Lo Springsteen Della Domenica: Un Boss Recente, Ma Con Un Inatteso Sguardo Al Passato. Bruce Springsteen & The E Street Band – MSG 11.07.09

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Bruce Springsteen & The E Street Band – MSG 11.07.09 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Nel corso della tournée del 2009 seguita alla pubblicazione di Working On A Dream, Bruce Springsteen e la sua E Street Band avevano introdotto una pratica che è poi andata avanti per qualche anno, e cioè quella di riproporre ogni tanto, in date un po’ “random”, alcuni loro album storici dalla prima all’ultima canzone. L’onore era principalmente riservato a tre lavori della discografia del Boss, ovvero Born To Run, Darkness On The Edge Of Town (eseguito anche di fronte al sottoscritto nel 2013 al Wembley Stadium di Londra) e Born In The U.S.A. (suonato anche a San Siro sempre nel ’13), ma in occasioni più uniche che rare è toccato anche ad altri album: è il caso dell’esordio Greetings From Asbury Park, NJ proposto a Buffalo proprio nel 2009 e, pochi giorni dopo, a The River nel secondo dei due concerti al Madison Square Garden di New York (l’esecuzione integrale del mitico album del 1980 diventerà un’abitudine nella parte americana del tour del 2016, ma fino a quel momento era una cosa più unica che rara). Entrambi questi show (Buffalo e MSG 2) erano già usciti nell’ambito degli archivi live di Bruce, ed il triplo CD di cui mi occupo oggi riguarda invece la prima delle due serate al Madison, tenutasi il 7 novembre 2009, un altro show a modo suo epocale in quanto presenta un’altra riproposizione “one off” di uno dei dischi storici del Boss, vale a dire il suo secondo album The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle, uscito originariamente nel 1974.

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MSG 11.07.09 è un altro live record di alto livello musicale ed emozionale, con il Boss e la sua storica band in ottima forma quando suonano il repertorio “normale” ed addirittura sensazionale quando si cimentano con le sette canzoni del disco del ’74, che vengono letteralmente reinventate grazie ad una performance di notevole spessore con la sezione fiati che aumenta la già considerevole potenza del suono della E Street Band. Il concerto parte con un indizio di ciò che succederà di lì a poco, e cioè con una performance decisamente soulful di Thundercrack, che del secondo album del Boss era una delle outtakes più conosciute dai fans https://www.youtube.com/watch?v=H7_SlKZNArA ; a seguire i nostri scaldano a puntino la platea con la rockeggiante Seeds, resa ancora più trascinante dai fiati, una Prove It All Night perfetta e con un grande assolo chitarristico ed il classico singalong di Hungry Heart. Dopo l’unico omaggio della serata a Working On A Dream con la non eccelsa title track, ecco arrivare The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle (con ospite sul palco il percussionista Richard Blackwell, che aveva suonato anche sul disco originale), un album molto amato dagli estimatori del nostro, e che negli anni è stato rivalutato a classico minore della discografia springsteeniana. Il pezzo più famoso tra i sette di quel disco è senza dubbio Rosalita, che non manca quasi mai nelle scalette del Boss, ma anche la toccante 4th Of July, Asbury Park (Sandy) viene suonata con discreta continuità (e qui Charlie Giordano sostituisce alla fisarmonica Danny Federici, scomparso da poco).

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Il resto è decisamente più raro, a partire dal vibrante errebi The E Street Shuffle https://www.youtube.com/watch?v=3ajmKLeorXQ , per continuare con la folkie Wild Billy’s Circus Story, eseguita dal solo Bruce con l’acustica, e con Kitty’s Back, proposta in una formidabile rilettura di un quarto d’ora in cui quasi ogni componente della band ha un momento tutto per lui (ma il dominio del sound resta in mano ai fiati ed al fantastico piano di Roy Bittan). Ma l’highlight di questa parte di spettacolo (e forse di tutto lo show), sono Incident On 57th Street, grandissima rock ballad con chitarre e piano sugli scudi https://www.youtube.com/watch?v=2LRkV93pd4A , e soprattutto una delle più belle New York City Serenade mai sentite, tredici minuti incredibili che non esito a mettere tra i momenti migliori di questa serie di concerti dal vivo: emozione pura https://www.youtube.com/watch?v=HQlMGe-eEVc . Il Boss torna quindi sulla terra con la coinvolgente Waitin’ On A Sunny Day, durante la quale urla un chiaro “Tutto bene!” in italiano, e poi, con la solita Raise Your Hand di Eddie Floyd in sottofondo, scende tra il pubblico per scegliere tra i cartelli con le richieste: questa sera tocca a tre pezzi, e cioè un altro tuffo nel passato con la solare e ritmata Does This Bus Stop At 82nd Street?, una rarità, la classica Glory Days che Bruce dedica ai New York Yankees che avevano appena vinto le World Series di baseball, e Human Touch che il trattamento E Street Band fa sembrare quasi un’altra canzone.

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Da qui in poi lo show diventa la solita prevedibile autocelebrazione di una delle rock band più travolgenti di sempre, con classici recenti (Lonesome Day, The Rising), passati (Born To Run, Bobby Jean) ed anche futuri (Wrecking Ball); il gran finale parte con American Land e Dancing In The Dark, che fanno saltare e ballare tutto il Madison, e termina con una vertiginosa versione di (Your Love Keeps Lifting Me) Higher And Higher di Jackie Wilson, con Elvis Costello ospite a sorpresa per duettare con Bruce https://www.youtube.com/watch?v=kdUoVKA1mhA . Il prossimo volume si occuperà di una serata ancora più recente, che non ha particolari caratteristiche se non quella di essere stata giudicata tra le migliori del tour di cui fa parte.

Marco Verdi

Torna Lo Springsteen Della Domenica: Una Full Immersion Nella Leggenda! Bruce Springsteen & The E Street Band – London 11/24/1975

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Bruce Springsteen & The E Street Band – London 11/24/1975 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 2CD – Download

Il fatto che Bruce Springsteen sia uno dei migliori performer dal vivo nella storia della nostra musica è un fatto che si dà ormai per acquisito, ma c’era un tempo in cui il rocker del New Jersey era ancora un artista emergente che cercava di affermarsi con tanta fatica e tanto sudore. Se il tour del 1978 è giustamente diventato leggendario, stiamo comunque parlando di un musicista che era già famoso (almeno nel suo paese d’origine), e sono quindi gli show del 1975 quelli che hanno contribuito più di tutti a creare tale leggenda. In quell’anno Bruce era impegnato in una lunga ed estenuante tournée americana a supporto del suo terzo album Born To Run, ed aveva da poco avuto l’onore della famosa doppia copertina su Time e Newsweek, ma in novembre aveva fatto una breve puntatina in Europa per quattro concerti, due all’Hammersmith Odeon di Londra, uno a Stoccolma e l’altro ad Amsterdam, show che rimarranno gli unici in tutta la decade nel Vecchio Continente (infatti tornerà solo nel 1981).

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Lo show londinese del 18 novembre era già uscito nel 2005 come DVD (ed in seguito anche in doppio CD) all’interno del box set del trentennale di Born To Run, ma la seconda serata di sei giorni dopo era ancora inedita, almeno fino ad oggi,  visto che è stata scelta come nuova pubblicazione nell’ambito della benemerita serie di concerti live del Boss. E non si sarebbe potuto fare scelta migliore, in quanto London 11/24/1975 ci riporta letteralmente indietro con la macchina del tempo in un periodo in cui Bruce e la sua E Street Band avevano veramente i proverbiali occhi della tigre ed erano già un gruppo formidabile di musicisti, “il futuro del rock’n’roll” come aveva dichiarato nel ’74 il critico musicale e futuro produttore proprio del Boss Jon Landau. Non solo, ma questo secondo spettacolo londinese, oltre ad essere molto più lungo del primo (22 canzoni contro 16), è sempre stato ritenuto migliore sia dai fans che dallo stesso Springsteen, che il 18 novembre aveva a suo dire fornito una performance non del tutto soddisfacente innervosito dalla presenza delle telecamere. A me il doppio CD che documentava la prima serata era comunque piaciuto molto, ma questo del 24/11 è una vera bomba, con un Boss che regala ai presenti una performance fenomenale ben coadiuvato da un gruppo che era già una macchina da guerra, con la ciliegina di una setlist pazzesca specie nella parte finale.

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Un cocktail irresistibile di rock’n’roll, rhythm’n’blues e lunghe e fluide ballate pianistiche, con i nostri che rivisitano il meglio dei primi tre album di Bruce ed aggiungono una serie di cover da paura. Dopo un inizio con due pezzi dal nuovo disco (Thunder Road per sola voce, armonica, piano di Roy Bittan e glockenspiel di Danny Federici ed una Tenth Avenue Freeze-Out potente e concisa), il nostro guarda al suo passato prossimo con la soulful Spirit In The Night ed una drammatica e struggente Lost In The Flood https://www.youtube.com/watch?v=8DvTeI7-kLM , per poi tornare ai tempi recenti con l’uno-due formato da She’s The One e Born To Run (che non aveva ancora preso posto tra i bis). Dopo una sorprendente versione di undici minuti della hit dei Manfred Mann Pretty Flamingo https://www.youtube.com/watch?v=2OMF9B-UnLc  (che comunque ai tempi, a sua volta, con la Earth Band aveva inciso alcune eccellenti cover di Springsteen, contribuendo a spargere il verbo)), ecco un altro tuffo negli esordi con una breve ma sentita Growin’ Up ed una It’s Hard To Be A Saint In The City più vibrante che mai. A seguire, uno dei magic moments della serata, che vede i nostri (con Bittan su tutti) proporre due spettacolari riletture degli inni pianistici Backstreets e Jungleland, separati dai tre minuti scarsi della coinvolgente Sha-La-La delle Shirelles https://www.youtube.com/watch?v=8vWOaFPRXAo .

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Dopo le prevedibili ma sempre gradite Rosalita e 4th Of July, Asbury Park (Sandy) ecco il momento in cui lo show da grandissimo diventa leggendario: si parte con un raro omaggio ad Elvis con Wear My Ring Around Your Neck (suonata del Boss solo 14 volte in carriera), a cui fanno seguito i dieci fantastici minuti del Detroit Medley ed i nove di una commovente For You con Bruce da solo al pianoforte. Ma questo è solo l’antipasto, in quanto subito dopo arriva la classica When You Walk In The Room dei Searchers https://www.youtube.com/watch?v=qqJfsa1_wZg , una sontuosa Quarter To Three di Gary U.S. Bonds, i quasi undici minuti della sempre travolgente Twist And Shout ed un doppio tributo finale a Chuck Berry (ed al rock’n’roll) con Carol https://www.youtube.com/watch?v=dD7meTrv7YY  e Little Queenie. Un concerto che anche a distanza di 46 anni è in grado di mettere k.o. una mandria di tori, ed in più avrete la piacevole sensazione di rivivere in prima persona la nascita di un mito del palcoscenico. Alla prossima uscita, che riguarderà uno show newyorkese molto più recente (2009), ma con una notevole sorpresa in scaletta.

Marco Verdi

Il Modo Migliore E Più Economico Per Riscoprire Una Grande Band. Dire Straits – The Studio Albums 1978 – 1991

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Dire Straits – The Studio Albums 1978 – 1991 – Mercury/Universal 6CD Box Set

Nel 2013 era uscito un costosissimo cofanetto in vinile con i sei LP della discografia di studio dei Dire Straits, intitolato appunto The Studio Albums 1978-1991: ora quel box è stato ristampato, ma questa volta è stata pubblicata anche una versione in CD, che a differenza della controparte a 33 giri è veramente a buon mercato (sei CD a poco più del prezzo di uno), e presenta i sei album del gruppo britannico in confezioni vinyl replica con la veste grafica originale in una pratica confezione “clamshell”, senza bonus tracks e con la rimasterizzazione del 1996 (ma i dischi della band hanno sempre suonato benissimo), anche se io avrei aggiunto l’EP del 1982 ExtendeDancEPlay, che tra parentesi non è mai stato pubblicato in CD (*NDB Solo in un videoCD Laserdisc). L’occasione è quindi ghiotta per riascoltare l’opera omnia del gruppo fondato nel 1977 da Mark Knopfler, ex insegnante di inglese con un talento smisurato per la chitarra che negli anni si è creato uno stile personale, riconoscibilissimo e super imitato, grazie ad un fraseggio sublime e particolare dovuto all’uso della tecnica del fingerpicking invece del plettro (e al fatto che era un mancino che suonava come un destrorso).

Ma i Dire Straits erano comunque una grande band a prescindere dal loro leader, una delle migliori degli ultimi 45 anni, con un suono che coniugava uno stile laidback alla J.J. Cale ad un songwriting figlio di Bob Dylan, senza dimenticare la lezione dei pub rockers degli anni 70, il tutto riassunto in qualcosa di personale e identificativo. Un gruppo formidabile quindi, il cui primo nucleo era formato da Knopfler, suo fratello David alla chitarra ritmica, John Illsley (l’unico presente in tutte le configurazioni della band) al basso e Pick Withers alla batteria (vecchio batterista dei Primitives di Mal), e che ebbe grande successo fin dall’album d’esordio Dire Straits del 1978 ****1/2 (prodotto da Muff Winwood, fratello di Steve), nonostante fosse uscito in piena rivoluzione punk. Un disco magnifico ancora oggi, dal sound elegante e coinvolgente al tempo stesso, che deve gran parte della sua fortuna alla splendida Sultans Of Swing, una canzone rock trascinante che sarà sempre considerata la signature song di Knopfler, ricca dei fills di chitarra che diventeranno il marchio di fabbrica del nostro e con un assolo finale incredibile.

Down To The Waterline è nello stesso stile e solo di poco inferiore, mentre sia la countreggiante Setting Me Up che la sensuale ed insinuante Six Blade Knife sono brani di qualità eccelsa, come anche Water Of Love e le conclusive Wild West End e Lions. L’inatteso successo del disco (quinto posto in patria e addirittura secondo in USA) convince i nostri a rimettersi subito al lavoro per produrre un seguito, ma l’errore di base di Communiqué ***1/2 (1979) è di ricalcare troppo gli stilemi del suo predecessore, come se Mark e compagni non avessero voluto rischiare più di tanto, nonostante la produzione del leggendario binomio sudista Jerry WexlerBarry Beckett ed i famosi Compass Studios di Nassau, Bahamas, come luogo delle registrazioni.

Il problema è che i brani qui contenuti sono di qualità inferiore a quelli di Dire Straits (con la possibile eccezione dell’opening track, la raffinata Once Upon A Time In The West, che infatti diventerà un classico), e questo porterà l’album ad avere vendite discrete ma non eccelse. Comunque un buon disco, di piacevole ascolto, con diversi pezzi degni di nota come l’accattivante singolo Lady Writer (forse un po’ troppo simile a Sultans Of Swing), l’affascinante Where Do You Think You’re Going?, dotata di un ottimo crescendo finale, e le piacevoli Angel Of Mercy, Portobello Belle e Follow Me Home, quest’ultima decisamente influenzata da Cale.

All’inizio del 1980 David Knopfler, nel bel mezzo delle registrazioni del terzo album, abbandona il gruppo (che rimane momentaneamente un trio, con Mark che reincide anche le parti ritmiche del fratello): i nostri erano in studio con Jimmy Iovine, che all’epoca era il produttore “da avere”, e con il tastierista della E Street Band Roy Bittan, due scelte azzeccatissime in quanto Making Movies **** si rivela il disco più venduto del gruppo fino a quel momento, ma anche un lavoro eccellente in cui il suono della band assume toni più radio friendly ed anche più profondità grazie allo splendido lavoro di Bittan.

Grande merito va comunque alla strepitosa Tunnel Of Love, un tour de force di otto minuti che per chi scrive è il miglior brano di sempre del gruppo (il finale, con l’assolo di Mark doppiato dal pianismo liquido di Roy, è da antologia), ed alla popolarissima e toccante ballata Romeo And Juliet. Di notevole impatto anche Expresso Love, Skateaway, l’adrenalinica Solid Rock e la scanzonata e divertente Les Boys.

Ormai i Dire Straits sono una realtà mondiale, nonché tra i pochi gruppi dell’epoca che riescono a coniugare vendite copiose e musica di qualità: ancora meglio in classifica andrà Love Over Gold ***del 1982, che toccherà la prima posizione in tutte le principali nazioni nonostante una veste più sperimentale del solito (e con il gruppo che aggiunge ai tre membri fondatori il tastierista Alan Clark ed il chitarrista Hal Lindes).

Sì, perché il disco contiene solo cinque canzoni, tutte discretamente lunghe ed apparentemente senza singoli da classifica, ma all’interno si trovano due capolavori assoluti come Telegraph Road, un brano di quasi 15 minuti con una parte strumentale sublime ed una grande prestazione di Knopfler, e la geniale Private Investigations, un pezzo raffinatissimo con delle soluzioni musicali pazzesche ed un crescendo emozionante, che negli anni rimarrà uno dei brani più amati dai fans.

Chiudono Industrial Disease, la traccia più movimentata dell’album, la lenta e soffusa title track e It Never Rains, altro lungo pezzo sullo stile di Telegraph Road. Dopo un disco dal vivo deludente e poco rappresentativo degli show dei nostri (Alchemy ***, 1984), Knopfler e soci nel 1985 fanno il botto: Brothers In Arms ***1/2 è infatti un successo al di fuori di ogni previsione, un lavoro che va al primo posto letteralmente ovunque e che nel tempo arriverà a vendere ben trenta milioni di copie (ricordo quell’estate, era impossibile accendere la radio senza imbattersi prima o poi in un brano tratto dall’album).

Escono Withers (che non viene rimpiazzato con un batterista fisso) e Lindes ed entra Guy Fletcher come secondo tastierista, mentre alla produzione a fianco di Knopfler troviamo Neil Dorfsman. Come tutti i dischi di smisurato successo anche Brothers In Arms ha i suoi alti e bassi: se la trascinante Money For Nothing (composta e cantata con Sting) ha un intro emozionante ed uno dei più bei riff chitarristici di sempre e Walk Of Life è un rock’n’roll parecchio divertente, l’iniziale So Far Away è gradevole ma un filo troppo pop, e la sdolcinata Your Latest Trick non l’ho mai digerita molto.

In definitiva il brano migliore è l’epica ballad che intitola l’album, ma da non sottovalutare sono anche la deliziosa Why Worry e la bluesata The Man’s Too Strong. La lunga tournée seguita alla pubblicazione del disco lascia Knopfler, che già di suo è una persona timida e che non ama troppo la ribalta, stanco e forse spaventato dal troppo successo, e quindi per un intero lustro il gruppo viene messo in soffitta a favore di altri progetti come colonne sonore, l’eccellente disco del supergruppo The Notting Hillbillies e lo splendido album Neck And Neck, registrato con l’idolo di gioventù Chet Atkins 

Anzi, se fosse per Knopfler l’avventura dei Dire Straits sarebbe anche finita, ma la pressione dell’opinione pubblica e della casa discografica lo convincono a richiamare Illsley, Fletcher e Clark per un ultimo disco e tour. Ma On Every Street ***(1991), nonostante venda tantissimo più che altro sulla fiducia ed a causa dell’astinenza dei fans, è un lavoro tutto sommato deludente, l’anello debole della discografia dei nostri.

Non è un brutto disco (e risentito oggi forse guadagna mezzo punto), ma con un Knopfler svogliato che alterna buone canzoni a riempitivi di classe che sembrano però esercizi di stile fini a loro stessi. Se The Bug è un buon rock’n’roll che però sembra la fotocopia sbiadita di Walk Of Life, Calling Elvis (*NDB Zucchero ringrazia, e copia) e Heavy Fuel sono due rock songs qualunque, Iron Hand dice poco, Fade To Black è elegante e basta e Planet Of New Orleans è tirata troppo per le lunghe.

I pezzi migliori sono quelli in cui Knopfler introduce un certo suono country-rock (When It Comes To You, Ticket To Heaven, How Long) e soprattutto la bellissima title track, una ballata degna del passato del gruppo con una coda strumentale splendida. Dopo il tour (ed un altro live album poco riuscito, On The Night *** ), Knopfler manda definitivamente in pensione i Dire Straits per dedicarsi ad una carriera da solista che sarà ricca di soddisfazioni e tanta grande musica,

guardate il video sopra, una curiosità poco nota, lasciandoci però questi sei album che testimoniano un’epopea irripetibile e che oggi possiamo riascoltare con immutato piacere ad un prezzo davvero abbordabile.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Il Broadcast “Perso”…E Ritrovato! Bruce Springsteen & The E Street Band – Atlanta, September 30 1978

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Fox Theatre, Atlanta, GA 9/30/78 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

L’escalation di Bruce Springsteen come performer dal vivo si può riassumere brutalmente come segue: nel 1975 comincia a farsi notare come uno degli acts più coinvolgenti in circolazione, nel 1978 si crea la leggenda, che viene consolidata nel tour 1980-81 (forse il suo migliore di sempre), mentre nel 1984-85 il Boss “passa alla cassa” per riscuotere una popolarità ormai allargata a livello mondiale. E’ indubbio però che l’anno chiave della carriera live di Bruce sia il 1978, quello del tour di Darkness On The Edge Of Town, che vede il nostro e la sua E Street Band letteralmente, come avrebbe detto il grande Gianni Brera, in “erezione agonistica” durante tutto l’anno. La serie mensile di CD e download live del Boss finora ha dato parecchio spazio a questo fantastico tour con ben sette pubblicazioni, alle quali si aggiunge ora lo show del 30 settembre al Fox Theatre di Atlanta, che va anche a completare un’ideale collezione dei broadcast radiofonici usciti all’epoca, cinque in tutto (insieme ai mitici Roxy Theatre di Hollywood, Agora Ballroom di Cleveland e Capitol Theatre di Passaic, ed al leggermente meno noto show al Winterland di San Francisco).

Questa serata nel capoluogo della Georgia è abbastanza particolare, in quanto per anni è stata considerata come “the lost broadcast”, non perché i nastri fossero andati persi ma per uno stranamente scarso utilizzo e diffusione come bootleg, sia in vinile prima che in CD dopo. E’ quindi con particolare piacere che mi occupo oggi di questo show, dal momento che pure essendo meno famoso di quelli a Cleveland e Passaic non ha nulla da invidiare a loro in termini di intensità della performance, coinvolgimento di chi ascolta e perfezione nel suono (ed anche il missaggio, all’epoca affidato per il broadcast al noto produttore Jimmy Iovine, è perfetto). Quasi tre ore di grandissimo rock’n’roll e ballate sontuose quindi, come spesso è capitato in questa benemerita serie i cui responsabili vanno a scegliere i concerti migliori del Boss già negli anni meno “leggendari”, figuriamoci quando tocca al 1978 o 1980-81, che da qualunque parte scegli non sbagli. L’uno-due iniziale, formato da due travolgenti versioni del classico rock’n’roll Good Rockin’ Tonight e di Badlands, ci fa subito capire che la serata è di quelle giuste, ma Bruce mantiene alta la tensione con una vibrante Spirit In The Night di nove minuti e due ottime riletture di Darkness On The Edge Of Town e The Promised Land, inframezzate dall’allora inedita Independence Day in anticipo di due anni su The River ma già profonda e toccante.

A questo punto c’è forse la sequenza migliore della serata, formata da Prove It All Night (dodici minuti fantastici, con la strepitosa introduzione per piano e chitarra esclusiva di questo tour), Racing In The Street, Thunder Road e Jungleland, quattro canzoni magnifiche ulteriormente nobilitate dallo straordinario pianoforte di Roy Bittan, il cui tocco inconfondibile è in grado di innalzare qualsiasi brano e che quella sera è in particolare stato di grazia. Dopo un’inattesa Santa Claus Is Coming To Town (al 30 settembre…) i nostri improvvisano una breve e decisamente swingata, cover di Night Train di James Brown (figlio “adottivo” di Atlanta), qui nell’unica esecuzione della loro carriera; Fire è più sintetica e con meno cazzeggio del solito, Candy’s Room non mi ha mai fatto impazzire (ma è un mio problema), ma Because The Night è proposta in una maniera che definire trascinante è dire poco.

Dopo un’altra anteprima da The River, la drammatica Point Blank, Bruce improvvisa un notevole medley fra Not Fade Away di Buddy Holly, Gloria di Van Morrison e la sua She’s The One, ed a seguire ci delizia con un altro uno-due micidiale formato dalla sempre maestosa Backstreets e da una roboante Rosalita di 16 minuti. I bis di Born To Run e Tenth Avenue Freeze-Out sono preparatori al gran finale, con un Detroit Medley da favola, altri dieci minuti che da soli valgono gran parte del prezzo richiesto per il triplo CD; a chiudere abbiamo Raise Your Hand (Eddie Floyd), suonata quasi in souplesse dal momento che il pubblico non si è ancora ripreso dal medley precedente. Con la prossima uscita faremo un salto in avanti di ben trent’anni, uno Springsteen più maturo e forse appagato, ma sul palco sempre un numero uno.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Una Delle Migliori Serate Del “Reunion Tour”. Bruce Springsteen & The E Street Band – Philadelphia 1999

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Bruce Springsteen & The E Street Band – First Union Center, Philadelphia September 25, 1999 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Dopo essersi meritatamente conquistato la reputazione di formidabile performer dal vivo, Bruce Springsteen aveva deciso alla fine del tour del 1988 di sciogliere l’amata E Street Band, prendendosi una lunga pausa e gettando i fans nello sconforto. Era tornato nel 1992 con i due discussi album Human Touch e Lucky Town, e soprattutto per supportarli aveva deciso di usare un gruppo eterogeneo di musicisti che nulla aveva a che fare con il suo passato (a parte Roy Bittan), con il risultato di offrire prestazioni ben lontane da quelle leggendarie insieme ai suoi vecchi compagni. Il Greatest Hits uscito a inizio 1995, con gli E Streeters riuniti per i quattro brani nuovi, aveva ridato qualche speranza ai fans, ma il suo album successivo pubblicato alla fine dello stesso anno, The Ghost Of Tom Joad, vedeva di nuovo musicisti estranei al suo gruppo storico, e addirittura il Boss decise di promoverlo con una tournée acustica in completa solitudine.

Ci si cominciava dunque a chiedere se Bruce avesse ancora voglia (o fosse ancora in grado) di imbarcarsi in lunghi tour da rocker come una volta e con il gruppo “giusto”, e la risposta a queste domande arrivò nel 1999 quando finalmente il Boss riunì i suoi ex compagni (mettendo insieme per la prima volta sia Little Steven che il suo sostituto negli anni ottanta Nils Lofgren) per intraprendere una tournée di due anni che iniziò in Europa per proseguire tra fine anno e tutto il 2000 negli Stati Uniti, durante la quale il nostro dimostrò che i dubbi sulla sua capacità di entusiasmare ancora le folle erano assolutamente malriposti. Il live di cui mi occupo oggi, registrato il 25 settembre del 1999 a Philadelphia (l’ultimo di sei consecutivi al First Union Center), è considerato a ragione uno dei concerti migliori del periodo, con Springsteen in forma strepitosa sia dal punto di vista vocale che da quello della resa sul palco, e con la band in tiro come non si sentiva dal tour di Born In The U.S.A. Che la serata è di quelle giuste lo si capisce fin dal brano d’apertura, una formidabile, potente ed ispirata versione di Incident On The 57th Street, una canzone “antica” che Bruce non suonava dal vivo addirittura dal 1980 (ed anche all’epoca fu eseguita una sola volta in tutto il The River Tour), un pezzo che manda subito i fans in visibilio.

Non avendo un disco nuovo da promuovere i nostri spaziano poi tra i classici del songbook springsteeniano, con riletture da manuale di brani del calibro di The Ties That Bind (grande versione di una delle canzoni più coinvolgenti del Boss), Prove It All Night, Two Hearts, Atlantic City rigorosamente elettrica (da non perdere il boato del pubblico, vista la location, nel sentire i primi versi “They blew up the chicken man in Philly last night”), Badlands, Out In The Street, una Tenth Avenue Freeze-Out di ben 19 minuti nella quale Bruce assume il ruolo di predicatore rock, una Sherry Darling più gioiosa che mai; particolarmente belle e toccanti due rese della splendida Factory in versione molto più country che su disco (e se non vi commuovete all’ascolto, per dirla con Gigi Buffon, avete un bidone dell’immondizia al posto del cuore https://www.youtube.com/watch?v=GKiQ8QkF1dQ ) e della drammatica Point Blank. Sono presenti anche pezzi all’epoca recenti come l’elettrica e coinvolgente Murder Incorporated, una Youngstown trasformata in un selvaggio rock-blues e, visto il luogo del concerto, una bella resa della struggente Streets Of Philadelphia, che nei tour seguenti verrà ripresa pochissime volte; la prima parte della serata si conclude come era iniziata, e cioè con una monumentale rivisitazione di un pezzo appartenente agli esordi del Boss, nella fattispecie l’epica New York City Serenade.

Dopo la potentissima Light Of Day (che non ho mai amato più di tanto) e la sempre splendida Jungleland, lo show, finora da cinque stelle, cala un po’ nei bis. Intendiamoci, il gruppo è in serata di grazia e renderebbe imperdibile anche un brano di Tiziano Ferro, ma è la scelta delle canzoni che forse lascia in bocca un sapore un po’ di incompletezza: se Born To Run e Thunder Road è normale che ci siano, e la versione corale di If I Should Fall Behind è tipica di questo tour, forse il finale con l’allora nuova Land Of Hope And Dreams (non una grande canzone, ed anche troppo lunga) ed una seppur pimpante Raise Your Hand di Eddie Floyd https://www.youtube.com/watch?v=ZhIcXjmMLnU  (che da lì ad una decina d’anni verrà “retrocessa” a base strumentale quando Bruce a metà concerto scenderà tra il pubblico a raccogliere i cartelli con le richieste) manca dell’esplosività tipica di altri spettacoli del nostro, quando sarebbe bastato un bel Detroit Medley per portare anche il terzo CD al livello dei primi due.

Ma sono (forse) quisquilie da fan: lo show è per almeno due terzi imperdibile, ed è una più che adeguata aggiunta ad una serie di pubblicazioni che spero vada avanti ancora a lungo.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: L’Aria Di Casa Fa Sempre Bene! Bruce Springsteen & The E Street Band – Brendan Byrne Arena 1981

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Brendan Byrne Arena 1981 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Mi rendo conto che non è facile avere a che fare ogni mese con un album dal vivo di Bruce Springsteen e dover trovare nuovi aggettivi per descriverlo, dato che stiamo parlando del miglior performer di musica rock sulla faccia della terra e poi perché chi cura i suoi archivi live cerca sempre di scegliere per il meglio. A fianco quindi di concerti universalmente riconosciuti storici come Roxy 1975 oppure Agora Ballroom e Passaic 1978 spesso vediamo spuntare serate magari non così famose ma ugualmente spettacolari: è il caso per esempio della penultima uscita, Gothenburg 2012, show al quale nella recensione avevo attribuito un ipotetico punteggio di cinque stelle. Ebbene, a conferma che tutto è relativo, se al concerto in terra svedese di otto anni fa ho dato il massimo, per la performance di cui mi accingo a scrivere di stelle dovrei darne sei o sette.

Stiamo parlando infatti di una serata della tournée di The River del 1981 (il 9 luglio) alla Brendan Byrne Arena di East Rutherford in New Jersey, quindi il miglior tour di sempre del Boss (*NDB Confermo, io ero presente alla data all’Hallenstadion di Zurigo dell’11 aprile) assieme a quello del 1978, in una location “casalinga” nella quale il nostro è sempre stato portato a dare qualcosa di più. Il concerto, poco meno di tre ore, è quanto di più vicino ci sia alla perfezione, con il nostro e la sua E Street Band che riescono a mantenere la performance su livelli di assoluta eccellenza dalla prima all’ultima canzone ed una scaletta decisamente spostata sul lato rock’n’roll, anche se quando è il turno delle ballate i brividi e la pelle d’oca si sprecano. Già l’inizio, con una delle migliori Thunder Road mai sentite, è commovente (ci si può commuovere fin dalla prima canzone? In un concerto di Springsteen sì), ma poi abbiamo un uno-due al fulmicotone con Prove It All Night (grande assolo di chitarra) e The Ties That Bind, seguite dalla sempre splendida Darkness On The Edge Of Town. Dopo una versione quasi a cappella di Follow That Dream di Elvis ed una struggente Independence Day con tanto di dedica da parte di Bruce a suo padre, abbiamo due scintillanti Two Hearts e The Promised Land seguite da una folkeggiante e lenta ripresa dell’inno americano non ufficiale This Land Is Your Land, preceduto da un’invettiva del nostro verso un idiota del pubblico che ha fatto scoppiare un petardo (“Se lo individuate, buttatelo fuori a calci”) e dal capolavoro The River.

Dopo una maestosa Trapped di Jimmy Cliff ecco il momento più rock’n’roll della serata, con una sequenza da lasciare senza fiato che vede una dopo l’altra Out In The Street, Badlands, You Can Look (But You Better Not Touch), Cadillac Ranch e Sherry Darling. Dopo il consueto singalong di Hungry Heart Bruce dà il colpo di grazia al pubblico, invitando sul palco Gary U.S. Bonds e cantando con lui la travolgente Jole Blon e lasciandogli il microfono per una scoppiettante This Little Girl (brano scritto dal Boss). Ancora due toccanti ballate (l’inedita Johnny Bye-Bye e Racing In The Street) subito doppiate da due esplosive riletture di Ramrod e Rosalita; i bis, oltre ad una immancabile Born To Run, ci regalano due favolose versioni di Jersey Girl di Tom Waits (che il nostro non manca mai di eseguire quando si esibisce nel suo stato di nascita) e di Jungleland, che vede la solita prestazione strepitosa di Roy Bittan. Il finale, con un eccezionale Detroit Medley di un quarto d’ora, riesce a stendere i pochi spettatori ancora in piedi.

Altro concerto imperdibile quindi (cominciano ad essere tanti): il prossimo episodio dovrebbe farci tirare un po’ il fiato, in quanto vedrà Bruce sul palco come protagonista solitario in una serata svedese del 2005.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Una Serata “Normale” Per Il Boss…Quindi Eccellente! Bruce Springsteen & The E Street Band – Nassau Coliseum 05.04.09

bruce springsteen nassau coliseum 2009

Bruce Springsteen & The E Street Band – Nassau Coliseum 05.04.09 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Spesso le pubblicazioni dei concerti del passato tratti dagli archivi di Bruce Springsteen (che sono da tempo diventati una piacevole abitudine mensile) si sono occupate di serate storiche: penso soprattutto a certi show degli anni settanta come quelli all’Agora Ballroom di Cleveland o al Capitol Theatre di Passaic, ma anche degli eighties come il fantastico live del 1985 a Los Angeles, fino al nuovo millennio con gli ultimi spettacoli con Danny Federici e Clarence Clemons all’interno della E Street Band prima che lasciassero questa valle di lacrime. La penultima uscita prende invece in esame una serata “normale”, nel senso che non presenta particolari connotati storici, e cioè lo show del quattro maggio 2009 al Nassau Coliseum, che non è alle Bahamas ma a Uniondale nello stato di New York (già teatro di due concerti ben più leggendari a fine dicembre 1980, entrambi documentati in uscite precedenti) nell’ambito del tour seguito all’album Working On A Dream, invero uno dei dischi più deboli del Boss.

Il nostro forse all’epoca si era reso conto che il livello di quel lavoro era sotto i suoi standard abituali (avrebbe fatto anche peggio anni dopo con High Hopes), e non insisteva più di tanto a riprenderne i brani nella setlist, e quindi gli show erano una sorta di retrospettiva sulla sua carriera. Ed il tour (che va ricordato è l’ultimo con Clemons) vide alcune performance davvero eccellenti da parte del Boss e dei suoi compagni, dato che anche una serata normale per loro è inarrivabile per il 90% degli acts mondiali: io ho visto Bruce dal vivo dieci volte nella mia vita, ma lo show allo Stadio Olimpico di Torino il 21 luglio di quell’anno lo ricorderò sempre come uno dei più belli, a partire dal saluto iniziale del Boss in dialetto piemontese…Anche la prestazione dei nostri in questo triplo CD (o download se preferite) è davvero notevole, a partire dall’avvio subito trascinante con le splendide Badlands e No Surrender, seguite da due estratti da Working On A Dream (inframezzati da una solida She’s The One), cioè l’epica cavalcata di Outlaw Pete, un brano che dal vivo funziona alla grande (e che risentito oggi sembra una anticipazione dello stile di Western Stars), e la title track che invece giudico una canzonetta piuttosto debole. Dopo un uno-due a tutto rock’n’roll con la rara Seeds ed una travolgente Johnny 99 è la volta della magnifica The Ghost Of Tom Joad, sempre una grande canzone anche in questa veste elettrica con Nils Lofgren protagonista alla chitarra; si prosegue con le richieste, il momento in cui Bruce raccoglie i cartelli fra il pubblico mentre il gruppo suona Raise Your Hand.

In quella serata abbiamo una chicca assoluta, cioè l’unica volta in cui i nostri hanno suonato Expressway To Your Heart, un errebi che è stato una hit minore per i Soul Survivors nei sixties (scelta che dimostra la preparazione infinita dei nostri), seguito dalla cristallina For You e dall’irresistibile Rendezvous, per chiudere il mini-set delle richieste con la splendida Night. La seconda parte dello show alterna classici del passato (The Promised Land, Born To Run) con altri più recenti, veri crowd-pleasers come Waitin’ On A Sunny Day, Lonesome Day e le trascinanti The Rising e Radio Nowhere; in mezzo, la migliore canzone di Working On A Dream (The Wrestler, una ballata da brividi) seguita da Kingdom Of Days, discreta ma nulla più. I bis inizano con un altro highlight, una stupenda versione full band elettrica del noto traditional Hard Times (Come Again No More) subito doppiato dall’eccezionale Jungleland, uno dei pezzi che senza Roy Bittan non avrebbe senso suonare. Dopo Land Of Hope And Dreams (che non ho mai amato molto), finale da “tutti in piedi” con una delle migliori American Land mai sentite e due classici come Dancing In The Dark e Rosalita.

Alla prossima uscita, che per la quarta volta da quando è iniziata questa serie si occuperà di un concerto del tour di Tunnel Of Love.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Un Doppio Boss, “Californiano” E Pre-Natalizio, Spettacolare! Bruce Springsteen & The E Street Band – Winterland 1978, December 15 & 16

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Winterland 12/15/78 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Bruce Springsteen & The E Street Band – Winterland 12/16/78 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Nel mese di gennaio da poco trascorso è mancata la solita uscita mensile dagli archivi live di Bruce Springsteen (pare per problemi tecnici), ma la media è stata comunque rispettata in quanto appena prima di Natale sono stati pubblicati ben due live in contemporanea, e non certo due serate qualsiasi. Ormai si sa che la tournée del 1978 è stata una delle più celebrate del Boss, con almeno due concerti che sono entrati di diritto tra le migliori esibizioni di sempre in assoluto e di chiunque (Agora Ballroom a Cleveland e Capitol Theatre a Passaic, entrambe già pubblicate in questa serie), ma lo show del 15 dicembre al Winterland di San Francisco se non è allo stesso livello di leggenda poco ci manca. Uno spettacolo straordinario e più volte “bootlegato”, che vede il Boss e la sua E Street Band rivoltare come un calzino l’ex palazzetto di pattinaggio sul ghiaccio riconvertito dal mitico impresario Bill Graham a luogo per concerti, e che negli anni ha visto esibirsi al suo interno la crema della musica mondiale e la pubblicazione di famosi album dal vivo in esso registrati, totalmente o in parte (Wheels Of Fire dei Cream, Live At Winterland sia di Jimi Hendrix che di Janis Joplin, vari live dei Grateful Dead, Frampton Comes Alive, On Stage di Loggins & Messina, fino al farewell show di The Band The Last Waltz).

La serata del 16 invece è molto meno famosa se non nell’ambito degli springsteeniani più ferventi, ma conoscendo un po’ il Boss è facile immaginare che il livello della performance non sia affatto inferiore: anzi, molto spesso il nostro quando ha due concerti di fila nella stessa location dà il meglio nella seconda serata. Non so se questo sia il caso anche degli show del Winterland, ma quello che posso dire è che, dopo averli ascoltati uno dopo l’altro, non è che abbia trovato chissà quali differenze a favore della serata del 15 (anzi, se proprio devo essere sincero il secondo concerto ha un inizio perfino più coinvolgente). Il primo dei due spettacoli inizia subito in maniera roboante con la prima parte, nella quale su dieci brani ben sette provengono da Darkness On The Edge Of Town (cioè quello che all’epoca era il nuovo album del Boss), con superbe versioni di Badlands (che apre alla grande lo show), Streets Of Fire, la title track, toccanti riletture di Factory e Racing In The Street e forse la migliore Prove It All Night mai sentita, con una lunga e strepitosa introduzione strumentale tipica di quel periodo.

Troviamo poi la sempre sanguigna Spirit In The Night, un’emozionante Thunder Road (non ancora nei bis) ed una straordinaria Jungleland, che vede la solita monumentale prestazione pianistica di Roy Bittan. La seconda parte offre diverse chicche, come la gioiosa Santa Claus Is Coming To Town (che Bruce suona ancora oggi nei concerti pre-natalizi), due anteprime da The River come una The Ties That Bind leggermente diversa da come diventerà ma comunque splendida ed una drammatica ed intensissima Point Blank; non sono da meno la sempre trascinante Because The Night, l’inedita (ma già amatissima dal pubblico) The Fever, raffinata e suonata con grande classe, ed un medley in cui la Mona di Bo Diddley e la She’s The One del Boss sono collegate dalla rarissima Preacher’s Daughter, una outtake di Darkness a tutt’oggi ancora “unreleased” (non un brano imperdibile comunque). Nella parte finale, oltre alle immancabili Rosalita, Born To Run e Tenth Avenue Freeze-Out, abbiamo una Backstreets da urlo, nuovamente con “Professor” Bittan sugli scudi, ed il solito irresistibile Detroit Medley; finale tra rock’n’roll ed errebi con due impetuose versioni di Raise Your Hand di Eddie Floyd e Quarter To Three di Gary U.S. Bonds.

La serata del 16 ha una scaletta abbastanza simile alla precedente, ma vede in apertura una scatenata cover di Good Rockin’ Tonight (Elvis) e, subito dopo Badlands, l’inedita e travolgente Rendezvous; ancora due pezzi in anteprima da The River, e se Point Blank rimane in setlist The Ties That Bind è rimpiazzata da una struggente e bellissima Independence Day. Il resto è praticamente uguale, anche se dai bis rispetto alla sera prima manca Raise Your Hand (ma il Detroit Medley del 16 è forse ancora più trascinante): l’unica differenza, e non da poco, è una fluida e lucida rilettura di It’s Hard To Be A Saint In The City, decisamente trasformata rispetto alla versione originale. Appuntamento alla prossima uscita, che prenderà in esame un concerto molto interessante e con una scaletta piena di sorprese, anche se proveniente da uno dei tour meno considerati del nostro: quello di Working On A Dream.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Tutti Insieme Di Nuovo Nel Nome Del Rock’n’Roll! Bruce Springsteen & The E Street Band – Los Angeles 1999

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Los Angeles, October 23 1999 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Uno degli eventi dal vivo più importante degli anni novanta è stato senza dubbio il Reunion Tour del 1999/2000 di Bruce Springsteen & The E Street Band, dopo ben undici anni di assenza dalle scene, periodo nei quali il Boss aveva girato soltanto con la famigerata “Other Band” nella tournée di supporto agli album Human Touch e Lucky Town ed in totale solitudine in seguito a The Ghost Of Tom Joad: in entrambi i casi i commenti erano stati contrastanti, ma c’era unanimità nel riconoscere che a Bruce mancava tantissimo la “sua” band. Un primo riavvicinamento c’era stato nel 1995 con i quattro pezzi nuovi incisi per il Greatest Hits, ma la molla decisiva pare sia stata la compilazione da parte del rocker di Freehold del box quadruplo Tracks, nel quale trovavano posto molte canzoni inedite registrate con i suoi ex compagni. La macchina si era rimessa quindi in moto nel 1999, con il gruppo tirato a lucido e per la prima volta con sia Little Steven che Nils Lofgren contemporaneamente sul palco (il secondo aveva infatti sostituito il primo a metà anni ottanta), e Bruce che ricominciava ad affrontare platee numerose con rinnovata grinta ed energia.

Non c’era un album da promuovere (fatto più unico che raro per il Boss), e così ogni serata diventava una celebrazione del passato dell’artista, con scalette che riproponevano pochi brani tra quelli recenti ma in maggior parte i classici che tutti volevano risentire suonati come Dio comanda. Il concerto di cui mi occupo oggi, penultima uscita all’interno degli archivi live di Springsteen, documenta la serata del 23 Ottobre 1999 allo Staples Center di Los Angeles, ed è considerato dai fans uno degli show più belli ed intensi di quella tournée lunga due anni (NDM: questo è il terzo spettacolo del Reunion Tour ad essere pubblicato nella serie, dopo New York 2000 e Chicago 1999). Inutile dire che Bruce è in forma strepitosa, ed il gruppo non è certo da meno e rilascia una performance tra le più solide che ho sentito all’interno di queste uscite mensili: le setlist in quel tour avevano delle parti fisse ed altre “intercambiabili”, con diverse chicche suonate ogni sera (particolare strano, in questo concerto californiano non viene eseguito nessun pezzo da Born In The U.S.A., fatto piuttosto inusuale dato che stiamo parlando di uno dei dischi più amati dai fans).

Dopo una partenza scintillante con la rara Take’em As They Come, una outtake di The River pubblicata su Tracks, i nostri si lanciano in una serie di brani che nella prima parte attingono esclusivamente da Darkness On The Edge Of Town (la title track, The Promised Land in una delle migliori versioni mai sentite, una splendida Factory, una Adam Raised A Cain dalla notevole foga chitarristica e la sempre trascinante Badlands) e da The River (The Ties That Bind, Two Hearts, la toccante Independence Day ed una super-coinvolgente Out In The Street), con le uniche eccezioni delle recenti Youngstown, molto più elettrica e tesa che in studio e con grande assolo finale di Lofgren, e della travolgente Murder Incorporated, con Bruce, Nils e Steve che incrociano le chitarre come se fossero spade. Una torrenziale Tenth Avenue Freeze-Out di venti minuti, durante i quali Bruce infila una lunghissima presentazione della band con toni da predicatore gospel, precede la fase più emozionale dell’intera serata, con il nostro che regala al pubblico una straordinaria e struggente Incident On 57th Street, un’inattesa e pimpante For You che precede l’intensa The Ghost Of Tom Joad.

Ma soprattutto un uno-due dal pathos incredibile che inizia con una fantastica The Promise che vede Bruce da solo al pianoforte (per la prima volta dal 1978) ed una Backstreets splendida come sempre, grazie anche al tocco magico di Roy Bittan. Si riprende a tutto rock’n’roll con una potentissima Light Of Day di undici minuti, seguita a ruota dall’irresistibile Ramrod e dai superclassici Born To Run e Thunder Road. C’è ancora spazio per una tenue If I Should Fall Behind, in cui ogni membro “cantante” della band ha a disposizione una strofa, e per l’allora nuova Land Of Hope And Dreams (che sinceramente non mi ha mai fatto vibrare più di tanto): finale a sorpresa con una rara esecuzione di Blinded By The Light, che in questa nuova rilettura brilla particolarmente e chiude degnamente un concerto davvero bellissimo. Nel prossimo episodio troveremo Bruce in una veste sonora completamente diversa, ed anche molto più vicino a casa.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Lo Show Più Leggendario Del Boss, Finalmente Ufficiale! Bruce Springsteen & The E Street Band – Passaic, NJ September 19, 1978

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Passaic, NJ September 19, 1978 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Credo che non ci siano discussioni sul fatto che il bootleg più famoso della storia, oltre che il primo in assoluto ad essere pubblicato, sia Great White Wonder di Bob Dylan, uscito nel 1969 e con all’interno outtakes dei primi album di Bob unite a pezzi degli allora inediti Basement Tapes. Penso però ci siano ancora meno dubbi su quello che viene subito dopo in termini di popolarità, e cioè Piece De Resistance di Bruce Springsteen, un triplo LP che documentava il fantastico concerto che il Boss e la sua E Street Band tennero il 19 Settembre del 1978 al Capitol Theatre di Passaic, nel New Jersey, la prima di tre serate consecutive nella location situata a poche miglia dalla hometown di Bruce. All’epoca non c’era internet, e siccome il nostro non pubblicò un album dal vivo ufficiale fino al box del 1986 Live 1975-85 (peraltro abbastanza deludente), l’unico modo per capire com’era un suo concerto era andarlo a vedere dal vivo oppure comprare un bootleg (anche se qualche show veniva trasmesso per radio, ed uno fu proprio questo di Passaic), e Piece De Resistance è a tutt’oggi il disco pirata più venduto di sempre per quanto riguarda Springsteen.

Ma il concerto in questione non riveste un’importanza fondamentale solo per questo, ma bensì perché è a detta un po’ di tutti lo show più leggendario di sempre del nostro, più ancora per esempio di quelli comunque mitici al Roxy nel 1975 o all’Agora Ballroom sempre del 1978. Il Boss nel corso della sua lunga carriera ha tenuto centinaia di concerti formidabili, ma la perfezione assoluta della serata del 19 Settembre 1978 forse non è stata mai toccata né prima né in seguito, ed è quindi con grande giubilo che ho accolto questa ultima uscita degli archivi live ufficiali di Bruce, che ripropone proprio la prima data di Passaic con una pulizia sonora che i precedenti bootleg non avevano mai avuto (il mio giubilo è dovuto anche al fatto che non ho mai volutamente comprato il bootleg di questo show, confidando appunto nel fatto che prima o poi sarebbe stato pubblicato in forma ufficiale, e quindi lo ascolto ora per la prima volta). Un antipasto ci era già stato dato con una delle uscite precedenti della serie https://discoclub.myblog.it/2018/02/25/lo-springsteen-della-domenica-una-delle-serate-che-hanno-creato-la-leggenda-del-boss-bruce-springsteen-the-e-street-band-capitol-theatre-passaic-nj-september-20th-1978/ , che documentava la serata del 20 Settembre, anch’essa grandissima ma che non raggiungeva i vertici di perfezione del 19: uno spettacolo da brividi, di assoluta potenza e con i nostri che intrattengono il pubblico per tre ore filate di rock’n’roll come poche altre volte si è sentito su di un palco, senza una benché minima sbavatura e con un’urgenza ed una rabbia agonistica da pelle d’oca.

La scaletta non riserva molte sorprese, ma è l’intensità della performance a fare la differenza e, credetemi, è molto difficile trasmettere a parole le sensazioni che si provano ascoltando questo triplo CD. L’album nuovo all’epoca era Darkness On The Edge Of Town, dal quale vengono suonati sette pezzi su dieci, tra cui i due che aprono il concerto: la più bella Badlands mai sentita, decisamente trascinante e potente, ed una sanguigna Streets Of Fire con annesso micidiale assolo chitarristico. La title track e The Promised Land non potevano mancare , così come una vibrante Candy’s Room e la splendida e toccante Racing In The Street. Ma uno degli highlights della serata è senz’altro una strepitosa Prove It All Night dalla lunga introduzione strumentale dominata da piano e chitarra, con una tensione elettrica che cresce in maniera incredibile fino al famoso riff che introduce la canzone vera e propria. Da Born To Run ne vengono proposte addirittura otto su nove (manca solo Night), con la particolarità di una She’s The One unita in medley con Not Fade Away di Buddy Holly, un’intensissima Jungleland e soprattutto una straordinaria Backstreets, che è già di suo una grande canzone ma qui forse trova la sua versione definitiva.

E poi c’è Thunder Road che è quasi meglio che in studio, e risulta sempre commovente. Quattro brani vengono dai primi due album di Bruce, a partire da una Spirit In The Night molto energica e piuttosto sintetica (ma sono pur sempre sette minuti), la struggente 4th Of July, Asbury Park (Sandy), da lucciconi agli occhi, una lunga ed esplosiva Rosalita di un quarto d’ora e specialmente una grandiosa Kitty’s Back di uguale durata, assolutamente un altro dei tanti momenti magici di una serata speciale, con un formidabile Roy Bittan. Detto della sempre divertente Fire e della grandissima Because The Night (in quel periodo molto popolare dato che la versione di Patti Smith era uscita da pochi mesi), troviamo anche due pezzi in anticipo di due anni su The River, e cioè l’intensa Independence Day ed una Point Blank già drammatica e dal pathos considerevole. Finale con un Detroit Medley travolgente come non mai, nove minuti di rock’n’roll all’ennesima potenza che dà il colpo di grazia a quelli del pubblico ancora in piedi, e con una festosa rilettura del classico di Eddie Floyd Raise Your Hand.

Mi rendo conto di avere usato quasi tutti gli aggettivi presenti sul vocabolario, ma dovete credermi se vi dico che concerti come questo in cento anni si contano sulle dita di una mano (vabbé facciamo due).

Marco Verdi