutto l’album, tanto che come Yusuf/Cat Stevens lo ha voluto re-incidere in una nuova versione targata 2020 (ma la versione originale rimane insuperata) e la cui recensione avete letto in altre pagine virtuali del Blog.

Per cui, visto che le canzoni sono tutte famosissime e molto belle, qui le indico: Where Do The Children Play?, un capolavoro di equilibri sonori, con un testo splendido dove Stevens si interroga sul progresso e il futuro della tecnologia, il tutto cantato in modo impeccabile da Cat, che poi si supera in Hard Headed Woman dove la sua voce raggiunge vette incredibili di bellezza, mentre gli archi, la batteria, la chitarra, si intrecciano ai limiti della perfezione, molto bella Wild World la storia di un amore fallito che viene coniugata ad una musica struggente ed ad una parte cantata sempre superba, oltre che ad una melodia indimenticabile.

 E anche Sad Lisa potrebbe trattare della stessa ragazza che lo ha lasciato, ma il tema sonoro, sottolineato dal pianoforte, è più malinconico, addirittura triste a tratti, con la voce sempre più espressiva del nostro amico a sottolineare il pathos del brano. Miles From Nowhere ancora magnifica con un crescendo superbo, la voce che si erge autoritaria sull’arrangiamento avvolgente da moderno gospel, seguita dalla breve But I Might Die Tonight dove tratta il tema del futuro e del lavoro mal pagato, con un impeto e una rabbia quasi incredula. Longer Boats parte con un fade-in degno dell’afflato di certi brani di Harry Belafonte e poi si sviluppa in un’altra solenne melodia, che lascia spazio nella successiva Into White ad arditi versi porti con una musicalitàpiù intima e profonda sulle ali di un violino solista.

On The Road To Find Out con i consueti arpeggi iniziali di Davies rimandano alle origini della musica greca, sempre presente nel vocabolario sonoro della musica di Stevens, qui unite all’uso delle voci sullo sfondo per sottolineare le improvvise esplosioni della musica attraverso la batteria di Burns, di Father And Son abbiamo detto, magari vorrei sottolineare le due tonalità usate da Cat per il padre, più maturo e saggio, ed il figlio, più impetuoso ed impaziente, con un registro più alto, fino all’ingresso a metà brano anche di quella di Alun Davies, che sottolinea il testo, superba. Chiude la breve title track, la pianistica Tea For The Tillerman dedicata al “Timoniere”, effigiato anche nella copertina dell’album, disegnata dallo stesso Cat. Dell’album esiste anche una versione doppia Deluxe in CD, che vi consiglio vivamente, visto che riporta anche un paio di demo e molto materiale dal vivo (in ttesa di quell nuova in uscita al 4 dicembre). Ad ottobre del 1971, quindi sempre sulla spinta ispirativa che lo percorre senza requie, ma già registrato a partire da luglio 1970, fino a marzo dell’anno successivo, una parte in Inghilterra e parte in California, viene pubblicato, sulle ali dell’enorme successo, il terzo album di questa ideale trilogia

Teaser_&_the_firecat

Teaser And The Firecat – 1971 Island/A&M****1/2

Forse mezza stelletta in meno, ma un altro album favoloso. Oltre a Davies e Burns che rimangono, si aggiungono il bassista Larry Steele e il batterista Gerry Conway, oltre al tastierista Jean Roussel, originario delle isole Mauritius, in tre brani, e tre o quattro ospiti solo in un brano ciascuno, rimane anche Del Newman per la parte orchestrale.

Dieci brani, ancora tutti di grande spessore: apertura con The Wind, breve canzone delicata sempre costruita intorno all’interplay delle due acustiche di Stevens e Davies, a seguire, nell’alternanza dei temi e dei tempi musicali, la deliziosa Rubylove, registrata a Los Angeles, dove appaiono i due bouzouki di Andreas Toumazis e Angelos Hatzipavli a conferire un frizzante aroma greco alla musica, confermato anche da un verso cantato in lingua ellenica dal nostro, bellissimi anche gli intrecci vocali.

If I Laugh è un’altra di quelle perle acustiche che fluivano senza sforzo dalla penna di Cat, sempre abbellite da piccoli ma suggestivi interventi degli altri musicisti, in questo caso il contrabbasso e le percussioni appena accennate, oltre ai coretti dello stesso Stevens; Changes IV, uno dei brani più mossi, dove alle chitarre strimpellate si alternano le consuete esplosioni percussive della batteria, rafforzate anche dal battito di mani, mentre il testo ha quell’impeto di proselitismo di alcune sue canzoni più impegnate, estrinsecato anche nell’uso corale delle varie voci.

How Can I Tell You viceversa è una delle sue consuete dolci canzoni d’amore, impreziosita dalle armonie vocali della brava Linda Lewis (un po’ di gossip, anche lei una delle sue varie “fidanzate” dell’epoca?), ottima anche Tuesday’s Dead, con il suo sound caraibico, groove di basso irresistibile, percussioni come piovesse, l’organo Hammond di Roussel, una esplosione di pura gioia, Poi arrivano i pezzi forti dell’album (non che gli altri siano brutti): Morning Has Broken, un brano tradizionale, arrangiato ed adattato da Cat, il pianoforte fluente è suonato da Rick Wakeman, non accreditato, è una incantevole ode al giorno che si affaccia, cantata con grande trasporto da un ispirato Stevens.

Incantevole anche l’esuberante Bitterblue dove Cat Stevens ci regala un’altra grande interpretazione vocale, come ha detto qualcuno, e concordo anch’io, forse non poteva competere con la potenza vocale di un Van Morrison o con lo charme di James Taylor tra i suoi concorrenti dell’epoca, ma anche lui aveva un suo perché. Moonshadow è un altro dei grandissimi successi dell’album, oltre ad essere una canzone di notevole fascino, con un crescendo strepitoso, fino al falsetto finale e il terzo ed ultimo singolo estratto dall’album è la superba Peace Train, che traccia l’impegno sociale e spirituale crescente del suo autore, che sul ritmo incalzante della sua band rilascia una ennesima prestazione vocale di prima qualità, sorretta dai coretti gospel avvolgenti, dal lavoro discreto ma fondamentale degli archi, dalle esplosioni della batteria, e dal lavoro immancabile delle chitarre, un piccolo capolavoro.

Come per il disco precedente esiste una versione Deluxe in due CD, con demo e brani dal vivo anche registrati anni dopo, che poi sarebbe quella da avere.

Fine prima parte, segue…

Bruno Conti

Cofanetti Autunno-Inverno 16. Ed Anche Space Oddity Compie 50 Anni, Ma Viene Celebrato “In Incognito”! David Bowie – Conversation Piece

david bowie conversation piece

David Bowie – Conversation Piece – Parlophone/Warner 5CD Box Set

Quest’anno gli estimatori di David Bowie non hanno avuto il solito volume dei box sets riepilogativi della carriera del musicista scomparso nel Gennaio del 2016 (una serie comunque più interessante per i neofiti che per i fans, dato la scarsità di materiale inedito), ma sono stati gratificati di un’operazione per loro ancora più stuzzicante. Facciamo un passo indietro di qualche mese, e cioè a quando la Parlophone ha pubblicato tre cofanetti esclusivamente in vinile intitolati rispettivamente Spying Through A Keyhole, Clareville Grove Demos e The “Mercury” Demos, in cui venivano pubblicate delle sessions in gran parte inedite del biennio 1968-1969 inerenti all’allora imminente “vero” debutto discografico del futuro Duca Bianco (l’album David Bowie, uscito per la Deram nel 1967 e pochissimo rappresentativo dello stile che il nostro avrà in seguito, è sempre stato trattato alla stregua di una falsa partenza). Anche il disco del 1969 si intitolerà David Bowie, quasi a voler rimarcare che quello sarà il vero debutto (negli Stati Uniti verrà invece ribattezzato in maniera secondo me un po’ idiota, Man Of Words, Man Of Music), ma oggi con quel nome il disco lo conoscono in tre, dato che dal 1972 ogni ristampa lo identificherà come Space Oddity, dal titolo della splendida ballata che apre il lavoro, uno dei brani più leggendari di Bowie che diede il via ad una lunga serie di canzoni a tema “spaziale” (e che venne pubblicata come singolo solo cinque giorni prima della missione Apollo 11 sulla Luna).

Oggi Space Oddity viene celebrato in maniera sontuosa ancorché un po’ strana, con un box che non mette in evidenza il nome dell’album ma lo nasconde preferendo recare il titolo Conversation Piece: cinque CD in cui troviamo i contenuti delle tre pubblicazioni in vinile citate in precedenza (che avevano un costo esageratamente alto) ulteriormente arricchite di altri 12 inediti, più due versioni corredate da bonus tracks dell’album originale del 1969, uno con il mix dell’epoca ed uno rifatto apposta per questo box (quest’ultimo disponibile anche separatamente), che occupano rispettivamente il quarto e quinto CD del box. Il cofanetto tra l’altro è splendido dal punto di vista “fisico”, uno dei più belli tra quelli usciti ultimamente: un librone dalla copertina dura pieno di foto rare, note brano per brano, crediti e vari scritti e testimoianze (tra cui quella di Tony Visconti, produttore dell’album e futuro partner artistico inseparabile per David), con i cinque CD infilati in  pratiche “tasche” poste all’inizio ed alla fine del libro. Risentiamo dunque con grande piacere Space Oddity (la versione remix del 2019 è incisa tra l’altro in maniera spettacolare), un lavoro che presentava diversi musicisti di gran nome, tra cui il futuro Yes Rick Wakeman alle tastiere, il batterista dei Pentangle Terry Cox, il chitarrista Tim Renwick, il bassista Herbie Flowers e l’arrangiatore Paul Buckmaster, mentre l’altro bassista John Lodge è solo omonimo di quello dei Moody Blues.

La title track rimane un capolavoro assoluto, ma anche i restanti brani mostrano il talento di un artista che di lì a poco diventerà uno dei più popolari al mondo: non manca qualche ingenuità (la pur bella Cygnet Committee è tirata un po’ troppo per le lunghe, Memory Of A Free Festival, con Marc Bolan ai cori, è pretenziosa), ma non mancano nemmeno ottime canzoni come l’energica e roccata Unwashed And Somewhat Slightly Dazed, l’orecchiabile Janine, il pop etereo della gentile An Occasional Dream, la folkeggiante God Knows I’m Good; troviamo anche per la prima volta all’interno della tracklist il bel brano che dà il titolo al box, originariamente omesso per problemi di durata e riciclato come lato B di un singolo. Come bonus nei due dischetti finali del cofanetto ci sono missaggi alternativi di tre brani dell’album, la versione rifatta di Wild Eyed Boy From Freecloud per un lato B, e la rilettura in italiano di Space Oddity intitolata Ragazzo Solo, Ragazza Sola, con parole di Mogol ma anche con il significato originale del testo completamente stravolto (e poi la pronuncia italiana di Bowie non è proprio impeccabile). Ma come ho già accennato prima le vere chicche del box sono contenute nei primi tre dischetti, dei quali vado a fare una veloce disamina.

CD 1. Le prime dodici tracce sono tutti home demos del 1968 in cui Bowie suona tutto da solo, in alcuni casi aggiungendo anche cori sempre con la propria voce: a parte un primo frammento di Space Oddity e la leggerina London Bye Ta-Ta sono tutti brani abbastanza oscuri, con titoli come April’s Tooth Of Gold, The Reverend Raymond Brown, When I’m Five, Angel Angel Grubby Face eccetera, pezzi che in alcuni casi avrebbero dovuto formare un ipotetico secondo album per la Deram. Tra pop, folk, reminiscenze beatlesiane ed un leggero tocco di psichedelia ci troviamo di fronte ad un documento di alto valore storico più che artistico, dato che le canzoni presenti non sono certo indimenticabili (anche se alcune di esse avrei voluto risentirle in una veste più consona, come In The Heat Of The Morning, Goodbye 3D (Threepenny) Joe e Love All Around). Gli otto pezzi che seguono risalgono all’inizio del 1969 e vedono David accompagnato alla chitarra e voce da John “Hutch” Hutchinson: tra i brani presenti troviamo altri tre tentativi di Space Oddity, che presenta già la struttura nota ma che lo stylophone suonato da Bowie riveste di sonorità sperimentali, una prima versione di An Occasional Dream, la vivace e bucolica Ching-A-Ling ed una cover di Life Is A Circus, oscura canzone dei misconosciuti Djinn. Il CD termina con due incisioni in solitaria di David (Conversation Piece e la dylaniana Jerusalem) ed alla prima versione pubbicata ufficialmente di Hole In The Ground (con George Underwood), uno tra gli inediti più mitizzati del nostro.

CD 2. Il sottotitolo di questo dischetto è The “Mercury” Demos, in quanto la fonte è un master tape in mono con la tracklist scritta a mano dall’A&R della Mercury Calvin Mark Lee. Dieci pezzi incisi nel ’69 ancora con Hutchinson, tra i quali spiccano finalmente titoli che poi finiranno su Space Oddity, come la title track, Janine (con il ritornello che scimmiotta scherzosamente quello di Hey Jude), An Occasional Dream, Conversation Piece, I’m Not Quite (che diventerà Letter To Hermione) e Lover To The Dawn, che si evolverà nel tour de force di Cygnet Committee. Ci sono però anche altre cose, come le già ascoltate in veste diversa Ching-A-Ling, Life Is A Circus e When I’m Five, oltre ad una cover molto intima di Love Song di Leslie Duncan, che l’anno seguente Elton John renderà popolare incidendola per l’album Tumbleweed Connection. Un bel CD, con Bowie rilassato ma perfettamente “dentro” alle canzoni ed autore di una serie di performance impeccabili. CD 3. Il terzo dischetto è una miscellanea che comprende versioni mono incise per la Decca di In The Heat Of The Morning e London Bye Ta-Ta, una take elettrica di Ching-A-Ling, molto interessante, una Space Oddity full band alternata ma sempre bellissima, un paio di missaggi in mono di pezzi noti e due diverse BBC Sessions, con solo due canzoni che finiranno su Space Oddity (Janine e Unwashed And Somewhat Slightly Dazed) ed altre che rimarranno rare o inedite, come Let Me Sleep Beside You, Karma Man e Silly Boy Blue.

Vedremo il prossimo anno se questo (ottimo) cofanetto sarà un episodio isolato, tendente a celebrare un album comunque importante in quanto diede il via ad una delle più luminose carriere della storia del rock, o se invece sarà solo la prima di versioni “super deluxe” di tutti gli album della discografia di David Bowie. In questo secondo caso, iniziate fin d’ora a risparmiare ed a fare spazio sui vostri scaffali.

 Marco Verdi

Novità Di Gennaio Parte III. Flaming Lips, Rick Wakeman, Band Of Heathens, Dennis Coffey, Blackie And The Rodeo Kings, Jake Clemons

flaming lips oczy mlody

Continuiamo con le uscite discografiche più interessanti in uscita tra il 13 e il 20 gennaio. Intanto volevo ricordarvi che delle ristampe segnalate nel precedente Post quelle della BGO previste per il 13 gennaio sono slittate al 27 gennaio e quelle della Esoteric spostate al 3 febbraio. Veniamo ad alcune uscite previste per il gennaio (qualcuna avrà una recensione ad hoc): partiamo dai Flaming Lips, che secondo me non fanno un disco decente dai primi anni 2000 (sempre parere personale ovviamente), il nuovo disco si chiama Oczy Mlody è uscito per la Warner lo scorso venerdì 13 gennaio, con questo contenuto.

1. Oczy Mlody
2. How??
3. There Should Be Unicorns
4. Sunrise (Eyes Of The Young)
5. Nigdy Nie (Never No)
6. Galaxy I Sink
7. One Night While Hunting For Faeries And Witches And Wizards To Kill
8. Do Glowy
9. Listening To The Frogs With Demon Eyes
10. The Castle
11. Almost Home (Blisko Domu)
12. We A Family feat. Miley Cyrus

Come avrete notato c’è anche un duetto con Miley Cyrus, ma Wayne Coyne e soci mi sembrano ormai più fuori di melone del solito.

rick wakeman piano portraits

Rick Wakeman pubblica per la Universal il suo nuovo album Piano Portraits. Come indica il titolo si tratta di un disco di solo piano dove Wakeman rivisita molti brani celebri (e anche un paio di pezzi di musica classica).

1. Help
2. Stairway to Heaven
3. Life on Mars
4. I’m Not In Love
5. Wonderous Stories
6. Berceuse
7. Amazing Grace
8. Swan Lake
9. Morning Has Broken
10. Summertime
11. Space Oddity
12. Dance of the Damselflies
13. Clair de Lune
14. I Vow To Thee My Country
15. Eleanor Rigby

Life On Mars era già uscito lo scorso anno come EP, in memoria di David Bowie.

band of heathens duende

Sempre il 13, per la loro etichetta, è uscito il nuovo album dei texani Band Of Heathens Duende, che uscirà la settimana prossima in edizione europea per la Blue Rose. Si parla molto bene da tempo del disco e sarà uno di quelli che verranno recensiti appena possibile sul Blog. Si tratta del loro sesto album di studio e ottavo complessivamente.

Questi sono i titoli dei brani:

 1. All I’m Asking
2. Sugar Queen
3. Last Minute Man
4. Deep Is Love
5. Keys To The Kingdom
6. Trouble Came Early
7. Daddy Longlegs
8. Cracking The Code
9. Road Dust Wheels
10. Green Grass Of California

dennis coffey hot coffey in the d

Saltando di palo in frasca, questo è un disco molto particolare Dennis Coffey “Hot Coffey In The D: Burnin’ At Morey Baker’s Showplace Lounge” 1968, era già uscito in vinile a fine novembre per il Black Friday, su etichetta Resonance, e l’altro ieri è stato pubblicato anche in CD. Dennis Coffey era il “mitico” chitarrista dei Funk Brothers, quello che suonava in quasi tutti i dischi della Tamla-Motown e in questo disco è accompagnato da altri luminari della etichetta di Detroit.

Un piccolo “tesoro perduto”:

1. Fuzz
2. By The Time I Get To Phoenix
3. The Look Of Love
4. Maiden Voyage
5. The Big D
6. Casanova (Your Playing Days Are Over)

blackie and the rodeo kings kings and kings

Torna anche la grande band canadese formata da Stephen Fearing, Colin Linden Lee Harvey Osmond (che sostituiscono Tom Wilson, anche se poi è  sempre la stessa persona, ma questa volta usa il nome del gruppo)). Il nuovo disco è il seguito del bellissimo Kings And Queens del 2011 dove duettavano con grandi voci femminili. In teoria l’album è uscito per la piccola etichetta, sempre canadese, File Under Music già da qualche tempo, ma solo in questi giorni, pur rimanendo costoso e di non facile reperibilità, ha avuto una maggiore distribuzione ( a differenza dei precedenti che erano pubblicati dalla True North). Comunque vale la pena di fare uno sforzo per cercarlo. Forse non ho detto il nome della band, Blackie And The Rodeo Kings, e il titolo, Kings And Kings, questa volta una serie di duetti con voci maschili.

01 Live By The Song ft. Rodney Crowell
02 Bury My Heart ft. Eric Church
03 Beautiful Scars ft. City and Colour
04 High Wire ft. Raul Malo
05 Playing By Heart ft. Buddy Miller
06 Bitter and Low ft. Fantastic Negrito
07 Secret of a Long Lasting Love ft. Nick Lowe
08 A Woman Gets More Beautiful ft. Bruce Cockburn
09 Land of The Living (Hamilton Ontario 2016) ft. Jason Isbell
10 Long Walk To Freedom ft. Keb Mo
11 This Lonesome Feeling ft. Vince Gill
12 Where The River Rolls ft. The Men of Nashville

jake clemons fear and love

Non è un disco formidabile o straordinario, ma per tutti gli springsteeniani sparsi per il mondo si tratta del debutto solista (dopo un EP uscito nel 2013) di Jake Clemons, nipote del grande Clarence Clemons e nuovo sassofonista della E Street Band. Il CD Si Intitola Fear And Love, è uscito sempre il 13 gennaio per la BMG, e a un primo ascolto veloce, sembra meglio il nipote dello zio, più orientato verso il rock, anche se il sound a tratti rimane più mainstream e radiofonico. Comunque c’è molto di peggio in giro. Video non ce ne sono ancora, quindi andate sulla fiducia.

Per oggi è tutto, alle prossime news.

Bruno Conti

Per Ricordare Uno dei Grandissimi :Un Fine Settimana Con Lou Reed The RCA & Arista Album Collection, Parte I

*NDB Un breve promemoria: prima di iniziare la lettura, vi ricordo che il Post, vista la lunghezza, viene diviso in tre parti, anche in modo che possiate passare un weekend con noi e soprattutto con Lou Reed.
lou reed the rca arista album collection front

Lou Reed – The RCA & Arista Album Collection – Sony Legacy Box Set 17CD

Ad un anno circa dal’uscita del Box The Sire Years, che riepilogava l’ultimo periodo della carriera del grande Lou Reed (con l’eccezione dell’album Lulu registrato con i Metallica e di Berlin Live) http://discoclub.myblog.it/2015/11/25/ripasso-piu-che-doveroso-lou-reed-the-sire-years-complete-albums-set/ , finalmente anche la Sony mette a punto un box che comprende i dischi usciti per la RCA ed Arista dal 1972 al 1985, cioè di quella che è stata a detta di tutti la golden age del rocker newyorkese: The RCA & Arista Album Collection è però, a differenza del boxettino degli anni Sire, un progetto decisamente più curato, lussuoso ed importante (ed anche il prezzo lo è), in quanto ha avuto l’imprimatur dello stesso ex Velvet Underground. Infatti, prima della sua inattesa scomparsa nel 2013, Lou stava proprio lavorando alla rimasterizzazione del suo catalogo “storico”, che prendeva in esame anche i dischi dal vivo (più o meno, come vedremo tra breve) e diversi titoli fuori commercio da qualche anno, un progetto che è stato portato a termine dal suo amico ed abituale collaboratore Hal Willner. Ebbene, il cofanetto in questione è bellissimo, con cartoline, poster ed un librone con splendide foto (molte inedite) e riproduzioni di manoscritti di Reed stesso nella sua calligrafia illeggibile, ma quello che più conta è il fatto che i suoi dischi non avevano mai suonato così bene prima, in alcuni momenti sembra di sentire addirittura strumenti che in precedenza non c’erano, un’operazione davvero certosina di restauro dei vecchi nastri (nel libro è riportata una testimonianza dello stesso Lou che, ascoltando per la prima volta il risultato dei remasters, non credeva alle sue orecchie).

lou reed the rca arista album collection standing

Un box quindi sicuramente imperdibile per chi non conosce Lou o per chi ha solo qualche disco, ma forse anche per chi ne possiede diversi (o tutti), in quanto molte edizioni del passato non suonavano proprio come avrebbero dovuto (vi risparmio le considerazioni su chi era Lou Reed, penso che tutti siate a conoscenza della sua importanza come uno degli artisti più originali e carismatici di tutti i tempi, uomo di immensa cultura ed autore di canzoni i cui testi erano spesso duri, crudi e diretti, ma talvolta anche profondamente poetici e toccanti, quando non ironici e crudeli, il classico tipo fuori da ogni catalogazione, larger than life direbbero in America). Il buon Lou però da lassù mi perdonerà se faccio notare due magagne presenti nel box, una delle quali abbastanza grave a mio parere: intanto manca qualsiasi accenno di bonus tracks (compreso in quei dischi che già avevano beneficiato di ristampe potenziate, Coney Island Baby su tutti), ma forse Reed voleva mantenere l’album come era in origine, cosa in fondo comprensibile; quello che mi spiego meno è: perché se hai deciso di inserire i dischi dal vivo, ne lasci poi fuori due? Ok che Live In Italy del 1984 era inizialmente uscito solo in Germania, Regno Unito e Giappone, ed in USA solo nel 1996, ma allora perché manca anche Lou Reed Live del 1975, che altro non era che la seconda parte di Rock’n’Roll Animal (con canzoni prese dallo stesso concerto)? A parte queste domande, destinate a restare senza risposta, nel box c’è musica tra la migliore uscita nel secolo scorso (anche se conosco diverse persone a cui Lou non è mai andato molto a genio, ma è un problema loro…), anche perché Reed apparteneva a quella ristretta schiera di musicisti che non hanno mai fatto un disco brutto (a parte Metal Machine Music, ma quello è un caso limite): quindi ecco una disamina dettagliata, e doverosa, dei 17 CD presenti.

Lou Reed (1972): composto per otto decimi da avanzi del periodo Velvet, questo album d’esordio è da sempre uno dei suoi più criticati. A me non dispiace affatto, forse è un po’ discontinuo, ma i punti di interesse non mancano di certo (ed in session ci sono due Yes, Steve Howe e Rick Wakeman), dall’apertura di I Can’t Stand It, una rock song diretta e tesa come una lama, alla turgida ballata pianistica Going Down, la quasi rollingstoniana Walk And Talk It (il riff ricorda molto quello di Brown Sugar), l’intensa e bellissima Lisa Says, vero highlight del disco, ed una prima versione di Berlin. Nella seconda parte (il vecchio lato B) l’album si siede un po’, anche se Ride Into The Sun a me piace assai. L’unica cosa davvero brutta è la copertina.

Transformer (1972): dopo pochi mesi dall’esordio, Lou centra subito il suo capolavoro. Prodotto da David Bowie e Mick Ronson, Transformer è uno dei dischi più influenti del periodo, ed uno degli album di punta del nascente movimento glam (definizione che però Reed ha sempre rifiutato), nonostante i testi parlino di droga, sesso ed omosessualità. I quattro brani forse più noti della carriera di Lou sono tutti qua (Vicious, la straordinaria Perfect Day, il superclassico Walk On The Wild Side e la splendida Satellite Of Love), ma ci sono anche la poetica e vibrante Andy’s Chest, dedicata all’amico Warhol, il travolgente rock’n’roll Hangin’ Round, la scintillante I’m So Free e la curiosa Goodnight Ladies, con accenni dixieland. Da qualunque parte lo si guardi, un disco da cinque stelle.

Marco Verdi

Fine parte 1, a domani.

Real Gone Music: Old, New & Previews. Tom Jans, Rick Wakeman, Cat Mother, Billy Joe Shaver, Pozo Seco, John Hartford, Freddie King, Don Nix, Sam Samudio, Borderline

sam dees the show must go on.jpgtom jans & mimi farina.jpgdon nix living by the days.jpg

 

 

 

 

 

 

Mi riservavo sempre di dare uno spazio alle ripubblicazioni di questa nuova etichetta, che si chiama Real Gone Music, e viene vista come una “alleata” di case storiche come la Rhino, la Ace, la Repertoire, la Esoteric, e mille altre, nella difficile arte della Ristampa. Qualità sonora, libretti dettagliati e, ove possibile, bonus tracks, sono tre ingredienti immancabili, e direi che la Real Gone li rispetta tutti. L’etichetta americana è in pista da un paio di anni e nasce dall’incontro tra due persone che già si occupavano di musica, Gabby Castellana della Hep Cat Records e, soprattutto, Gordon Anderson, fondatore della Collectors’ Choice, che per un paio di decadi aveva allietato le vite degli appassionati di buona musica. Sono partiti con qualche vinile d’epoca e poi hanno iniziato a ristampare i titoli della serie Dick’s Picks dei Grateful Dead. Da lì a diventare una delle etichette di punte nel mercato delle ristampe è stato breve. Diciamo che non tutto il catalogo che pubblicano è di interesse per gli appassionati di rock, perché la Real Gone si occupa molto anche di cantanti e musicisti, diciamo tradizionali e, marginalmente anche di jazz. Se volete vedervi tutto il catalogo andate qui http://www.realgonemusic.com/, ma di alcuni titoli recenti e futuri, quelli più interessanti, ad insindacabile giudizio di chi scrive, ci occupiamo oggi. Del primo che vedete effigiato qui sopra, Sam Dees, mi ero già occupato, e lo trovate sfogliando a ritroso le pagine del Blog, che è sempre una piacevole attività, mentre gli altri due sono tra i più gustosi in relazione all’uscita del 2 aprile.

Tom Jans sembra finalmente avere lo spazio che merita e dopo l’antologia della australiana Raven (era-ora-finalmente-in-cd-tom-jans-loving-arms-the-best-of-19.html e qualche uscita giapponese, la Real Gone pubblicherà per la prima volta un CD sul mercato americano: Tom Jans & Mimi Farina Take Heart e l’omonimo Tom Jans, vengono uniti in un dischetto unico. Le informazioni le leggete nel post linkato, questa è la lista dei brani contenuti.

Songs: 

Take Heart

1.   Carolina

2.   Charlotte

3.   Kings and Queen

4.   The Great White Horse

5.   Reach Out (For Chris Ross)

6.   Madman

7.   In the Quiet Morning (For Janis Joplin)

8.   Letter to Jesus

9.   After the Sugar Harvest

10. No Need to Be Lonely

Tom Jans

 

 

 

11. Margarita

12. Old Time Feeling

13. Tender Memory

14. Slippin’ Away

15. Green River

16. Blue Sky Rider

17. Loving Arms

18. Free and Easy

19. (Why Don’t You) Meet Me at the Border

20. Hart’s Island

Don Nix è uno dei tesori nascosti della musica americana ed i suoi dischi originali sono di reperibilità molto difficoltosa, per usare un eufemismo, qualche sporadica uscita giapponese, ma per il resto solo tributi o materiale recente. Come dicevo in altre occasioni, Nix comunque è quello che è scritto Going Down, era uno dei membri fondatori, come sassofonista, dei Mar-Keys e poi produttore, sideman ed arrangiatore alla Stax, per Booker T & Mg’s e il giro di Otis Redding e altri artisti dell’etichetta. Poi è andato alla Shelter di Leon Russell, ma nello stesso tempo continuava a produrre e suonare in dischi di gente come Joe Cocker, Delaney & Bonnie, Tracy Nelson, Albert King, Freddie King. Questo Living By The Days, in uscita il 2 aprile, veniva pubblicato in origine dalla Elektra nel 1971. Nel disco, oltre alla sezione ritmica dei Muscle Shoals, c’erano Donald “Duck” Dunn e parecchi musicisti del giro Shelter People che suonavano con Leon Russell e Joe Cocker, tipo Don Preston (anche con Zappa), Claudia Lennear, Kathi McDonald (scomparsa di recente)e come ospite Furry Lewis (proprio quello del brano di Joni Mitchell), che da lì a poco avrebbe dato vita con lo stesso Nix e Lonnie Mack agli Alabama State Troopers, altra band leggendaria di quel periodo.

borderline sweet dreams.jpgpozo seco shades of time.jpgrick wakeman no earthly connection.jpg

 

 

 

 

 

 

 

I Borderline erano un trio, sconosciuto ai più, composto da Dave & Jon Gershen e da Jim Rooney. Siamo nel 1972 (anche se il disco uscirà nel 1973), dalle parti di Woodstock, patria della Band e della Bearsville Records, di cui Rooney era il manager e il factotum, da quelle bazzicano fior di musicisti tra cui Van Morrison, prossimo a finire il suo periodo americano, ma soprattutto musicisti country, di quelli che in quel periodo incrociavano i loro strumenti con il meglio del rock dell’epoca: Ben Keith al dobro (dalla band di Neil Young), Vassar Clements e Ken Kosek al violino, Billy Mundy dalla band di Zappa, alla batteria, David Sanborn al sax e, dal giro della Band, Richard Manuel e Garth Hudson, sotto gli pseudonimi di Dick Handle e Campo Malaqua, e il loro produttore, John Simon, al piano. Il disco, Sweet Dreams And Quiet Desires, pubblicato ai tempi dalla Avalanche, che era una sottomarca della United Artists, venne praticamente ignorato, ma visti i musicisti coinvolti fu un vero peccato, perchè si trattava di ottima musica, quella che oggi definiremmo “Americana”, il genere praticato da Little Feat e The Band. Non è che in CD abbia avuto una sorte migliore, pubblicato in Giappone è sparito quasi subito, ma oggi la Real Gone lo (ri)pubblica, con le matrice originali, e aggiungendo anche un The Second Album, rimasto inedito ai tempi, dove suonavano tra gli altri i Brecker Brothers, Will Lee, Amos Garrett, anche in questo caso con le registrazioni originali, miracolosamente riapparse. Il tutto in un unico CD.

Ancora più oscuro è il disco dei Pozo Seco, che all’epoca, 1968, avevano perso per strada il suffisso Singers e un componente, ma vantavano nelle loro fila una voce femminile Susan Taylor (che si faceva chiamare Taylor Pie) e, da sette anni in formazione, tale Don Williams, che da lì a poco, 1971, sarebbe diventato una della stelle della country music, definito “The Gentle Giant” e amatissimo, tra i tanti, da Eric Clapton. Questo Shades Of Time, che potremmo definire un disco di folk-country-pop-rock (mi è venuto così), ha la particolarità di essere prodotto da due grandi del tempo, Elliott Mazer e Bob Johnston (esatto, proprio quelli rispettivamente di, Neil Young e Janis Joplin, e Bob Dylan e Simon & Garfunkel). Il disco, molto piacevole, ha undici bonus tracks, tratte dai singoli dell’epoca.

Forse (anzi togliete pure il forse), No Earthly Connection, non rientra tra i migliori dischi di Rick Wakeman, e neppure tra quelli più popolari, visto che in CD è uscito solo in una rara versione giapponese, ma questo disco editato in orgine nel 1976, farà la gioia dei fans del rock progressivo e non è neppure orribile. Un brano di 28 minuti diviso in cinque parti e due brani di 7 minuti ciascuno, lo inseriscono d’ufficio nel filone del prog rock. In questo caso niente bonus.

john hartford aereo-plain morning bugle.jpgbilly joe shaver complete columbia.jpgfreddie king the complete king-federal singles.jpg

 

 

 

 

 

 

 Tre CD doppi, due usciti da qualche mese, e uno in questi giorni.

Quello di John Hartford, Aereo-Plain/Morning Bugle The Complete Warner Bros. Recordings, raccoglie i due dischi pubblicati per la major americana, tra il 1971 e il 1972, quando questo signore, che non dimentichiamolo è quello che è scritto Gentle on My Mind per Glen Campbell, un brano che ha venduto qualche gazillione di copie, ha il merito di avere re-introdotto la musica bluegrass nel country americana, con tanti altri, a partire dai Dillards. Ma in questi due album, fantastici, suona gente come Vassar Clements, Tut Taylor, Norman Blake, Sam Bush, addirittura nel secondo un trio, che a fianco di Hartford e Blake, vede la presenza del grande contrabassista jazz Dave Holland, per uno stile che Sam Bush dei New Grass Revival, avrebbe proprio ribatezzato come “New Grass”, improvvisazione allo stato puro ma nell’alveo della tradizione popolare country americana. Ovviamente ci sono 8 bonus, quattro nel primo e quattro nel secondo CD. Imperdibile.

Anche quello di Billy Joe Shaver, The Complete Columbia Recordings, raccoglie l’opera omnia incisa per un’altra grande major americana nel periodo centrale della sua carriera, 1981 I’m Just an Old Chunk of Coal (but I’m Gonna Be a Diamond Someday), 1982 l’omonimo Billy Joe Shaver e 1987 Salt Of The Earth, tre dischi di perfetta outlaw country music, tra le cose migliori della sua carriera in assoluto. Considerando che ci sono 3 album completi su 2 CD non deve meravigliare che la bonus track sia una sola, però è bella! Come il resto del contenuto, per chi ama il genere, ma anche per novizi. Il terzo sicuramente era uscito in CD, gli altri due non ricordo.

Per concludere con i doppi, questa antologia dedicata a Freddie King The Complete King And Federal Singles, raccoglie tutti i singoli incisi per queste etichette dal grande cantante e chitarrista, uno dei tre “Re” del Blues, 54 brani, per questo signore che, giustamente, la classifica di Rolling Stone ha inserito al 15° posto tra i più grandi chitarristi della storia, uno che ha influenzato moltissimo gente come Clapton, Beck, Green e Taylor. Non vi sto a citare brani in particolare ma se scorrete quelli contenuti in questa raccolta, è praticamente la storia del blues elettrico:

Tracks:

CD One

1.   You’ve Got to Love Her with a  Feeling

2.   Have You Ever Loved a Woman

3.   Hideaway

4.   I Love the Woman

5.   Lonesome Whistle Blues

6.   It’s Too Bad Things Are Going So Tough

7.   San-Ho-Zay!

8.   See See Baby

9.   I’m Tore Down

10. Sen-Sa-Shun

11. Christmas Tears

12. I Hear Jingle Bells

13. If You Believe (in What You Do)

14. Heads Up

15. Takin’ Care of Business

16. The Stumble

17. Side Tracked

18. Sittin’ on the Boat Dock

19. Do the President Twist

20. What About Love

21. Texas Oil

22. Come On

23. Just Pickin’

24. (Let Your Love) Watch over Me

25. You Can’t Hide

26. In the Open

27. I’m on My Way to Atlanta

CD Two

1.   It’s Easy, Child

2.   The Bossa Nova Watusi Twist

3.   Look, Ma, I’m Cryin’

4.   (I’d Love to) Make Love to You

5.   One Hundred Years

6.   (The Welfare) Turns Its Back on You

7.   You’re Barkin’ Up the Wrong Tree

8.   Surf Monkey

9.   Monkey Donkey

10. Meet Me at the Station

11. King-A-Ling

12. Driving Sideways

13. Someday, After Awhile (You’ll Be Sorry)

14. She Put the Whammy on Me

15. High Rise

16. Now I’ve Got a Woman

17. Onion Rings

18. Some Other Day, Some Other Time

19. Manhole

20. If You Have It

21. I Love You More Everyday

22. Full Time Love

23. She’s The One

24. Use What You’ve Got

25. Double Eyed Whammy

26. You’ve Got Me Licked

27. Girl from Kookamunga

cat mother the street giveth.jpgsam samudio hard and heavy.jpg

 

 

 

 

 

 

Le due ultime ristampe sono altre rarità assolute.

La prima, dal titolo, The Street Giveth…And The Street Taketh Away, pubblicata dalla Polydor nel 1969 a nome Cat Mother And The All Night Newsboys (all’epoca per ricordarti i nomi dei gruppi e i titoli dei dischi dovevi avere una memoria ferrea, oppure andavi per indizi, quello con la copertina nera…quello…) ha la particolarità di avere come co-produttore tale Jimi Hendrix (l’unica volta in cui ha prodotto un disco non suo, ma erano amici), che suona anche nel disco. In CD era già apparso un paio di volte fugacemente per etichette più o meno improbabili e pur non essendo un capolavoro assoluto si ascolta con estremo piacere, non solo per collezionisti, buona musica rock di quel periodo, molto eclettica ma valida.

Hard And Heavy è il disco solista pubblicato da Sam Samudio nel 1971 per la Atlantic, Già, ma chi è costui, se vi dico Sam the Sham & the Pharaohs, quelli di Wooly Bully qualcosa dovrebbe dirvi. Anche se il disco è un poderoso esempio di rock-garage-blues, co-prodotto da Jerry Wexler e Tom Dowd (mica cotica), con la partecipazione dei Dixie Flyers, la band dell’epoca di Jim Dickinson, le Sweet Inspirations, il trio vocale nero che accompagnava Ray Charles e Aretha Franklin, i Memphis Horns e Duane Allman alla solista, ciumbia! E il disco è un piccolo gioiello d’epoca con una sola bonus ma di spessore, una versione notevole di Me And Bobby McGee con Duane Allman al dobro. Non per niente alcuni dei brabi di questo album si troveranno nel cofanetto retrospettivo dedicato ad Allman, Skydog, in uscita in questi giorni. Se siete interessati al box, che trovate andando a ritroso nelle pagine del Blog, affrettatevi perchè pare cha la Rouunder/Universal ne pubblicherà “solo” 10.000 copie per il mercato americano, in esclusiva, niente edizione europea.

Direi che per la Real Gone Records, per il momento, è tutto. Con tutta questa “pubblicità” gratuita spero che mi mandino un po’ di materiale promo dagli States! Scherzo naturalmente (però la butto lì), trattasi di musica da conoscere assolutamente, ma i CD costano.

Bruno Conti

Uno Dei Gruppi Più Longevi Del Rock Torna Sul “Luogo” Del Delitto! Strawbs – Hero And Heroine In Ascencia

strawbs hero and heroine.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Strawbs – Hero And Heroine In Ascencia – Witchwood Media

La storia degli Strawbs, discograficamente parlando, inizia nel 1969 con un album omonimo pubblicato in quell’anno per la A&M, ma già in precedenza, accogliendo nelle loro fila Sandy Denny, a Copenaghen nell’agosto del 1968 avevano registrato un bellissimo disco All Our Own Work che comprendeva una delle prime versioni di Who Knows Where The Time Goes. E Dave Cousins, il leader del gruppo nel corso degli anni ha sempre portato in palmo di mano, con rispetto, la figura e la personalità della scomparsa cantante inglese, ma quella è un’altra storia.

Gli Strawbs sono uno dei gruppi più longevi e prolifici nella storia del rock (folk): tra album ufficiali in studio, dichi dal vivo, compilations, cofanetti, dischi solisti la loro discografia supera abbondantemente le 50 unità. E non hanno alcuna intenzione di smettere. Qualche anno fa hanno fondato una loro etichetta la Witchwood Media, dal titolo di uno dei loro dischi più belli, che si occupa di pubblicare materiale d’archivio ed eventuali dischi nuovi, in studio o dal vivo. ma-esistono-ancora-strawbs-dancing-to-the-devil-s-beat.html

Nati come duo di folk (agli inizi di bluegrass), Dave Cousins e Tony Hooper, hanno man mano ampliato la formazione che tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70 ha visto passare nei propri ranghi un Rick Wakeman pre-Yes che ha regalato alcune delle pagine più belle della loro discografia a partire dai due stupendi Just A Collection Of Antiques and Curious e From The Witchwood. Poi con Grave New World e Bursting At The Seams hanno raggiunto il massimo del successo e della popolarità (in Inghilterra). E questi quattro dischi sono i “must have” nel loro excursus.

Ma anche il disco del 1974, Hero And Heroine (e Ghosts lo stesso anno) li ha resi assai popolari in USA. E arriviamo a questo disco, intanto sono giorni che mi scervello sul titolo, cosa è questa Ascencia? Potrebbe essere un mitico reame e territorio inventato dai creatori di Dungeons and Dragons? Potrebbe, ma in fondo non è importante. Il disco, inciso nel novembre del 2010, non è niente altro che la ripresa completa del famoso album del 1974 con qualche piccola aggiunta (ma minima), registrato dalla attuale formazione del gruppo che vede nelle sue fila l’esordio del nuovo tastierista John Young.

E le tastiere hanno sempre giocato un ruolo importante nel sound del gruppo, anche se il fattore portante del gruppo è la voce e l’abilità di compositore di Dave Cousins, uno dei cantanti più evocativi e particolari della storia del rock. E vogliamo aggiungerci la chitarra di Dave Lambert, solista dal 1973? Aggiungiamo.

Per chi non li conosce gli Strawbs sono un gruppo che fonde le origini folk con il lato rock, prog direi della loro musica, quindi chitarre acustiche ma anche tante tastiere, piano, mellotron, synth, una sezione ritmica discreta ma in grado di divagazioni molto ricercate e soprattutto le “storie” di Cousins i cui testi spaziano dallo storico alle immancabili complesse storie d’amore, brani dal titolo in latino (Benedictus è stato uno dei loro grandi successi) ma quello che li accomuna è lo spirito molto evocativo della musica con la voce del leader in grado di comunicare storie e sentimenti con una grande partecipazione.

Per avere una idea di quanto detto, già il prologo (aggiunto) della lunga suite che apre questo album è esemplicativo di quanto detto: la voce solitaria, accorata, di Cousins a cui si aggiunge un piano e altre tastiere intona una melodia che anticipa il tema di Lay A Little Light On Me (e anche di Autumn), il brano che chiude l’album, poi entra un synth minaccioso, la chitarra di Lambert che ricrea il suono delle urla dei gabbiani (vedi la copertina del disco per le tematiche marittime), le sonorità si ampliano, si fanno più serene, epiche senza essere “pacchiane”, tipo i King Crimson (per capirci) più romantici, quelli di In The Court… o In The wake…, o i primi Yes, l’andatura del brano è ondulata, sale e scende, con tastiere e chitarre che dividono il proscenio con la voce di Cousins. La suite si conclude con la bellissima The Winter Long, canzone pianistica percorsa anche dalla slide di Lambert, brano malinconico e melodico, direi quasi “arioso”, corale meglio ancora, nella migliore tradizione del canone sonoro dello stesso Cousins. E questi sono i primi 11 minuti

Sad Young Man è un brano di Rod Coombes il batterista del disco originale, qui sostituito da Tony Fernandez, brano piacevole di costruzione più grintosa, quasi rock come la successiva Just Love scritta (e cantata) dal chitarrista Dave Lambert che è il rocker del gruppo, eccellente solista ma il canto non fa per lui (anche se insiste), forse sono cattivo, non è così male, ma il confronto con Cousins è impietoso. Shine on silver sun è uno di quei simil-valzeroni antemici che nascono facilmente dalla penna del nostro amico, sempre evocativi ed avvolgenti.

Mentre la title-track Hero and Heroine è un altro di quei brani epici e sinuosi con la chitarra che si intreccia alle tastiere di Young in questo brano che possiamo tranquillamente definire di rock progressivo, se quello è diciamolo, in fondo sono tra i primi ad avere usato questo stile. Midnight Sun è un brano prettamente acustico, quasi folk (primo amore) che stempera i ritmi rock del brano precedente ma è percorso da una chitarra elettrica sognante, in coda il tastierista John Young ha inserito un breve brano Aurora che non era nel disco originale.

I due medley che concludono il disco sono tra le cose migliori del disco, prima Only In The Cold che si unsice senza soluzione di continuità con Round and Round uno di quei brani ciclici che sono tipici del repertorio degli Strawbs tra ritmi rock e soluzioni melodiche cantate a tutta ugola da Dave Cousins, sempre con quel gusto per l’epica a misura d’uomo, molto vigore ma anche temi cantabili.

L’ultimo medley si apre con Lay A Little Light On Me una delle canzoni “drammatiche” più famose dal loro repertorio, maestosa e intensa come ai conviene, con l’intermezzo dell’ Hero’s Theme affidato alla chitarra e alla voce di Dave Lambert prima della chiusura affidata alla ripresa del tema di Round And Round che chiude il disco in gloria. Indicato sia per appassionati degli Strawbs che hanno già la versione orginale perchè questa nuova non snatura lo spirito dei tempi andati e si mantiene su livelli ottimi anche se non troppo dissimili dall’originale, forse un’ulteriore maturità acquisita col tempo mentre anche il neofita potrebbe gradire la “scoperta” di uno dei gruppi storici del rock inglese. Non fondamentale ma assolutamente piacevole e propedeutico all’ascolto dei quattro album citati in apertura. E visto la non facile reperibilità del disco in questione forse più facili da trovare.

Mi sono dilungato un po’ ma come ho già detto in altre occasioni “echissenefrega”, se vi va di leggerlo è tutto gratis e, soprattutto, a differenza del 99%, ho esagerato, facciamo 95% di quello che circola in rete sui Blog di musica, è tutto farina del mio sacco, non è fatto col copia e incolla da altri siti o, come impera, dai comunicati stampa delle case discografiche (che leggo e vedo anch’io, quindi conosco i contenuti, e quelli vengono usati, magari leggermente mascherati) o dai siti degli artisti. I video inseriti magari non sono strettamente legati al disco in questione ma è una occasione per conoscere gli Strawbs.

Direi che è tutto, alla prossima. Anche oggi ero partito con l’idea di parlare del nuovo Dave Alvin o di Joe Ely o dei Feelies financo dei Jupiter Coyote (consigliati tutti e quattro) ma alla fine sono finito su altri argomenti. Rimedierò nei prossimi giorni (forse, se non mi viene qualche altra ispirazione)!

Bruno Conti

Novità Di Novembre Parte V E Ultima. Duffy, Graham Parker, Paul Weller, Joan Armatrading, Sting, Jon Anderson & Rick Wakeman, Jenny & Johnny

duffy endlessly.jpgsting live in berlin cd+dvd.jpgjjon anderson rick wakeman the living tree.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Pensavo che tra post dedicati alle novità, recensioni, aggiunte varie le uscite di novembre fossero state sviscerate tutte (almeno le più interessanti) e invece mi sbagliavo (e anche a dicembre ci sono ancora uscite sfiziose, oltre a quelle già citate, ad esempio un nuovo Ryan Adams (o due?) verso metà dicembre! Ma veniamo alle uscite imminenti, tutte previste per martedì 29 novembre (più o meno)

Cominciamo con il nuovo disco di Duffy Endlessly in uscita per la A&M/Polydor/Universal. La cantante gallese propone la solita miscela di sixties romantici e Dusty Springfield rivisitati ma questa volta, aldilà di Well, Well, Well a cui è difficile sfuggire vista la quantità di spot in televisione mi sembra che in questo nuovo album ci sia una deriva verso la proto/disco alla Blondie di My Boy, dance alla Kylie Minogue in Keeping My baby e simil-Madonna in Lovestruck e Girl. Mah, se vi piace. Il resto ad un ascolto veloce non mi sembra male sulla falsariga del precedente Rockferry. Uomo avvisato (e anche donna!).

Dopo Symphonicities poteva mancare un altro bel CD+DVD tratto dall’ultimo tour di Sting? Ma vi pare! E allora vai con Live In Berlin testimonianza di una data del concerto con orchestra al seguito in cui ripropone le vecchie canzoni in una veste classicheggiante. Etichetta Deutsche Grammophon, 14 brani sul Cd, 22 brani sul Dvd.

Dopo gli Yes, dopo l’accoppiata Jon & Vangelis, arriva il primo disco di Jon Anderson & Rick Wakeman insieme. Si chiama The Living Tree e sono nove canzoni nuove tutte composte per l’occasione. Sembra promettente ed interessante esce per la Gonzo Media/Voiceprint quindi in teoria distribuzione Ird.

graham parker carp fishing.jpgjoan armatrading live.jpgmaddy prior band.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Per la sezione “vecchie glorie” (ma sempre valide e in questo 2010 sono molti gli artisti che hanno sorpreso con dei dischi assolutamente soddisfacenti) oltre al box dei Bootleg annunciato la settimana scorsa (e che dovrebbe uscire la prossima) Graham Parker edita anche un progetto collaterale Carp Fishing On Valium – The Songs anche questo già pubblicato dalla sua etichetta personale UP Yours (chissà perche questo nome ti manda un friccico nelle zone posteriori?) e ora disponibile per tutti gli amanti di questo geniale musicista inglese, grande rocker di razza. Sempre etichetta Evangeline/Ird.

Joan Armatrading negli anni ’70 è stata di gran lunga la migliore cantautrice prodotta dalla scena britannica (Sandy Denny veniva dagli anni ’60), in quel periodo non sbagliava un disco, poi dopo un lungo periodo di appannamento è tornata con due buoni dischi, Into The Blues e This Charming Life. Questo Live At the Royal Albert è un gagliardo concerto registrato nell’aprile di quest’anno con tutto il meglio della sua produzione in un doppio CD + DVD (peccato che il DVD ha “solo” 11 brani e non tutti i 31 del doppio CD). Ottimo il gruppo che la accompagna con John Giblin “mitico” bassista dei Brand X e Simple Minds, ma ha suonato anche con Kate Bush, Peter Gabriel e mille altri, anche con Lucio Battisti.

Quel disco della Maddy Prior band che vedete effigiato è nuovo come uscita, doppio, ma contiene due vecchi dischi degli anni ’80 da lungo irreperibili: si chiama Hooked On Glory e contiene Hooked On Winning e Going For Glory. L’etichetta è la Park Records.

paul weller find the torch.jpgjenny & johnny.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Paul Weller completa un’annata ricca a livello di novità e ristampe con questo doppio Find The Torch, Burn The Plans – Live At The Royal Albert Hall (doveva essere affollatissima, un via vai di artisti durante l’anno): Il DVD ha il concerto completo, 26 canzoni, in un paio di brani appare anche Kelly Jones degli Stereophonics. Oltre al concerto c’è anche un documentario girato da Julien Temple su Paul Weller e il clip promo per 7 & 3 Is The Strikers Name uno dei brani migliori dell’ottimo Wake Up The Nation. Il CD ha gli highlights del concerto alla RAH oltre ad alcuni brani registrati al BBC Theatre tra cui una collaborazione con Richard Hawley.

E infine, una ragazza molto indaffarata questa Jenny Lewis, oltre ai Rilo Kiley oltre agli ottimi dischi da solista ora ha formato anche questi Jenny And Johnny con il fidanzato Johnathan Rice. Fanno dell’ottimo power-pop-rock con eccellenti armonie vocali, leggero e piacevole ma assolutamente godibile (perché so tutto ciò? Perché è un po’ che voglio recensirlo ma rimando sempre per ragioni di tempo). Il disco si chiama I’m Having Fun Now ed esce per la Warner Bros.

Bruno Conti

Ma esistono ancora! Take 2: Strawbs – Dancing To The Devil’s Beat

strawbs dancing to the devil's.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Questa volta avrete notato il punto esclamativo!

I carbonari, ai quali questo spazio è dedicato, sicuramente sanno chi sono gli Strawbs, la gloriosa formazione inglese guidata dal geniale Dave Cousins, una delle più belle ed espressive voci emerse dalla scena folk-rock e poi progressive della terra d’Albione, capace di scrivere alcune delle pagine più emozionanti che la musica rock in generale ci ha regalato, questa versione dal vivo di The Hangman and The Papist uno dei loro brani più indimenticabili serve da introduzione. Se riuscite a seguire il testo la narrazione è coinvolgente e sorprendente come poche volte nella musica rock, occhio al colpo di scena finale…se non riuscite acquistate From The Witchwood, il CD che la contiene e leggetevi il libretto. So che ve lo state chiedendo, ebbene sì quel signore seduto dietro le tastiere è proprio Rick Wakeman.

Comunque questo quartetto di CD (tutti ripubblicati in versione rimasterizzata e a special price) è imprescindibile:
strawbs from the witchwood.jpgstrawbs just a collection.jpgstrawbs grave new world.jpg
strwabs bursting at the seams.jpg
se volete potete aggiungere qualcosa anche del periodo successivo, magari Hero and Heroine con la stessa formazione del disco attuale con una piccola variazione.
Veniamo a questo nuovo disco: pubblicato qualche mese fa sulla loro etichetta Witchwood Media, e quindi, come potete immaginare non di facile reperibilità, festeggia i quaranta anni di attività del gruppo, o meglio qualcosina in più visto che sono in pista dal 1967 e nel 1968 hanno registrato un delizioso lavoro All Our Own Work che vedeva il debutto della compianta e grandissima Sandy Denny.
Esistono ancora eccome se esistono, questo Dancing to the Devil’s Beat è il loro miglior disco da trent’anni a questa parte. La produzione è affidata all’ottimo Chris Tsangarides, quindi suono ottimo e professionale, Cousins, Dave Lambert e la sezione ritmica con Cronk e Coombes in grande spolvero e, ciliegina sulla torta, Oliver Wakeman sullo sgabello che fu di papà Rick.
Quei quattro dischi che vedete rimangono inarrivabili ma il nuovo album ha molte frecce al proprio arco: intanto la scrittura di Cousins rimane legata a testi di stretta attualità o di grande portata storica, ma anche a grandi e romantiche canzoni d’amore, epica quando serve, raccolta ed acustica in altre occasioni.
La dolce Copenaghen ci riporta agli anni dei loro primi passi, quelli con Sandy Denny, e la voce evocativa di Cousins fa vibrare le corde delle melancolia con la consueta maestria, Pro Patria Suite (non dedicata alla nota squadra calcistica di Busto Arsizio, un Bruno Calcistico!) è una trilogia dedicata alle grazie e disgrazie delle Grande Patria Inglese ai tempi della Prima guerra Mondiale con Oliver che fa il Wakeman alla grande ben coadiuvato dalla chitarra di Dave Lambert (che canta anche in due brani). Where Silent Shadows Fall è forse il brano che più rievoca gli antichi fasti con un crescendo strumentale di rara bellezza, alla Strawbs. Questa è la trilogia centrale che si eleva qualitativamente su un album che comunque rimane su livelli elevati, ben tornati quindi (anche se non se ne erano mai andati!).
Bruno Conti