Produce Joe Bonamassa E Lei Ci Dà Dentro Di Brutto, Forse, Ma Forse, Anche Troppo! Joanna Connor – 4801 South Indiana Avenue

joanna connor 4801 south indiana avenue

Joanna Connor – 4801 South Indiana Avenue  – Keeping The Blues Alive

Ormai sembra che Joe Bonamassa stia perdendo lo scettro di artista più prolifico a favore di Neil Young che ultimamente cento ne pensa e cento ne fa: quindi il buon Joe ha pensato di incrementare il “suo secondo lavoro”, come produttore discografico per la propria etichetta Keeping The Blues Alive che,  dopo la pubblicazione dell’album di Dion Blues With Friends (e l’uscita del CD degli Sleep Eazys) ora si occupa del rilancio di Joanna Connor, una delle musiciste più valide e interessanti in ambito blues, nativa di New York, ma basata a Chicago, con una carriera discografica iniziata nel lontano 1989 con Believe It!, e proseguita, tra alti e bassi, con altri quattordici album, inclusi diversi dischi dal vivo, ed escluso questo nuovo 4801 South Indiana Avenue, dall’indirizzo del famoso locale della Windy City Theresa’s Lounge. La Connors (scusate ma mi scappa di dirlo, non è più una giovanissima, l’anno prossimo compirà 60 anni) fa parte della pattuglia delle musiciste bianche che praticano un blues piuttosto energico anziché no, quindi chitarriste cantanti molto influenzate anche dalla musica rock, con uno stile aggressivo e a tratti roboante, in grado di “maltrattare” spesso la sua Gibson (o una Delaney) per ridurla a più miti consigli https://www.youtube.com/watch?v=suwb2pdE2_g : era parecchi anni che non mi capitava di recensire un suo album per il Buscadero, ma il nuovo CD, grazie anche al lavoro di Bonamassa, mi sembra che la riporti ai fasti passati.

Joanna Connor by Maryam Wilcher

Joanna Connor by Maryam Wilcher

Joe e Joanna.una bella accoppiata. Non guasta il fatto che Joe le abbia affiancato un manipolo eccellente di musicisti, da Reese Wynans alle tastiere, a Calvin Turner al basso e Lemar Carter alla batteria, una piccola sezione fiati che ogni tanto interviene e i due co-produttori, Bonamassa e Josh Smith che spesso e volentieri fanno sentire anche le loro chitarre. La nostra amica è conosciuta soprattutto come una virtuosa della slide, e nel disco ce n’è a iosa: in effetti nel brano di apertura Destination, dal repertorio degli Assassins di Jimmy Thackery, la Connors inizia a mulinare il suo bottleneck a velocità vorticose, ben sostenuta dal piano di Wynans, con la sua voce potente supportata anche da quella del grande Jimmy Hall dei Wet Willie, con tutta la band che tira di brutto https://www.youtube.com/watch?v=89wb2tqg0io , mentre Come Back Home di nuovo con uno scatenato Wynans al piano, è una sorta di boogie rallentato, intenso e scandito, con Joanna che piazza un altro solo vigoroso di slide che ricorda quelli del miglior Thorogood https://www.youtube.com/watch?v=JUj5-MAcoiY . Bad News è uno dei pezzi più conosciuti di Luther Allison, per il quale la Connors in passato apriva i concerti, un lentone di quelli appassionati ed intensi, dove Joanna si cimenta in un lavoro di chitarra ricco di finezza e forza, mentre la sua voce è in grado di evocarne le atmosfere quasi stregate e sofferte, e Wynans alle tastiere è ancora una volta all’altezza della situazione, con i fiati a colorare l’atmosfera sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=FvYKatLNbc0 .

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I Feel So Good è uno dei grandi cavalli di battaglia di Magic Sam, un boogie frenetico e selvaggio, con il bottleneck sempre in grande evidenza, a duettare con la batteria di Carter, prima sfuma e poi riprende forza con finale a sorpresa https://www.youtube.com/watch?v=JUj5-MAcoiY . For The Love Of A Man è un classico blues rovente con fiati, scritto da Don Nix, proveniente dal repertorio di Albert King, seguito da un altro piccolo classico delle 12 battute come Trouble Trouble, a firma Lowell Fulsom, reso noto da Otis Rush, altro slow blues lancinante, con Josh Smith alla seconda chitarra e Wynans che raddoppia a piano e organo, per un pezzo che sta tra Bloomfield, sentire i fiati, please e Stevie Ray Vaughan e la Connors che si infervora alla solista https://www.youtube.com/watch?v=0CgFMl5tGKc . Please Help era di JB Hutto ma è un tributo al grande Hound Dog Taylor, slide music alla ennesima potenza, Cut You Loose la faceva anche il vecchio Muddy, Chicago Blues attualizzato da un arrangiamento moderno, dove la quota rock si fa prevalente e il bottleneck fa sempre furore https://www.youtube.com/watch?v=6-TF4bsd2Fk . Per gli ultimi due pezzi Joe Bonamassa fa un passo avanti e duetta con Joanna, prima nelle volute soul blues di Part Time Love dove organo, sax e fiati tutti prendono la direzione del Sud https://www.youtube.com/watch?v=hTApLuD5Jow  e nella gagliarda It’s My Time, scritta da Josh Smith e che è l’occasione per un duello di slide tra Joe e Joanna, pezzo che rievoca le atmosfere del Cooder più trascinante, con la musica che scivola, scivola, scivola… https://www.youtube.com/watch?v=vDjQMaSL4Nc 

Bruno Conti

Uno Dei “Figli Di…” Migliori In Circolazione! AJ Croce – By Request

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AJ Croce – By Request – Compass Records

Nell’ampia categoria che include i “figli di” AJ Croce è sicuramente uno dei più validi ed interessanti (senza fare la lista della spesa, lo metterei più o meno a livello di Jeff Buckley, Jakob Dylan, Adam Cohen, i primi che mi vengono in mente): una vita ricca di tragedie, orfano a meno di due anni per la morte del padre Jim Croce, a quattro anni cieco completamente, anche se poi ha riacquistato parte della visione dell’occhio sinistro, a quindici anni l’incendio della casa in cui aveva sempre vissuto con la madre Ingrid, con la quale ha avuto un rapporto complesso e turbolento, nel 2018 la moglie Marlo, con lui da 24 anni, è morta di una rara malattia cardiaca, lasciandolo con due figli. Nonostante la pesante eredità del padre Jim ha saputo creare un suo approccio alla musica, non seguendo pedissequamente lo stile del babbo, ma ispirandosi al blues, al soul (punti di riferimento Ray Charles e Stevie Wonder), ma con elementi rock, a tratti country, e anche di pop raffinato, grazie all’uso costante del piano di cui AJ è una sorta di virtuoso, ma suona anche tastiere assortite e chitarre: ha realizzato una serie di 10 album, incluso questo By Request, più un disco di rarità dai primi anni di carrierahttps://discoclub.myblog.it/2017/08/20/di-padri-in-figli-aj-croce-just-like-medicine/.

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Dopo la morte della moglie Croce ha voluto rientrare, come suggerisce il titolo, con un disco di cover, realizzate con garbo, classe e ottimi risultati, un album veramente godibilissimo: aiutato da una piccola pattuglia di ottimi musicisti, tra i quali spiccano Gary Mallaber alla batteria, Jim Hoke a sax vari, armonica e pedal steel, David Barard al basso, Bill Harvey e Garrett Stoner alle chitarre, Scotty Huff alla tromba e Josh Scaff al trombone, più un terzetto di backing vocalist, in pratica la sua touring band e con la presenza di Robben Ford in un brano, AJ sceglie una serie di canzoni molte adatte al suo stile, in base alla formula “a gentile richiesta” che si applica nei concerti più intimi. E così ecco scorrere Nothing From Nothing, un vecchio brano di Billy Preston, con i fiati molto in evidenza, in questo classico e mosso R&B dove Croce si disbriga con classe al piano https://www.youtube.com/watch?v=dp2sd7IhGsg , la molto più nota Only Love Can Break Your Heart di Neil Young, una delle ballate più belle del canadese, resa molto fedelmente da AJ e soci che però aggiungono un retrogusto da blue eyed soul o country got soul, con la voce sottile di Croce che ricorda quelle dei Bee Gees degli inizi https://www.youtube.com/watch?v=SKy_PcSEyR0 ; scatenata la versione di Have You Seen My Baby di Randy Newman, un’altra delle maggiori influenze del nostro https://www.youtube.com/watch?v=K-Ec5Od0WsI , Nothing Can Change This Love è un oscuro ma delizioso brano di Sam Cooke, con elementi doo-wop, e il piano che viaggia sempre spedito https://www.youtube.com/watch?v=FmeCGbt7glE , Better Day è un country-blues-swing di Brownie McGhee, con Robben Ford alla slide che contrappunta in modo elegante il lavoro della band https://www.youtube.com/watch?v=nQuHTW7viVc . O-O-H Child è il vecchio brano soul dei Five Stairsteps che ultimamente pare tornato di moda, visto che appare anche nel recente disco Paul Stanley con i Soul Station https://discoclub.myblog.it/2021/03/20/ebbene-si-e-proprio-lui-si-e-dato-al-funky-soul-con-profitto-paul-stanleys-soul-station-now-and-then/ , versione adorabile e delicata. https://www.youtube.com/watch?v=56btlAqRZLY 

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A seguire una robusta rilettura di Stay With Me il classico R&R di Rod Stewart con i Faces, con AJ al piano elettrico e una ficcante slide, Harvey per l’occasione. a ricreare lo spirito ribaldo del brano originale, e non manca neppure il New Orleans soul di Brickyard Blues una canzone di Allen Toussaint, qui resa in una versione a metà strada tra Dr. John e i Little Feat, grazie all’uso del bottleneck del chitarrista Garrett Stoner che interagisce con il piano di Croce, ricreando il dualismo Lowell George/Bill Payne https://www.youtube.com/watch?v=mH-dKTFOfbU . Incantevole anche la versione di San Diego Serenade di Tom Waits, con un arrangiamento che ricorda lo stile dei brani “sudisti” della Band, con tanto di pedal steel sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=CinzazO7Ti8 , e che dire di una versione barrelhouse blues di Sail On Sailor dei Beach Boys? Geniale e sorprendente! Tra i brani poco noti anche Can’t Nobody Love You di Solomon Burke: non potendo competere con la voce del “Bishop of Soul” AJ opta per un approccio gentile e minimale, con l’organo a guidare e con le coriste che danno il tocco in più, e per completare un disco di sostanza arriva infine Ain’t No Justice un esaltante funky-soul strumentale di Shorty Long targato Motown 1969.

Bruno Conti

Un “Nuovo” Bluesman Canadese, Raffinato E Potente Al Contempo. Steve Strongman – Tired Of Talkin’

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Steve Strongman – Tired Of Talkin’ – Steve Strongman/Ontario Creates

In Canada esistono riserve quasi inesauste di musicisti eccellenti che attendono solo di essere “scoperti” da una platea più ampia rispetto a quella interna dello stato dell’Acero: non vi faccio elenchi ma quasi ogni mese sbucano dal nulla nomi di cui spesso non sospettavamo neppure l’esistenza. L’ultimo della lista potrebbe essere questo Steve Strongman, del quale Tired Of Talkin’ risulta già essere stato pubblicato nel 2019, ma solo a livello autogestito, e ora con una distribuzione più capillare tramite Stony Plain, risulta più facilmente reperibile, e quindi, visto che merita, sia pure in ritardo, parliamone… Non siamo di fronte ad un esordiente, Strongman è in attività dagli anni ‘90 e a livello discografico dal 2007, in effetti il nuovo CD è il settimo che pubblica, ha vinto svariati premi a livello nazionale, ed è stato candidato anche ai Juno Awards, i Grammy canadesi. Forse non ho detto che si tratta di un (ottimo) praticante del blues, di stampo rock, notevole chitarrista e anche in possesso di una bella voce, impegnato pure a dobro ed armonica.

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Il CD è stato registrato tra il Canada e Nashville, dove Steve, oltre al suo gruppo, si è avvalso dell’operato di musicisti di gran pregio come Pat Sansone  (giro Wilco)alle tastiere, il bravissimo Audley Freed (già dei Black Crowes) alle chitarre aggiunte e James Haggarty al basso; la sua band è formata da Dave King alla batteria (e coautore con Strongman di quasi tutte le canzoni), Colin Lapsley al basso e Jessie O’Brien al piano, presenti nei sei brani registrati a Hamilton, Ontario, in un paio di brani alle backing vocals ci sono Ella e Scarlett Strongman, presumo parenti. Il nostro amico non appartiene alla categoria dei chitarristi che privilegiano lunghi assoli e improvvisazioni, ma preferisce uno stile più ruspante, sanguigno, anche se è un ottimo manico: come risulta subito dalla gagliarda title track, pianino titillante, ritmica robusta e vari brevi assoli dello stesso Steve, anche in modalità slide, il tutto con richiami stonesiani, poteva capitarci di peggio https://www.youtube.com/watch?v=sC-eO0f_0lo Paid My Dues è un bel boogie-blues, tosto e tirato, con uso armonica e un bel groove e la chitarra che fila sempre liscia come l’olio https://www.youtube.com/watch?v=caDUz0_LJOk ; Still Crazy About You illustra anche il suo lato più romantico, una bella ballatona mid-tempo di impianto sudista, con Strongman anche al dobro e lap steel, che dona un tocco di pigro country https://www.youtube.com/watch?v=E17ATSwDgU0 , mentre Just Ain’t Right uno dei brani registrati in Tennessee, e firmato coralmente, è un ottimo esempio di funky-rock à la Little Feat, ovviamente con impiego di slide “cattiva” e un bel organo corposo di rinforzo https://www.youtube.com/watch?v=CWUrmCNRzxU .

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Can’t Have It Hall è un boogie blues vorticoso con il nostro anche all’armonica, mentre la solista tira alla grande, breve ma intenso https://www.youtube.com/watch?v=dYOIUuCWp_s , con Tell Me It Like It Is che è un bluesone di quelli duri e puri, sempre con la solista goduriosa di Steve in bella evidenza in un conciso assolo da sballo e piano d’ordinanza di supporto https://www.youtube.com/watch?v=7J4hl96yJNQ . Livin’ The Dream, sempre da Nashville, viceversa è un bel rock’n’roll a tutto riff, dove non si può fare a meno di andare a tempo con il piedino, mentre la band aizza Strongman che rilascia un altro serie di soli con bottleneck e solista raddoppiate, il tutto da manuale. That Kind Of Fight è una bella ballata avvolgente che ci presenta di nuovo il suo lato più intimo e melodico, con assolo di acustica, ma è un attimo https://www.youtube.com/watch?v=pbwMQp9jSuY , Hard Place And A Rock, come da titolo, è una botta di energia, con la band che rocca e rolla come se non ci fosse un futuro, niente lungaggini ma grinta da vendere e chitarre arrotate. Highway Man è blues puro, intimo e non adulterato, solo voce e una acustica in modalità slide https://www.youtube.com/watch?v=u_YUmxaYtJg , ottimo anche Bring You Down un rock mid-tempo, sempre con fantastico lavoro della chitarra che lavora di fino, a chiudere troviamo l’unica cover dell’album, una deliziosa rilettura di Let’s Stay Together di Al Green che essuda soul music di gran classe, anche nello squisito guitar solo  . Per usare un acronimo alla Asterix UDQB, uno di quelli bravi!

Bruno Conti

Una Sorprendente Dinamo Rock-Blues Nera. Skykar Rogers – Firebreather

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Skylar Rogers – Firebreather – Self-released CD/Download

Viene da Chicago, ma opera con la sua band, i Blue Diamonds, nell’area di St. Louis, dove è stato registrato questo Firebreather, che è il suo esordio, a parte un EP uscito nel 2019 Insecurities: stiamo parlando di Skylar Rogers, cantante nera che mescola orgogliosamente blues, soul, funky e molto rock, non per nulla tra le sue influenze cita Tina Turner, Etta James, Billy Joel, e Koko Taylor, tutte abbastanza comprensibili, a parte forse Billy Joel. Il disco consta di 10 tracce originali, niente cover, la band che la accompagna, un quintetto con due chitarre, basso, batteria e un tastierista, nomi poco conosciuti, ma comunque validi e tosti, anche se tutto ovviamente ruota intorno alla voce gagliarda e duttile della Rogers. Si parte subito forte con il rock-blues tirato di Hard Headed Woman, chitarra incisiva e ricorrente, organo scivolante, il resto della band ci dà dentro di gusto, il timbro vocale una via di mezzo tra Janis Joplin (o se preferite le sue epigone Beth Hart e Dana Fuchs, anche se non siamo per ora a quei livelli), Koko Taylor e la Tina Turner più rockeggiante https://www.youtube.com/watch?v=YtW5bE_Rmig , come ribadisce la robusta Back To Memphis, ancora potente e con la chitarra di Steven Hill sempre in bella evidenza https://www.youtube.com/watch?v=qPGItqPBkuc  .

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Work è più funky, anche se i ritmi rock sono sempre prevalenti, con l’organo che cerca di farsi largo, Like Father Like Daughter il singolo estratto dall’album è sempre molto riffata, addirittura con elementi southern nella struttura del brano e la solista che imperversa sempre https://www.youtube.com/watch?v=m7kj_qZ7cnU , ma la “ragazza” ha classe e quando i tempi rallentano come nella bellissima soul ballad Failure, le influenze di James e Taylor hanno modo di essere evidenziate e la vocalità si arricchisce di pathos, con l’organo che si spinge dalle parti di Memphis https://www.youtube.com/watch?v=bQeUxLGSsCc . Però il genere che si predilige nell’album è sempre abbastanza duretto, come ribadisce la tirata title track, sempre in odore di blues-rock, con chitarra quasi hard e organo ad inseguirsi, mentre basso e batteria pompano energicamente e Skykar canta con grande forza https://www.youtube.com/watch?v=NKMOc4glugs , con Movin’ On che viceversa ha retrogusti gospel su un tempo scandito, coretti e battiti di mano accattivanti per un call and response godurioso, mentre la melodia è affidata all’organo https://www.youtube.com/watch?v=encBYeZcv28 .

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Thankful è una blues ballad pianistica, sempre con le linee fluide e sinuose della solista a fare da contrappunto alla energica interpretazione della Rogers che poi lascia il proscenio a un drammatico e vibrante assolo della chitarra, atmosfera che si ripete nello slow blues Drowning, altro brano che ruota attorno al dualismo tra la voce accorata di Skylar e la parte strumentale con chitarra e organo sempre sugli scudi https://www.youtube.com/watch?v=m7kj_qZ7cnU . E per concludere non manca anche un tuffo nel rock and soul di marca Motown di Insecuties, molto piacevole e disimpegnato, che comunque conferma il talento di questa nuova promessa che potrebbe diventare un ancora maggior concentrato di potenza in futuro, magari affidata ad un produttore di pregio in grado di orientarla più verso le sonorità più raffinate espresse in Failure. Per ora da tenere d’occhio, anche se, manco a dirlo, la versione in CD dell’album è costosa e di difficile reperibilità.

Bruno Conti

Un Affettuoso Tributo Al Figlio Scomparso, Nonché Un Bellissimo Disco. Steve Earle & The Dukes – J.T. Esce In CD Il 19 Marzo

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Steve Earle & The Dukes – J.T. – New West Download – CD/LP 19/03/21

Quando la scorsa estate, nel mese di agosto, il giorno 21 si è diffusa la notizia della morte di Justin Townes Earle, non si può dire che siamo rimasti molto sorpresi, purtroppo: il figlio di Steve Earle aveva avuto una lunghissima storia con la dipendenza da droghe, già iniziata quando aveva dodici anni e continuata per moltissimi anni, come lui stesso aveva dichiarato, “Avevo scoperto presto che il mio modo di approcciarmi alle cose della vita mi avrebbe messo nei guai, ma ho continuato a farlo, perché ho continuato per lungo tempo a credere nel mito che per creare grande arte dovevo distruggere me stesso”. E con perversa pervicacia ha continuato a farlo, nonostante ben nove ricoveri in cliniche di riabilitazione ogni volta ci ricascava, a brevi periodi di sobrietà ne seguivano altri dove i suoi fantasmi riprendevano a perseguitarlo; neppure la nascita della figlia Etta St. James Earle nel 2017 è riuscita a salvarlo. Proprio ad un trust destinato a raccogliere fondi per permettere alla figlia di raggiungere un futuro più sereno saranno destinati i proventi di questo J.T., il disco che Steve Earle ha voluto registrare in memoria del figlio e delle sue canzoni.

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E’ sempre devastante e triste quanto un padre sopravvive al figlio, specie se proprio lui è stato il “modello” con il quale Justin Townes ha dovuto misurare la propria vita: e non deve essere stato facile registrare un terzo album dedicato alle canzoni di un musicista che non c’è più, dopo Townes del 2009, dedicato a Townes Van Zandt e Guy, uscito nel 2017, ed incentrato sulle canzoni di Guy Clark, ecco J.T., altro titolo breve ed affettuoso che rivisita il repertorio del figlio attraverso alcune delle sue canzoni. Con la sola eccezione della canzone Last Words, scritta dalla stesso Earle, una canzone dalla bellezza dolorosa, quasi devastante, non dissimile da tante altre del suo repertorio, ma che in questo contesto assume una forza ancora maggiore, grazie anche alla maestria dei Dukes che lo hanno accompagnato in questo disco, e in questo brano in particolare il dobro di Ricky Ray Jackson che sottolinea lo scarno accompagnamento di una chitarra acustica e del violino della bravissima Eleanor Whitmore, che insieme a Chris Masterson, chitarre e mandolino e Jeff Hill, basso e contrabbaso, e Brad Pemberton, batteria, sono sublimi in tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=RR2XPOYqSZI , Steve la canta con voce scarna e ruvida, ancora più dolente del solito e che nel verso finale “I Love you too” è ancora più struggente.

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Justin Townes Earle forse, anzi sicuramente, non ha mai raggiunto i vertici del padre, ma nel corso dei suoi album ha scritto parecchie belle canzoni che Steve rivisita con orgoglio e classe nel suo stile: dall’honky-tonk dai profumi bluegrass della spensierata I Don’t Care, con la seconda voce della Whitmore https://www.youtube.com/watch?v=PzFAztmFYXQ , al country-blues con uso di pedal steel di Ain’t Glad I’m Leaving che rimanda ai suoi migliori dischi, passando per il country-rock ruspante ed elettrico della vibrante Maria.. E ancora la delicata e splendida ballata Far Way In Another Town, con la Whitmore che passa all’organo e Jackson alla pedal steel, oltre a Masterson alla solista, creano una superba atmosfera sudista, mentre They Killed John Henry è uno di quei brani narrativi dal sapore folk in cui Earle (già ma quale?) eccelle https://www.youtube.com/watch?v=1TGssyFJAuk . La quasi profetica Turn Out My Lights è un’altra ballata costruita sulla acustica arpeggiata, la solita steel e il violino straziante della Whitmore; la rabbiosa Lone Pine Hill si dibatte tra echi dylaniani grazie al guizzante violino e ritmi più incalzanti da perfetto outlaw country https://www.youtube.com/watch?v=fRsPjoIC8lI , in parte ribaditi anche nella scandita Champagne Corolla, che però vira verso atmosfere più bluesate, grazie alla elettrica pungente di Masterson e alla ritmica più scandita e cattiva https://www.youtube.com/watch?v=JLYKGOeTSWo .

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The Saint Of Lost Causes (bellissimo titolo) è giustamente considerata una delle canzoni più belle di Justin Townes, una versione dall’alto tasso di intensità che mi ha ricordato certe ballate feroci di Lucinda Williams, con atmosfere sospese e minacciose, sferzate dalle chitarre e dal violino e un cantato quasi febbrile e “incazzato” di Steve https://www.youtube.com/watch?v=xeqGCbo6pFo . E infine Harlem River Blues, tra country e folk con echi fortissimi della musica texana di Guy Clark, Jerry Jeff Walker e soci, ma anche l’amore per il folk-rock dello Steve Earle più ispirato https://www.youtube.com/watch?v=YaK9ZLqqHRI . Veramente un disco bellissimo e un tributo affettuoso a questo figlio scomparso.

Bruno Conti

Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volume 3: LiveAndWell.com

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David Bowie – LiveAndWell.com – Parlophone/Warner CD – 2LP

(Premessa: continuo con le recensioni di questa serie di pubblicazioni del Duca Bianco per puro dovere di cronaca, dal momento che ogni uscita è in edizione davvero limitata ed al momento esaurita. Compreso il già annunciato quarto volume, polverizzato solo con i pre-ordini).

Terzo appuntamento con il cofanetto “virtuale” (nel senso che il box per contenere sia i CD che gli LP è andato esaurito praticamente subito) Brilliant Live Adventures, che raccoglie sei album dal vivo registrati da David Bowie negli anni novanta e mai pubblicati fino ad ora in versione fisica, quando non completamente inediti. Dopo i primi due volumi Ouvrez Le Chien e No Trendy Rechauffé, che documentavano due show del 1995 tratti dal tour di Outside, con questa terza uscita ci spostiamo in avanti di due anni: infatti LiveAndWell.com è inerente alla tournée del 1997 seguita alla pubblicazione di Earthling, e se il titolo non vi suona nuovo avete ragione, in quanto era già stato realizzato una prima volta nel 1999 solo come download, e rimesso fuori lo scorso anno ma sempre in formato “liquido”.

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A differenza dei primi due volumi che riguardavano ciascuno un unico concerto, LiveAndWell.com contiene brani presi da diverse location (il Paradiso di Amsterdam, il Radio City Music Hall di New York, il Phoenix Festival ed il Metropolitan di Rio de Janeiro) e, se pensavate che sia Ouvrez Le Chien che No Trendy Rechauffé fossero troppo sbilanciati verso le canzoni nuove, qui abbiamo praticamente solo brani tratti da Outside e Earthling, due album tra i più sperimentali del nostro con sonorità art-rock, techno e drum’n’bass che all’epoca spiazzarono non poco i fans del Bowie più classico. Rispetto alla versione del 1999 però c’è l’aggiunta alla fine di due canzoni prese da dischi precedenti di David, anche se non esattamente due hits. La band che accompagna Ziggy è la stessa del tour di Outside ma senza Carlos Alomar, e cioè Reeves Gabriels alle chitarre, Gail Ann Dorsey al basso e voce, Zach Alford alla batteria e Mike Garson al piano, tastiere e synth. Nonostante non sia più la tournée di Outside il CD presenta ben cinque brani su dodici totali dal disco del 1995: i più ”orecchiabili” (termine in questo caso da prendere con le molle) sono la lenta e atmosferica The Motel e la pulsante Hallo Spaceboy, mentre sia l’ossessiva The Hearts Filthy Lesson che la cupa I’m Deranged https://www.youtube.com/watch?v=Kc-Cox7L2O4 e The Voyeur Of Utter Distruction (As Beauty) https://www.youtube.com/watch?v=ZjbBJ_51TnQ , che invece mette ansia (anche se alla fine c’è un notevole guitar solo), hanno sonorità stranianti ed a volte quasi dissonanti.

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I cinque pezzi presi da Eathling spostano ancora di più il suono verso un’ottica modernista in cui l’elettronica la fa da padrona, a partire da I’m Afraid Of Americans in cui l’unica cosa che ha una parvenza di classicità è la parte cantata. Telling Lies è piuttosto caotica ed alienante, Battle For Britain (The Letter) è un techno-rock discreto nella melodia ma strumentalmente discutibile, mentre la cadenzata Seven Years In Tibet non è affatto male https://www.youtube.com/watch?v=4_OLXd-a65Q (sorvolerei invece sulla brutta Little Wonder, che all’epoca uscì addirittura come primo singolo – ricordo un Bowie dai capelli arancioni proporla al Festival di Sanremo di fronte alle facce perplesse degli occupanti delle prime file). I due brani finali, entrambi strumentali, appartengono uno al passato prossimo di Bowie e solo l’ultimo agli anni settanta, mantenendo però sonorità in linea con le canzoni precedenti: Pallas Athena (da Black Tie White Noise, 1993) è pura dance music da club per fighetti, e V-2 Schneider è una delle pagine più oscure di Heroes, un brano influenzato dai Kraftwerk e quindi vi lascio immaginare dove andiamo a parare. LiveAndWell.com è quindi un live album che mi sento di consigliare solo ai “die-hard fans” di David Bowie: il già citato quarto volume della collana, Look At The Moon!, farà ancora parte del tour del 1997 ma presenterà anche canzoni meno ostiche essendo la riproposizione di uno show completo.

Marco Verdi

Pare Ci Abbiano Preso Gusto! Ace Of Cups – Sing Your Dreams

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Ace Of Cups – Sing Your Dreams – High Moon Records

La strana storia delle Ace Of Cups è stata raccontata più volte, in breve, gruppo tutto al femminile, una rarità all’epoca, che si forma nel pieno della Summer Of Love del 1967, con lo stesso manager dei Quicksilver Ron Polte, che cercò di fargli avere un contratto discografico, senza riuscirci, cadendo nell’oblio. Poi all’inizio della scorsa decade, in occasione di un concerto per i 75 anni di Wavy Gravy (di cui tra un attimo), il quintetto (Denise Kaufman, chitarra ritmica, Mary Gannon, basso, Marla Hunt, organo, Diane Vitalich, batteria, Mary Simpson, chitarra solista, e tutte e cinque al canto) si riunisce e il manager della piccola label High Moon decide di metterle sotto contratto per registrare un album, nel 2016 entrano in sala di registrazione, senza la Hunt, e registrano materiale sufficiente per pubblicare non uno, ma due album. Il primo, l’omonimo Ace Of Cups è uscito nel 2018, con ottime e meritate recensioni https://discoclub.myblog.it/2019/05/02/bellissimo-album-desordio-con-50-anni-di-ritardo-per-queste-quattro-arzille-carampane-ace-of-cups-ace-of-cups/ , il secondo, questo Sing Your Dreams, rinviato per le note vicende della pandemia, esce ora, sempre registrato in diversi studi californiani e con la produzione di Dan Shea, che suona anche tastiere, chitarre elettriche e diversi altri strumenti.

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C’è la solita quota massiccia di ospiti presenti nel CD, uno in particolare, fan della band da diversi lustri, che appare nei due brani conclusivi, anzi un medley di due pezzi, stiamo parlando di Jackson Browne. E partiamo proprio da questo medley: la prima parte Slowest River è cantata proprio da lui, che duetta con Denise Kaufman, una delle classiche ballate con la sua voce inconfondibile, accompagnato dal piano di Jason Crosby (collaboratore di Jono Manson), un brano avvolgente dalle affascinanti armonie vocali, saranno anche “diversamente giovani”, ma cantano comunque alla grande https://www.youtube.com/watch?v=J8NwvmtZBuc , nella seconda canzone Made For Love sono raggiunte da altre due vecchie glorie della West Coast come Bob Weir e David Freiberg, per un altro brano corale con delizioso assolo di slide di Mary Simpson https://www.youtube.com/watch?v=lyysX0tOwMs . Tornando all’inizio la apertura è affidata alla vibrante Dressed In Black, un brano che oscilla tra psych-rock e atmosfere alla Mamas And Papas, con ottimo lavoro della solista slide di Steve Kimock https://www.youtube.com/watch?v=G0Pd4Me_s3A ; in Jai Ma vengono raggiunte da Bakithi Kumalo, il bassista presente in Graceland di Paul Simon, e il brano ha quello spirito musicale solare e coinvolgente, con il basso fretless adagiato su un tappeto di percussioni suonate dalla famiglia Escovedo, guidata da Sheila E https://www.youtube.com/watch?v=s2E8LpjhnDA .

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Put A Woman In Charge, che forse anticipa l’arrivo di Kamala Harris, è una canzone di Beth Nielsen Chapman e Keb’ Mo’, trasformata in un trascinante R&R dove le nostre amiche dimostrano di avere ancora una grinta notevole, sembrano quasi le Heart. mentre la voce solista è quella di Dallis Craft, membro onorario delle AOC per l’occasione, con la Simpson sempre impegnatissima alla chitarra  https://www.youtube.com/watch?v=agQTELGzsyo; Sister Ruth, firmata dalla Kaufman che è la vocalist principale, e suona pure l’armonica, vede la presenza di Jack Casady al basso, Crosby al piano ed una melodia che è pura West Coast, con armonie alla CSN&Y https://www.youtube.com/watch?v=PUClfK_O_0U .

Wavy Gravy photographed at The Seva Benefit at The Sweetwater Music Hall in Mill Valley, CA May 15, 2016 Credit: Jay Blakesberg

Wavy Gravy photographed at The Seva Benefit at The Sweetwater Music Hall in Mill Valley, CA May 15, 2016
Credit: Jay Blakesberg

Basic Human Need è un brano misticheggiante, scritto e cantato da Wavy Gravy, vecchio leggendario hippie, famoso per essere stata la voce degli annunci nelle varie edizioni di Woodstock. C’è anche una sorta di vaudeville, la scanzonata I’m On Your Side, scritta da Mary Gannon, che la canta, supportata dal clarinetto di Sheldon Brown; la musica si anima nella successiva “light psych” Gemini e poi in Boy, What’ll You Do Then, un altro buon pezzo rock, sempre cantata dalla Kaufman di nuovo all’armonica, e Liitle White Lies cantata dalla batterista Diane Vitalich è un ulteriore esempio dello stile coinvolgente della band con Michael Manning alla solista e piacevoli retrogusti garage-soul, mentre Walter Street Blues, interpretata a due voci da Vitalich e Gannon, e Kaufman alla armonica, è un tuffo nelle 12 battute elettriche, come degli Hot Tuna al femminile. Spazio infine per la chitarrista Mary Simpson in Lucky Stars, con un riff e un lavoro della solista che rimanda ai Dire Straits https://www.youtube.com/watch?v=1wc2aNHADV4 , se avessero scelto di vivere in California, solite belle armonie vocali e e lo spirito rock tipico della band, magari non memorabile, ma molto godibile, come peraltro tutto l’album.

Bruno Conti

Dal Sud Degli Stati Uniti Ancora Ottima Musica Da Un Artista Di Culto. Randall Bramblett – Pine Needle Fire

randall bramblett pine needle fire

Randall Bramblett – Pine Needle Fire – New West

Ogni tanto leggendo Wikipedia si apprendono notizie “interessanti”: per esempio che il nostro amico Randall Bramblett ha una carriera che ha attraversato tre decadi, ma considerando che è in attività dai primi anni 70, direi che sono sette decadi, in più si apprende che il suo genere musicale sta tra folk (?!?), pop/rock, acoustic, adult alternative, mentre leggendo sul suo sito, in quanto si presume che almeno lui sappia che tipo di musica faccia, leggiamo di Americana, Blues, Funk, R&B/Soul e Rock (magari southern, visto che è stato in passato un componente dei Sea Level). Dato a Cesare quel che è di Cesare, e a Randall quel che è di Bramblett, ancora una volta il musicista di Jesup, Georgia, ci regala un altro bel disco, dopo Juke Joint At The End Of The World del 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/09/05/un-sudista-anomalo-randall-bramblett-juke-joint-at-the-edge-of-the-world/, ecco l’ottavo CD per la New West negli anni 2000.

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Tastierista e cantante, oltre che sassofonista, Bramblett ha una bella voce, rauca e vissuta e si scrive le proprie canzoni, 12 in questo caso, facendosi aiutare dagli stessi musicisti del precedente CD: Nick Johnson alla chitarra elettrica, Michael C. Steele al basso, Seth Hendershot alla batteria e Gerry Hansen alle percussioni, in più come ospite alla chitarra David Causey, con lui sin dai tempi dei Sea Level, Tommy Talton dei Cowboy, che suona la vecchia Gibson SG di Duane Allman in modalità slide nel brano I’ve Got Faith In You, una piccola sezioni fiati e nella title track gli archi, oltre a Betsy Franck alle armonie vocali. Some Poor Soul, chitarra trattata, basso “grasso”, piano elettrico e fiati in evidenza, percussioni e batteria in spolvero, nonché le armonie vocali corpose dei componenti la band e della Franck, ricorda il suono del suo vecchio amico Stevie Winwood https://www.youtube.com/watch?v=WYwbosqIfH0 , con il quale ha collaborato in passato; Rocket To Nowhere, loop di batteria e synth non fastidiosi in apertura, poi diventa un altro funky-jazz-southern rock che ricorda i vecchi Sea Level, con sax e tromba, oltre alle tastiere di Randall, a menare le danze https://www.youtube.com/watch?v=Ops3SUa7fh0 .

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La lunga e soave title track ha delle sonorità sognanti e futuribili, con il Fender Rhodes di Bramblett e chitarre backwards e synth atmosferici a punteggiare la melodia di questa ballata, che nel corso del brano si anima e vede nel finale anche l’ingresso degli archi https://www.youtube.com/watch?v=6OinUsBKNQY . In Lazy (And I Know It), sempre su queste coordinate sonore, ritmi più serrati, Randall va anche di falsetto, sostenuto dalla brava Betsy Franck, Even The Sunlight con un bel drive della batteria, è più mossa e con doppia chitarra, e qualche rimando al suono degli Steely Dan, contemporanei dei Sea Level, grazie agli arrangiamenti intricati e a un acido assolo della chitarra solista https://www.youtube.com/watch?v=NvYtLk0UMKM , I’ve Got Faith In You è il brano nel quale Talton suona la chitarra di Duane, un sincero esempio del vecchio southern rock dei 70’s, con un testo presentato come una risposta a Forever Young di Dylan, molto suggestiva grazie all’insinuante lavoro della slide di Talton e alla seconda voce della Franck https://www.youtube.com/watch?v=huPU4TTrWMw .

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Another Shining Moment, con Causey aggiunto che va di slide, quasi alla George Harrison. è un pezzo dai retrogusti sudisti, di nuovo con falsetti gospel sullo sfondo e una calda interpretazione vocale di Bramblett e e Co https://www.youtube.com/watch?v=u_gwhzem9x4 ., molto piacevole anche la funky Manningtown che spinge sul groove, con chitarrine insinuanti anche wah-wah e piano elettrico e organo a dettare i tempi https://www.youtube.com/watch?v=DLzzyPqZUyU , insieme ai fiati, Built To Last decisamente più sul versante rock corale dimostra una volta di più la versatilità e la classe di questo musicista, ancora con Causey in aiuto con la sua solista insinuante, prima di tornare al funky/R&B con la mossa e fiatistica Don’t Get Me Started sempre vicina agli stilemi di Donald Fagen. In chiusura prima Never Be Another Day che coniuga rootsy rock e deep soul in modo brillante, grazie ancora alla Franck https://www.youtube.com/watch?v=nbMsbyuiwF0 , e l’ultimo brano con la presenza di Causey My Lucky Day insiste con questa riuscita miscela di generi che è la carta vincente di questo ennesimo ottimo album di Randall Bramblett. In attesa di nuovi dischi di Winwood e Fagen “accontentiamoci”.

Bruno Conti

Forse Uragano E’ Troppo, Ma Almeno Un Turbine Sicuramente Sì! Hurricane Ruth – Good Life

hurricane ruth good life

Hurricane Ruth – Good Life – Showplace

Hurricane Ruth LaMaster, come si evince dalla foto di copertina, non è certo una “pivellina”, una giovane novizia del blues, in pista dalla fine degli anni ‘70, anche se il suo sito riporta solo un EP e quattro CD https://discoclub.myblog.it/2015/03/20/fenomeni-musicali-naturali-hurricane-ruth-born-on-the-river/ , compreso questo Good Life, tutti incisi negli ultimi 5/6 anni, ma nel suo CV ci sono vecchie collaborazioni con la Maynard Ferguson orchestra, Adrian Belew e Louis Belson, e svariate frequentazioni dal vivo in cui ha aperto per John Lee Hooker, B.B. King, Taj Mahal, Ramsey Lewis Trio, Sam & Dave, Fenton Robinson e Wiilie Dixon, che, come lei stessa ricorda, peraltro un po’ dovunque, ha detto che “si tratta dell’unico uragano che potrei apprezzare”. La nostra amica, originaria dell’Illinois, quindi una delle terre delle 12 battute, bazzica però anche in ambito rock, Heart, Steppenwolf, Judas Priest, Eddie Money, Kenny Wayne Shepherd, Royal Southern Brotherhood, non le sono sconosciuti, tanto che il suo genere viene definito Power Blues.

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Ma comunque per questo nuovo album ha fatto tutto per benino: produttore Ben Elliott, album registrato negli Showplace Studios della sua nuova etichetta a Dover, nel New Jersey, e soprattutto musicisti come Bruce Katz alle tastiere, Calvin Johnson al basso, l’eccellente batterista Tony Braunagel e soprattutto Scott Holt alla chitarra, per un disco dalle sonorità ruvide, ma dove il blues risalta in modo più evidente che in passato. Anche la voce è ruvida e potente, lei ha una certa resilienza, come recitava il titolo del precedente album Ain’t Ready For The Grave, dove comunque suonavano Tom Hambridge, Rob McNelley, Reese Wynans, McCrary Sisters, quindi tutta gente più che rispettabile https://www.youtube.com/watch?v=Q3zKJtiI0kE : nel nuovo disco scorrono brani come l’iniziale vigorosa Like Wildfire, dove siamo dalle parti di Dana Fuchs, Beth Hart e altre shouter, ma anche Bonnie Raitt , e con Scott Holt e la sua fiammeggiante chitarra e il piano di Katz che sostengono la vocalità ruspante di Hurricane Ruth https://www.youtube.com/watch?v=kavs838155s . Nel mid-tempo Dirty Blues c’è qualche elemento di “sporco riffare” stonesiano, con Holt che mulina la sua solista, mentre Katz passa all’organo e la ritmica picchia di gusto, What You Never Had va più di groove, una sorta di shuffle energico, sempre con organo scivolante e chitarra in evidenza e la voce assertiva della La Master che sciorina quanto imparato su mille palchi https://www.youtube.com/watch?v=OYo5EGi-Dwc .

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Nella lunga title track Hurricane Ruth dimostra di sapere maneggiare con classe anche l’arte della ballata soul, ricca di pathos ed emozionante, con Holt che rilascia un altro assolo da brividi https://www.youtube.com/watch?v=kavs838155s ; Torn In Two, scritta insieme al grande autore e cantante Gary Nicholson, è un brillante esempio di scuola R&B marca sudista, con pianino insinuante, mentre Scott Holt continua ad imperversare https://www.youtube.com/watch?v=fpKfzzJCJDc , con She’s Golden, tra funky e soul, che mostra anche un lato più raffinato e ricercato della sua musica. Black Sheep viceversa torna al rock and roll ribaldo e “sguaiato”, dove Hurricane Ruth è comunque sempre perfettamente a suo agio, tra chitarre tirate e batteria che picchia, ma con costrutto, la super funky Who I Am permette a Bruce Katz una bella improvvisazione di organo nella parte finale, mentre LaMaster catechizza il suo pubblico. Late Night Red Wine propone nuovamente citazioni alla Rolling Stones, della serie l’arte del riff non si scorda mai https://www.youtube.com/watch?v=zPxzX7dv0B0 , ma anche quella della blues ballad pianistica, come nell’intensa I’ve Got Your Back dove ci sono delle analogie con lo stile di Janiva Magness, una ballata cantata con grande passione e impeto da una musicista che aspetta solo di essere conosciuta https://www.youtube.com/watch?v=gXBcnolrmZc : segnatevi il nome, Hurricane Ruth, è veramente brava.

Bruno Conti

Recuperi Di Fine Anno 2: Una Delle Più Belle Sorprese Del 2020. Jess Williamson – Sorceress

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Jess Williamson – Sorceress – Mexican Summer CD

Il 2020 è stato un anno molto positivo per quanto riguarda il rock al femminile, dal momento che abbiamo potuto godere di lavori splendidi come i nuovi album di Margo Price, Mary Chapin Carpenter ed Emma Swift, oltre a Lucinda Williams che nonostante non sia tra le mie preferite ci ha dato con Good Souls Better Angels uno dei suoi dischi migliori. Tra le “release” più positive dell’anno appena trascorso per quanto riguarda il gentil sesso merita anche di essere inserito Sorceress, ultimo lavoro della cantautrice texana Jess Williamson, album del quale non ci siamo occupati al momento dell’uscita, direi colpevolmente visto il livello eccelso della proposta. Devo confessare che, pur avendo alle spalle già tra dischi, non avevo mai sentito parlare della Williamson, e sono rimasto incuriosito leggendo diverse recensioni entusiastiche di Sorceress, entusiasmo che mi sento di condividere appieno. Jess è una cantautrice classica, cresciuta ascoltando i dischi di folk e country del padre, e negli anni ha maturato uno stile che fonde mirabilmente i due generi appena citati con uno squisito gusto pop di stampo californiano, cosa che è forse dovuta al fatto di essersi trasferita da anni a Los Angeles.

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Il suo penultimo album Cosmic Wink (2018) aveva già avuto critiche molto positive, ma Sorceress pone Jess su un livello decisamente superiore: stiamo infatti parlando di un disco davvero splendido, in cui lo stile classico della Williamson (che non è una cantautrice voce-chitarra-sonno, ma ha dalla sua verve e creatività) si sposa alla perfezione con la produzione moderna ma con sonorità “vere” nelle mani di Shane Renfro, Al Carson e Dan Duszynski, che non sono alla consolle tutti e tre contemporaneamente ma si dividono le varie canzoni occupandosi anche in gran parte delle parti strumentali. Un album maturo quindi, che riesce a coniugare in modo impeccabile una scrittura profonda ed intensa con linee melodiche immediate e fruibili, il tutto condito dalla voce di Jess, bellissima e sensuale. L’iniziale Smoke è una moderna folk song che parte per voce e chitarra e dopo un minuto circa si aggiunge una sezione ritmica pressante, una steel ed una chitarra baritono, per un crescendo sonoro costante e coinvolgente https://www.youtube.com/watch?v=vINgxOeiCoQ . As The Birds Are è una deliziosa ballata d’atmosfera sognante ed eterea, dotata di un bel motivo superbamente cantato ed un alveo musicale avvolgente, con i synth usati nel modo giusto; splendida Wind On Tin, pop-rock cadenzato ed orecchiabile, una canzone solare dal sapore californiano che ci fa entrare definitivamente nel disco https://www.youtube.com/watch?v=X9RXQcbzniA , mentre la title track è un’altra bellissima folk song nobilitata da un’esecuzione da brividi, perfetta nella sua essenzialità https://www.youtube.com/watch?v=-cwnCcMwBeg .

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Infinite Scroll sembra un brano anni 70, con un arrangiamento d’archi tipico del periodo ed una melodia di qualità che rivela l’influenza dei Fleetwood Mac https://www.youtube.com/watch?v=C8oFdsv-ZR8 ; Love’s Not Hard To Find è uno slow pianistico di grande effetto sia per la strumentazione piena e rotonda sia per la voce espressiva di Jess, veramente brava. Splendida e suggestiva anche How Ya Lonesome, ballatona che tra chitarre acustiche, pianoforte, un mood crepuscolare ed un motivo di base affascinante risulta tra le più riuscite (sembra quasi una versione femminile di Chris Isaakhttps://www.youtube.com/watch?v=S-nH1a6YUNM ; Rosaries At The Border è di nuovo un pezzo limpido e folkeggiante, stavolta con l’aggiunta di una leggera spolverata di psichedelia californiana, a differenza di Ponies In Town che è un incantevole bozzetto per voce, chitarra e poco altro. Chiusura con Harm None, soave ballata dallo sviluppo fluido e disteso con una steel che miagola sullo sfondo ed un maestoso crescendo finale con tanto di coro, e con Gulf Of Mexico, ennesima melodia magnifica esaltata da un arrangiamento che definire toccante è dir poco: un mezzo capolavoro, forse il brano migliore di un CD che, ascolto dopo ascolto, si conferma come uno dei più belli degli ultimi dodici mesi.

Marco Verdi