Continua Il Filotto Di Ottimi Dischi Per L’Omone Di Ocean City, New Jersey. Walter Trout – Ordinary Madness

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Walter Trout – Ordinary Madness – Mascot Provogue CD Limited Edition – 2 LP Vinile Colorato

Ormai anche Walter Trout si avvia a toccare, il prossimo anno a marzo, il traguardo dei 70 anni: e da come si era messa la sua vita quando nel giugno del 2013 gli fu diagnosticata una grave forma di cirrosi epatica, le sue possibilità di sopravvivenza sembravano veramente poche, senza un trapianto del fegato. Cosa per fortuna puntualmente avvenuta nel maggio dell’anno successivo, tanto che già ad ottobre del 2015 usciva il suo album Battle Scars, che documentava la sua battaglia vinta con la malattia. Nel pieno della malattia aveva pubblicato un sorprendente (per qualità) disco come The Blues Came Fallin’, e negli anni successivi ha confermato una vena compositiva mai perduta, prima con Alive In Amsterdan, poi con l’ottimo album di duetti, con ospiti a go-go, We’re All In This Together, e ancora lo scorso anno l’eccellente Survivor Blues, un album con una serie di cover di brani non notissimi, alcuni addirittura oscuri https://discoclub.myblog.it/2019/01/26/non-solo-sopravvive-ma-prospera-ogni-disco-e-piu-bello-del-precedente-walter-trout-survivor-blues/ .

Per completare il filotto il musicista del New Jersey (che ha ribadito in una recente video intervista con il suo amico Joe Bonamassa, un aneddoto divertente e poco conosciuto dei suoi primi anni sui palchi di Ocean City, quando le rispettive band suonavano una di fianco all’altra su palchi adiacenti, e la chitarra solista degli Still Mill era un certo Bruce Springsteen, di cui Walter non rimase molto impressionato all’epoca dalla abilità come chitarrista, consigliandolo di migliorarla, cosa che poi parrebbe essere successa (!?!?), e ha pure scritto anche qualche “bella canzoncina”) pubblica ora un nuovo album Ordinary Madness, che non fa riferimento alla “pazzia” fuori dal comune causata dalla pandemia, ma alle debolezze e alle fragilità insite in ciascuno di noi. In effetti l’album è stato completato poco prima dello stop per il virus, negli Horse Latitudes, gli studios di proprietà dell’amico Robby Krieger dei Doors, in quel di LA, California, non lontano da Huntington Beach, dove Trout vive da anni con la famiglia. Solito produttore, una garanzia, Eric Corne, dal 2006 al suo fianco, Johnny Griparic al basso, Michael Leasure alla batteria, un altro fedelissimo, e Teddy Andreadis alle tastiere.

Ovviamente ci dobbiamo aspettare un ennesimo album di blues elettrico corposo, influenzato dalle 12 battute, ma innervato da una base rock assai presente e dove la chitarra solista di Walter Trout è la dominatrice assoluta del suono: insomma anche se Walter non ha dimenticato gli anni trascorsi con il suo mentore John Mayall il suo approccio è quello tipico del “guitar hero”, quindi ottime melodie quando servono, belle ballate terse, ma poi quando interviene la Fender di Trout non ce n’è per nessuno o per pochi. Anche se lo scorso anno si è fratturato il mignolo della mano sinistra (quella degli accordi per intenderci) ben tre volte, la title track, un lento sinuoso, languido e ipnotico conferma la grande tecnica e il feeling dei suoi assoli, un brano che potrebbe rimandare a quegli slow blues à la Robin Trower dove la chitarra quasi galleggia, liquida ed affascinante, mentre lascia dipanare lentamente la sua improvvisazione, stabilendo anche quale sarà il concetto sonoro dell’album, ribadito in Wanna Dance dove i ritmi si fanno più incalzanti, le sonorità più lavorate, con le tastiere a sostenere la solista, tra Van Halen e Neil Young (?!? lo ha dichiarato lui) che continua comunque a rilasciare assoli sempre vibranti e di grande consistenza, per poi placarsi nella bellissima ballata My Foolish Pride, quasi di impianto country e cantata benissimo del nostro, in una atmosfera che trasuda serenità, mentre piano e organo, quelli che furono di Ray Manzarek, lavorano di fino e tirano la volata per il lirico assolo di chitarra.

Poi nella pastorale Heartland utilizza la vecchia Telecaster di James Burton, “casualmente” anche quella negli studi di Krieger e fa capolino pure una fisa. All Out Of Tears scritta insieme a Teeny Tucker, e dedicata al defunto figlio di quest’ultima, è uno slow blues duro e puro, ad alto contenuto emotivo, con Trout che distilla dalle corde della sua chitarra un assolo lancinante, che avrebbe reso orgoglioso il suo amato Mike Bloomfield, da sempre citato come suo modello di ispirazione. Final Curtain Call è più dura e tirata, con dei tocchi orientaleggianti che rimandano agli Zeppelin, compreso assolo alla Page, ma con l’armonica suonata dallo stesso Walter che alza la quota blues, Heaven In Your Eyes è una ballata che illustra il suo lato più melodico, con The Sun Is Going Down che rivaleggia con i mid-tempo più ispirati di Clapton, grazie anche al lavoro delle tastiere e finale in crescendo galoppante con la solista in grande spolvero.

Chitarra impiegata in modalità gilmouriana, nel senso di David, con grande assolo, per la sognante Up Above My Sky che ricorda i Pink Floyd mid-seventies, la stonesiana e danzante Make It Right ilustra il lato più ludico e divertente della musica di Trout, un rock-blues di quelli robusti con solista prima accarezzata e poi strapazzata, e ancora più corposa e robusta è la conclusiva Boomer, scritta con la moglie Marie, dove i due parlano delle future generazioni in un brano dove le chitarre ruggiscono, anche la Gibson SG di Krieger di nuovo casualmente nello studio e impiegata insieme alle tastiere di Manzarek, in un brano che è il più duro e tirato, ma forse anche il meno soddisfacente, in un disco che globalmente comunque conferma l’ottimo livello della produzione di Trout. Forse l’unico appunto che si può fare è il fatto che il CD esce solo in quella confezione “Deluxe”, con plettri, sottobicchieri, stickers e cartoline, niente bonus tracks, il tutto francamente inutile e fa solo aumentare il prezzo, se volete potete consolarvi con la versione in doppio vinile colorato.

Bruno Conti

Niente Di Nuovo All’Orizzonte, Ma Suonato Con La Solita Classe. Robin Trower – Coming Closer To The Day

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Robin Trower – Coming Closer To The Day – Mascot/Provogue

Torna Robin Trower, il grande chitarrista inglese, uno dei migliori rappresentanti di quello stile a cavallo tra rock e blues che da sempre è il suo marchio di fabbrica: per il disco n°23 di studio della sua lunga carriera, più una decina di live, un decina di compilations e cinque album con l’amico scomparso Jack Bruce (d’altronde Trower ha compiuto 74 anni in questi giorni e i suoi inizi, prima con i Paramounts e poi con i Procol Harum, risalgono a circa la metà anni ’60), Robin ha deciso di accasarsi con una nuova etichetta, la Mascot/Provogue, che ormai sta cercando di rastrellare in giro per il mondo il meglio di quanto prodotto in ambito rock/blues. Non che questo significhi sostanziali cambiamenti di stile nel suo approccio, la formula è quella solita del power trio (anche se Trower in questo nuovo Coming Closer To The Day, come aveva fatto nel precedente Time And Emotion https://discoclub.myblog.it/2017/05/29/passa-il-tempo-ma-le-emozioni-rimangono-anche-senza-i-vecchi-amici-robin-trower-time-and-emotion/ , suona anche le parti di basso, lasciando al batterista Chris Taggart la parte ritmica principale), liquido e sognante, con le influenze hendrixiane sempre ben presenti, e il lavoro pregevole della immancabile Fender Stratocaster che è il suo fiore all’occhiello da sempre.

Registrato lo scorso anno allo Studio 91 di Newbury, con l’aiuto dell’ingegnere del suono Sam Winfield, il disco presenta dodici nuove composizioni di Trower che riflettono filosoficamente sull’inesorabile scorrere del tempo, perché come ricorda lui stesso sin dal titolo dell’album  “Ormai mi trovo più vicino alla fine che all’inizio, ma questo non mi spaventa…”. In effetti sin dalla iniziale Diving Bell, dall’incedere lento e maestoso, il nostro amico ribadisce quello stile unico che per certi versi ne ha fatto una sorta di erede del Jimi Hendrix più “spaziale” ed estatico, con il pedale del wah-wah subito impegnato ad estrarre dalla sua solista quelle note lunghe e ricche di feeling che sono da sempre il suo tratto più caratteristico. Truth Or Lies ha un gusto più mosso e vicino al R&B classico, anche se la voce “ringhiante” e pigra di Trower, come al solito, non è particolarmente memorabile, pure se la chitarra “rimedia” abbondantemente, come ribadisce la title-track Coming Closer To The Day, dove il lavoro della solista è variegato e ricco di inventiva, anche se forse nell’album complessivamente,  al di là di qualche eccezione, non ci sono brani memorabili.

Una delle eccezioni è proprio lo splendido slow blues intenso e lancinante proposto nella notturna Ghosts, dove Robin lascia libero sfogo alla propria ispirazione “inimitabile”; Tide Of Confusion è il presunto singolo che ha preceduto l’album, un po’ più mossa e “commerciale” vagamente alla ZZ Top e con una voce femminile a contrappuntare quella di Trower. The Perfect Wrong è un altro rock-blues di quelli più cattivi, con un riff marcato e qualche parentela ai Dire Straits del periodo di mezzo, con il wah-wah mordente che è ancora una volta il punto di forza della canzone, Little Girl Blue è una ballata sospesa e assorta, raffinata e con un tocco jazzy, con Someone Of Great Renown più scandita e grintosa, ma come molti altri pezzi poco incisiva, al di là del lavoro chitarristico che è sempre al centro della costruzione melodica, mentre Lonesome Road, una riflessione sulla vita in giro per il mondo a suonate la propria musica, è nuovamente un blues lento dove viene fuori il classico suono hendrixiano del miglior Trower, ricco di maestria e tecnica sopraffina. E pure Tell Me è una ennesima (piccola) variazione sul tema, con Don’t Ever Change che lo denuncia anche nel titolo e nel suono, così come la conclusiva Take Me With You. Quindi solita musica, buona e suonata con classe, ma niente di nuovo all’orizzonte.

Bruno Conti

Arrivano Le Prime Ristampe Del 2019, Alcune Interessanti, Altre Al Solito Inutili. Parte I: Robin Trower, Flamin’ Groovies, Curtis Mayfield, Renaissance, Gene Clark With The Gosdin Brothers

robin trower the studio albums 1973-1983

Il nuovo anno discografico, dopo una partenza lenta a livello di uscite, ma qualcosa si sta già muovendo, nei prossimi mesi prevede una serie di ristampe, tra cui, come al solito, troveremo alcune cose molte interessanti, e altre fondamentalmente inutili, in questo Post trovate le indicazioni di quelle che ho reputato insindacabilmente meritevoli di essere segnalate, tra quelle previste per febbraio e marzo, mentre di quelle che sono uscite alla fine di gennaio di alcune, nei prossimi giorni, troverete delle recensioni specifiche. Per cui partiamo con la prima parte, relativa alle pubblicazioni di febbraio. (*NDB. Ogni tanto alcune di queste anticipazioni sono fallaci, perché le case discografiche hanno la tendenza a variare a sorpresa le date delle uscite, e non sempre mi capita di aggiornare le situazioni: per fare un esempio il doppio CD Antologico di Tom Petty The Best Of Everything 1976-2016, che doveva uscire a novembre del 2018.è stato posticipato al 1° marzo, per evitare la quasi concomitanza temporale con lo splendido American Treasure). 

Robin Trower – The Studio Albums 1973-1983 – 10 CD Chrysalis – 08-02-2019

Di Robin Trower esce questo interessante cofanetto che raccoglie gli album del suo periodo migliore, anche in anticipazione dell’imminente nuovo album Coming Closer To The Day, il primo previsto per la nuova etichetta Mascot/Provogue in data 22 marzo (già sentito, al solito molto buono, quando sarà il momento ne leggerete). Ovviamente tra il 2010 e il 2012 erano giù usciti due cofanetti che raccoglievano questo materiale, A Tale Untold 1973-1976, che conteneva anche il Live del 1976, che manca nel nuovo box, il tutto in 3 CD, come pure 3 erano i dischetti di Farther On Up The Road 1977-1983, entrambi con qualche bonus aggiunta. Non solo, alcuni degli album, per esempio Bridge Of Sighs, il secondo album del 1974, uno dei più belli in assoluto, è stato pubblicato anche singolarmente, con la bellezza di ben otto bonus tracks tratte dalle BBC sessions, di cui non c’è traccia, per i soliti “misteri” delle case discografiche, nel nuovo box. Comunque per fare chiarezza, ecco il contenuto completo di The Studio Albums 1973-1983.

[CD1: Twice Removed From Yesterday (1973)]
1. I Can’t Wait Much Longer (2010 Remastered Version)
2. Daydream (2010 Remastered Version)
3. Hannah (2010 Remastered Version)
4. Man Of The World (2010 Remastered Version)
5. I Can’t Stand It (2010 Remastered Version)
6. Rock Me Baby (2010 Remastered Version)
7. Twice Removed From Yesterday (2010 Remastered Version)
8. Sinner’s Song (2010 Remastered Version)
9. Ballerina (2010 Remastered Version)

[CD2: Bridge Of Sighs (1974)]
1. Day Of The Eagle (2007 Remastered Version)
2. Bridge Of Sighs (2007 Remastered Version)
3. In This Place (2007 Remastered Version)
4. The Fool And Me (2007 Remastered Version)
5. Too Rolling Stoned (2007 Remastered Version)
6. About To Begin (2007 Remastered Version)
7. Lady Love (2007 Remastered Version)
8. Little Bit Of Sympathy (2010 Remastered Version)

[CD3: For Earth Below (1975)]
1. Shame The Devil (2010 Remastered Version)
2. It’s Only Money (2010 Remastered Version)
3. Confessin’ Midnight (2010 Remastered Version)
4. Fine Day (2010 Remastered Version)
5. Alethea (2010 Remastered Version)
6. A Tale Untold (2010 Remastered Version)
7. Gonna Be More Suspicious (2010 Remastered Version)
8. For Earth Below (2010 Remastered Version)

[CD4: Long Misty Days (1976)]
1. Same Rain Falls (2010 Remastered Version)
2. Long Misty Days (2010 Remastered Version)
3. Hold Me (2010 Remastered Version)
4. Caledonia (2010 Remastered Version)
5. Pride (2010 Remastered Version)
6. Sailing (2010 Remastered Version)
7. S.M.O. (2010 Remastered Version)
8. I Can’t Live Without You (2010 Remastered Version)
9. Messin’ The Blues (2010 Remastered Version)

[CD5: In City Dreams (1977)]
1. Somebody Calling (2012 Remastered Version)
2. Sweet Wine of Love (2012 Remastered Version)
3. Bluebird (2012 Remastered Version)
4. Falling Star (2012 Remastered Version)
5. Farther On Up the Road (2012 Remastered Version)
6. Smile (2012 Remastered Version)
7. Little Girl (2012 Remastered Version)
8. Love’s Gonna Bring You Round (2012 Remastered Version)
9. In City Dreams (2012 Remastered Version)

[CD6: Caravan To Midnight (1978)]
1. My Love (Burning Love) (2012 Remastered Version)
2. Caravan to Midnight (2012 Remastered Version)
3. I’m Out to Get You (2012 Remastered Version)
4. Lost in Love (2012 Remastered Version)
5. Fool (2012 Remastered Version)
6. It’s for You (2012 Remastered Version)
7. Birthday Boy (2012 Remastered Version)
8. King of the Dance (2012 Remastered Version)
9. Sail On (2012 Remastered Version)

[CD7: Victims Of The Fury (1980)]
1. Jack and Jill (2012 Remastered Version)
2. Roads to Freedom (2012 Remastered Version)
3. Victims of the Fury (2012 Remastered Version)
4. The Ring (2012 Remastered Version)
5. Only Time (2012 Remastered Version)
6. Into the Flame (2012 Remastered Version)
7. The Shout (2012 Remastered Version)
8. Mad House (2012 Remastered Version)
9. Ready for the Taking (2012 Remastered Version)
10. Fly Low (2012 Remastered Version)

[CD8: B.L.T. (featuring Jack Bruce & Bill Lordan) (1981)]
1. Into Money (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
2. What It Is (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
3. Won’t Let You Down (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
4. No Island Lost (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
5. It’s Too Late (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
6. Life On Earth (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
7. Once the Bird Has Flown (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
8. Carmen (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
9. Feel the Heat (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
10. End Game (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]

[CD9: Truce (featuring Jack Bruce) (1981)]
1. Gonna Shut You Down (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
2. Gone Too Far (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
3. Thin Ice (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
4. Last Train to the Stars (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
5. Take Good Care of Yourself (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
6. Fall in Love (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
7. Fat Gut (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
8. Shadows Touching (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]
9. Little Boy Lost (feat. Jack Bruce) [2012 Remastered Version]

[CD10: Back It Up (1983)]
1. Back It Up (2012 Remastered Version)
2. River (2012 Remastered Version)
3. Black to Red (2012 Remastered Version)
4. Benny Dancer (2012 Remastered Version)
5. Time Is Short (2012 Remastered Version)
6. Islands (2012 Remastered Version)
7. None But the Brave (2012 Remastered Version)
8. Captain Midnight (2012 Remastered Version)
9. Settling the Score (2012 Remastered Version)

Comunque, se non li avete, anche in considerazione del fatto che i vecchi box non si trovano, e del prezzo molto interessante del decuplo, ve lo consiglio, in quanto trovate il meglio della sua produzione (live escluso), ovvero i primi quattro dischi, ma anche i due con Jack Bruce.

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The Flamin’ Groovies “Gonna Rock Tonite! The Complete Recordings 1969-71 – 3 CD Grapefruit Records UK – 22-02-2019

Flamin’ Groovies sono una delle band “culto” per eccellenza, una sorta di summa dei Beatles e degli Stones (e della British Invasion in generale) Made in America: il tutto rivisitato in modo geniale da un gruppo in cui hanno militato una serie di musicisti quasi geniali, e che è tuttora in circolazione. Ma questo box raccoglie il meglio del loro periodo migliore: se volete saperne di più sulla band, potete andare a rileggervi questo Post https://discoclub.myblog.it/2017/06/10/se-fosse-anche-inciso-bene-sarebbe-perfetto-3-flamin-groovies-live-1971-san-francisco/ , dove si parla di un live inedito del 1971. Diciamo che in questo cofanetto non mancano le bonus, anche se quelle del primo CD sono “ridicole” (solo le single versions di alcuni brani, vale a dire versioni più corte!), negli altri ce ne sono di più e anche interessanti. I tre album divisi si trovano ancora abbastanza facilmente, ma se non li avete questo piccolo cofanetto è assai sfizioso e meritevole di attenzione.

Tracklist
[CD1: Supersnazz]
1. Love Have Mercy
2. The Girl Can’t Help It
3. Laurie Did It
4. A Part From That
5. Rockin’ Pneumonia And The Boogie Woogie Flu
6. The First One’s Free
7. Pagan Rachel
8. Somethin’ Else/Pistol Packin’ Mama
9. Brushfire
10. Bam Balam
11. Around The Corner
Bonus Tracks:
12. Rockin’ Pneumonia And The Boogie Woogie Flu (Single Version)
13. The First One’s Free (Single Version)
14. Somethin’ Else (Single Version)
15. Laurie Did It (Single Version)

[CD2: Flamingo]
1. Gonna Rock Tonite
2. Comin’ After You
3. Headin’ For The Texas Border
4. Sweet Roll Me On Down
5. Keep A Knockin’
6. Second Cousin
7. Childhood’s End
8. Jailbait
9. She’s Falling Apart
10. Road House
Bonus Tracks:
11. Shakin’ All Over
12. That’ll Be The Day
13. Louie Louie
14. My Girl Josephine
15. Around And Around
16. Rockin’ Pneumonia And The Boogie Woogie Flu
17. Going Out

[CD3: Teenage Head]
1. High Flyin’ Baby
2. City Lights
3. Have You Seen My Baby?
4. Yesterday’s Numbers
5. Teenage Head
6. 32-20
7. Evil Hearted Ada
8. Doctor Boogie
9. Whisky Woman
Bonus Tracks:
10. Scratch My Back
11. Carol
12. Rumble
13. Somethin’ Else
14. Walking The Dog

curtis mayfield keep on keeping on box

Curtis Mayfield – Keep On Keeping On: Curtis Mayfield Studio Albums 1970-1974 – 4CD box set Curtom/Rhino – 22-02-2019

Anche questo box teoricamente è molto interessante: ma al di là dei contenuti musicali, assolutamente splendidi, come avrebbe detto Gianduia Vettorello a Mai Dire Goal, ci sono delle magagne. Intanto manca Superfly, sempre relativo a quel periodo, un album splendido, di cui circola comunque una versione in doppio CD, rimasterizzata e potenziata con ben 15 bonus tracks, ma poi non è stato incluso neppure il Curtis/Live del 1971, pubblicato sempre dalla Curtom, e che è invece presente nel cofanetto da 5 CD qui sotto, che al momento è regolarmente in produzione, ad un prezzo anche inferiore al box Rhino di prossima uscita.

curtis mayfield original series box 5 cd

Naturalmente tutte le mie osservazioni e critiche su queste uscite spero siano sempre utili per chi fosse interessato e comunque non inficiano la validità di queste proposte, servono solo a scegliere meglio e più informati su quanto offre il mercato. In ogni caso, come al solito, ecco i contenuti del cofanetto.

[CD1: Curtis (1970)]
1. (Don’t Worry) If There’s A Hell Below, We’re All Going To Go
2. The Other Side Of Town
3. The Makings Of You
4. We The People Who Are Darker Than Blue
5. Move On Up
6. Miss Black America
7. Wild And Free
8. Give It Up

[CD2: Roots (1971)]
1. Get Down
2. Keep On Keeping On
3. Underground
4. We Got To Have Peace
5. Beautiful Brother Of Mine
6. Now You’re Gone
7. Love To Keep You In My Mind

[CD3: Back To The World (1973)]
1. Back To The World
2. Future Shock
3. Right On For The Darkness
4. Future Song (Love A Good Woman, Love A Good Man)
5. If I Were Only A Child Again
6. Can’t Say Nothin’
7. Keep On Trippin’

[CD4: Sweet Exorcist (1974)]
1. Ain’t Got Time
2. Sweet Exorcist
3. To Be Invisible
4. Power To The People
5. Kung Fu
6. Suffer
7. Make Me Believe In You

renaisaance ashes are burning

Renaissance – Ashes Are Burning (Remastered And Expanded Edition) – CD Esoteric Records -22-02-2019

Anche questo album bellissimo nel corso degli anni è stato ristampato più volte: magari al momento della uscita, prevista sempre per il 22 febbraio, ci sarà l’occasione per parlare in modo esteso dei Renaissance, storica band britannica (ma popolarissima negli Stati Uniti) dalle molte vite, e legata soprattutto alla voce splendida e cristallina della propria cantante Annie Haslam, e al prog classicheggiante e raffinatissimo del gruppo. Questo album del 1973, probabilmente il migliore della loro discografia, esce in questa versione “definitiva” della Esoteric inglese, meritoria inglese specializzata in ristampe soprattutto di materiale anni ’70. In questa nuova versione ci sono circa trenta minuti di BBC Recordings del 1974 inedite.

1. Can You Understand
2. Let It Grow
3. On The Frontier
4. Carpet Of The Sun
5. At The Harbour
6. Ashes Are Burning
Bonus Tracks – Live BBC Radio “In Concert” 1974 (Previously Unreleased):
7. Can You Understand
8. Let It Grow
9. Ashes Are Burning

gene clark with the gosdin brothers

Gene Clark – With The Gosdin Brothers – Retroworld/Floating World – 01-03-2019

Per essere precisi questo CD è annunciato in uscita per il 1° marzo. Si tratta del primo disco solista di Gene Clark, appena dopo la sua fuoriuscita dalla formazione dei Byrds nel 1966, due dei quali, Chris Hillman Michael Clarke, parteciparono però alla registrazione di questo album, uscito nel Febbraio del 1967, uno dei primi dischi country (rock) dell’epoca, forse atratti fin troppo sovraprodotto, ma la voce di Gene Clark è tutta da gustare, grazie anche alla presenza dei Gosdin Brothers, un duo country/folk che all’inizio erano previsti solo come cantanti di supporto, ma sulla copertina del LP acquistarono un ruolo da coprotagonisti, insieme ad altri validi musicisti dell’epoca, come quelli della Wrecking Crew, ossia  Glen Campbell, Jerry Cole, Jim Gordon, Leon Russell, il futuro Byrd Clarence White Doug Dillard, con cui Clark registrerà un bellissimo album che è, quello sì, considerato tra gli antesignani del country-rock. Parlando di questo album è già stato pubblicato molte volte, l’edizione più significativa è quella pubblicata nel 2007 dalla Sundazed, ricca anche di bonus tracks, e che dovrebbe essere ancora in produzione. Viceversa di questa nuova edizione non si sa ancora il contenuto esatto del CD, quindi vedete voi!

Per oggi può bastare, alla prossima.

Bruno Conti

Passa Il Tempo, Ma Le Emozioni Rimangono, Anche Senza I Vecchi Amici. Robin Trower – Time And Emotion

robin trower time and emotion

Robin Trower – Time And Emotion – V12 Records

Il chitarrista inglese pratica, più o meno da sempre, una sua particolare forma di blues, liquido e sognante, per parafrasare il titolo di uno dei suoi album migliori (Long Misty Days) “nebbioso”, assai influenzato dallo stile Hendrixiano, di cui è stato uno degli epigoni migliori: all’incirca ogni anno, nonostante veleggi ormai per i 72 anni (anzi li ha superati), pubblica un nuovo album, e devo dire che se anche se qualcuno si perde un capitolo della sua epopea, sa che la volta successiva troverà il musicista londinese ancora alle prese con questo tipo di musica, un rock-blues energico e ricco di virtuosismo chitarristico. Viceversa dal lato vocale Robin Trower non è mai stato un fulmine di guerra, adeguato ma nulla più e anche questo Time And Emotion conferma pregi e difetti della sua lunga carriera: comunque sempre più i primi dei secondi. E quindi i suoi numerosi fans ancora una volta troveranno quello che si aspettano, ovvero undici nuove solide composizioni firmate dallo stesso Trower, a cui invero non difetta la vena compositiva, vista la prolificità delle sue proposte: la chitarra viaggia sempre spedita e sicura, il sound è brillante, co-prodotto dallo stesso Trower, insieme a Sam Winfield, ma in parte anche dal suo tastierista e bassista (quando non lo suona lo stesso Robin) Livingstone Brown: dove è stato inciso però? Con tipico british humor, ovviamente, al I Presume Studio (non arriva subito); completa il classico power trio Chris Taggart, ormai fisso sullo sgabello della batteria da quattro album.

Se il vecchio “amico” Gary Brooker quest’anno ha festeggiato i 50 anni di carriera con i Procol Harum http://discoclub.myblog.it/2017/05/07/il-ritorno-di-uno-dei-gruppi-simbolo-del-pop-anni-sessanta-procol-harum-novum/ , Trower si avvicina ai quarantacinque da solista, il primo album Twice Removed From Yesterday infatti è del 1973. Se in questo disco non troverete forse innovazioni o nuove idee, non troverete neppure un musicista bollito, anzi, ancora in grado di sorprendere con il suo tocco magico alla chitarra: prendete l’iniziale The Land Of Plenty, un vigoroso rock-blues dove la solista scorre sicura e carica di effetti sul sinuoso groove creato dalla sua band, e se la parte cantata non è memorabile i lunghi solo non mancano di interessare anche l’ascoltatore più distratto, e quando innesta il pedale del wah-wah non ce n’è per nessuno. What Was I Really Worth To You è ancora più nebbiosa e sognante, con la voce filtrata e il classico sound del miglior Trower, melodie non memorabili ma lavoro di fino della sua 6 corde, e forse una maggiore grinta rispetto ad altri recenti album http://discoclub.myblog.it/2015/04/06/altro-arzillo-70enne-robin-trower-somethings-about-to-change/ . Come certifica la “riffata” I’m Gone, l’unica firmata con Livingstone Browne, che mostra parecchie analogie con il sound da power trio dei vecchi Cream o degli Experience di Jimi Hendrix (ma anche del suo trio con un altro vecchio amico come Jack Bruce http://discoclub.myblog.it/2016/01/08/il-piu-grande-bassista-della-storia-del-rock-anche-il-chitarrista-era-male-jack-bruce-and-robin-trower-songs-from-the-road/), grazie all’uso dell’immancabile wah-wah, che imperversa puree nella successiva Bitten By The Snake, misto alla solista tradizionale, visto che Robin si doppia spesso alla chitarra.

Ma è nei  brani lunghi, lenti e dalle atmosfere sospese dove il nostro eccelle, come nell’ottima Returned In Kind, dove il cry baby crea sonorità stranianti e minacciose, prima di “perdersi” in una lunga improvvisazione; e anche la successiva If You Believe In Me supera i 7 minuti, un pezzo sempre intriso dallo spirito del blues elettrico pur contaminato con il rock, dove tutto è costruito attorno alla sempre prodigiosa perizia tecnica del chitarrista britannico. Se tutto il disco fosse sui livelli di questi due brani parleremmo di uno dei suoi migliori album degli ultimi anni, e per certi versi forse lo è: una ballata rock come You’re The One ha una bella melodia intrigante e che si memorizza con facilità, oltre ad un suono veramente splendido della chitarra, degno del suo “maestro” Jimi, e se come dice lui nella successiva Can’t Turn Back The Clock, forse lo si può fermare a quello splendido seventies rock che è il suo marchio di fabbrica, come l’immancabile wah-wah. Make Up Your Mind è un altro di quei blues futuribili dove Robin Trower eccelle, lenti e maestosi, suonati nel suo stile inconfondibile; Try Love tenta anche la strada di un funky-rock mosso e grintoso, che pur essendo meno nello sue corde non fa peraltro calare la tensione di questo Time And Emotion. Che si conclude con la title-track, forse la canzone meno convincente del lotto, una ballata fin troppo morbida ed irrisolta, anche con uso di tastiere, e dove l’assolo è meno convincente che negli altri brani.

Bruno Conti

Il Ritorno Di Uno Dei Gruppi Simbolo Del Pop Anni Sessanta! Procol Harum – Novum

procol harum novum

Procol Harum – Novum – Eagle Rock/Universal CD

Siccome una bella celebrazione per i cinquant’anni di attività non la si nega a nessuno, a maggior ragione è d’uopo quando si parla di uno dei gruppi britannici più popolari della seconda metà degli anni sessanta, i Procol Harum. A voler essere pignoli, la band guidata da Gary Brooker è stata veramente attiva soltanto per una decade, con occasionali reunion successive per dischi e tour (principalmente 1991 e 2003, anni nei quali hanno pubblicato rispettivamente i buoni The Prodigal Stranger e The Well’s On Fire), anche se, pur con i molteplici cambi di formazione, solo negli anni ottanta i nostri sono stati completamente assenti come gruppo. Da sempre depositari di un suono particolare, molto melodico e con influenze classicheggianti e caratterizzato dall’organo suonato da Matthew Fisher e dal pianoforte di Brooker (ma occasionalmente capaci di vere scorribande chitarristiche, soprattutto nel periodo in cui alla sei corde c’era l’eccellente Robin Trower), per molti ascoltatori occasionali ancora oggi i PH sono soltanto una one hit wonder, il cui successo è legato al loro debut single, la strepitosa A Whiter Shade Of Pale, uno di quei pezzi che tutti sulla terra hanno ascoltato almeno una volta (e molto popolare anche da noi grazie alla cover dei Dik Dik, Senza Luce). E’ vero che il brano è stato il loro unico numero uno, ma negli anni i nostri hanno prodotto altre canzoni degne di nota come Homburg, A Salty Dog, Conquistador, Shine On Brightly, tanto per citare le più conosciute. Il loro suono, come già detto, era molto influenzato dagli studi classici di Brooker, abbastanza evidenti nella stessa A Whiter Shade Of Pale (il cui riff di organo riprendeva l’aria sulla quarta corda di Bach), ma anche in Homburg, nella suite In Held ‘Twas In I e nella versione rock del Blue Danube di Strauss (o nell’album del 1995 The Long Goodbye, nel quale alcuni dei loro brani più noti venivano riarrangiati in versione orchestrale), ma gli elementi rock e progressive non mancavano, come testimoniano alcuni tour de force come ad esempio lo splendido strumentale Repent Walpurgis.

Il tutto completato dai testi poetici e sognanti del paroliere Keith Reid, vero e proprio membro aggiunto della band (un po’ quello che era Robert Hunter per Jerry Garcia). Novum è il nuovo lavoro dei PH, un disco nuovo di zecca, il primo di studio dopo 14 anni, e di cui si parlava già da qualche mese, la cui copertina si ricollega volutamente a quella del loro primo album del 1967, l’omonimo Procol Harum, nonostante l’unico vero membro originale sia proprio Gary Brooker (gli altri sono con lui solo dagli anni novanta, e cioè Geoff Whitehorn alle chitarre (bravissimo, prima negli If, poi a lungo con Roger Chapman), Matt Pegg al basso, Josh Phillips all’organo e Geoff Dunn alla batteria, quest’ultimo nella band dal 2006): il suono tra l’altro non ricalca pedissequamente quello per il quale i nostri sono diventati famosi, anche se siamo in presenza comunque di un pop-rock decisamente raffinato, ma le digressioni nel prog sono decisamente limitate, ed i nostri dimostrano di non volersi sedere sugli allori riciclandosi all’infinito, ma cercando di proporre qualcosa di più moderno, con canzoni comunque di ottimo livello ed un sound forte e cristallino garantito dalla produzione classica di Dennis Weinreich. Brooker è ancora in possesso di una gran voce, ed il disco, pur non essendo un capolavoro che passerà alla storia, è un riuscito omaggio fatto da Brooker alla band che lo ha reso famoso, fatto con gusto e classe, un ottimo antipasto al tour celebrativo che li vedrà in giro per l’Europa (Italia inclusa) da Maggio ad Ottobre. Prima di partire con la disamina degli undici brani di Novum, un’importante annotazione: questo è il primo disco della storia del gruppo a non avere i testi scritti da Reid, bensì da Pete Brown, noto per la sua collaborazione nei sixties con i Cream (in particolare con Jack Bruce), ed autore tra le altre delle liriche di I Feel Free, Sunshine Of Your Love e White Room.

I Told You si apre su dolci note di piano, ma poi entra la band in maniera potente ed il brano diventa una fulgida e ritmata ballata dal leggero sapore soul-rock (e Gary canta benissimo), un pezzo con pochi contatti col passato ma diretto ed ineccepibile; bella Last Chance Motel, una fluida rock ballad dalla melodia cristallina e dal suono pieno, con il piano di Brooker suonato “alla Roy Bittan” e la solita prova vocale notevole. Image Of The Beast è viceversa un classico rock-blues di scuola British, un genere poco esplorato in passato dai nostri, con però aperture melodiche non scontate, un accompagnamento grintoso ed ottimi interplay tra chitarra, piano ed organo (anche se in alcuni momenti sembra di sentire i Toto, però quelli meno sfacciatamente AOR), mentre Soldier, a parte l’arrangiamento moderno, è uno slow classico e dal motivo toccante, nobilitato dalla voce soulful di Gary, a differenza di Don’t Get Caught che è una pop song raffinata e suonata in maniera impeccabile, ma tutto sommato non indispensabile. Deliziosa invece Neighbour, vivace e saltellante brano di stampo folk-rock, dalla melodia coinvolgente e con tanto di organo farfisa come strumento solista, con l’aggiunta di un ritornello quasi da sea shanty marinaresco; Sunday Morning è il primo singolo del disco, uno struggente lento pianistico, forse il pezzo più classicamente Procol Harum della raccolta, con una melodia splendida pur nella sua semplicità, una batteria scandita in maniera marziale e con feeling e mestiere che vanno a braccetto: indubbiamente uno degli highlights del CD. Businessman è invece uno dei pezzi più rock, introdotto da un potente riff chitarristico, ritmo in crescendo e la solita ottima prestazione di Brooker, sia alla voce che al pianoforte, niente male neppure questa; anche Can’t Say That prosegue sul tema, essendo un boogie-rock-blues ancora con chitarra e piano sugli scudi, un tipo di musica che Brooker e soci dimostrano di avere perfettamente nelle loro corde (e la jam finale è da applausi). Il CD termina con The Only One e Somewhen (quest’ultima con Gary da solo, voce e piano, e pure uno dei rari pezzi in cui ha scritto anche il testo), altre due sontuose ballate pianistiche, un genere nel quale i nostri sono maestri.

Non so se Novum sarà il canto del cigno dei Procol Harum, ma se così fosse avremo avuto un congedo fatto con classe, buon gusto e rispetto per la loro storia.

Marco Verdi

Lunga Vita Agli Anni ’70, 2! The Apocalypse Blues Revue

apocalypse blues revue

The Apocalypse Blues Revue – Apocalypse Blues Revue – Provogue/Mascot

Il disco, obiettivamente parlando, non è brutto, il vocabolo Blues, infilato tra Apocalypse e Revue, indica subito quale è il genere che il gruppo vuole affrontare, ma il risultato è decisamente heavy, e sarebbe strano il contrario, visto che i due componenti principali della band, il chitarrista Tony Rombola e il batterista Shannon Larkin, vengono dalla nota band Godsmack,, hard, heavy e nu metal, a seconda delle catalogazioni che leggete nelle varie biografie, potremmo anche aggiungere post-grunge, che non so cosa sia, ma sulla carta fa il suo effetto. Per questo progetto satellite i due hanno voluto con loro il cantante Ray “Rafer John” Cerbone e il bassista Brian Carpenter. Il disco, come si diceva, è duretto anziché no, nelle loro parole una versione del blues recuperata attraverso l’ascolto di Jimi Hendrix, Led Zeppelin, AC/DC (se hanno mai fatto blues) e tra gli artisti più recenti Stevie Ray Vaughan e Eric Gales, ma potrei aggiungere Frank Marino, Robin Trower e la pattuglia degli hendrixiani tutti: non a caso con il pedale del wah-wah spesso e volentieri pigiato a manetta. Ci sono anche echi dark dei primissimi Black Sabbath (Tony Iommi agli inizi evidenziava delle influenze blues) e tra le ultime band gente come la Blindside Blues Band e la pattuglia di artisti della Shrapnel e della Blues Bureau.

E, non a caso, secondo chi scrive, forse il miglior brano del disco, messo in coda come bonus, è una abbastanza fedele, quasi didascalica, cover di When The Music’s Over dei Doors, dove il cantante Cerbone mette in luce la sua voce profonda e baritonale che ricorda parecchio nel timbro quella di Jim Morrison, un altro che amava il blues “meticciato”. Insomma se volete la vostra razione delle 12 battute, molto, ma molto elettrica, diciamo hard e pure rock, qui potreste trovare pane per i vostri denti, in fondo c’è molto di peggio in circolazione (anche di meglio, per la verità) e quindi se l’air guitar davanti allo specchio è ancora una delle vostre forme di ginnastica preferita, con questo album potreste praticarla agevolmente. Diciamo che la Apocalypse Blues Revue lodevolmente cerca di sciorinare tutti i tempi del blues, dalllo slow, allo shuffle, passando per quello acustico e per  il blues-rock, ma poi alla fine prevale una certa “viuulenza”nel sound, come esplicato nella iniziale Evil Is As Evil Does, che è uno shuffle cadenzato, ben cantato da Cerbone e con la chitarra che non è ancora sull’11 del volume, ma si lascia gustare; già nel secondo brano Junkie Hell, in teoria uno slow blues, Rombola comincia a spremere la sua solista, con vibrati in evidenza e la voce morrisoniana di Rafer John, e nel finale l’Hendrix che è in lui si scatena, anche con profitto, con una orgia di wah-wah.

Subito replicata nella successiva Devil Plays A Strat (sarà vero?), dove i gemiti della chitarra si fanno ancora più selvaggi e dark, con modello forse più Trower che Hendrix, ma gli originali in entrambi i casi sono superiori. I Think Not dimostra che volendo i nostri amici possono suonare anche della musica più raccolta e tranquilla, a volumi meno sparati e con buona tecnica e feeling. Whiskey In My Coffee tenta anche la strada del southern boogie d’atmosfera, non male https://www.youtube.com/watch?v=bFhfdxFyTQU  e pure The Tower, di nuovo ispirata da Robìn Trower e quindi per proprietà transitiva Hendrix, ha addirittura delle derive leggermente psichedeliche, a conferma del fatto che questi signori non suonano affatto male https://www.youtube.com/watch?v=vdG3jpcJNiA . Crossed Over è più scontata, per l’amor di Dio, la chitarra è sempre molto presente ed “effettata”, ma si esagera un tantino con le acrobazie sonore. Comunque gli ex baldi giovanotti cercano di bilanciare le due facce della loro musica e Blues Are Fallin’ From The Sky è quasi tradizionale, con una parte centrale dove Rombola fa lo SRV o il Ronnie Earl della situazione, con un assolo tutto feeling e tecnica. Work In Progress è un’altra variazione sul tema Hendrix con pedale wah-wah di nuovo in azione, e il diavolo, che era sempre in agguato dietro l’angolo, torna per The Devil In Me, un lentone hard tra Black Sabbath e Zeppelin, mentre Blue Cross, l’ultima traccia prima dell’ottima cover dei Doors, mette in evidenza anche un lato elettroacustico della band, insomma si parte con una chitarra acustica ma poi non riescono a trattenere il loro lato più duro e finiscono su ritmi tribali. Ribadisco, se amate il genere rock 70’s, questo album degli ABR potrebbe anche interessarvi.

Bruno Conti

Gary Hoey – Dust And Bones: Un Altro “Ex” Virtuoso Metal Convertito Al Blues? Bravo Comunque!

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Gary Hoey – Dust And Bones – Mascot/Provogue                                    

Gary Hoey è un (ex?) metallaro pentito che, da qualche tempo, come altri, si è convertito al blues(rock). Con una discografia di una ventina di album alle spalle, compreso questo, di cui molti di tipo Natalizio per la serie Ho! Ho! Hoey https://www.youtube.com/watch?v=BqDsSC5w5KU , il nostro amico, 55 anni ad agosto, appartiene alla categoria dei chitarristi “esagerati”, quella che vanta nelle proprie fila gente come Van Halen, Satriani, Steve Vai, Eric Johnson, e tutta la pattuglia che fa capo alla Blues Bureau Records di Mike Varney, quindi anche chitarristi come Rick Derringer, Pat Travers, Eric Gales e Chris Duarte, tanto per non fare nomi. Ma agli inizi di carriera, negli anni ‘80, fu uno dei candidati a sostituire Jake E. Lee nella band di Ozzy Osbourne, anche se poi venne scelto Zakk Wylde (che, detto per inciso, di recente ha pubblicato a sorpresa, almeno per me, un album, Book Of Shadows II, di ottima musica southern e roots https://www.youtube.com/watch?v=X_uOwN7OwH4, e già il primo della serie non era male). Nel 1993 ha avuto il suo maggior successo con una cover di Hocus Pocus, il celebre brano dei Focus, quello che per intenderci ha degli intermezzi yodel in una ferocissima scarica chitarristica a cura di Jan Akkerman (quello sì era un grande chitarrista https://www.youtube.com/watch?v=g4ouPGGLI6Q )

La versione di Hoey era molto più alla Van Halen, con un sound abbastanza grossolano, ma poi il nostro amico lentamente, nel corso degli anni, si è avvicinato al blues, pubblicando un Deja Blues nel 2013 https://www.youtube.com/watch?v=V2EUPq-0wVA , che era il suo primo (o forse secondo) approccio alle 12 battute, per la verità non male, pur sempre nel suo suono abbastanza duro e tirato. Ora, nella presentazione al nuovo album, dice che in questo Dust And Bones vuole unire al blues le sue radici rock, e quindi cosa otteniamo? Un disco di rock-blues, ma va!? In molte pedisseque cartelle stampa Hoey viene presentato come uno dei primi 100 chitarristi di tutti i tempi nella classifica di Rolling Stone, ma non mi ricordo di avercelo mai visto, e in effetti, più modestamente, appare in quella del sito Digital Dream Door, tra molti metallari e, vergognosamente, prima di musicisti come Roy Buchanan, Warren Hayes, Joe Walsh e Leslie West, basti dire che John Petrucci dei Dream Theather è all’11° posto assoluto! Con tutto il rispetto un bel bah mi scappa! Fine della digressione.

Comunque anche Gary Hoey approda alla Mascot/Provogue, “casa” di Joe Bonamassa, Warren Haynes, Walter Trout, Robben Ford, questi sì tra i migliori chitarristi contemporanei e realizza un disco onesto, registrato in trio, con AJ Pappas al basso (a lungo con Popa Chubby) e Matt Scurfield alla batteria (già con Lita Ford, di cui tra un attimo): un album di power trio rock-blues con leggere derive surf (in passato Hoey ha collaborato anche con Dick Dale) e rockabilly, vedi l’eccellente tributo a Brian Setzer, nel vorticoso rockabilly di Who’s Your Daddy. Per il resto abbiamo il classico sound della Mascot, dalla rocciosa iniziale Boxcar Blues, un omaggio a Robert Johnson via Led Zeppelin, dove Gary Hoey si destreggia con abilità al bottleneck, passando per il notevole festival wah-wah della “sudista” Born To Love You, dove sembra di ascoltare gli ZZ Top, con tanto di eccellente e pungente assolo alla Billy Gibbons, o ancora nella ballata atmosferica Dust And Bones che ricorda certe cose del Bonamassa più duro. Non manca il tributo (un po’ ruffiano, ma ben suonato) a Johnny Winter di Steamroller, dove la slide di Hoey viaggia a tutta birra su un agile accompagnamento della sua sezione ritmica. Poi troviamo la classica “power ballad” da classifica, o così sperano, una Coming Home registrata in duetto con Lita Ford, che ricorda certe ballate strappalacrime di Prince o Bryan Adams, non orripilante ma quasi ai limiti della decenza, e il blues dove sarebbe, mi viene da chiedere?

Ghost Of Yesterday, di nuovo a tutto wah-wah, torna ai vecchi vizi dell’AOR anni ’80 e ‘’90 e per quanto Gary sia un virtuoso della Fender, ce ne sono a decine come lui. This Time Tomorrow, decisamente migliore, rende omaggio ad un altro dei miti di Hoey, Robin Trower, con un classico slow d’atmosfera, dove però si coglie la non proprio grande valentia vocale del chitarrista di Boston, che peraltro si evidenzia in tutto l’album, meglio quando suona. Back Up Against The Wall è un bello shuffle che mi ha ricordato certe cose del compianto Jeff Healey, con un ricorrente tema di chitarra, e Blind Faith è un’altra stilettata di rock-blues a colpi di slide e wah-wah, non male, anche se risaputa. Conclude Soul Surfer, piacevole brano strumentale, una sorta di surf music per gli anni 2000 che ci permette di gustare ancora una volta il virtuosismo di Gary Hoey, perché, in tutta onestà, come si usa dire, per suonare suona! Esce il 29 luglio.

Bruno Conti

Dopo 30 Anni Sempre “Smilzo” Ma Pure Molto Tosto! Too Slim And The Taildraggers – Bad Moon

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Too Slim And The Taildraggers – Blood Moon – Underworld Records 

Tim Langford, in arte Too Slim, con la sua band dei Taildraggers, in circa 30 anni di attività, che festeggiano quest’anno, ha pubblicato una ventina di album, compresi Live ed antologie, oltre ad un paio di dischi in solitaria (non memorabili) http://discoclub.myblog.it/2012/07/21/one-man-ban-tim-too-slim-langford-broken-halo/ , più o meno sempre centrando l’obiettivo di regalarci delle abbondanti dosi di sano blues(rock) misto a roots music e “americana”, partendo dalla loro base di Spokane, nello stato di Washington (quindi dei “nordisti”), anche se la loro sede negli ultimi anni è stata fissata in quel di Nashville, dove era stato registrato anche l’ultimo album del 2013, quel Blue Heart dove la produzione era affidata allo specialista Tom Hambridge http://discoclub.myblog.it/2013/07/10/di-nuovo-lo-smilzo-too-slim-the-taildraggers-blue-heart-5501/ . Ora dopo tre anni di pausa, interrotti da una doppia antologia pubblicata nel 2014 (con brani anche re-incisi per l’occasione), tornano con questo nuovo album Blood Moon, pubblicato come di consueto a livello indipendente dalla loro etichetta Underworld Records,, che ci propone dieci brani di coinvolgente musica sempre dalle parti del rock e dintorni.

In un neppur troppo velato omaggio a Hendrix, uno dei brani, Twisted Rail, ha una breve Slight Return Version, che se non impensierisce Voodoo Child, ha comunque grinta e wah-wah da vendere. Per il resto, business as usual per Too Slim And The Taildraggers: dopo la parentesi dell’album precedente, dove suonavano i musicisti scelti da Hambridge, si ritorna al classico power trio, con Jeff “Shakey” Fowlkes, come di consueto alla batteria e il nuovo bassista Eric “Stretch” Hanson, che riprendono imperterriti a macinare cavalcate chitarristiche, come ad esempio l’iniziale Evil Mind, che ha, questa sì, più di un sapore hendrixiano, grazie al continuo impiego del pedale wah-wah da parte di Tim Langford. E più di una parentela con il sound di Jimi ce l’hanno anche i due brani più lunghi dell’album, la title-track Blue Moon, minacciosa e avvolgente, una sorta di slow rock-blues futuribile che qualche (lontana) parentela con il classico di Hendrix ce l’ha, grazie ai continui rilanci della solista, e la citata prima parte di Twisted Rails, che va verso un sound sempre caratterizzato dalla grinta chitarristica e dal buon lavoro della sezione ritmica, agile e al contempo rocciosa, con continui cambi di tempo come il genere richiederebbe.

Langford non è un cantante formidabile, ma è un fedele seguace della scuola del power trio, come traspare anche da un commento favorevole e rispettoso, letto sul suo Facebook, dove dice di avere visto per la prima volta dal vivo Robin Trower, e di essere rimasto impressionato dalla classe del chitarrista britannico, da sempre una delle sue fonti di ispirazione. Get Your Goin’ Out On ha ritmi e sapori più stonesiani e comunque vicini ad un southern boogie che pur sempre american music è, mentre Gypsy è una sorta di “hard ballad” dalle atmosfere più sospese, anche se forse un tantino irrisolte, insomma il brano fatica a decollare, a parte il consueto buon lavoro chitarristico nella parte centrale che evidenzia l’ottima tecnica di Too Slim. My Body inserisce anche degli elementi acustici, per una specie di ballata malinconica che si regge su un sound più ricercato grazie ad un arrangiamento sofisticato e meno caciarone. Ma poi si ritorna subito a tutto riff con Dream dove Langford si sdoppia a due chitarre, per un brano anche questo che però fatica a rimanere nella memoria, pur se con qualche vaga reminiscenza dei Pink Floyd lato Gilmour, inutile dire che tutto ruota intorno alla solista del nostro, che è poi il motivo per cui si ascolta questo tipo di dischi. Letter accelera i ritmi e si torna al boogie’n’roll sudista, grintoso ma poco più e Good Guys Win, ancora più veloce, ricorda certe cose dei Ten Years After di Alvin Lee, rock-blues potente e incentrato sul lavoro della solista. Insomma in questo disco molto rock, volendo anche rude e potente, ma poco blues, se le orecchie non mi ingannano direi che Langford non tocca in modo significativo una sola volta la sua chitarra in modalità slide, e per uno che ne è considerato un virtuoso è un fatto quantomeno curioso.

Bruno Conti

Il Più Grande Bassista Della Storia Del Rock, E Anche Il Chitarrista Non Era Male! Jack Bruce And Robin Trower – Songs From The Road

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Jack Bruce And Robin Trower – Songs From The Road – Ruf/Ird CD+DVD 

Jack Bruce è stato il più grande bassista della storia del rock: e questa è una cosa nota e anche piuttosto condivisa. E qui potrei fermarmi. Meno noto è il fatto che questo concerto sia la riproposizione da casa Ruf di Seven Moons Live, l’album dal vivo del 2009 che uscì sia in versione CD che DVD, divise. Ora l’etichetta tedesca (ri)pubblica questa nuova edizione del concerto in versione doppia, con l’aggiunta di un brano, She’s Not The One, nella parte video. Quelli erano stati anni turbolenti e dolorosi per Bruce: nel 2003, dopo anni di eccessi, gli fu diagnosticato un tumore al fegato, e nel 2004 subì un trapianto totale, che agli inizi gli diede problemi di rigetto, poi risolti, tanto che nel 2005 fu presente alla famosa reunion dei Cream alla Royal Albert Hall.. Poi il musicista proseguì la sua frenetica serie di impegni e nel 2007 rinnovò anche la collaborazione con Robin Trower, grande chitarrista londinese, noto ai più per la sua militanza nei Procol Harum, ma autore anche di una lunga serie di album solisti, che gli valsero l’epiteto di “erede” di Jimi Hendrix, per il suo stile “sognante” e ricco di tecnica, ammirato moltissimo da Robert Fripp, che lo considerava un maestro e ha addirittura preso delle lezioni da lui.

Come dicevo un attimo fa, Trower e Bruce si erano già incontrati una prima volta tra il 1981 e il 1982, quando registrarono due album in coppia, B.L.T. e Truce. Nel 2007 esce Seven Moons, disco che li vede affiancati dal grande batterista (ma anche tastierista) Gary Husband, uno che abitualmente suona nei 4Th Dimension di John Mclaughlin, ma ha collaborato anche con Allan Holdsworth, Mike Stern, i Level 42 (?!?) e tantissimi altri che sarebbe lunghissimo elencare. Quindi per tutti e tre i musicisti, l’arte della collaborazione è un fattore importante nel proprio fare musica, come pure la capacità di fondere vari generi: Bruce ha iniziato nel gruppo di Graham Bond, tra jazz e blues, poi brevemente nei Manfred Mann e nei Bluesbreakers di Mayall, l’avventura dei Cream dove ha rivoluzionato il modo di fare rock, introducendo l’improvvisazione del jazz, e inventando di fatto il power trio, di nuovo jazz con Tony Williams Lifetime, Carla Bley, Kip Hanrahan, in mezzo una carriera solista eccelsa, con mille rivoli e deviazioni che lo hanno portato a riprovare il trio rock-blues con West, Bruce & Laing e il quintetto con Carla Bley, Ronnie Lehay e Mick Taylor, ma anche lo stile big band, le contaminazioni con la world music e mille altre avventure.

Ma secondo me il genere dove eccelleva è sempre stato il rock-blues, il suo saper improvvisare in libertà, confrontarsi con un chitarrista e un batterista, all’interno anche di brani dalla struttura classica, ovvero belle canzoni, per poi improvvisamente partire verso la stratosfera del rock, quando incontrava dei musicisti ai suoi livelli tecnici. E Trower e Husband lo sono entrambi; in questo concerto registrato nella bella sala da teatro De Vereeniging di Nijmegen in Olanda, il 28 febbraio del 2009, una delle ultime occasioni per ascoltare Jack Bruce (che come ricorda lui stesso nel corso del concerto, aveva avuto di nuovo dei problemi di salute tanto da fargli esclamare che non solo era contento di essere in quel teatro a suonare, ma lo era in assoluto, per il fatto di essere ancora vivo) al massimo delle sue capacità: i brani vengono in gran parte da Seven Moons, 10 in totale, tutti meno uno, firmati, da Bruce e Trower, più Carmen da B.L.T. e tre pezzi dei Cream, che sono le chicche assolute del concerto.

Robin Trower non è Clapton, ma è assolutamente un suo pari, molto statico sul palco, a causa del suo continuo uso della pedaliera quasi costantemente in modalità wah-wah, ma anche con altri effetti che gli consentono quel suo stile sognante ed energico al tempo stesso, approccia i soli di Sunshine Of Your Love (con un Jack Bruce prodigioso al basso), White Room e Politician in modo originale, ma anche rispettoso degli originali, se mi passate il bisticcio. Bruce canta in tutto il concerto, ed è in gran forma vocale, a dispetto dei problemi di salute, tra blues, rock, musica d’autore e grandi canzoni, con punte di eccellenza nell’iniziale Seven Moons, nella sincopata Lives Of Clay, che ricorda moltissimo i pezzi dei Cream, nella sospesa Distant Places Of The Heart, quasi jazzata, in Carmen, una delle tipiche “ballate” di Jack, in Just Another Day, con un grande Trower, ai vertici del suo hendrixismo (se mi passate il termine), come pure in Perfect Place, dove il wah-wah fluisce in modo magnifico, e ancora nello slow blues di Bad Case of Celebrity e nella minacciosa e potente Come To Me. Praticamente in tutto il concerto dove i tre (anche Husband è formidabile) dimostrano che il rock è ancora un’arte viva e vegeta, se suonata da grandi interpreti.                  

Bruno Conti   

Un Altro Arzillo 70enne! Robin Trower – Something’s About To Change

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Robin Trower – Something’s About To Change – V12 Records/Cadiz/Ird

Robin Trower è da sempre giustamente considerato uno dei migliori epigoni hendrixiani, ma anche per lui il tempo passa (quest’anno, proprio il 9 marzo, giorno di uscita dell’album, ha compiuto 70 anni) e la formula, nonostante la promessa del titolo che Something’s About To Change, rimane più o meno quella e alla lunga comincia a mostrare la corda. Intendiamoci, Trower è sempre un fior di chitarrista, tra i più bravi ed eclettici in ambito blues-rock o rock-blues, come preferite, uno degli “originali” e il suo sound ha sempre quella particolare aura sognante che in dischi come Bridge Of Sighs o Twice Removed From Yesterday, e in generale tutta la produzione anni ’70, anche grazie alla presenza di James Dewar, bassista, ma soprattutto cantante dalla voce maschia e profonda, rimane uno degli output più interessanti di quell’epoca ricca di grandi chitarristi di valore, nei migliori anni del rock inglese. Ma Dewar non c’è più dal 1983 e Robin ha provato, nel corso degli anni, riuscendoci in parte, a sostituirlo, per esempio con Jack Bruce, insieme a cui ha registrato tre album più un live, l’ultimo dei quali Seven Moons Live appunto, nel 2009.

 

Per il resto però, da qualche anno in qua, Robin Trower ha assunto anche il ruolo di cantante e bisogna dire che spesso, per usare un eufemismo, fa rimpiangere i suoi predecessori illustri, dal grande Gary Brooker, nei Paramounts e nei Procol Harum, ai citati Dewar e Bruce; ora, nel nuovo album, anche questo pubblicato a livello indipendente dalla propria etichetta, il musicista inglese ha assunto pure il ruolo di bassista, facendosi affiancare da Chris Taggart, buon batterista di settore, già presente nel precedente Roots And Branches, dove Trower andava ad esplorare anche il passato, con varie cover interessanti, e la presenza, all’organo di Luke Smith, musicisti non  in grado di mascherare il fatto che  il materiale, tutto scritto da Trower, sia spesso (leggi quasi sempre) non all’altezza dei brani delle epoche più fertili. Ogni tanto il vecchio leone dà ancora la sua zampata, soprattutto in quelle particolari blues ballads dalle atmosfere sognanti e spaziali, da sempre suo marchio di fabbrica, per esempio Dreams That Shone Like Diamonds, quasi alla JJ Cale nel suo applicare la formula della sottrazione di volumi e violenza chitarristica, a favore di poche note ma ben piazzate e con un sound limpido e ben delineato https://www.youtube.com/watch?v=jTHtBIWAA_8 .

robin trower 1 robin trower 2

Altrove il vecchio amore per Hendrix è ancora presente, come nella energica title-track iniziale, con il suo rock-blues sincopato e percorso da violente scariche della solista, o nel mid-tempo che vorrebbe essere sognante, ma suona un filo risaputo, di Fallen, dove il lavoro, comunque eccellente, della solista, non è sufficiente a coprire il cantato quasi alla camomilla di Trower. A questo punto meglio affidarsi al vecchio blues, che non tradisce mai, come nello slow, Good Morning Midnight, dove il nostro ci regala un bel solo di ottimo spessore tecnico, ma forse poco brilante nel feeling e nella passione. Lo stile è quello solito, Strange Love è un altro lento, ma il cantar parlando di Robin a lungo andare può essere veramente irritante https://www.youtube.com/watch?v=VqhWAVx1Jb0 e non so se i seguaci di questa musica si potranno accontentare solo del suo lavoro alla chitarra, per quanto impeccabile, qualche riff più mosso in The One Saving Grace, ma il wah-wah, che era un altro dei suoi tratti caratteristici è latitante e molte delle canzoni sinceramente non le ricordo neppure. Giudizio di stima, ma mi sa che la prossima volta dovrà cambiare veramente qualcosa, il chitarrista va bene, magari il cantante!

Bruno Conti