Toh, Chi Si Rivede! Larry Garner And The Norman Beaker Band – Good Night In Vienna

larry garner good night in vienna

Larry Garner & The Norman Beaker Band – Good Night In Vienna Self released

I  “Buoni Titoli” (non di Borsa) e i bravi musicisti tornano sempre, così ne rispolvero uno per questo Post. Larry Garner, come tutti i bluesmen che si rispettino, ha iniziato la sua carriera discografica intorno ai primi anni ’90, quando aveva già una quarantina di anni: prima aveva lavorato a tempo pieno in una fabbrica e il blues era solo una passione per il tempo libero. Ma il talento c’era e il nostro amico, nativo di New Orleans, ma cresciuto a Baton Rouge, Louisiana, il blues lo ha sempre praticato con grande zelo, e quindi quando arrivò il momento del debutto, con Double Dues per la JSP, nel 1991, Garner aveva già vinto l’International Blues Challenge nel 1988 e veniva considerato uno dei talenti emergenti delle nuove generazioni, insieme ai più o meno coetanei Robert Cray, Joe Louis Walker, Larry McCray (anche lui, che fine ha fatto? *NDB E’ una domanda retorica, alla Marzullo, si faccia una domanda e si dia la risposta. La so, c’è ancora, ma non fa dischi dal 2007!) ed altri. Tutta gente prima o poi messa sotto contratto dalle majors, che in quegli anni coltivavano questo piccolo revival, ricorrente, della musica del diavolo; anche Larry pubblicò un ottimo album per la Verve, dell’allora gruppo Polygram, You Need To Live A Little, tra i suoi migliori, salvo venire rispedito al mittente quasi subito ed avendo girato, negli anni a seguire, presso alcune delle etichette più interessanti in circolazione, Ruf, Evidence, Dixiefrog.

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Nel frattempo si è ammalato seriamente, ed è guarito, come ha raccontato nel suo disco del 2008, Here Today Gone Tomorrow, ha visto il suo album di debutto, citato prima, venire ri-pubblicato per una edizione del 20° Anniversario e si è rassegnato anche lui, come molti, a pubblicare i suoi dischi a livello autogestito, questo nuovo CD, uscito da qualche mese https://www.youtube.com/watch?v=9tl4WPtskMc , è il secondo capitolo dal vivo della sua collaborazione con il “Leggendario” (ma dove, quando? Si legge così nei comunicati stampa, in effetti un buon bluesman inglese, con gruppo al seguito) Norman Beaker, anche lui chitarrista e cantante. Ma il vero talento è questo sessantenne (due glieli abbuono), in possesso di una voce duttile e polverosa, ma soprattutto di una tecnica chitarristica fluente, arricchita da ampie dosi di feeling, in grado di spaziare in tutti i campi del blues, quello classico (nel CD ci sono ben tre cover di McKinley Morganfield a.k.a Muddy Waters), quello più funky, imparato sul campo, a New Orleans, il soul e il R&B del profondo Sud, arricchito, di tanto in tanto, da un ammirevole sound “contemporaneo”, caratteristica in comune con gli altri bluesmen citati in precedenza https://www.youtube.com/watch?v=25-6dN2EkB8 .

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Ci sono elementi dello stile travolgente e turbolento di un Buddy Guy, per esempio nella sanguigna Champagne And Reefer, un super classico slow blues amatissimo dagli Stones, quando alla band di Beaker e a Garner si aggiunge pure l’armonicista Christian Dozzler, per un tuffo nel classico stile di Chicago, dove il nostro amico prima accarezza la sua chitarra, poi canta con una passione incontenibile e infine strapazza la sua solista con un abbandono senza ritegno, per dieci minuti che riassumono oltre cinquanta anni di electric blues . Anche le tastiere di Nick Steed sono un elemento fondamentale in questo sound, sia quando ci si tuffa in Funky It Up (Buster) nelle radici della musica della Lousiana, con tanto di wah-wah innestato e basso slappato d’ordinanza, sia quando si rivisita il blues misto a errebì della classica Honey Hush di Lowell Fulson, con i suoi ritmi irresistibili. Cant’t Be Satisfied, dal riff inconfondibile, è un altro super classico del grande Muddy, fatto in modo sanguigno e passionale, con piano e organo in bella evidenza, prima del gagliardo lavoro della solista di Garner. C’è spazio anche per un bel brano firmato da Norman Beaker, When The Fat Lady Sings, uno slow blues intenso che anche se non raggiunge i vertici di quelli di Garner, certifica comunque una buona classe dell’inglese https://www.youtube.com/watch?v=7E83MHxnzaY .

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Dreaming Again è un bel deep southern soul che profuma nuovamente delle paludi della Lousiana, con la suadente voce di Garner in primo piano, mentre Keep On Singing The Blues è quasi una esortazione/preghiera a non dimenticare le virtù di questa musica, una lunga e potente cavalcata che ingloba anche elementi più rock nella musica del nostro amico. Ancora Norman Beaker per una rilettura ricca di boogie di Driving Wheel, che porta la firma di Roosevelt Sykes, prima di concludere con una travolgente versione di Mannish Boy https://www.youtube.com/watch?v=z_g3cKdQsVw , oltre dodici minuti che hanno deliziato sicuramente i presenti al Reigen di Vienna nell’aprile del 2013, ma che non mancheranno, altrettanto sicuramente, di entusiasmare gli ascoltatori di questo CD che mi sento di consigliare vivamente a chi ama un blues tra i più vivaci e pimpanti in circolazione. Prendete nota: Larry Garner, uno dei migliori “giovani”, ancora in pista!

Bruno Conti

Ma Allora E’ Un Vizio! Johnny Winter – Live Bootleg Series Volume 9

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Johnny Winter – Live Bootleg Series Vol.9 –Friday Music

Ormai le uscite discografiche relative a Johnny Winter sono inarrestabili, praticamente non passa mese che non esca qualcosa di nuovo. In particolare le Bootleg Series di Winter hanno raggiunto, con questo titolo, il nono volume, pareggiando il numero di quelle di Bob Dylan (di cui è peraltro atteso, a breve, il decimo titolo), ma in un arco di tempo molto più ristretto. Il grande Bob ha ottenuto questo risultato in 22 anni, considerando che i primi tre dischi erano raccolti in unico cofanetto, mentre quelli di Johnny sono usciti in soli 6 anni, dal 2007 al 2013, attingendo unicamente da materiale dal vivo, da qui il titolo Live Bootleg Series.

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Ormai è difficile dire qualcosa di nuovo su Johnny Winter, potrei dirvi alcune cose “vecchie”: l’ultima volta che ho controllato stazionava al numero 63 nella classifica di Rolling Stone dei 100 Più Grandi Chitarristi Di Tutti I Tempi, posizione più che meritata, magari anche qualche posizione più in alto e potrei aggiungere che oltre alla miriade di uscite più o meno ufficiali, ristampe delle ristampe e quant’altro, di recente la Sony nella sua benemerita serie The Essential, gli ha dedicato il solito doppio CD che raccoglie il meglio della sua produzione nel periodo 1969-1980, imperdibile per chi non ha nulla e che va ad aggiungersi all’altra raccolta Setlist: The Very Best Of Johnny Winter Live, uscita lo scorso anno e ai vari boxettini della serie Original Album Classics, per chi vuole esplorare il suo repertorio su Columbia/Blue Sky/Epic. Non sono mancate ristampe, più o meno potenziate, dei suoi album classici, ma manca un cofanetto “definitivo” dedicato all’albino di Beaumont, Texas. Speriamo che si possa rimediare al più presto e non ridurci all’omaggio postumo, viste le condizioni diciamo non floride della sua salute.

Ma veniamo a questo nuovo capitolo estratto dai suoi archivi personali: Paul Nelson è come al solito il produttore esecutivo, mentre nei credits, come d’uso ricchissimi (c’è dell’ironia!), del CD, è riportato Johnny Winter, Vocals, Guitars, e arrivederci e grazie. Niente nomi degli altri musicisti utilizzati, date di registrazione, è già tanto se appaiono i titoli dei brani, va bene che si parla di Bootleg, ma non prendiamo il termine troppo alla lettera. Anche se nel libretto le note sono curate da un altro che se ne intende di chitarre, slide in particolare, l’ottimo Sonny Landreth.

Rimane la musica, e non è poco. Sono sette brani, compresa una breve introduzione: si parte con una lunga, una decina di minuti, versione alternativa di Hideaway, il classico di Freddie King, torrenziale e di grande impatto, anche se la qualità, uhm, è da bootleg discreto. Segue un altro classico, suo, Mean Town Blues, a velocità da boogie supersonico e con una qualità sonora decisamente superiore, anche se la voce è un po’ in cantina, però l’esecuzione, specie nell’assolo centrale, è di quelle da manuale. 44 Blues, di Roosevelt Sykes, è di uno dei suoi preferiti, sia l’autore che il brano, breve e raccolta nell’esecuzione ma assai sentita, con un sound quasi alla Canned Heat, altri bianchi che hanno saputo sviscerare il blues come pochi, sembrerebbe essere una registrazione più vecchia ma è difficile capire.

You Done Lost Your Good Thing Now è di un altro dei suoi autori preferiti, B.B King, e si tratta di un classico slow blues che Johnny Winter eseguiva sin dai tempi di Woodstock, ottima versione, anche la voce è in grande spolvero. It’s My Life Now, inconsueta nel repertorio di Winter, viene dal sodale di BB King, Bobby “Blue” Bland, peccato per la qualità, nuovamente da bootleg, e neanche di quelli eccelsi. La conclusione è dedicata all’amatissimo Jimi Hendrix di cui Johnny riprende una tiratissima Manic Depression, versione lunga e ricca di fuochi di artificio chitarristico, audio accettabile.

Quindi le solite luci e ombre di questa “serie”, qualità ballerina dell’audio, con alti e bassi, ma ottima consistenza della musica, speriamo non diventi un vizio. Come al solito, “trippa per gatti” per gli appassionati!

Bruno Conti