Dopo 31 Anni E’ Ancora Un Capolavoro! Lou Reed – New York Deluxe Edition

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Lou Reed – New York Deluxe Edition – Rhino/Warner 3CD/DVD/2LP Box Set

Alla fine degli anni ottanta Lou Reed sembrava ad un punto morto della sua carriera: il suo ultimo album, Mistrial (un disco accolto non benissimo, che aveva alcune buone canzoni ma un suono moderno tipico dell’epoca e poco adatto all’ex Velvet Underground), risaliva ormai al 1986, ed in più il suo contratto con la RCA era terminato e non era stato rinnovato. Quello che ancora non si sapeva è che il nostro era impegnato a scrivere ed incidere quello che verrà poi considerato quasi all’unanimità il suo capolavoro (magari a pari merito con Transformer), vale a dire New York, un album stupendo che riportava Reed al centro del panorama rock mondiale e che, pubblicato nel gennaio 1989 per la Sire (una associata della Warner molto in voga negli eighties), divenne in breve anche il suo disco più venduto di sempre. Il titolo del lavoro parlava chiaro: New York era un concept dedicato da Lou alla sua città, una metropoli da lui molto amata ma della quale non ha mai nascosto brutture, ingiustizie e contraddizioni, e le 14 canzoni che componevano il disco erano una vera e propria full immersion in un mondo di violenza (sia nelle strade che sui minori), drogati, prostitute, homeless, vita nei bassifondi e tragedie varie come l’impatto dell’AIDS che aveva decimato gli amici gay del nostro o la povertà della comunità ispanica, il tutto unito ad una feroce critica sociale e politica che vedeva il nostro prendersela (facendo nomi e cognomi) con l’allora presidente George Bush Sr., il predicatore di colore Jesse Jackson, Papa Wojtyla, il colonnello Oliver North, il segretario dell’epoca all’ONU Kurt Waldheim (che Reed accusava velatamente se non di simpatie naziste, perlomeno di non essere così deciso nel condannare l’Olocausto) e l’allora procuratore del distretto sud di NY e futuro sindaco Rudy Giuliani, che aveva già iniziato una robusta opera di bonifica della città (il che mi fa pensare che, in fondo, Lou Reed la preferisse non dico in degrado ma comunque con i suoi alti e bassi).

Ma l’album non era certo una sorta di reportage giornalistico sulla situazione della Grande Mela, ma un’opera altissima dal punto di vista lirico, con testi impregnati di riferimenti letterari e dall’accentuato sapore poetico (anche se il linguaggio usato era spesso forte), ad un livello che Lou, pur essendo uno dei più grandi scrittori nel mondo del rock, forse non aveva ancora toccato (e che bisserà nel seguente e quasi altrettanto splendido Magic And Loss, ed in parte anche nel toccante omaggio ad Andy Warhol Songs For Drella, inciso insieme all’ex collega nei VU John Cale). A chiudere adeguatamente il quadro, New York musicalmente segnava un ritorno al rock’n’roll più puro e diretto, quasi grezzo nei suoi arrangiamenti semplici ed immediati, con una band essenziale formata da due chitarre (lo stesso Reed e Mike Rathke), un basso (Rob Wasseman) ed una batteria (Fred Maher), con la partecipazione alle percussioni dell’ex Velvet Maureen Tucker in due pezzi ed ai cori in un brano di Dion Di Mucci, uno degli idoli giovanili di Lou.

Gli arrangiamenti lineari quindi rendevano ancora più piacevole l’ascolto delle canzoni (nelle quali bisognava comunque “entrare” a poco a poco, stiamo sempre parlando di Lou Reed…), con pezzi di puro rock’n’roll chitarristico come l’iniziale Romeo Had Juliet, godibilissima, la trascinante Busload Of Faith (rifatta di recente da Bob Seger), la dura There Is No Time, la potente Strawman (cantata alla grande dal nostro, alla faccia di chi dice che sappia solo parlare), l’orecchiabile e contagiosa (nonostante il testo al vetriolo) Good Evening Mr. Waldheim, fino a quello che diventerà un classico assoluto di Lou, cioè la splendida Dirty Blvd., goduriosa rock song dal riff coinvolgente e con la voce riconoscibilissima di Dion nel finale.

Ma New York non era solo rock’n’roll, in quanto conteneva alcune delle più belle ballate mai scritte da Reed, momenti musicali di pura emozione in cui il suo tipico modo di porgere i brani tra cantato e talkin’ assumeva toni di bellezza assoluta, con titoli come Endless Cycle, Xmas In February, Last Great American Whale e soprattutto la toccante e profonda Halloween Parade, una delle migliori ballads della sua carriera. E poi Beginning Of A Great Adventure, quasi un esercizio di blues urbano con ottimi intrecci chitarristici tra Reed e Rathke, la vivace Sick Of You, dal tempo quasi country-rock, e la conclusiva e velvettiana Dime Store Mystery, che essendo dedicata a Warhol anticipava in un certo senso le tematiche di Songs For Drella. Per celebrare il trentesimo anniversario di New York (o forse no, anche perché gli anni sarebbero 31) è uscita da pochi giorni questa bellissima Deluxe Edition curata dalla “Lou Reed Archive”, cioè in pratica dall’ex moglie Laurie Anderson (in collaborazione con il noto archivista Bill Inglot e con il grande produttore Hal Willner, da sempre amico di Lou, qui in uno dei suoi ultimi lavori – ed il progetto è dedicato proprio a lui), un cofanetto di tre CD, un DVD, due LP ed un bel libretto con le note scritte dal noto critico David Fricke e gli indispensabili testi dei brani, box set i cui contenuti musicali giustificano una volta tanto il prezzo richiesto (60-70 euro, neppure dei più alti).

A parte la fastidiosa abitudine di inserire l’LP del disco originale (qui addirittura doppio, mentre nel 1989 uscì singolo) quando c’è già il CD, abbiamo appunto nel primo dischetto New York così come lo conosciamo (ma rimasterizzato ex novo nel 2020), che si conferma un album che in tutti questi anni non ha perso un millesimo della sua bellezza, un secondo CD con una versione dell’album dal vivo in 14 performance inedite ed una selezione di outtakes e rarità assortite nel terzo, mentre nel DVD troviamo un concerto dell’epoca uscito nel 1990 in VHS e Laserdisc e mai ristampato in seguito. Dell’album originale ho già detto, e quindi passo a parlare del secondo CD che come ho scritto poco fa raccoglie 14 versioni live dei brani di New York registrate tra Washington, Baltimora, Londra, Richmond, Upper Darby e Copenhagen: l’ascolto dimostra che queste canzoni sono fatte apposta per essere suonate dal vivo, con riletture perfette e coinvolgenti ed un Lou Reed in ottima forma ed anche loquace e spiritoso.

Una menzione particolare va a Romeo Had Juliette, Halloween Parade (con un delizioso ed inedito coro finale), Dirty Blvd., Endless Cycle, più vigorosa che in studio, una Beginning Of A Great Adventure con strepitosi intermezzi chitarristici (ed una prestazione da vero jazzman da parte di Wasserman), Busload Of Faith, Good Evening Mr. Waldhein e Strawman. Il terzo dischetto presenta solo tre pezzi già editi, e cioè la single version di Romeo Had Juliette, ancora più trascinante, e due rare b-sides: una bella Busload Of Faith acustica e The Room, esercizio strumentale dissonante ed abrasivo che rimanda a certe scorribande del nostro coi Velvet. Abbiamo poi i “rough mix” di Dirty Blvd. (senza Dion), Beginning Of A Great Adventure, Sick Of You, Hold On e Strawman, non così diversi dagli originali che sono già piuttosto crudi ed essenziali nel suono; interessanti i quattro “work tapes”, canzoni in embrione ed ancora senza parole, un modo diverso di entrare nelle sessions del disco: abbiamo così una prova chitarristica sul riff di Dirty Blvd., Endless Cycle in cui Lou spiega le parti di basso e batteria e lo stesso fa con Rathke in Last Great American Whale, mentre Sick Of You sembra quasi un boogie alla John Lee Hooker.

In conclusione, due scintillanti versioni dal vivo registrate a Richmond di Sweet Jane e Walk On The Wild Side, che chiudevano la seconda parte dei concerti in supporto all’album. E veniamo al DVD, la cui parte video (ce n’è anche una audio, con un’intervista a Reed di 23 minuti e New York in alta risoluzione stereo) si occupa dell’intero album suonato live al Theatre St. Denis di Montreal, con immagini che pagano la trasposizione dal VHS originale non essendo nitidissime ed un po’ sgranate nelle riprese più buie (che sono tante, dato che la scenografia ricostruisce uno dei tanti vicoli della New York dei bassifondi, degradato e molto poco invitante). Ma dal punto di vista musicale nulla da dire, un concerto bellissimo in cui possiamo ammirare l’intesa tra i vari membri della band, con Wasserman che si conferma un virtuoso assoluto ritagliandosi diverse parti da solista: non voglio ripetere quanto detto per il secondo CD, ma mi limito a segnalare che Dirty Blvd., Halloween Parade e Beginning Of A Great Adventure sono semplicemente strepitose, e pure There Is No Time rocca di brutto. Diciamo che come bonus avrebbero potuto aggiungere le canzoni della seconda parte, dove alle già citate Sweet Jane e Walk On The Wild Side i nostri avevano suonato anche il classico velvettiano Rock’n’Roll, una cover di One For My Baby (And One More For The Road) di Johnny Mercer e tre brani allora recenti come I Love You Suzanne, The Original Wrapper e Video Violence.

Un cofanetto dunque imperdibile questo New York Deluxe Edition, che ha il merito di sviscerare in diverse sfaccettature un album ancora oggi splendido ed attualissimo. Nelle note originali dell’album Lou scriveva “Niente può battere due chitarre, basso e batteria”: di sicuro erano pochi quelli che potevano battere Lou Reed.

Marco Verdi

Il 2016 Ha Colpito Ancora! Ci Hanno Lasciato Anche Ralph Stanley, Scotty Moore E Rob Wasserman! Senza Dimenticare Wayne Jackson (Memphis Horns) e Bernie Worrell (Parliament/Funkadelic).

ralph stanley

Era già da qualche settimana che non si registravano morti eccellenti, dopo la vera e propria ecatombe dei primi mesi di questo tremendo 2016, ma in un colpo solo (a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro) ben tre noti musicisti, due dei quali potrebbero anche aspirare al titolo di “leggenda”, sono passati a miglior vita. Una settimana fa circa, il 23 Giugno, ci ha lasciato, alla veneranda età di 89 anni, Ralph Stanley, uno dei padri della musica country americana e tra i creatori del genere bluegrass insieme a Bill Monroe, Lester Flatt, Earl Scruggs ed altri meno noti. Originario della Virginia, cantante e virtuoso del banjo, Stanley iniziò la sua lunga carriera come metà del duo Stanley Brothers insieme al fratello Carter e quasi contemporaneamente come leader dei Clinch Mountain Boys, cominciando come cover band di Monroe e di traditional appalachiani, ma iniziando presto a scrivere materiale originale, cosa che li mise in competizione proprio con Monroe, che arrivò addirittura a lasciare la Columbia (in favore della Decca) quando la famosa casa discografica mise sotto contratto i due fratelli Stanley.

Alla morte di Carter, avvenuta nel 1966, Ralph proseguì come solista, ma avvalendosi sempre dei Clinch Mountain Boys come backing band (con innumerevoli cambi di formazione), fino ai giorni nostri: musicista di grande esperienza e cultura, ha praticamente inventato un suo modo di suonare il banjo, e nel corso della sua carriera ha cantato di tutto, dal bluegrass, al country al gospel, ed il suo nome è prepotentemente tornato in auge grazie a T-Bone Burnett ed ai fratelli Coen per il film del 2000 O Brother Where Art Thou?, nella cui colonna sonora Ralph interpretava O Death ma il suo spirito aleggiava su tutte le canzoni (ed il brano da lui cantato gli valse anche un Grammy). Da quel momento, Ralph riprese ad incidere con regolarità, pubblicando dischi uno più bello dell’altro, il più delle volte aiutato da presenze illustri (come nell’imperdibile Clinch Mountain Country, uscito peraltro nel 1998, con ospiti come Bob Dylan, Dwight Yoakam, George Jones, Gillian Welch, Porter Wagoner ed i BR5-49, o l’altrettanto prezioso Clinch Mountain Sweethearts, con duetti tutti al femminile, o ancora il recente Man Of Constant Sorrow, con Elvis Costello, Robert Plant, gli Old Crow Medicine Show e Dierks Bentley), o anche ottimi lavori in solitario come Ralph Stanley del 2002 e Shine On del 2005. Adesso starà già jammando con Bill Monroe, sperando che abbiano sistemato le vecchie divergenze.

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Winfield Scott Moore III, più noto come Scotty Moore (che di anni ne aveva 84) è stato il chitarrista della prima parte della carriera di Elvis Presley, dal 1954 (quindi periodo Sun compreso) fino ai primi anni sessanta quando il King ha iniziato a frequentare Hollywood (ma si esibirà con lui per l’ultima volta anche nel famoso Comeback Special del 1968): il suo nome sarà sempre legato a quello del bassista Bill Black e del batterista D.J. Fontana, che hanno costruito l’alveo perfetto per le canzoni del primo Elvis, entrando quindi di botto nella leggenda (furono soprannominati The Blue Moon Boys): influenzato dallo stile di Chet Atkins, Moore perfezionò una tecnica fingerpicking decisamente personale sulla sua Gibson, inventando di fatto lo stile rockabilly ed influenzando generazioni di chitarristi, tra cui Bruce Springsteen, Keith Richards e, anche se non si direbbe, Jimmy Page.

Dopo le collaborazioni con Elvis, Moore non partecipò a moltissime sessions, preferendo dedicarsi al ruolo di record engineer per, tra gli altri, Carl Perkins e Ringo Starr (l’album Beaucoups Of Blues), e continuando a suonare in occasionali serate dedicate alle vecchie glorie. Nel 1997 Moore si riunì con Fontana per incidere lo splendido All The King’s Men, un sontuoso tributo all’epoca d’oro del rock’n’roll con una serie incredibile di ospiti (Keith Richards, The Band, The Mavericks, Ron Wood, Jeff Beck, Steve Earle, Joe Ely, Cheap Trick). Ora, è facile da immaginare, avrà riabbracciato Elvis ed insieme con Bill Black (Fontana è ancora vivo) staranno già suonando Mystery Train o That’s Alright, Mama.

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Mi ha colto invece di sorpresa la scomparsa avvenuta ieri 29 giugno, a soli 64 anni, e per cause non ben precisate, di Rob Wasserman, bassista californiano di formazione classica il cui nome è legato ai lavori insieme a Bob Weir, prima nei Ratdog e dopo negli episodi da solista dell’ex Grateful Dead. Ma prima ancora Wasserman era stato il bassista di Lou Reed (nei bellissimi New York e Magic And Loss, ma anche più di recente nel controverso Lulu, inciso dal musicista newyorkese con i Metallica) ed aveva collaborato con Van Morrison (Beautiful Vision), Elvis Costello (Mighty Like A Rose), Bruce Cockburn, Rickie Lee Jones ed il David Grisman Quintet.

Particolarmente apprezzati furono poi i suoi album Solo, Duets e Trios, incisi insieme ad ospiti come Brian Wilson, Aaron Neville, Bruce Hornsby, ancora Lou Reed, Jerry Garcia, Neil Young e perfino una collaborazione inedita con Willie Dixon in Dustin’ Off The Bass. In questo caso, è troppo facile pensare al fatto che sia già a fianco di Lou Reed a provare nuove canzoni che l’ex Velvet Underground non ha certo smesso di scrivere neppure nell’aldilà.

Marco Verdi

Parte II

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Aggiungo anche il mio piccolo contributo ricordando altri due personaggi, scomparsi di recente, che hanno fatto la storia della musica, nei loro casi Soul e Funky. Prima di tutto Wayne Jackson, trombettista bianco, prima nei Mar-Keys, poi nella house band della Stax e infine, con Andrew Love (sassofonista, scomparso nel 2012) come Memphis Horns hanno suonato praticamente con tutti, credo si farebbe prima a dire con chi non sono apparsi (e mi vengono in mente Beatles e Stones), ma per il resto, facendo una selezione veloce: Otis Redding, Wilson Pickett, Sam & Dave e tutto il cucuzzaro Stax, Al Green, Elvis, Bob Dylan, Isaac Hayes, Tony Joe White, James Taylor, Aretha, Rod Stewart, BB King, Willie Nelson, Doobie Brothers, Frankie Miller, Lowell George, gli U2, anche Zucchero, Buddy Guy, Keith Richards, Maria McKee, e sono veramente una minima parte, ci vorrebbe un Post a parte solo per citare i nomi degli artisti con cui ha suonato Wayne Jackson, colpito anche lui dalla maledizione dei 74 anni e morto a Memphis il 21 giugno scorso (per i problemi di cuore che lo affliggevano da anni), lo stesso luogo dove era nato il 24 novembre del 1941.

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E il 24 giugno è morto anche Bernie Worrell, che di anni ne aveva 72 anni ed era da lungo ammalato di cancro, uno dei grandi tastieristi della storia del funk (e non solo), spesso definito il Jimi Hendrix delle tastiere, a lungo braccio destro di George Clinton nei Parliament e nei Funkadelic e che anche lui ha poi suonato con centinaia, anzi migliaia di musicisti nel corso di una carriera durata oltre 45 anni: forse le collaborazioni più note quelle con i Talking Heads, e in anni più recenti i Vintage Vinos di Keith Richards e i Gov’t Mule.

Direi che per oggi può bastare anche se vista la continua moria si pensava di inserire magari una rubrica nel Blog intitolata “Prima che sia troppo tardi”, dove parlare periodicamente di musicisti che hanno fatto la storia della musica e di cui spesso si ignora l’esistenza o quasi, fino al giorno in cui se ne vanno. Vedremo in futuro. Tra l’altro, tornando brevemente a Scotty Moore, ieri sera ero a vedere il concerto dei Blackberry Smoke al Carroponte, ed in chiusura di serata Charlie Starr e soci gli hanno dedicato una bella versione di That’s All Right Mama, quindi per fortuna anche tra le generazioni più giovani il grande patrimonio del passato non è perduto e questo è un buon segno!

Bruno Conti

100 Anni + Uno! Woody Guthrie At 100! Live At The Kennedy Center

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Woody Guthrie At 100! Live At The Kennedy Center – CD+DVD – Sony Legacy

Lo scorso anno, il 14 luglio, si festeggiavano 100 anni dalla nascita di Woody Guthrie e il 14 ottobre al Kennedy Center di Washington, DC, si è tenuto un concerto per ricordare l’Anniversario. Hanno partecipato alcuni dei nomi più importanti della musica americana (ed uno scozzese in trasferta), folk, country, blues e bluegrass, di qualità in generale. Questo è il resoconto, track-by-track, del DVD che è stato ricavato dall’avvenimento, il CD dura 77 minuti, il DVD, una ventina di di più, ma visto che vengono venduti insieme, al prezzo di poco più di uno, vale lo sforzo dell’acquisto anche per coloro che sono contrari per principio all’acquisto dei DVD musicali, in fondo qui c’è anche il CD.

1. Howdi Do — Old Crow Medicine Show Vestiti come dei sopravvissuti al periodo della depressione i primi a presentarsi sul palco sono gli Old Crow Medicine Show di Ketch Secor, il sestetto procede a dimostrare perchè sono una delle migliori string bands in circolazione, in bilico tra country e bluegrass, come nella indiavolata 2. Union Maid — Old Crow Medicine Show

3. This Is Our Country Here — Jeff Daniels Il primo intermezzo parlato da parte di uno degli ospiti della serata viene seguito da quello che viene indicato come uno degli eredi migliori di Woody Guthrie (e di Bob Dylan), 4. Ramblin’ Reckless Hobo — Joel Rafael è un bellissimo bravo, reso in modo dylaniano come pochi altri sapranno fare nel corso della serata.

5. Hard Travelin’ – Jimmy LaFave Questo signore texano, in trio, con mandolino e fisarmonica si conferma uno dei migliori cantautori del panorama americana.

6. Riding In My Car — Donovan Visto che il bardo di Duluth non era disponibile per la serata la cosa più vicina era il menestrello scozzese, Donovan Leitch si conferma ancora una volta animale da palcoscenico facendo cantare il pubblico con la sua disincantata simpatia e una canzone presa dal repertorio di Woody per bambini, incisa per la prima volta nel 1965.

7. I Ain’t Got No Home — Rosanne Cash with John Leventhal In rappresentanza della famiglia Cash, Rosanne, accompagnata dal marito John Leventhal e dalla sua bellissima voce regala una dei momenti salienti della serata con una canzone che lei stessa definisce perfetta, e quella che segue 8. Pretty Boy Floyd — Rosanne Cash with John Leventhal non è da meno, uno dei capolavori assoluti di Guthrie, con un po’ del boom chicka boom di babbo John nella chitarra di Leventhal

9. I’ve Got To Know — Sweet Honey In The Rock In rappresentanza del gospel e della città di Washington, con i loro intrecci vocali ancora integri dopo una lunghissima carriera.

10. House Of Earth — Lucinda Williams Alle prese con un inedito consegnatole da Nora Guthrie pochi mesi prima e completato per l’occasione, il brano viene eseguito dal vivo per l’occasione e per la prima volta dalla Williams, bella versione, anche se molti non amano Lucinda!

11. Pastures Of Plenty — Judy Collins Un altro dei brani folk più celebri di Woody Guthrie eseguito da una delle leggende di questa musica e da una delle voci più incredibili mai espresse dal genere ancora stupenda dopo tutti questi anni, solo piano, chitarra acustica e voce, grande versione.

12. Ease My Revolutionary Mind — Tom Morello Ovviamente il chitarrista dei Rage Against The Machine, grande amico e collaboratore di Springsteen e cantante folk, non necessariamente nell’ordine, sceglie uno dei brani più politici e di “battaglia politica” del cantante di Okemah e si presenta sul palco con una band “springsteeniana” composta da molti dei protagonisti della serata, in particolare molti Old Crow Medicine Show e Jackson Browne che tornerà più tardi, un altro dei momenti migliori della serata. 

13. Deportee — Ani DiFranco with Ry Cooder and Dan Gellert Altro grandissimo chitarrista al servizio di una delle cantautrici più valide delle ultime generazioni alle prese con un’altra canzone bellissima (ma ce ne sono di brutte) e forse la preferita in assoluto di chi scrive del repertorio di Guthrie. Il violino di Gellert e la chitarra “discreata” di Cooder aggiungono magia ad una canzone che Ani DiFranco canta benissimo, con rispetto e partecipazione, come è giusto che sua.  

14. I Hate A Song (spoken word) — Jeff Daniels Secondo ed ultimo intervento parlato da parte del noto attore americano

15. You Know The Night — Jackson Browne Un altro degli highlights della serata, Jackson è già apparso in altri tributi alla musica di Woody Guthrie e anche in questa serata conferma la sua classe, un altro brano “inedito” completato da Browne, con il grande Rob Wasserman al contrabbasso, che per ragioni televisive non appare nella versione monstre da 20 minuti che era stata pubblicata su Note Of Hope, bellissima comunque!

16. So Long, It’s Been Good To Know Yuh — Del McCoury Band with Tim O’Brien Di nuovo country e bluegrass per una delle migliori formazione nel genere, aumentata per l’occasione da Tim O’Brien nel primo brano e da Tony Trischka per lo strumentale 17. Woody’s Rag.

18. Do Re Mi — John Mellencamp C’era già 25 anni in A Vision Shared e canta di nuovo lo stesso brano, ma è uno dei più celebri e coinvolgenti del repertorio di Guthrie, chi meglio dell’ex “Coguaro” Mellencamp per eseguirlo?

19. 1913 Massacre — Ramblin’ Jack Elliott Altro pezzo da 90 sul palco per un altro dei cavalli di battaglia del repertorio di entrambi, la cui melodia venne usata da Dylan per scrivere la prima canzone da lui incisa, Song For Woody. Ramblin’ Jack Elliott gli 80 li ha passati da un pezzo e non si direbbe (o forse sì?) ma rimane un grande e merita rispetto.

20. Nora Guthrie (spoken word) Un breve saluto dalla figlia e poi tutti insieme appassionatamente sul palco per il gran finale con i due brani più celebri, tra cui il secondo inno americano.

21. This Train Is Bound For Glory — All Performers

22. This Land Is Your Land — All Performers

Bella serata, da avere!

Bruno Conti