Lloyd Cole – Standards? Buoni, Decisamente Buoni!

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Lloyd Cole – Standards – Tapete Records

Quella che sta vivendo da alcuni anni Lloyd Cole è una sorta di terza giovinezza o di “third coming” se vogliamo dirla all’inglese, iniziata con l’eccellente Broken Records nel 2010 com-e-diventato-vecchio-ma-bravo-lloyd-cole-broken-record.html, e ora proseguita con questo Standards che conferma il nuovo stato di grazia che sta vivendo la musica di Lloyd. Intendiamoci, non siamo, forse, di fronte al capolavoro assoluto, come potrebbe sembrare leggendo le recensioni di Uncut che gli ha dato 8/10 o le quattro stellette di Mojo, ma neppure a quel lavoro di copia e incolla, e di seconda mano, della musica che ha sempre amato, che si potrebbe ricavare leggendo alcune recensioni italiane.

Ad essere sinceri, questo gusto per la citazione della musica altrui, Lloyd Cole l’ha avuto sempre presente, ma quando è sorretto da buone canzoni, come in questo caso, o, in passato, nel primo Rattlesnakes con i Commotions (ma anche Easy Pieces non era per niente male) e poi ancora nel suo primo album omonimo da solista nel 1990,  le stesse canzoni sono in grado di regalare all’ascoltatore il piacere della musica semplice ma fedele agli stilemi del rock (e del pop) più classico. Come ricordo spesso e voglio farlo anche in questa occasione, sono le canzoni che contano e poi se i riff e i ritornelli ricordano qualcuno o qualcosa, pazienza, le note e gli accordi sono quelli, l’importante, se citi o ti ispiri alla musica d’altri, è farlo con classe e nel rispetto della musica, senza volerlo fare di nascosto come è usanza per molti musicisti, anche di categoria superiore.

Il nostro amico ha sempre avuto un buon seguito di pubblico e di critica, soprattutto nel Regno Unito e in alcuni paesi europei (compresa la Germania, dove ha sede la sua etichetta e dove è uscito, recentemente, un disco di musica elettronica registrato in coppia con Hans-Joachim Rodelius dei Cluster, che una collaborazione non la nega a nessuno), ma non ha mai sfondato negli USA, dove vive, nel Massachusetts, con la famiglia, dal lontano 1989 e dove è stato registrato il disco, tra Los Angeles, New York e Easthampton. Eppure la sua musica è sempre stata influenzata da quella americana, Lou Reed, Dylan, Leonard Cohen, l’amato Tom Verlaine e i suoi Television, sono sempre stati punti di riferimento nella musica di Cole, insieme al pop dei Beatles e dei Kinks, per citare alcuni capisaldi della sua musica, che ancora una volta ritornano in questo disco.

Lloyd ha anche una passione, neppure troppo nascosta, per i nomi oscuri di certo country alternativo americano, come dimostra la energica cover rock di California Earthquakes del grande John Hartford che apre l’album: il sound, curato dal veterano collaboratore di Cole, nonché batterista, Fred Maher, si avvale di altri vecchi pards, come Matthew Sweet, qui al basso e alle armonie vocali, ma ottimo cantautore anche in proprio, Blair Cowan alle tastiere, fin dai tempi dei Commotions, e anche Joan Wasser (in arte Joan As A Policewoman) a violino, tastiere e background vocals, forse i chitarristi, lo stesso Lloyd, Matt Cullen, Mark Schwaber e il figlio Will Cole, non sono all’altezza del grande Robert Quine, ma la grinta e l’energia del rock’n’roll non mancano, come dimostra Women’s Studies che un riff o due e l’inlessione vocale “forse” la prendono da Lou Reed, ma con ottimi risultati, non è l’opera di un mero imitatore, e poi si è ispirato anche al miglior sé stesso del passato, con tutte le influenze citate poc’anzi bene in evidenza.

Il riff iniziale di basso di Period Piece è preso da “Un Cuore Matto” (scherzo!) ma il brano, ricco di simbolismi e di colte citazioni alla Dylan, è una piccola delizia “Coliana” e che dire di quella stupenda ballata che risponde al nome di Myrtle and Rose, con il lato malinconico e aulico di Cole che ancora una volta sale al proscenio: gente che scrive canzoni così belle in giro ce n’è poca, e chissenefrega se ricorda altri, è anche bravo di suo e quella voce è inconfondibile e regala emozioni all’ascoltatore, anche dopo ripetuti ascolti non stanca. Delicata e dolce anche la breve No Truck conferma il ritorno della migliore ispirazione anche in età matura ( i 50 ormai sono un ricordo pure per Cole)! Molto belle le atmosfere raffinate di Blue Like Mars, che il recensore di Mojo paragona ad un Chris Isaak fantascientico, con le chitarre e le tastiere che si intrecciano alla perfezione negli intermezzi strumentali, senza mai prevaricarsi ma interagendo in modo quasi chirurgico.

Lo hanno citato tutti, posso non farlo io? L’attacco di Opposites Day è proprio preso, pari pari, dal riff iniziale delle due chitarre di Marquee Moon dei Television, e più che una citazione è proprio un omaggio ad un autore, Tom Verlaine, che Cole, aveva già rivisitato ad inizio carriera con una bellissima cover di Glory. Se dovesse servire “solo” a ricordare l’opera di questo musicista geniale e uno degli album minori della storia del rock più belli di sempre, il suo compito l’avrebbe svolto egregiamente, ma poi il brano si sviluppa comunque in un rocker grintoso dove l’incedere circolare delle chitarre è stimolante di suo. Silver Lake è un’altra ballatona stupenda con il violino della Wasser in bella evidenza, le belle canzoni non mancano proprio in questo disco, sembra una di quelle che George Harrison sfornava a raffica ai tempi di All Things Must Pass. Non bastasse, c’è pure l’omaggio anche ai Beatles tutti in It’s Late, che sembra una You Won’t See Me rallentata o comunque un brano dei primi album, quelli più pop, ma già perfetti fin dalle armonie vocali inarrivabili qui duplicate con rispetto. Profumi dal passato ancora una volta nel reportage dei tempi che passano di Kids Today, sempre con quella malinconia immancabile che però non piange su sè stessa, ma cerca di trasporre i lati positivi del passato nel presente. L’ultimo “Standard” del disco è una ulteriore perla del tipo Pop Music, si chiama Diminished Ex e conclude degnamente un album che non posso non consigliarvi caldamente. Modelli come questo se ne fanno pochi, citano il passato ma lo fanno con gran classe!

Bruno Conti