La Fantastica Epopea Di Un Gruppo Fondamentale. Robbie Robertson And The Band – Once Were Brothers

once were brothers dvd

Robbie Robertson And The Band – Once Were Brothers – Magnolia BluRay – DVD

E’ con colpevole ritardo (su sollecitazione del titolare del Blog) che mi occupo di Once Were Brothers, splendido docu-film dedicato a The Band e narrato in prima persona da Robbie Robertson: dopo essere stato per breve tempo nei cinema, lo scorso anno è uscito in DVD e BluRay, ed il sottoscritto aveva aspettato ad accaparrarselo confidando in una edizione che comprendesse anche i sottotitoli in italiano, cosa che però non si è mai verificata. La recente ristampa deluxe di Stage Fright ha però riacceso in me l’interesse nel progetto, e devo dire che, vista la qualità del film, non so che cosa stessi attendendo! Once Were Brothers (prodotto dai registi premi Oscar Martin Scorsese e Ron Howard e diretto da Daniel Roher) è infatti una magnifica testimonianza sull’epopea di uno dei gruppi più fondamentali ed influenti della nostra musica, attraverso le voci dei protagonisti e di musicisti che in un modo o nell’altro devono molto al suono del quintetto canadese, una miscela vincente di rock, soul, errebi, blues, folk e country che oggi chiamiamo Americana ma che nella seconda metà degli anni sessanta in pratica non esisteva https://www.youtube.com/watch?v=bu1ksBNTTdw .

once were brothers dvd 1

Credetemi, l’assenza dei sottotitoli dopo pochi minuti dall’inizio della visione non sarà più un problema, in quanto Robertson parla un inglese comprensibilissimo ed in più porge le frasi con molta lentezza, ed anche gli ospiti, a parte un paio di casi, evitano accuratamente di mangiarsi le parole (le due eccezioni sono Levon Helm e Ronnie Hawkins). Dicevo degli ospiti, una parte importantissima in quanto a parte Robbie che funge da leader (d’altronde è l’ideatore del progetto) troviamo le testimonianze dei suoi ex compagni, ovviamente d’archivio dato che tre quinti del gruppo non è più tra noi (Garth Hudson, l’unico ancora in vita a parte Robertson, non appare in video ma presta la voce per un breve commento), e per lo stesso motivo risalgono agli anni novanta gli interventi di George Harrison.

238 The Band, Robbie and Dominique Robertson, Woodstock, NY, 1968.

238 The Band, Robbie and Dominique Robertson, Woodstock, NY, 1968.

Ma non è finita, in quanto il fiore all’occhiello sono coloro che hanno scelto di apparire nel film con interviste ex novo, gente del calibro di Bruce Springsteen, Eric Clapton, Van Morrison (una rarità), Taj Mahal, Peter Gabriel, David Geffen, i già citati Hawkins e Scorsese, la bellissima moglie di Robbie Dominique Robertson ed il loro primo produttore John Simon, mentre la partecipazione di Bob Dylan strombazzata sulla locandina del film si riduce ad un breve intervento estrapolato dal “suo” docu-film No Direction Home (manca invece stranamente Elton John, un altro i cui primi album risentivano parecchio della lezione dei nostri) https://www.youtube.com/watch?v=gHWha9M1Llo . Il film inizia con Robertson in studio di registrazione a dare gli ultimi ritocchi alla canzone che intitola il film (uscita nel 2019 all’interno del non eccelso Sinematic), e subito parte il racconto della sua infanzia e di come giovanissimo fosse stato fulminato sulla via del rock’n’roll in particolare da Chuck Berry. Poi c’è il ricordo della sua prima chitarra e quello, ben più traumatico, di quando sua madre (nativa americana di origine Mohawk) lo prese da parte per rivelargli che suo marito, James Robertson, non era il suo padre biologico, che in realtà era un ex giocatore d’azzardo ebreo in odor di mafia chiamato Alexander Klegerman, oltretutto ex galeotto ed in seguito rimasto ucciso in uno strano e poco chiaro incidente.

once were brothers dvd 3

Poi si passa al racconto delle sue prime band giovanili, fino a quando non fu notato da Hawkins che lo prese come chitarrista nei suoi Hawks, dove legò subito con Levon Helm (a cui per tutta la sua carriera, e nonostante i problemi che sorgeranno dopo tra i due, Robbie guarderà con profonda venerazione) e si rivelò anche un precoce songwriter, scrivendo due brani per Ronnie all’età di 15 anni. Poi si arriva agli anni sessanta ed al rapporto che gli cambierà la vita: quello con Dylan, conosciuto tramite la comune amicizia con John Hammond Jr. (quindi il bluesman, non il padre talent-scout che tra l’altro di Bob fu lo scopritore). Dylan in quel periodo aveva deciso per la famosa svolta elettrica e stava cercando una band che partisse in tour con lui, e gli Hawks erano la scelta perfetta; ma non fu tutto rose e fiori, in quanto come è ben noto la nuova veste sonora di Bob non fu molto apprezzata dai fans della prima ora, e molti concerti finivano con il pubblico che contestava pesantemente la band sul palco. Questo fatto esasperò Helm al punto da costringerlo a lasciare i compagni nel bel mezzo del tour (fu rimpiazzato in fretta e furia da Mickey Jones), ma durante la parte europea della tournée, per la precisione a Parigi, Robbie conobbe anche la sua futura (e in seguito divorziata, ma sono rimasti vicini) moglie, che nel film ricorda come all’epoca non parlasse una sola parola d’inglese.

Garth Hudson (left), Robbie Robertson, Levon Helm, Richard Manuel and Rick Danko of The Band pose for a group portrait in London in June 1971.

Garth Hudson (left), Robbie Robertson, Levon Helm, Richard Manuel and Rick Danko of The Band pose for a group portrait in London in June 1971.

Il fulcro del film è però naturalmente la trasformazione del gruppo da The Hawks a The Band, con i nostri che andarono a vivere a Woodstock nella famosa casa rosa che comparirà sulla copertina del loro primo album. Da qui ebbe inizio una serie di sessions tenute insieme a Dylan, loro vicino di casa (i famosi Basement Tapes), con Robertson che prese sempre di più confidenza con il songwriting al punto da arrivare a pubblicare un album fantastico e che introdurrà un sound totalmente nuovo (Music From Big Pink appunto), tra l’altro con Helm che era tornato con grande felicità di tutti a far parte del gruppo. Bella in particolare la rievocazione di Robertson su come gli fossero venuti in mente i primi versi di The Weight, che diventerà il loro brano più famoso, mentre Clapton ribadisce un concetto da lui espresso già altre volte, e cioè che Big Pink gli ha cambiato la vita, convincendolo che al mondo non c’era solo il blues. Il racconto prosegue poi con il successo di critica e pubblico del secondo fantastico album The Band, la nascita della primogenita di Robbie, e le prime crepe che arriveranno durante la lavorazione di Stage Fright, con Helm, Rick Danko e Richard Manuel dediti all’uso di droghe che spesso inibivano la loro efficacia in studio e la loro concentrazione (oltre a far loro rischiare la vita in molteplici incidenti d’auto).

Robbie-Robertson-and-The-Band-once-were-brothers-Martin-Scorsese-documentary

Da qui in poi il film subisce una decisa accelerazione, come se si fosse scelto di finire a cento minuti totali mentre si poteva benissimo arrivare alle due ore (ed è il difetto principale della pellicola, che gli costa almeno mezza stelletta in meno): da qui in poi gli album rimanenti del gruppo non vengono neppure nominati, ma ci si limita a raccontare come, su sollecitazione di Geffen, Roberston e famiglia lasciarono Woodstock (che il noto discografico ed allora presidente della Asylum definisce uno “shithole”, e direi che non serve la traduzione) per trasferirsi a Malibu dove presero una casa sulla spiaggia, cercando di coinvolgere anche gli altri quattro membri della band che però reagirono con meno entusiasmo (ed infatti Hudson vive a Woodstock ancora oggi). Poi c’è un brevissimo accenno al fortunato tour americano del 1974 ancora con Dylan e subito si passa allo show d’addio del novembre 1976 al Winterland di San Francisco immortalato nel mitico film The Last Waltz.

robbie robertson levon helm

Nella parte finale Robertson si limita a rievocare i problemi che avrà dopo lo scioglimento del gruppo con Helm, il quale gli imputerà il mancato riconoscimento della co-scrittura di alcune canzoni ed il pagamento delle relative royalties: i due non si rivolgeranno più la parola fino alla morte di Levon, e Robertson esprime il suo rammarico per non aver potuto far pace con l’amico dal momento che quando lo andò a trovare sul letto di morte non era già più capace di intendere. E qui troviamo un altro piccolo difettuccio del film (inferiore però come importanza a quello della durata), e cioè il fatto che durante la narrazione sentiamo solo la campana di Robbie, cosa in fondo comprensibile dato che il progetto è il suo e chi avrebbe potuto smentirlo non è più comunque tra noi, ma che lascia comunque un sapore latente di agiografia. Ma sono comunque quisquilie: Once Were Brothers è un signor “rockumentario”, che racconta in maniera coinvolgente ed anche toccante la storia di uno dei gruppi più importanti si sempre. Da non perdere.

Marco Verdi

Per Completare La Storia! Roy Buchanan – The Genius Of The Guitar His Early Recordings

roy buchanan the genius of the guitar

Roy Buchanan – The Genius Of The Guitar His Early Recordings – 2 CD Jasmine Records

In un documentario del 1971 Roy Buchanan venne definito “il più grande chitarrista sconosciuto del mondo”, quando non aveva ancora inciso un disco a nome suo, ma anche lui doveva avere avuto un passato ancora più da sconosciuto, e questa doppia antologia della Jazmine va a esaminare gli anni dal 1957 al 1962, quando il nostro era un giovanotto di belle speranze e negli anni del primo R&R, rockabilly e blues muoveva i primi passi come “guitar for hire”, suonando nei dischi di Dale Hawkins (quello di Susie Q per intenderci), Jerry Hawkins, e nel 1960 era il chitarrista della band di Ronnie Hawkins (il cugino di Dale), che poi sarebbe diventata The Band, e il cui bassista era Robbie Robertson, che studiò con attenzione lo stile di questo chitarrista dalla tecnica già allora fenomenale, che avrebbe suonato anche nei dischi di Merle Kilgore e Freddy Cannon, e di vari altri carneadi molto meno noti.

In questo doppio CD sono raccolti ben 44 brani (ma le durate dei pezzi dell’epoca difficilmente superavano i due minuti) che sicuramente non mancheranno di interessare i numerosi appassionati di Buchanan sparsi per il mondo, che dal 1988 della sua tragica scomparsa sono sempre alla ricerca di materiale nuovo od inedito, soprattutto dal vivo, che possa tenere viva la leggenda di questo grande virtuoso della chitarra, uno dei veri geni assoluti, per quanto misconosciuti, dello strumento. Ah, e per completare la saga degli Hawkins, che avevo letto ma non ricordavo, Jerry era il fratello di Dale, e pure il babbo era uno dei Sons Of The Pioneers originali. Tornando al loro chitarrista di fiducia, senza andare a spulciare brano per brano i contenuti di questo doppio (che comune potete leggere sotto), diciamo che ci sono anche molti motivi di interessi per gli appassionati della musica pre-Beatles, ben serviti anche da un libretto per una volta ricco di particolari sia sulla carriera di Buchanan che sui brani contenuti nei dischetti.

Disc 1

1. HOT TODDY – THE SECRETS
2. TWIN EXHAUST – THE SECRETS
3. THE JAM PART ONE – BOBBY GREGG AND HIS FRIENDS
4. THE JAM PART TWO – BOBBY GREGG AND HIS FRIENDS
5. MY BABE – DALE HAWKINS
6. SOMEDAY ONE DAY – DALE HAWKINS
7. TAKE MY HEART – DALE HAWKINS
8. CLASS OF 59 – BOB LUMAN
9. MY BABY WALKS ALL OVER ME – BOB LUMAN
10. HE WILL COME BACK TO ME – ALIS LESLEY
11. MY BLUE HEAVEN – FREDDY CANNON
12. I GOT A HEART – JERRY HAWKINS
13. SWING DADDY SWING – JERRY HAWKINS
14. I WANT TO LOVE YOU – DALE HAWKINS
15. GRANDMA’S HOUSE – DALE HAWKINS
16. BUTTERCUP – BOB LUMAN
17. DREAMY DOLL – BOB LUMAN
18. I TAKE A TRIP TO THE MOON – MERLE KILGORE
19. IT’LL BE MY FIRST TIME – MERLE KILGORE
20. WILD, WILD WORLD – DALE HAWKINS
21. CHA CHA CHU – JERRY HAWKINS
22. LUCKY JOHNNY – JERRY HAWKINS

Disc 2

ROY BUCHANAN
1. MULE TRAIN STOMP – ROY BUCHANAN
2. PRETTY PLEASE – ROY BUCHANAN
3. RUBY BABY – CODY BRENNAN & THE TEMPS
4. AM I THE ONE – CODY BRENNAN & THE TEMPS
5. SHAKE THE HAND OF A FOOL – CODY BRENNAN & THE TEMPS
6. LONELY NIGHTS – JERRY HAWKINS
7. NEED YOUR LOVIN’ – JERRY HAWKINS
8. AFTER HOURS – ROY BUCHANAN
9. WHISKERS – ROY BUCHANAN
10. THE KICK STEP – PERRY MATES
11. GOTTA GO – PERRY MATES
12. BLUE SKIES – FREDDY CANNON
13. THE BLACKSMITH BLUES – FREDDY CANNON
14. ROUTE 66 – PAUL CURRY
15. HONEYSUCKLE ROSE – PAUL CURRY
16. THE SHUFFLE – BOBBY & THE TEMPS
17. MARY LOU – BOBBY & THE TEMPS
18. TEEN QUEEN OF THE WEEK – FREDDY CANNON
19. WILD GUY – FREDDY CANNON
20. THE TWIST/MOTHER’S CLUB TWIST – DANNY AND THE JUNIORS
21. WHEN THE SAINTS GO TWISTIN’ IN – DANNY AND THE JUNIORS
22. POTATO PEELER – BOBBY GREGG

Diciamo che, a grandi linee, nel primo CD ci sono brani dove Roy Buchanan era la chitarra solista in canzoni anche di particolare pregio storico, per esempio la versione di My Babe di Dale Hawkins, mentre nel secondo CD ci sono alcune delle prime tracce soliste su 45 giri del musicista dell’ Arkansas, ma la divisione è “molto” sottile. Ci sono due strumentali dei The Secrets del 1962, di cui in Twin Exhaust si apprezza la solista di Roy, sempre dal 1962 The Jam Part One & Two di Bobby Gregg & His Friends, in cui già si intuisce perché Buchanan sarebbe stato uno dei grandi dello strumento, pur se sommerso tra sax e organi vari; la versione di My Babe, il celebre brano di Willie Dixon scritto per Little Walter, nella versione di Dale Hawkins, sempre la Chess, diventa un aggressivo R&R con la twangy guitar di Buchanan.

Nel repertorio di Dale Hawkins c’era anche doo wop bianco come la divertente Someday One Day, o pezzi aggressivi alla Elvis come la bella Take My Heart. Bob Luman, tra country e rockabilly aveva una gran voce, mentre Freddy Cannon è stato uno che è entrato varie volte nei Top 10 delle classifiche. Jerry Hawkins, come il fratello, aveva grinta e ritmo, ma la chitarra si sentiva soprattutto nei pezzi di Dale, vedi I Want To Love You o Wild Wild World, comunque spesso in questi brani è comunque una presenza di contorno.

Ma nel disco 2, Mule Train Stomp, a nome Buchanan, del 1961, è uno strumentale del tutto degno di pezzi come The Rumble o simili, con la chitarra già selvaggia, e pure il lato B Pretty Please non scherza. E formazioni come Cody Brennan & The Temps già sparavano R&R come facevano Johnny Kidd & The Pirates sull’altro lato dell’oceano, con Mick Green alla chitarra, sentire Ruby Please per credere, o The Shuflle, prodotta da Leiber & Stoller. Tra i pezzi da ricordare anche una bluesata Lonely Nights, con Jerry Hawkins, del 1958, e una prima versione del suo classico After Hours, che poi re-inciderà per Second Album, già nel 1961 un lancinante slow blues degno della sua fama. E ancora una elegante Blue Skies per Freddy Cannon, una scatenata Route 66 con Paul Curry e una forsennata The Twist con Danny & The Juniors, e la conclusiva Potato Peeler un pezzo degno di Booker T& Mg’s. Sono i piccoli particolari che fanno la storia del rock, e qui ce ne sono tanti. L’inizio di una leggenda!

Bruno Conti

Father And Sons. James Luther Dickinson And North Mississippi Allstars – I’M Not Dead I’M Just Gone

james luther dickinson.jpg

 

 

 

 

 

 

James Luther Dickinson and North Mississippi Allstars – I’m Just Dead I’m Not Gone – Memphis Int. Rec.

Questo raro incontro discografico (“unico” nella discografia di Jim Dickinson), tra padre e figli, vede la musica, senza voler essere blasfemi, nella parte dello “Spirito Santo”. Registrato il 2 giugno del 2006 al New Daisy Theater di Memphis, Tennessee, in Beale Street, la via del Blues per antonomasia, questo concerto viene pubblicato solo oggi, a tre anni di distanza dalla scomparsa di Mudboy.

Si tratta di un concerto gagliardo, esuberante, dove non solo il Blues, ma tutte le “radici” della musica della famiglia Dickinson vengono rivisitate: registrato in Mono, ma con un ottimo suono, il concerto, per rimanere in tema religioso, è preceduto da un breve sermone anti Bush (era l’epoca) del Rev. Dickinson, ma poi si dipana con un sound che ricorda i suoi vecchi datori di lavoro, gli Stones dell’epoca Exile, quelli più “caattivi” (doppia a) e pericolosi. Dall’apertura tosta di Money Talks, un vecchio brano di Sir Mack Rice, con le sue sonorità viziose, attraversate dalle sciabolate della slide di Luther “Keith’n’Mick” Dickinson, si viaggia subito sulle traiettorie del miglior rock ad alta gradazione blues, quello più genuino e ruspante. Uno che introduce il brano successivo, Ax Sweet Mama come, “scritto dal mio vecchio amico Sleepy John Estes”, come lo definisci se non leggendario – Morto ma non andato! – la sua musica vive in questo suono “paludoso” e volutamente grezzo e in questo brano che cita anche Leaving Trunk e Sloppy Drunk, rivive il mito del blues e del rock più sapido, suonato dal pianino di Jim e dalla chitarra di Luther e cantato con una voce, non bella, ma che, a chi scrive, sembra quella di un John Mayall più incazzato, se mi permettete l’analogia, un altro però che ha fatto di questa musica una religione.

Pure nella successiva cover di Codine, un grande brano di Buffy Sainte-Marie, la voce è rotta, quasi spezzata, ma percorsa da una grinta che sfiora la missione: i North Mississippi Allstars, Luther, Cody alla batteria e il bassista Chris Chew, suonano con un fervore incredibile, degni alunni della lezione di vita e di musica insegnata loro dal grande musicista di Memphis, che si cimenta da par suo al piano. Dopo una breve presentazione dei suoi tre figli, due veri e uno spirituale, ci si rituffa nella musica con una Red Neck, Blue Collar di Bob Frank, che è puro Outlaw Country, le armonie vocali sono di Jimmy Davis. Il concerto è composto solo da nove brani, dura poco più di 42 minuti, ma ha una intensità incredibile, non c’è grasso che cola, solo musica di qualità, non è questa la casa del virtuosismo, anche se i musicisti sono di gran spessore, niente lunghi assolo, solo il minimo indispensabile, con i due Luther che si dividono i brevi spazi solisti e la band che segue con vigore, come nella cover di Kassie Jones, Pt.1 di Furry Lewis, un altro che ha fatto la storia di questa musica, Jim declama Blues e Luther lo segue con la sua slide.

Anche quando fa rollare il suo pianino a tutta birra, come nella cover scatenata a tempo di R&R di Rooster Blues, un vecchio brano scritto da Jerry West, che era uno dei cavalli di battaglia di Lightnin’ Slim, senti che c’è tanta passione e competenza nella musica, e questa versione accelerata è presa dal repertorio di Ronnie Hawkins che viene ringraziato nel finale con un “Dio Benedica Ronnie Hawkins!” molto sentito. Quando i musicisti rendono omaggio al B.B. King D.O.C. di Never Make Your Move Too Soon si percepisce un piacere, una gioia irrefrenabile nel suonare questa musica, essere sul palco e divertirti e suonare la musica che ami, cosa puoi volere di più?  Se poi il tutto è suonato con questa classe e nonchalance l’ascoltatore percepisce quel quid indefinibile che divide i grandi musicisti (di culto) dalle mezze calzette. Di nuovo il country scalcagnato ma irresistibile di Truck Drivin’ Man con la seconda voce di Davis e il pianino di Jim Dickinson in overdrive prima del finale sontuoso con una Down In Mississippi quasi solenne che omaggia la loro terra e la loro musica e permette, per una volta, a Luther Dickinson di lasciarsi andare a una improvvisazione chitarristica leggermente più estesa, sotto l’occhio benevolo e benedicente del babbo che ha lasciato il testimone in mani esperte. Se questo deve essere l’ultimo commiato, il vecchio Mudboy ci lascia alla grande!

Bruno Conti