Un Disco Più Da “Cantautore Classico”, Ma Sempre Grande Musica! Rodney Crowell – Close Ties

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Rodney Crowell – Close Ties – New West CD

Rodney Crowell è giustamente uno dei più apprezzati songwriters americani, fin dagli esordi nella seconda metà degli anni settanta con i suoi primi tre dischi, album di ottimo Texas country nei quali trovavano spazio le due canzoni per le quali è più conosciuto, Ain’t Living Long Like This (anche il titolo del suo debutto del 1977) e ‘Til I Gain Control Again, ma anche altri brani resi popolari da altri, come An American Dream (Nitty Gritty Dirt Band), Shame On The Moon (Bob Seger) e Stars On The Water (Jimmy Buffett). Crowell è uno di quegli artisti che difficilmente sbaglia un disco, in quanto anche negli anni ottanta, decade di maggior popolarità per lui soprattutto con l’album Diamonds & Dirt, non ha mai perso di vista la qualità; dopo che gli anni novanta lo hanno visto piuttosto nelle retrovie, con il nuovo millennio Rodney ha ricominciato a fare musica con regolarità ed ottimi risultati, grazie a dischi come The Houston Kid, Fate’s Right Hand e The Outsider. L’ultimo suo lavoro da solista (in mezzo ci sono infatti i due bellissimi album con Emmylou Harris, della cui band il nostro è stato in passato chitarrista) è Tarpaper Sky (2014), a mio parere il suo album migliore tra quelli pubblicati negli ultimi quindici anni, un disco ispiratissimo e con alcune tra le sue canzoni migliori come le splendide The Long Journey Home ed il toccante omaggio a John Denver Oh What A Beautiful World; a tre anni di distanza Rodney ci consegna un CD nuovo di zecca, Close Ties, un lavoro molto diverso dal suo predecessore.

Se infatti Tarpaper Sky era contraddistinto da sonorità decisamente countryeggianti e da brani diretti ed orecchiabili, Close Ties è una collezione di canzoni dall’approccio molto più intimo, pacato, chiaramente cantautorale, con una strumentazione in gran parte acustica e la sezione ritmica neppure presente in tutti i dieci brani. L’influenza principale del disco è sicuramente Guy Clark, sia per il tipo di sonorità sia per il fatto che la sua figura è protagonista anche a livello di testi in due dei brani chiave del disco, non nel senso che ne è co-autore ma proprio perché viene nominato: Guy in passato è stato fondamentale per l’inizio della carriera di Crowell, lo ha aiutato a muovere i primi passi (insieme all’amico Townes Van Zandt), e questo Rodney non lo ha certamente dimenticato: Close Ties si può quindi considerare come un sincero omaggio a Clark (ed anche a sua moglie, come vedremo) ad un anno circa dalla sua scomparsa. Tra i pochi sessionmen presenti, vorrei citare almeno Steuart Smith, Tommy Emmanuel, Audley Freed e Richard Bennett, quattro ottimi chitarristi che hanno contribuito in maniera fondamentale alla riuscita del disco (e ci sono anche due duetti vocali che vedremo tra breve). Apre l’album l’autobiografica East Houston Blues, un country-blues acustico dal sapore rurale, caratterizzato da un ottimo intreccio chitarristico tra Rodney ed Emmanuel ed una leggerissima percussione; anche Reckless ha un arrangiamento stripped-down, ma il suono è ricco, con ben tre chitarristi ed un organo a pompa, ed un motivo di ispirazione western piuttosto cupo, ma dal grande pathos, mentre Life Without Susanna, dedicato proprio alla moglie di Clark, ha un ritmo più sostenuto ed un suono corposo, merito anche di un pianoforte e della sezione ritmica: gran bella canzone, comunque.

Niente affatto male neppure It Ain’t Over Yet, una country song discorsiva nel tipico stile del nostro, impreziosita degli interventi vocali di John Paul White e dall’ex moglie di Rodney Rosanne Cash, con una strumentazione parca ma decisamente fluida; I Don’t Care Anymore prosegue con il mood intimista, altra ballata dal passo cantautorale  con un leggero feeling blues ed un crescendo progressivo di sicuro impatto, mentre I’m Tied To Ya è un duetto con Sheryl Crow, un altro slow dal passo malinconico e con i soliti ottimi passaggi strumentali (tra cui uno dei rari assoli elettrici del disco): la bella voce di Sheryl, dal canto suo, aggiunge profondità al pezzo. La pianistica Forgive Me Annabelle è splendida, con una melodia toccante e profonda, cantata con grande sentimento da Crowell, probabilmente il miglior brano del CD, una vera zampata d’autore; ottima anche Forty Miles From Nowhere, limpida e solare e contraddistinta dalla solita classe (e superbo l’accompagnamento di piano e chitarra), mentre Storm Warning è il pezzo più rock del disco, e dimostra che Rodney non ha affatto perso la grinta, ma l’ha solo momentaneamente messa da parte in favore dei sentimenti. Il CD si chiude con Nashville 1972, dal bel testo che rievoca gli inizi del nostro (e nel quale cita Willie Nelson, Townes Van Zandt, Steve Earle, Richard Dobson, Bob McDill e Tom T. Hall, oltre ancora Guy Clark), un’altra bellissima canzone costruita intorno a due chitarre ed un organo, che sarebbe piaciuta molto proprio a Clark: degno finale dell’ennesimo bel disco da parte di Rodney Crowell.

Marco Verdi

Anche Quest’Anno E’ Il Momento Del Meglio Del 2014 Secondo Disco Club. Iniziamo Con Quello Che Hanno Pensato Boss E Collaboratori

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Come vedete anche quest’anno siamo arrivati (a furia di pensare) alle classifiche sul meglio del 2014, addirittura con un giorno di ritardo sul canonico 8 dicembre che era il giorno in cui partivano gli anni scorsi una serie di Post sui Best dell’anno, che anche per l’anno in corso saranno molteplici e multiformi. Per iniziare, le liste del Blogger capo e dei collaboratori fissi, poi ho contattato alcuni musicisti e addetti del settore per avere il loro parere, con la massima libertà, su quello che gli è piaciuto, non necessariamente dischi e CD, ma eventualmente anche libri, concerti e altro: attendo notizie, ma qualcuno ha già risposto, quindi pubblicherò. E naturalmente non mancheranno le classifiche dalle varie riviste musicali e siti specializzati, soprattutto internazionali, mano a mano che si presenteranno e quando troverò il tempo per riversarle sul Blog, perché ovviamente recensioni e anticipazioni continueranno ad apparire in modo regolare (e come saprete prosegue anche la mia collaborazione con il Buscadero, che costa tempo e fatica). Quindi direi di partire con la prima lista (perché ce ne saranno altre complementari, è il vantaggio di essere il Boss di sé stessi), quella canonica che apparirà, più o meno in questa forma, un filo più breve. sul numero di gennaio del Busca. Così se qualcosa vi è sfuggito durante l’anno questa sorta di riepilogo potrebbe essere utile o incuriosirvi (tenendo conto che sfogliando il Blog a ritroso li ritrovate più o meno tutti, unendo l’utile al dilettevole)!

Best of 2014 in ordine sparso, come al solito:

lucinda williams down where

Lucinda Williams – Down Where The Spirits Meet The Bone

rosanne cash the river

Rosanne Cash – The River And The Thread

natalie merchant

Natalie Merchant – Natalie Merchant

jackson browne standing in the breachlooking into you

Jackson Browne – Standing In The Breach e Looking Into You – A Tribute to Jackson Browne

johne mellencamp plain spoken
John Mellencamp – Plain Spoken

joe bonamassa different shades
Joe Bonamassa – Different Shades Of Blue

john hiatt terms of my surrender

John Hiatt – Terms Of My Surrender

mary gauthier trouble

Mary Gauthier – Trouble And Love

dr. john ske-dat-de-dat the spirit of satch

Dr. John – Ske-dat-De-Dat The Spirit Of Satch

lost on the river new basement tapes

Lost On The River – The New Basement Tapes

 

Dischi Live

 

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CSN&Y – Live 1974

beth hart joe bonamassa live in amsterdam dvd

(DVD): Beth Hart & Joe Bonamassa – Live In Amsterdam

leonard cohen live in dublin cd+dvd front

CD+DVD Leonard Cohen – Live In Dublin

blackberry smoke leave a scar cd dvd

CD+DVD: Blackberry Smoke – Leave A Scar – Live North Carolina

DVD

musicares springsteen dvd

A Musicares Tribute To Bruce Springsteen

Ristampa dell’anno:

bob dylan basement tapes complete box

Bob Dylan – Bootleg Series 11 – The Complete Basement Tapes

led zeppelin iv remastered

Led Zeppelin vari nelle edizioni Deluxe

jimi hendrix zero

Libro: Jimi Hendrix – Zero. La Mia Storia

Film: Clint Eastwood – Jersey Boys

Tutti gli altri album interessanti del 2014 scelti dal sottoscritto (“italiani per caso” compresi) nelle prossime puntate.

Bruno Conti

Ecco quelle, molto abbondanti, dei due collaboratori fissi del Blog (chi saranno dei tre effigiati ad inizio Post? Rispetto della privacy, non si può dire)!

Best Of 2014 Part 2

Disco Dell’Anno

natalie merchant

Natalie Merchant – Natalie Merchant

Canzone Dell’Anno

ed harcourt time of dust

Ed Harcourt – The Saddest Orchestra (It Only Plays For You)

Cofanetto Dell’Anno

bruce cockburn rumours of glory

Bruce Cockburn – Rumours Of Glory

Ristampa Dell’Anno

ronnie lane ooh la la

Ronnie Lane And Slim Chance – Ooh La La: An Island Harvest

Tributo Dell’Anno

barb jungr hard rain

Barb Jungr – Hard Rain The Songs Of Bob Dylan & Leonard Cohen

Disco Rock

lucero live from atlanta

Lucero – Live From Atlanta

Disco Folk

bear's den islands

Bear’s Den – Islands

Disco Country

carlene carter carter girl

Carlene Carter – Carter Girl

Disco “Soul”

the delines colfax

The Delines – Colfax

Disco Blues

matt andersen weightless

Matt Andersen – Weightless

Disco Jazz

regina carter southern comfort

Regina Carter – Southern Comfort
*NDB Gran bel disco, questo era sfuggito nelle recensioni, magari lo recuperiamo visto che apparirà anche in altre liste!

Disco World Music

Goran Bregovic – Champagne For Gypsies

Disco Oldies

Neil Diamond – Hot August Night / NYC (Live From Madison Square Garden)

Disco Live

leonard cohen live in dublin cd+dvd box

Leonard Cohen – Live In Dublin

Disco Italiano

Giardini Di Mirò – Rapsodia Satanica

Colonna Sonora

Jimi: All Is By My Side

Dvd Musicale

dana fuchs songs from the road cd+dvd

Dana Fuchs – Songs From The Road *NDB Questo è già previsto nei prossimi giorni

 ALTRI (troppi!)

 joe henry invisble hour

Joe Henry – Invisible Hour

otis gibbs souvenirs

Otis Gibbs – Souvenirs Of A Misspent You

John Mellencamp – Plain Spoken

John Hiatt – Terms Of My Surrender

ben glover atlantic

Ben Glover – Atlantic

leonard cohen popular problems front

Leonard Cohen – Popular Problems

Sean Rowe – Madman

matthew ryan boxers

Matthew Ryan – Boxers

chuck ragan till midnight

Chuck Ragan – Till Midnight

nathaniel rateliff fallin faster

Nathaniel Rateliff – Falling Faster Than You Can Run

 lucinda williams down where

Lucinda Williams – Down Where The Spirit Meets The Bone

Rosanne Cash – The River And The Thread

Mary Gauthier – Trouble And Love

marianne faithfull give my love

Marianne Faithfull – Give My Love To London

Andrea Schroeder – Where The Wild Ocean End

Robyn Ludwick – Little Rain

Ashley Cleveland – Beauty In The Curve

ruthie foster promises of a brand new day

Ruthie Foster – Promise Of A Brand New Day

mary black down the crooked

Mary Black – Down The Crooked Road

etta britt etta does delbert

Etta Britt – Etta Does Delbert

 *NDB Anche gli ultimi due sono in arrivo prossimamente sul Blog.

the men they couldn't hang tales

The Men They Could’n Hang – Tales Of Love And Hate

runrig party on the moor

Runrig – Party On The Moor

Goats Don’t Shave – Songs From Eatth

Oysterband – Diamonds On The Water

Blue Rodeo – A Merrie Christmas To You

Band Of Horses – Acoustic At The Ryman

black sorrows certified blue

Black Sorrows – Certified Blue

whiskey myers early morning shakes

Whiskey Myers – Early Morning Shakes

war on drugs lost

The War On Drugs – Lost In The Dream

Needtobreathe – Rivers In The Wasteland

 Various Artists – Looking Into You: A Tribute To Jackson Browne

look again to the wind johnny cash bitter tears

Various Artists – Look Again To The Wind: Johnny Cash’s Bitter Tears Revisited

all my friends

Various Artists – All My Friends: Celebrating The Songs Of Gregg Allman

Various Artists – Lost In The River: The New Basement Tapers

art of mccartney 2 cd + dvd

Various Artists – The Art Of McCartney: The Songs Of Paul McCartney

Tino Montanari

 

Ed ecco anche la seconda lista (paventavo il peggio, come lunghezza) dal Piemonte.

 

BEST OF 2014 Part 3

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Disco dell’anno: LUCINDA WILLIAMS – Down Where The Spirit Meets The Bone (e se lo dico io che non sono mai stato tenero con Mrs. Lucinda…)

Gli altri della Top 10:  

LEONARD COHEN: Popular Problems

 LEONARD COHEN: Live In Dublin (è dagli anni 60/70, cioè quando i grandi facevano due, o anche tre, dischi all’anno che non si registrava una doppietta, il tutto a 80 anni suonati: chapeau!)

VV.AA: The Art Of McCartney

old crow medicine show remedy

OLD CROW MEDICINE SHOW: Remedy

 bob seger ride out

BOB SEGER: Ride Out

 neil young storytone

NEIL YOUNG: Storytone

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RODNEY CROWELL: Tarpaper Sky *NDB Anche per questo varrebbe la pena di un bel Post di recupero! L’interessato legga.

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CSN&Y: Live 1974

wilko johnson roger daltrey going back home deluxe 

ROGER DALTREY/WILKO JOHNSON: Going Back Home *NDB Ne è appena uscita l’edizione Deluxe ampliata in 2 CD…

 

Quelli che…per un pelo:

carlene carter carter girl

CARLENE CARTER: Carter Girl

 

ROSANNE CASH: The River & The Thread

 

JACKSON BROWNE: Standing In The Breach

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La ristampa: BOB DYLAN & THE BAND: The Basement Tapes Complete (ristampa dell’anno? No, del secolo!)

 

DVD musicale:  VV.AA: Musicares Tribute To Bruce Springsteen

 counting crows somewhere

Canzone: Counting Crows: Palisades Park

                Bob Dylan: Sign On The Cross

 Concerto: John Fogerty: Milano

                 Cat Stevens: Milano

 La cover: Willie Nelson: Yesterday

bruce springsteen high hopes

La delusione: Bruce Springsteen: High Hopes (che se fosse un disco degli U2 avrei gridato al miracolo, ma qui stiamo parlando di uno che in passato ci ha regalato roba tipo Born To Run, Darkness On The Edge Of Town, The River…)

heart fanatic live

Piacere proibito: HEART – Fanatic Live At Colosseum

 led zeppelin houses of the holy remastered

Premio occasione perduta: le ristampe dei Led Zeppelin (ok, forse di vere e proprie canzoni inedite negli archivi non ce ne sono, ma allora perché non fare come nel primo disco, cioè inserire un CD con le stesse canzoni in versione dal vivo, invece di remix, backing tracks, ecc? Sto aspettando Jimmy Page al varco per Physical Graffiti).

queen forever

Premio sòla (nel senso di fregatura) 2014: Queen Forever (vincitori anche del premio faccia tosta, ovvero come far passare l’ennesima antologia come un disco nuovo ed andare ancora in giro a testa alta…)

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Evento musicale dell’anno (Basement Tapes a parte): il ritorno dei Pink Floyd…ed è anche un bel disco!

Marco Verdi

Per questa volta direi che è tutto, e data la lunghezza chilometrica del post niente video, quindi alle prossime classifiche!

Una Vita Musicale Divisa Tra Belfast E Nashville! Ben Glover – Atlantic

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Ben Glover – Atlantic – Carpe Vita Creative/Proper/Ird

Probabilmente molti di voi, presumo, si chiederanno chi si cela dietro un nome sconosciuto come quello di Ben Glover, cantautore nato a Glenarm nel Nord dell’Irlanda, ma già con cinque album alle spalle e una carriera artistica divisa tra Belfast e Nashville. La musica di artisti americani come Johnny Cash e Hank Williams, insieme alle tradizionali canzoni irlandesi, sono state per il buon Ben la colonna sonora della sua crescita nell’incantevole piccolo borgo dell’isola di smeraldo. Così, nel periodo dell’università, succedeva che attraversava l’Atlantico eseguendo ballate folk-irlandesi e le canzoni di Christy Moore e dei Pogues dello sdentato Shane McGowan nei bar di Boston, e quando ritornava di nuovo a casa nei pub irlandesi, cantava Dylan e Springsteen, e questo tema di una vita divisa a metà tra i due paesi collegati con l’Oceano Atlantico, lo accompagna tuttora.  Ben debutta con un EP The Ballad Of Carla Boone (06) e con il primo lavoro ufficiale The Week The Clocks Changed (08) accompagnato dal gruppo The Earls, poi si trasferisce a Nashville e sotto la produzione di Neilson Hubbard (Matthew Ryan, Garrison Starr, Kim Richey e membro degli Strays Do Not Sleep) sforna due buoni album come Through The Noise, Through The Night (10) e Before The Birds (11), che gli permettono di aprire i concerti di artisti del calibro di Buddy Miller, Vince Gill, Tift Merritt e altri, arrivando ad una certa notorietà con Do We Burn The Boats? (12), disco nel quale un personaggio come Mary Gauthier firma in coppia con Glover la delicata Rampart Street.

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Le canzoni di Atlantic sono state scritte in America, ma registrate nel salotto di casa di Ben nella contea di Donegal (la foto della cover del disco, è la spiaggia di Ballyliffin di fronte all’Oceano Atlantico), con l’apporto di un gruppo di “turnisti” del luogo, che vede oltre allo stesso Glover alla chitarra acustica e voce, Colm McClean alle chitarre e pedal steel, Kris Donegan alla lap-steel e mandolino, Matt McGinn  al basso, Dan Mitchell alle tastiere e pianoforte, il fidato produttore Neilson Hubbard alla batteria e percussioni, le coriste Lo Carter e April Rucker, e come ospite la brava Gretchen Peters, in un brano che porta la sua firma. https://www.youtube.com/watch?v=ylBMI0aj1tA

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In Atlantic Ben ha condiviso i compiti di scrittura oltre che con l’abituale amico Neilson Hubbard, anche con Mary Gauthier, Gretchen Peters e Rod Picott, ed è proprio dalla penna del cantautore americano che il viaggio parte con l’iniziale The World Is A Dangerous Place, una ballata acustica cantata con voce profonda da Ben, a cui fanno seguito due brani firmati con la Gauthier, Oh Soul una splendida canzone di redenzione (è inserita anche nel recenteTrouble And Love di Mary) e Too Long Gone con un buon ritmo intervallato da cori soul https://www.youtube.com/watch?v=6VJodQqe3fs , e la cadenzata western-song True Love’s Breaking My Heart con un bel lavoro della slide. Il viaggio prosegue con la splendida Prisoner, un brano da cantare percorrendo la leggendaria Highway 61 https://www.youtube.com/watch?v=dLBqI7oX3U8 , e con i duetti con Gretchen Peters, la delicata ed intensa elegia di Blackbirds https://www.youtube.com/watch?v=z4CEPNMECVQ , e una tenue ballata come The Mississippi Turns Blue, che poteva essere inserita nella tracklist del recente The River And The Thread di Rosanne Cash, mentre Take And Pay è il terzo brano co-firmato con la Gauthier, un intrigante e moderno “gospel”, sempre sorretto dalle voci delle brave coriste. Sul finire del viaggio vengono proposte la sottile malinconia di una How Much Longer Can We Bend?, le atmosfere decisamente irlandesi di Sing A Song Boys, con il mandolino ad accompagnare  una brano perfetto da cantare nei Pub, e una dolcissima canzone sul Capodanno New Years Day, sussurrata da Ben sotto un cielo notturno e davanti alle onde crespe dell’Atlantico.

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Ben Glover nel corso di questi anni ha aperto i concerti di musicisti validi ed importanti, e quindi ormai non è più da considerarsi solo “una giovane promessa”, in quanto in questo Atlantic, testi, voce, strumentazione, trasmettono stati d’animo, atmosfera e una emozione che fanno di questo lavoro un disco praticamente perfetto, e la cosa che sorprende è che il tutto avvenga senza mai alzare troppo la voce.

NDT: Poco distante dal borgo che ha dato i natali a Ben, si trova la contea di Connemara dove si produce uno dei Whisky Irlandesi più ricercati nel mondo, quindi se entrate in possesso di questo CD, il mio consiglio è di ascoltarlo sorseggiando un buon bicchiere di questo eccellente Whisky!

Tino Montanari

*NDB. Qui, volendo, trovate tutto l’album in streaming da ascoltare www.americansongwriter.com/2014/08/album-stream-ben-glover-atlantic/

Dieci In Pagella Da Uncut Per Il Primo Grande Disco Del 2014! Rosanne Cash – The River And The Thread

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Rosanne Cash – The River And The Thread – Blue Note/Unversal 14-01-2014

Partiamo da un assunto: dischi così belli se ne fanno pochi in un anno, forse anche in una decade e, per certi versi, anche nel corso di una vita, però 10 vuole dire la perfezione, la bellezza suprema, nella mente del recensore del mensile inglese Uncut (Luke Torn) che gli ha assegnato questa votazione chissà se sono passati dischi come Blonde On Blonde e Highway 61 Revisited di Dylan o Electric Ladyland di Hendrix, Revolver dei Beatles, Pet Sounds dei Beach Boys, il Johnny Cash At San Quentin del babbo, Astral Weeks o Moondance (che ha ottenuto otto nella recente ristampa!) di Van Morrison, ma solo per citare alcuni dei dischi più celebri della storia, ce ne sono altre decine, venuti prima o dopo che meriterebbero questo giudizio (che si può equiparare alle classiche 5 stellette) e quindi, secondo questo metro di giudizio, quanto dovrebbero avere come votazione? Undici o dodici?! Attenzione non è per denigrare il disco di Rosanne Cash, ma per mettere tutto in una prospettiva più giusta; sono sempre stato un ammiratore incondizionato della figlia di Johnny, fin dai tempi degli esordi (beh, magari il primo omonimo registrato in Germania nel 1978, con musicisti locali, non era fenomenale, ma già da Right Or Wrong e Seven year ache si capiva che eravamo di fronte ad un talento formidabile), il modo di scrivere, le canzoni, la voce bellissima, la scelta dei musicisti ( e dei mariti, prima Rodney Crowell, poi John Leventhal), la dicono lunga sul buon gusto di questa signora dalla vita travagliata, ma gloriosa.

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The River And The Thread è una sorta di conclusione di una trilogia ideale iniziata, dopo la morte del padre Johnny, con Black Cadillac nel 2006, proseguita nel 2009 con The List (qui trovate quello che ne avevo scritto ai tempi sul Blog http://discoclub.myblog.it/2009/11/10/rosanne-cash-the-list/) e ora portata a termine con il nuovo album, mentre nel frattempo, alla fine del 2007, Rosanne si sottoponeva anche ad un intervento al cervello. Per togliere ogni dubbio il disco è bellissimo, vogliamo essere pignoli ed assegnarli un nove o quattro stellette e mezzo, o un otto, per quel discorso di prospettiva appena fatto? Non cambia molto, l’album rimane bellissimo ma chi scrive si sente più tranquillo.

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Concepito come una sorta di pellegrinaggio “mistico”, personale e musicale attraverso gli stati del Sud degli Stati Uniti, questo The River And The Thread, “Il Fiume E Il Filo” o meglio “Il Fiume E La Trama Del Filo”, dove il fiume ovviamente è il Mississippi e la “trama” è quella della vita e della musica, ispirato da una frase dettale dall’amica Natalie Chanin, quando stava insegnandole a cucire, “Devi imparare ad amare la trama del filo”, in inglese meglio, “You Have To Learn To Love The Thread”, pronunciata con l’accento di una che viene che da Florence, Alabama. E di personaggi, storie, incontri e luoghi ce ne sono a bizzeffe in questo disco. Da Etta Grant, la moglie di Marshall, il primo contrabassista della band di Johnny Cash, colpito da un aneurisma proprio nella serata in cui veniva inaugurata la Dyess House, casa natale restaurata della famiglia Cash e scomparso tre giorni dopo, vicenda raccontata in Etta’s Tune, una delizia sonora dove John Leventhal, marito e produttore del disco, suona con maestria tutti gli strumenti e John Paul White dei Civil Wars si occupa delle armonie vocali http://www.youtube.com/watch?v=ANpWRURSW6M .

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Ma fin dall’iniziale A Feather’s Not A Word, che contiene la frase citata poc’anzi, si capisce che stiamo per inoltrarci in un viaggio di grande spessore: costruita intorno a un giro di blues, raffinato e sinuoso, semplice ma ricco, con le chitarre di Leventhal che si fanno strada attraverso una sezione di archi, il violino e la viola di David Mansfield, un ricco coro guidato da Amy Helm, altra grande figlia d’arte e con un sound swampy, da paludi e da gumbo della Lousiana, che ci porta dall’Alabama a Memphis, dall’Arkansas fino a Nashville e ritorno, nei luoghi dove si trovano i Sun Studios, il luogo di nascita di Johnny Cash, le strade dove fu ucciso Emmett Till (ricordato in una stupenda canzone di Bob Dylan), il ponte di Tallahatchie, il sito della bellissima Ode To Billie Joe di Bobbie Gentry, la tomba di Robert Johnson, le piantagioni dove Charley Patton e Howlin’ Wolf lavoravano ed iniziavano a scrivere la loro musica, la casa di William Faulkner. Ovviamente non tutti i luoghi e le persone sono in questo brano, ma il viaggio parte da qui. E prosegue con The Sunken Lands, un tributo ai contadini dell’era della grande depressione (ma anche di oggi) piegati sulle loro terre sommerse, cantato, come di consueto, con quella tonalità, stupenda e compassionevole, di Rosanne, una delle voci più duttili ed espressive del panorama musicale attuale, su un tessuto musicale country-folk-blues impreziosito da un delicato lavoro di Leventhal al mandolino (che peraltro suona anche tutti gli altri strumenti, come in gran parte del disco) http://www.youtube.com/watch?v=U7pdEdv3QXw .

Di Etta’s Tune abbiamo detto, posso solo confermare, Modern Blue è il pezzo più rock del disco http://www.youtube.com/watch?v=1bVOy5k3y2o , mi ricorda, non so dirvi perché, quelle ballate mid-tempo stupende che sa scrivere John Hiatt, ma qui virata al gusto di Rosanne Cash, una che con il country più bieco di Nashville ha sempre avuto poco a che fare, ma che la capacità di scrivere una canzone con un bel ritornello non l’ha mai persa, sarà per questo che negli anni ha racimolato 11 numeri uno nelle classifiche Country e 21 nelle Top 40 americane. Ma indubbiamente si trova più a suo agio (forse) nelle trame acustiche e folky, delicate e malinconiche di una preziosa Tell Heaven http://www.youtube.com/watch?v=V-whhwYqX7Y . O nei raffinati e complessi arrangiamenti di una The Long Way Home che parte con un mini chick-a-boom rallentato di una elettrica e si arricchisce con gli archi arrangiati da Leventhal (come nella iniziale A Feather’s Not A Bird) e poi dal gruppo e dalle voci di supporto, che entrano di volta in volta, mentre la chitarra liquida di John sottolinea i passaggi intricati del brano http://www.youtube.com/watch?v=m1Pn7d2gfXg .

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World Of Strange Design è un blues stupendo, impreziosito dalla fantastica slide di Derek Trucks e da alcuni versi tra i più immaginifici di Rosanne, “If Jesus came from Mississippi…! (ma se andate a riascoltarvi i vecchi dischi canzoni così belle ne trovate molte altre) http://www.youtube.com/watch?v=SQmH8yggnCM . Anche la dolcissima e bellissima Night School è una canzone sulla memoria e sui tempi che furono, come se ne scrivono (e se ne cantano) poche, un poco agée e fuori dai tempi, musicalmente parlando, ma splendida e toccante e quindi chissenefrega se sembra venire da due secoli fa. E del duetto con Cory Chisel (grande cantautore e rocker americano di cui ci siamo occupati in questo Blog http://discoclub.myblog.it/tag/cory-chisel/) in 50.000 Watts cosa vogliamo dire? Che bello può andare? Uno dei centrepiece del disco è la sontuosa When The Master Calls The Roll, una canzone dal crescendo emozionante con un “coretto” cantato da alcuni “amici” che passavano di lì per caso, Amy Helm, Kris Kristofferson, John Prine, Tony Joe White Rodney Crowell, che aveva iniziato a scriverla, con John Leventhal, per Emmylou Harrisma poi quando Rosanne l’ha sentita ha detto, fermi tutti, questa la finisco io, e i “due mariti” hanno concordato (a proposito se volete sentire due dei più bei “Divorce album” della storia, pre e post, con Shoot Out The Light di Richard e Linda Thompson, andate a recuperarvi InteriorsThe Wheels della nostra amica, due dischi fantastici, tra i tanti).

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Conclude (ma ci sono le tre bonus delle Deluxe Edition) una sinuosa Money Road, il luogo dell’incrocio con il diavolo di Robert Johnson e del ponte della Gentry, un’altra “confezione” sonora sontuosa, con un piano Wurlitzer piazzato ad arte e una geniale coloritura dettata dell’eletric sitar suonato, assolutamente a sorpresa, da un Leventhal in vena di diavolerie per questo brano. E già questo sarebbe un grande disco, sarà un caso ma i dischi e lecanzoni che contengono River nel titolo sono sinonimo di qualità (Springsteen, Eric Andersen, Joni Mitchell, eccetera), ma le due cover, la delicata Two Girls, un brano poco conosciuto dal repertorio di Townes Van Zandt e la bellissima Biloxi, viceversa una delle più conosciute di un altro “outsider” di pregio come Jesse Winchester, sono le classiche ciliegine sulla torta. Come Your Southern Heart, sempre scritta dalla premiata ditta Leventhal/Cash e che non ha nulla da invidiare alla qualità delle canzoni ufficiali del disco. Non meri riempitivi, ma tasselli importanti, quindi vi consiglio caldamente di procurarvi la versione Deluxe, ve la faranno pagare cara, purtroppo, ma ne vale assolutamente la pena. Se volete dare una ascoltatina in anteprima http://www.npr.org/2014/01/05/259143273/first-listen-rosanne-cash-the-river-the-thread

Come diceva Dan Peterson, per me Numero Uno!

Bruno Conti

A Prescindere Dal Genere, Gran Disco! Over The Rhine – Meet Me At The Edge Of The World

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Over The Rhine – Meet Me At The End Of The World – 2 CD – Great Speckled Bird 03/09/2013

Gli Over The Rhine sono uno dei miei gruppi preferiti delle ultime due decadi e non hanno mai sbagliato un disco dai loro esordi, avvenuti ad inizio anni ’90. Ogni album è un piccolo capolavoro della band dell’Ohio (dovrei dire duo, visto che ormai sono rimasti solo Linford Detweiler e Karin Bergquist, coppia nella musica e nella vita), forse il migliore in assoluto è Ohio del 2003 ma al sottoscritto era piacuto parecchio anche The Long Surrender del 2011 nuove-tecniche-di-sopravvivenza-over-the-rhine-the-long-surr.html, il primo disco che segnalava il nuovo corso di album autofinanziati con l’aiuto di fans e simpatizzanti, tramite le cosiddette Kickstarter Campaign. Con questo sistema il gruppo si è potuto permettere l’utilizzo di un produttore come Joe Henry (e relativi musicisti al seguito) e in due sessions avvenute tra fine marzo e i primi di aprile agli studi Garfield House di South Pasadena ha registrato questo piccolo doppio gioiello che si divide in due parti appunto: Sacred Ground nel primo CD e Blue Jean Sky nel secondo CD. Per onestà devo dire che il tutto supera di poco i 60 minuti e quindi ci sarebbe stato su un unico compact, ma al di là della non facile reperibilità, per essere prosaici, non lo fanno pagare neanche troppo. E il lato artistico compensa abbondantemente quello finanziario.

I dettagli sulla loro carriera li trovate al link sopra e anche un tentativo di definire il loro genere musicale è sempre un’impresa, direi che si parte dal folk come base, ma poi si aggiungono mille sfumature, anche in questo caso nel precedente Post ci provo. I musicisti utilizzati da Joe Henry sono all’incirca quelli del disco precedente, con Eric Heywood che sostituisce Greg Leisz alle chitarre, soprattutto pedal steel, ma anche slide ed elettrica e il grande Van Dyke Parks al posto di Keefus Cianca alla fisarmonica, Bellerose, Piltch (o la Condos, al basso) e Patrick Warren (tastiere) rimangono al loro posto. Sembrano particolari trascurabili ma i musicisti che suonano in un disco sono importanti. Se hai delle canzoni all’altezza della situazione, ovviamente. E anche questa volta gli Over The Rhine non smentiscono la loro fama di autori di piccole grande canzoni. Ne cito due per iniziare: Don’t Let The Bastards Get You Down, una ballata agrodolce e atmosferica, quasi mitchelliana, con la presenza dell’unica “ospite”  del CD, in questo caso è Aimee Mann, nel precedente, in Undamned era Lucinda Williams. L’altra è It Makes No Difference, l’unica cover del CD, una splendida rilettura del capolavoro di Robbie Robertson e della Band, con l’organo di Warren e il mandolino di Heywood (o è Mark Goldenberg? anche lui impegnato alle chitarre nel disco) a sostituire Garth Hudson e Levon Helm, il sound è molto, come potrei dire, “canadese”, con ancora la grande Joni Mitchell, o così mi pare, come punto di riferimento.

Il resto del disco non è da meno. Joe Henry, spesso e volentieri, utilizza la tecnica del double-tracking per raddoppiare la bellissima voce della Bergquist, magia nela quake erano maestri George Martin e i Beatles, non gente qualsiasi. A partire dalla struggente title-track che ricorda, a chi scrive, anche certe cose della bravissima Rosanne Cash, o il rock narcotico dei migliori Cowboy Junkies, tra steel, slide e tastiere maestose si dipana una canzone lenta ma inesorabile nella sua bellezza. Il piano e l’organo di Called Home ricordano di nuove le sonorità dei grandi canadesi (anche un pizzico del Neil Young più bucolico), sempre con la doppia voce di Karin a librarsi sul tutto, mentre una steel si fa largo con autorità. Sacred ground, con la fisarmonica di Van Dyke Parks sullo sfondo(e che si ascolta anche in molti altri brani) potrebbe riportarci alle atmosfere dolenti di una Lucinda Williams o anche di Mary Gauthier, altro spirito affine, sia per tipologia vocale che per le tematiche toccate. E pure I’d Want You ha questo spirito sognante e drammatico che potrebbe ricordare, se non per il tipo di voce, agli antipodi, almeno nel tessuto sonoro, l’incedere di certe canzoni del grande Leonard Cohen, per quell’aria malinconica ma mai doma, tipica del canadese, le tastiere, la fisa e le chitarre come al solito ricamano alla grande. Gonna let my soul catch my body è un gospel-rock mosso con una chitarra “cattiva” che cerca di farsi largo tra le pieghe del brano. All Of It Was Music potrebbe essere una sorta di manifesto del loro modus operandi, drammatico e sospeso, ricorda ancora la Gauthier ma anche le “chansons” franco-irlandesi-mitteleuropee di una Mary Coughlan (è ovvio che queste sono solo suggestioni del vostro fedele recensore) filtrate attraverso la penna della coppia dell’Ohio, fanno capolino anche un vibrafono e la solita steel malandrina. Highland Country è un’altra ballata sontuosa dallo spirito country, con il pianino di Detweiler e la sua voce di supporto al cantato suggestivo di Karen Bergquist, sottolineata dalle evoluzioni di una pedal steel magica, per cantare i panorami del loro amato Ohio. Anche Wait, come la precedente, non può non ricordare le canzoni più belle della Joni Mitchell della maturità, solenni e composite nel loro incedere. E siamo solo alla fine del primo CD.

Il secondo si apre con la lunga All Over Ohio, altro inno alla loro terra natia, Linford Detweiler per la prima volta sale al proscenio per duettare con la moglie Karin, la sua voce è piana e gentile, ma ben si accoppia con quella dolcissima della consorte, il brano cresce in modo lento e oscillante, con il consueto profluvio di chitarre e tastiere accarezzate con rispetto dai musicisti che poi lasciano il proscenio alla “doppia” Bergquist nella parte finale della canzone. A proposito di coppie, Earthbound Love Song è un sentito omaggio ad una delle grandi coppie della musica, Johnny Cash & June Carter, deliziosa e delicata come poche. Against The Grain è un’altra piccola meraviglia country-folk che scivola sulle corde di una chitarra acustica e sulla steel di Heywood. Della cover della Band abbiamo detto, Blue Jean Sky è un altro inno alla bellezza della musica e della vita, cantata con passione dalla coppia, mentre Cuyahoga è un’intramuscolo strumentale di poco più di un minuto, che meritava di essere sviluppata nei suoi tratti acidi à la Cowboy Junkies. Baby If This Is Nowhere si avventura con classe in territori Blues e Wildflower Bouquet potrebbe uscire da Ladies Of the canyon o Blue, quando i cantautori erano grandi, ed occasionalmente possono esserlo ancora (anche la giovane Laura Marling, si abbevera a questa fonte). Altro breve bozzetto, questa volta pianistico, Birds of nowhere e ci avviamo alla conclusione con Favorite Time Of Light, altra piccola meraviglia sonora con la fisarmonica di Van Dyke Parks e il mandolino di Goldenberg a guidare le danze, a conferma di tutte le delizie che si dipanano su questo Meet Me At The Edge Of The World, diciannove ottime canzoni (OK, 17 e due brevi strumentali) disco da quattro stellette che si candida fin d’ora tra i migliori dischi dell’anno 2013!

Bruno Conti

100 Anni + Uno! Woody Guthrie At 100! Live At The Kennedy Center

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Woody Guthrie At 100! Live At The Kennedy Center – CD+DVD – Sony Legacy

Lo scorso anno, il 14 luglio, si festeggiavano 100 anni dalla nascita di Woody Guthrie e il 14 ottobre al Kennedy Center di Washington, DC, si è tenuto un concerto per ricordare l’Anniversario. Hanno partecipato alcuni dei nomi più importanti della musica americana (ed uno scozzese in trasferta), folk, country, blues e bluegrass, di qualità in generale. Questo è il resoconto, track-by-track, del DVD che è stato ricavato dall’avvenimento, il CD dura 77 minuti, il DVD, una ventina di di più, ma visto che vengono venduti insieme, al prezzo di poco più di uno, vale lo sforzo dell’acquisto anche per coloro che sono contrari per principio all’acquisto dei DVD musicali, in fondo qui c’è anche il CD.

1. Howdi Do — Old Crow Medicine Show Vestiti come dei sopravvissuti al periodo della depressione i primi a presentarsi sul palco sono gli Old Crow Medicine Show di Ketch Secor, il sestetto procede a dimostrare perchè sono una delle migliori string bands in circolazione, in bilico tra country e bluegrass, come nella indiavolata 2. Union Maid — Old Crow Medicine Show

3. This Is Our Country Here — Jeff Daniels Il primo intermezzo parlato da parte di uno degli ospiti della serata viene seguito da quello che viene indicato come uno degli eredi migliori di Woody Guthrie (e di Bob Dylan), 4. Ramblin’ Reckless Hobo — Joel Rafael è un bellissimo bravo, reso in modo dylaniano come pochi altri sapranno fare nel corso della serata.

5. Hard Travelin’ – Jimmy LaFave Questo signore texano, in trio, con mandolino e fisarmonica si conferma uno dei migliori cantautori del panorama americana.

6. Riding In My Car — Donovan Visto che il bardo di Duluth non era disponibile per la serata la cosa più vicina era il menestrello scozzese, Donovan Leitch si conferma ancora una volta animale da palcoscenico facendo cantare il pubblico con la sua disincantata simpatia e una canzone presa dal repertorio di Woody per bambini, incisa per la prima volta nel 1965.

7. I Ain’t Got No Home — Rosanne Cash with John Leventhal In rappresentanza della famiglia Cash, Rosanne, accompagnata dal marito John Leventhal e dalla sua bellissima voce regala una dei momenti salienti della serata con una canzone che lei stessa definisce perfetta, e quella che segue 8. Pretty Boy Floyd — Rosanne Cash with John Leventhal non è da meno, uno dei capolavori assoluti di Guthrie, con un po’ del boom chicka boom di babbo John nella chitarra di Leventhal

9. I’ve Got To Know — Sweet Honey In The Rock In rappresentanza del gospel e della città di Washington, con i loro intrecci vocali ancora integri dopo una lunghissima carriera.

10. House Of Earth — Lucinda Williams Alle prese con un inedito consegnatole da Nora Guthrie pochi mesi prima e completato per l’occasione, il brano viene eseguito dal vivo per l’occasione e per la prima volta dalla Williams, bella versione, anche se molti non amano Lucinda!

11. Pastures Of Plenty — Judy Collins Un altro dei brani folk più celebri di Woody Guthrie eseguito da una delle leggende di questa musica e da una delle voci più incredibili mai espresse dal genere ancora stupenda dopo tutti questi anni, solo piano, chitarra acustica e voce, grande versione.

12. Ease My Revolutionary Mind — Tom Morello Ovviamente il chitarrista dei Rage Against The Machine, grande amico e collaboratore di Springsteen e cantante folk, non necessariamente nell’ordine, sceglie uno dei brani più politici e di “battaglia politica” del cantante di Okemah e si presenta sul palco con una band “springsteeniana” composta da molti dei protagonisti della serata, in particolare molti Old Crow Medicine Show e Jackson Browne che tornerà più tardi, un altro dei momenti migliori della serata. 

13. Deportee — Ani DiFranco with Ry Cooder and Dan Gellert Altro grandissimo chitarrista al servizio di una delle cantautrici più valide delle ultime generazioni alle prese con un’altra canzone bellissima (ma ce ne sono di brutte) e forse la preferita in assoluto di chi scrive del repertorio di Guthrie. Il violino di Gellert e la chitarra “discreata” di Cooder aggiungono magia ad una canzone che Ani DiFranco canta benissimo, con rispetto e partecipazione, come è giusto che sua.  

14. I Hate A Song (spoken word) — Jeff Daniels Secondo ed ultimo intervento parlato da parte del noto attore americano

15. You Know The Night — Jackson Browne Un altro degli highlights della serata, Jackson è già apparso in altri tributi alla musica di Woody Guthrie e anche in questa serata conferma la sua classe, un altro brano “inedito” completato da Browne, con il grande Rob Wasserman al contrabbasso, che per ragioni televisive non appare nella versione monstre da 20 minuti che era stata pubblicata su Note Of Hope, bellissima comunque!

16. So Long, It’s Been Good To Know Yuh — Del McCoury Band with Tim O’Brien Di nuovo country e bluegrass per una delle migliori formazione nel genere, aumentata per l’occasione da Tim O’Brien nel primo brano e da Tony Trischka per lo strumentale 17. Woody’s Rag.

18. Do Re Mi — John Mellencamp C’era già 25 anni in A Vision Shared e canta di nuovo lo stesso brano, ma è uno dei più celebri e coinvolgenti del repertorio di Guthrie, chi meglio dell’ex “Coguaro” Mellencamp per eseguirlo?

19. 1913 Massacre — Ramblin’ Jack Elliott Altro pezzo da 90 sul palco per un altro dei cavalli di battaglia del repertorio di entrambi, la cui melodia venne usata da Dylan per scrivere la prima canzone da lui incisa, Song For Woody. Ramblin’ Jack Elliott gli 80 li ha passati da un pezzo e non si direbbe (o forse sì?) ma rimane un grande e merita rispetto.

20. Nora Guthrie (spoken word) Un breve saluto dalla figlia e poi tutti insieme appassionatamente sul palco per il gran finale con i due brani più celebri, tra cui il secondo inno americano.

21. This Train Is Bound For Glory — All Performers

22. This Land Is Your Land — All Performers

Bella serata, da avere!

Bruno Conti

Figli(a) D’Arte. Cassie Taylor – Out Of My Mind

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Cassie Taylor – Out Of My Mind – Yellow Dog Records

Questa volta parliamo di “Figli D’Arte”, una categoria non numerosa ma di difficile collocazione. Che genere fanno? Chi sono? Sono bravi? Alla prima domanda non saprei rispondere, alla seconda sarebbe troppo lunga la risposta, alla terza potrei citarne alcuni: Jeff Buckley, Rosanne Cash e altri fratelli e sorelle, Rufus Wainwright e sorelle varie, Hank Williams Jr e figli e nipoti, Norah Jones e Jakob Dylan sicuramente lo sono, qualcuno mette nella lista anche Dhani Harrison, ma francamente…Cassie Taylor, 26 anni, figlia di Otis, cantante, autrice, produttrice, arrangiatrice, finanziatrice del suo disco (ha fatto vendere la macchina al marito per pubblicare questo album) e infine anche bassista, in questo Out Of My Mind. E pensate che al termine del primo brano Ol’ Mama Dean (Part 1) volevo togliere il dischetto dal lettore e scaraventarlo nel cestino, non perché fosse particolarmente brutto ma abbastanza inutile (al di là dell’ottimo lavoro del chitarrista Steve Mignano), quelle canzoni che non iniziano mai e quando iniziano sembrano opera del Lenny Kravitz meno ispirato.

Forse ho esagerato, ma era per capirci meglio, poi ho preso il Manuale del Perfetto Recensore, quello dove dice che un disco bisogna sentirlo più volte e non fermarsi mai alla prima impressione. Fatto. Il pezzo continua a non piacermi un granché, ma non mi sembra più così orribile: sarà per questo che il secondo, dove la situazione migliora un tantino, sia Mama Dean (Part 2)? Può essere: intanto comincia a definirsi il genere del CD, sapete, quello del file under. Direi tra blues e soul, più il primo, nel brano in questione, non ci sono i lati folk e etnici del babbo, ma il rock è presente e si fa apprezzare, senza grandi voli pindarici ma lentamente, anche grazie alla slide di Mignano e all’organo della stessa Taylor, con la successiva Spare Some Love, dalle atmosfere sospese e più chiaramente blues dove anche la voce di Cassie si fa più intensa e partecipe, mentre in Out Of My Mind si vira decisamente verso un soul molto piacevole e coinvolgente, quasi da “girl group”, la Taylor si sdoppia in una sorta di Diana Ross & the Supremes fai da te, prendendo sia il ruolo di voce solista che di controcanto, chitarra, organo e basso lavorato con l’archetto sono ben arrangiati (sempre lei lo fa). Lay My Head On Your Pillow, è una ballata lenta, sempre piacevole, anche in versione quasi acoustic soul, evidentemente il lavoro con il padre, nei dischi del quale appare molto spesso, ha dato i suoi frutti. New Orleans, con un tromba aggiunta al classico trio, chitarra, basso e batteria, ha un’aria più sexy e sbarazzina ancorché il sound della Crescent City non venga centrato perfettamente: perché, se mi posso permettere, sempre in accordo a quel Manuale seguito alla lettera, non è che la nostra amica abbia una voce così formidabile o particolare, come l’augusto genitore, adeguata ma non molto di più.

E il materiale, come detto tutta a sua firma, non sempre brilla, No Ring Blues, lo è nel nome, blues, ma non di fatto, altra canzone di quelle che non decollano mai, con il basso della ragazza sempre molto in evidenza ma a scapito della sostanza, il solito Mignano si difende e eleva il livello. No No è un rock più tirato ma ha sempre quel sound un po’ turgido che non entusiasma. Decisamente meglio Forgiveness, con il fascino degli arrangiamenti più ricchi del padre, elementi folk e uso di tromba e basso tuba lo rendono più efficace . Solita apertura con il basso (quasi tutti i brani iniziano così, va bene che è il suo strumento, però) anche per Gone And Dead, ma ritorna questa “indecisione” nella costruzione del brano, siamo sempre allo stesso punto, è un impressione personale, ovviamente, anche se tuba e organo cercano di dare passione, non sempre ci riescono. That’s My Man è dedicata a quel sant’uomo che ha venduto la macchina per permetterle di realizzare questo CD e spero che lo stesso venda abbastanza per ripagarlo, ed è nuovamente un rock più deciso anche se non brillantissimo (la qualità che latita in questo prodotto). Alla fine quello che è forse il brano migliore, Again, una bella ballata pianistica di impianto quasi gospel-soul, cantata con passione e con l’aggiunta di un contrabbasso suonato con l’archetto che aggiunge classe alla canzone. Se devo essere sincero, non dovendo recensirlo, non so se lo avrei comprato, ma brani come l’ultimo e qualcun altro in percorso d’opera si meritano una striminzita sufficienza, se i soldi bastano cercare con urgenza un produttore!

Bruno Conti

Su Un’Isola Deserta Mi Porterei Questo! Johnny Cash – The Complete Columbia Album Collection

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Johnny Cash – The Complete Columbia Album Collection – Columbia/Sony 63 CD

Per quanto mi riguarda l’uscita discografica più attesa dell’anno (anche più di Tempest di Bob Dylan) era questo megabox dell’immenso Johnny Cash, che come suggerisce il titolo presenta tutto quello che l’Uomo in Nero ha inciso per la storica etichetta che lo ha visto protagonista per quasi tre decadi.

Gli altri periodi della sua carriera sono ampiamente documentati su CD (gli esordi alla Sun, lo sfortunato lustro alla Mercury, fino alla rinascita degli ultimi anni all’American di Rick Rubin), ma ben 38 album del suo periodo Columbia non erano mai stati stampati sul supporto digitale (alcuni di essi si trovano solo disponibili per il download): ebbene, qui c’è tutto, ma proprio tutto, ciò che Cash ha pubblicato per la storica etichetta ora di proprietà della Sony.

Il box è presentato in un’elegante scatola apribile, con tutti i dischetti ordinati e numerati in versione simil-LP, con la tracklist originale (cioè senza bonus tracks): un’operazione analoga a quella di qualche anno fa riguardante Miles Davis (che però aveva diverse bonus tracks per ogni disco).

(NDM: l’anno prossimo, sembrava dovesse uscire già quest’anno, dovrebbe essere anche la volta di Bob Dylan, ma in questo caso, a meno di bonus tracks clamorose – il che non credo conoscendo Bob – non ci dovrebbero essere grosse sorprese. Io invece voto per un box simile dedicato a Willie Nelson).

Non sto certo a dirvi chi era Cash e la sua importanza per la musica e la cultura americana e mondiale (se mi state leggendo lo sapete meglio di me), ma passo senz’altro ad una disamina il più breve possibile del megabox.

Gli anni sessanta sono quelli con meno sorprese, nel senso che quasi tutti gli album sono reperibili su CD (specie i primi), ma comunque tutti insieme è un bel sentire: non dimentichiamoci che all’epoca i brani scelti per i singoli e quelli negli LP viaggiavano su binari diversi, e quindi qui troviamo comunque un sacco di canzoni poco note di Johnny.

Dischi uno più bello dell’altro, in diversi casi veri e propri concept albums: da Hymns By Johnny Cash a Songs Of Our Soil, da Ride This Train a Sings The Ballads Of True West (strepitoso), dal disco dedicato alle work songs Blood, Sweat And Tears al capolavoro Bitter Tears, che celebrava gli Indiani d’America.

Basterebbero questi titoli per definire una carriera inimitabile, ma poi ci sono i due famosi live At Folsom Prison e At San Quentin (tra i due, il raro e bellissimo gospel album The Holy Land), che fungono da spartiacque con gli anni settanta, che sono quelli nei quali troviamo il maggior numero di chicche.

Pochi dischi di questo periodo erano infatti già reperibili su CD (Man In Black, America, Ragged Old Flag, il live Pa Osteraker ed il famoso Silver, quello con (Ghost) Riders In The Sky), e quindi ci troviamo di fronte ad un vero tesoro, in quanto il livello delle produzioni di Cash in questo periodo era sempre medio-alto, pur soffrendo di un calo di popolarità via via sempre più marcato.

Album come A Thing Called Love, One Piece At A Time (con la splendida Committed To Parkview), John R. Cash, Gone Girl, Any Old Wind That Blows sono ancora oggi dei signori dischi, con un Cash nella piena maturità professionale e vocale, in poche parole una goduria per le orecchie.

E poi c’è anche il doppio a sfondo religioso The Gospel Road, forse l’opera più ambiziosa del nostro, il live poco noto Strawberry Cake ed il curioso The Junkie And The Juicehead Minus Me, al quale partecipano anche le giovanissime Rosanne Cash e Carlene Carter.

Poi si entra negli anni ottanta, il nadir per quanto riguarda la popolarità di Cash (ma non per la qualità media degli album): partendo dal poco riuscito The Baron, sul quale Johnny aveva puntato molto (facendolo produrre al grande Billy Sherrill), passando per gli ottimi Rockabilly Blues e Johnny 99 (con la title track e Highway Patrolman di Bruce Springsteen), un divertente live a tre con Carl Perkins e Jerry Lee Lewis (The Survivors), un rarissimo live registrato a Praga (Koncert V Praze), il buon The Adventures Of Johnny Cash (con Georgia On A Fast Train di Billy Joe Shaver e la grande Paradise di John Prine), per finire con l’ultimo disco inciso per la Columbia, Rainbow, del quale da anni attendevo la ristampa in quanto contiene due delle mie canzoni preferite, cioè Unwed Fathers, ancora di Prine, e Have You Ever Seen The Rain?, super classico di John Fogerty.

In coda, i primi due dischi incisi a nome Highwaymen con Waylon Jennings, Willie Nelson e Kris Kristofferson (meraviglioso il primo, meno riuscito il secondo), il discreto Heroes, in duo con Waylon, ed il postumo At Madison Square Garden, che documenta un concerto del 1969.

Come bonus abbiamo una versione ampliata, esclusiva per questo box, di With His Hot And Blue Guitar, una sorta di bignami del suo periodo Sun, ed un doppio intitolato Singles, Plus, che contiene appunto rari brani apparsi solo su 45 giri, più vari duetti apparsi su dischi altrui (con Bob Dylan, la Carter Family, Earl Scruggs, diversi con la moglie June Carter, e altri).

Tra i singoli vorrei segnalare un brano davvero poco noto di Cash, uscito nel 1984, quindi già in piena crisi con la Columbia: l’esilarante The Chicken In Black, nella quale Johnny con grande ironia prende letteralmente a martellate la sua etichetta che non credeva più in lui (e se pensavate che Cash fosse una persona seria, cercate il videoclip di questa canzone e la vostra opinione potrebbe cominciare a vacillare…).

Come ciliegina, un libretto di quasi 200 pagine con tutte le note dettagliate disco per disco.

Va bene la crisi, va bene tutto, ma se date retta a me cercate di risparmiare 200 Euro ed investiteli in questo box: questa non è solo musica, è storia.

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Imperdibile.

Marco Verdi

Novità Di Agosto Parte II. Reverend Peyton, Steve Vai, Robin & Linda Williams, John Stewart, Jerry Jeff Walker, Johnny Cash Festival

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Ecco gli altri titoli in uscità martedì 14 agosto, di cui non ci eravamo ancora occupati sul Blog (se comincio a usare il plurale maiestatis dovrò iniziare a preoccuparmi?).

Torna la piccola band di super revivalisti The Reverend Peyton’s Big Damn Band di cui mi ero già occupato con un Post per l’album precedente rev.%20peyton, quello dedicato alla musica di Charley Patton. L’ etichetta è sempre la One Side Dummy (ex casa dei Gaslight Anthem). Il disco si chiama Between The Ditches ed è decisamente più elettrico del precedente, anche se sempre molto legato alle tradizioni del Blues, non male devo ammettere, ci danno dentro veramente alla grande.

Pubblicato al solito dalla sua etichetta Favored Nations, nuovo album anche per Steve Vai, visto recentemente nella data italiana di Vigevano con Joe Satriani e Steve Morse. The Story Of Light, dodici brani dedicati agli amanti dei virtuosismi della chitarra elettrica. Questa volta il disco non è completamente strumentale, lo stesso Vai canta In The Moon And I e duetta con Aimee Mann in No More Amsterdam e ancora con Beverley McClennan (una partecipante al talent americano “The Voice”) in una versione del classico del blues, John The Revelator. Sul sito della stesso Steve Vai è prenotabile anche una versione CD+DVD http://www.vai.com/.

Robin And Linda Williams festeggiano quest’anno i 40 anni di carriera. I due veterani del country e bluegrass pubblicano questo These Old Dark Hills per la Red House. C’è anche una cover di uno Springsteen “minore” My Lucky Day, tratta da Working On A Dream. Belle canzoni e belle armonie vocali per una musica prettamente acustica con i due che si alternano come voci soliste nei 12 brani.

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Per la sezione “vecchie glorie” tre uscite interessanti.

John Stewart, scomparso nel 2008, si vede pubblicare da una di quelle etichette “dubbie”, la All Access, un CD che contiene la registrazione di un broadcast radiofonico tenuto nel lontano 1975 al famoso locale Ebbets Field di Denver, Colorado di fronte a ben 238 persone. Per i fans di Stewart e gli amanti della buona musica è l’occasione per ascoltare uno dei più sottovalutati, e bravi, cantautori della scena musicale americana in un concerto registrato quando era al top delle sue capacità. La qualità sonora è più che buona, radio FM americana stereo dell’epoca, il repertorio pure, forse la reperibiltà un po’ meno, ma con pazienza si trova. Queste le 14 tracce:

1. Intro
2. Runaway Fool of Love
3. Josie
4. Mazatlan
5. Friend of Jesus
6. Crows Landing
7. Wingless Angels
8. Survivors
9. Mother Country
10. July You’re a Woman
11. Wolves in the Kitchen
12. Summer Child
13. Lady & the Outlaw
14. Never Goin’ Back

Sempre nell’ambito del materiale d’archivio la May6 Entertainment pare abbia trovato più di 75 concerti registrati un piccolo locale di Austin, Texas, The Dixie’s Bar & Bus Stop. La prima uscita è questo DVD Live From Austin, TX Bar Bus Stop di Jerry Jeff Walker, registrato intorno alla metà degli anni ’80, sono due set elettrici completi con la Lost Gonzo band più un segmento acustico, ci sono tutti i classici del suo repertorio ( Mr. Bojangles c’è non temete!) ma anche Up Against The Wall Redneck Mother, L.A. Freeway e Desperados Waiting On A Train e tantissime altre per un totale di 26 brani. Vediamo quali saranno gli altri titoli di questa serie che dalla partenza sembra assai interessante. Solo zona americana, anche in questo caso non dovrebbe essere di facile reperibiltà.

Last But Not Least. In questi giorni è uscito il tributo “ufficiale” in CD+DVD per l’80° Anniversario della nascita di Johnny Cash di cui vi ho parlato diffusamente nei giorni scorsi. Ma alla fine di luglio, sia in CD che in DVD è uscito anche The Johnny Cash Music Festival 2011, pubblicato sul mercato americano dalla Spring House/EMI, si tratta della registrazione di un concerto tenuto il 4 agosto dello scorso anno. Se nel doppio pubblicato dalla Sony la famiglia Cash non appariva, qui ci sono tutti, anche alcuni di cui ignoravo l’esistenza: John Carter Cash, Laura Cash, Tommy Cash, Joanne Cash oltre naturalmente a Rosanne Cash che ha duettato anche con l’ex marito Rodney Crowell in No Memories Hangin’ Around mentre l’attuale marito John Leventhal suonava la chitarra. C’erano anche Kris Kristofferson, George Jones, Gary Morris, Bill Miller e un set gospel con Dailey & Vincent, questi i brani:

  1. Pickin’ Time 
  2. Sunday Morning Coming Down 
  3. Cry, Cry, Cry 
  4. Why Me 
  5. If I Were a Carpenter 
  6. Sunnyside 
  7. Ballad of Ira Hayes 
  8. No One Gets Out of Here Alive 
  9. Rock Island Line 
  10. Five Feet High and Rising 
  11. Suppertime 
  12. When the Roll Is Called Up Yonder 
  13. Daddy Sang Bass 
  14. Same Old Me 
  15. I Got Stripes 
  16. Wind Beneath My Wings 
  17. Hallelujah 
  18. After All This Time 
  19. No Memories Hanging ‘Round 
  20. Get Rhythm 
  21. Seven Year Ache 
  22. Radio Operator

L’edizione del 2012 è prevista per ottobre e oltre a molti degli artisti della scorsa edizione ci saranno anche Willie Nelson, Dierks Bentley e i Civil Wars. Il ricavato dei concerti e dei dischetti viene utilizzato per il restauro della Johnny Cash Boyhood Home di Dyess, Arkansas.

That’s all folks!

Bruno Conti

Blackie And The Rodeo Kings – Re e Regine!

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Blackie and The Rodeo Kings – Kings and Queens – Dramatico Records

Il Canada ha regalato alla musica una serie di grandi talenti, prima Neil Young, Joni Mitchell, la Band e Leonard Cohen, che però sono riconosciuti come musicisti universali ma di formazione “americana”. Poi negli anni ’70 c’è stata una seconda ondata, meno importante nei nomi ma non a livello qualitativo (per semplificare all’estremo), che ha prodotto gente come Bruce Cockburn, David Wiffen, Murray McLauchlan, Valdy e Willie P. Bennett (sempre andando per citazioni). Cockburn soprattutto, in quella decade non ha sbagliato un disco, uno più bello dell’altro, ma anche gli altri hanno saputo regalare pagine di musica squisita in quegli anni.

Il nome che ci interessa qui è quello di Willie P. Bennett, perché dal titolo di una sua canzone prende il nome il gruppo di cui ci occupiamo. Lo so che molti hanno già recensito questo Kings and Queens ed il sottoscritto arriva buon ultimo a parlarne ma questo album (e il gruppo) meritano tutta la mia attenzione e il mio rispetto. Intanto, il disco mi piace, forse non sarà il loro più bello (ma non sono sicuro), ma il livello qualitativo rimane molto elevato. Da quel lontano (ma non troppo) 1996 in cui esordivano con High and Hurtin’:The Songs of Willie P. Bennett il trio di Tom Wilson, Stephen Fearing e Colin Linden ha pubblicato sette album (questo CD ed una antologia compresi), e da una sorta di super cover band che pubblicava solo materiale di Bennett si sono trasformati in uno dei gruppi migliori in circolazione.

Ci sarà pure un motivo se quattordici delle migliori voci femminili della musica nord-americana sono scattate come un “sol uomo”, va bene facciamo donna, per partecipare a questo album. Forse il rispetto e l’ammirazione per tre musicisti che anche in proprio sono in grado di regalare musica emozionante, forse una occasione a cui era difficile dire no perché, stranamente, non siamo di fronte in questo caso ad uno dei classici dischi-tributo a cui si partecipa quasi per dovere. Le canzoni, scritte tutte per l’occasione alternano le tre anime del gruppo: il “rocker” Tom Wilson, che divide la sua musica anche con i Lee Harvey Osmond insieme ad alcuni Cowboy Junkies (ecco forse perché in questo album non appare Margo Timmins, ce l’aveva già in “casa”), il “romantico” Stephen Fearing, cantautore sopraffino canadese ma che ha speso la sua gioventù in Irelanda, terra del suo attuale partner musicale Andy White (i due hanno appena pubblicato un disco insieme di cui avete letto nel Blog una-misteriosa-strana-coppia-fearing-and-white.html). Infine Colin Linden, il chitarrista e produttore, quello più vicino al Blues ma anche alla musica di Cockburn di cui è stato a lungo collaboratore e che anche gli altri due hanno incrociato spesso, ma quella è un’altra storia.

Prima dicevo che l’album sarebbe stato bello anche di suo, senza le ospiti, visto che ci sono molte belle canzoni e qualcuna un filo meno riuscita, ma dato che sono presenti parliamone: il disco parte alle grande con un country-rock chitarristico come If I can’t Have You che ben si adatta alla voce di Lucinda Williams che agisce di supporto a quella di Tom Wilson che sfodera una voce alla Nick Lowe per l’occasione mentre la solista di Linden ricorda il sound degli ultimi dischi di Lucinda ma anche grandi country-rockers canadesi come i Blue Rodeo e Blackie and The Rodeo Kings,perché no! Sarah Watkins è uno dei nomi emergenti della musica roots-folk americana, sia come cantante che come violinista (era nei Nickel Creek) e aggiunge una patina vagamente old-time e bluegrass alla slide di Linden e alla voce caratteristica di Fearing in Another Free Woman.

Rosanne Cash ha una voce inconfondibile, bellissima, matura e piena ed è una di quelle che più caratterizza il brano a cui partecipa, Got You Covered avrebbe potuto essere nel suo ultimo bellissimo The List invece la trovate qui a duettare con Colin Linden che ci regala anche un delizioso assolo di chitarra. Amy Helm si conferma degna figlia di tanto padre (e leader delle Olabelle) nel bellissimo duetto dai profumi soul con Tom Wilson nella ritmata I’m Still Lovin’ You mentre la slide di Linden ricama altre note di contorno.

E fin qui stiamo andando alla grande: Golden Sorrows di e con Stephen Fearing è una ballata avvolgente e Cassandra Wilson si conferma voce di gran classe e distinzione nell’adattarsi ai ritmi e alle melodie delicate di Fearing e alla magica chitarra di Linden. Patti Scialfa, eh, dunque, sarà sempre la signora Springsteen ma se la cava molto bene nella cover (ebbene sì ho mentito, ce ne sono due) di Shelter me Lord dei coniugi Buddy & Julie Miller, un gospel blues tagliente e affilato cantato con Colin Linden. Pam Tillis è anche lei figlia d’arte (e in questo disco abbondano) ed è una delle cantanti country meno legate ai rigidi cerimoniali di Nashville, quindi una canzone come My Town Has Moved Away se la canta lei con un piccolo aiutino da parte di Fearing, sarà anche country ma ci piace lo stesso. Janiva Magness è una delle “nuove” regine del Blues e in questo trio con Fearing e Wilson porta la sua verve ad un brano scanzonato come How Come You Treat Me Soooo Bad.

Step Away è l’altra cover, come è giusto che sia, un brano di Willie P. Bennett, cantato da Colin Linden e Tom Wilson, un brano lento e spettrale che ben si adatta alla vocalità di Emmylou che come al solito fà la Harris della situazione, ma non è memorabile come in altre occasioni. Memorabile è invece la presenza di Mary Margareth O’Hara per la rarità delle sue apparizioni (a fronte di tanto talento, ma ha deciso così e quindi godiamocela quando c’è): Heart Of Mine è un brano insolitamente mosso nel suo canone sonoro abituale ma la zampata di classe della vocalist in un brano fondamentalmente country e cantato con evidente piacere in compagnia di Wilson e Fearing è una gradita sorpresa.

Holly Cole è un’altra canadese che si dedica abitualmente al jazz ma non disdegna capatine nel mondo dei cantautori e questa bellissima ballata di Fearing (con un ennesimo intervento della solista di Linden) ne esalta le capacità vocali. Ottimo anche il contributo di una divertita Exene Cervenka che si avventura con Tom Wilson in un brano come Made of Love che avrebbe fatto la gioia di “popparoli” di classe come Lowe e Edmunds, detti anche i Rockpile o del T-Bone Burnett del primo periodo. Ma perché l’avrò nominato? Son troppo astuto: in Love Lay Me Down appare Sam Phillips, la sua ex-signora e ci delizia con questo rarefatto e ricercato duetto con Colin Linden che tanto ricorda la sua musica (peraltro da scoprire se non conoscete) ma forse stona un po’ con il resto del disco.

Il brano più bello è l’ultimo (ma ce ne sono tanti): la versione in crescendo di Black Sheep di Stephen Fearing cantata con la giovane e pimpante Serena Ryder, con il violino aggiunto di Sara Watkins e la chitarra di Linden è veramente da brividi e conclude in pompa magna un disco che conferma Blackie and The Rodeo Kings come uno dei migliori gruppi in circolazione.

Mi sono dilungato apposta perché ne valeva la pena e vi consiglio vivamente questo disco a prescindere dalle “regine”, sarebbe bello anche se non ci fossero, ma visto che ci sono, godetevele! In questo momento sono al n.1 delle classifiche Folk-Blues-Roots canadesi, e son soddisfazioni anche queste.

Bruno Conti