“Sentieri Selvaggi” ! Gathering Field – Wild Journey

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Gathering Field – Wild Journey – Wild Journey Records

Tornano dopo due anni dall’album live tratto da una occasionale reunion (recensito come sempre puntualmente su queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/2011/09/16/occasioni-mancate-occasioni-ritrovate-gathering-field-live-1/), quando già si cominciava a pensare che la loro carriera ventennale fosse ormai giunta al termine: in effetti questo Wild Journey è il primo disco in studio da una dozzina d’anni a questa parte, ma i pochi che li conoscono credo che non si siano certamente dimenticati come i Gathering Field fossero bravi. Il gruppo originario di Pittsburgh, come i “compagni di merenda” Rusted Root (anche loro tra i miei preferiti, ma sicuramente non fanno lo stesso genere), è una rock-band di formazione classica, solida e ben modellata, che vive come sempre sulle composizioni del leader Bill Deasy e sulla chitarra e il piano di Dave Brown, ben coadiuvati dal basso di Eric Riebling, dalla batteria di Ray DeFade, dalle tastiere di John Burgh e con il nuovo membro Clark Slater aggiunto alla seconda voce; il risultato sono dodici brani di roots-rock classico, con qualche spruzzata di country https://www.youtube.com/watch?v=xl7mDqmfHvo .

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I sentieri cominciano a dipanarsi con l’iniziale Wild Journey, una ballata elettrica dalla melodia avvincente, a cui fanno seguito le ritmate Something Holy e When Hearts Go Cold, entrambe con un bel lavoro delle chitarre, mentre la pianistica Brooklyn Honey è più introversa, molto rilassante e cantata alla meglio dalla voce profonda e calda di Deasy. Si riparte con il “groove” più ritmato di Never Gonna Let It Go e l’incedere country di Love No Longer, la fiera accattivante melodia di Not Ready Yet,  e la tambureggiante elettro-acustica Days Fly Away. Con Rough Landing si viaggia dalle parti della Dave Matthews Band, seguita dalla splendida Wild Summer Wind, grande “ballad” elettrica cantata e suonata con trasporto (la canzone migliore di tutto il disco per il sottoscritto), arrivando a concludere il viaggio con la melodia struggente di Disassemble, un bellissimo brano (con un piano limpidissimo) dal testo molto malinconico, e con la bucolica Learning To Stay dall’andamento country-western.

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I Gathering Field sono la classica band americana con un suono vicino alle radici del grande rock, e Wild Journey è un lavoro composito, ben strutturato, pieno di solide ballate elettriche nella grande tradizione della canzone d’autore a stelle e strisce (Mellencamp, Dylan, Springsteen), perché in fondo questi sono i grandi “eroi” di Deasy e Brown, ed il suono della band inevitabilmente risente di questo retaggio.

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Per questo finale di annata un lavoro da non sottovalutare (se lo avessi sentivo prima sarebbe entrato nella mia “listina” dei Top), un disco maturo e musica di qualità per una band che aspetta solo, come un regalo di Natale a sorpresa (ma anche per la Befana,o quando volete, visto la non facile reperibilità), di essere conosciuta come merita dagli appassionati del rock americano.

Consigliato!

Tino Montanari

Dal “Movimento” Rock Creativo Americano I Rusted Root!

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*NDB. Oggi tripla razione, visto che tutti collaboratori del Blog hanno prodotto, la parola a Tino!

Rusted Root – The Movement – Shanachie Records 2012

Ho scoperto i Rusted Root nel lontano ’95, dopo avere ascoltato lo splendido When I Woke, e da allora è stato un amore (musicale) incondizionato, per una delle formazioni più creative ed originali emerse negli anni ’90. Provengono da Pittsburgh e il loro suono è uno strano miscuglio di rock e musica etnica con influenze africane, orientali, latino americane e indiane (nel senso di pellerossa), che si sviluppa in una musica acustica,ma non solo, aggressiva ed avvolgente nello stesso tempo, e da una voce che spesso richiama quella di David Byrne nel modo di cantare (ma anche Dave Matthews), questo in estrema sintesi lo stile dei Rusted Root. La band ha esordito con Cruel Sun (92) un lavoro autoprodotto, il disco ha venduto più di ventimila copie e, come in molti casi simili per i gruppi emergenti, si sono creati un fortissimo seguito di pubblico. La consacrazione arriva con il citato When I Woke (94) che arriva a superare il milione di copie, cui faranno seguire Remember (96), l’omonimo Rusted Root (98), un interlocutorio Welcome To My Party (2002), il notevole Live (2005) e  Stereo Rodeo (2009).

L’attuale “line-up” del gruppo, oltre ai membri storici, è incentrata sulla chitarra e sulla vocalità di Michael Glabicki, sulle scariche percussive e sul controcanto di Liz Berlin e sul basso di Patrick Norman, si avvale anche di Preach Freedom batteria e percussioni, Colter Harper alle chitarre e percussioni e del bravissimo Dirk Miller al banjo, più una schiera di  altri musicisti idonei al progetto.

I primi due brani Monkey Pants e Cover Me Up, sono dei classici dei Rusted Root con il ritmo stabilito dalla batteria di Freedom e dalle percussioni di Harper. The Movement è uno splendido brano dalle sonorità africaneggianti, con le armonie vocali di Lucy Stone e Liz Berlin in particolare evidenza, mentre la seguente In Our Sun è una canzone interessante e sperimentale, che si sviluppa su un ritmo tribale.

Fossil Man, dall’inizio acustico caratterizzato da fraseggi di chitarra, è una ballata piena di atmosfera cantata al meglio da Michael e l’uso delle voci in sottofondo è intrigante, per un brano splendido e solare. Si cambia ancora ritmo con Fortunate Freaks e Sun And Magic un viaggio esaltante nelle percussioni con l’apporto del banjo di Miller, cui segue una Up And All Around giocata sui suoni, con stacchi brevi e percussioni sparse. Si chiude con Something’s On My Mind una ballata commovente, con  una azzeccata scelta di ritmo e melodia, un binomio sicuramente vincente nelle composizioni del “leader” Michael Glabicki.

Con The Movement, i Rusted Root tornano con forza e convinzione a quel suono unico, energico e spettacolare (ancora oggi attuale), vicino e collaterale ma diverso dalle jam band,  che li ha accompagnati con successo attraverso la decade degli anni ’90, un “sound” fluido e creativo, un “collage” di vari stili che mischia ad arte ritmo e melodia, in cui la voce modulata di Michael si trova perfettamente a suo agio. Chi già conosce e ama la musica dei Rusted Root, sa cosa fare, per tutti gli altri, non posso fare altro che consigliarvi di scoprire una delle migliori Band del panorama musicale Americano.

Tino Montanari   

Novità Di Ottobre Parte IV. Mick Hucknall, Tracey Thorn, Madness, Strawbs, Rod Stewart, Macy Gray, Toby Keith, RNDM, Rusted Root, Blegvad & Partridge, Cheryl Wheeler, Cheap Wine, Greg Brown

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Prima di parlare delle altre novità in uscita il 30 ottobre, un breve riassunto su conferme e slittamenti. Il cofanetto da 63 CD di Johnny Cash è stato definitivamente spostato al 4 dicembre, mentre il Velvet Underground And Nico esce il 6 novembre nelle versioni normali e Deluxe doppia e il 13 novembre (almeno in Italia) nella versione sestupla Super Deluxe. Sempre per il mercato italiano il box di Sandy Denny The Words and Notes viene spostato al 6 novembre. Confermate le uscite del cofanetto retrospettivo di Joni Mitchell, del nuovo Black Country Communion, di Psychedelic Pill, il doppio di Neil Young con i Crazy Horse e ora parliamo di quelli non ancora trattati sul Blog e un paio che erano sfuggiti.

Mick Hucknall aveva già pubblicato un album a nome proprio anziché utilizzare la sigla Simply Red, per il disco Tribute To Bobby, un CD+DVD uscito nel 2008 che omaggiava la musica di Bobby “Blue” Bland, meglio del solito rispetto alla produzione degli ultimi anni ma non particolarmente memorabile, ora ci riprova con questo American Soul, pubblicato dalla Rhino, che riprende alcuni dei super classici della musica nera americana, That’s How Strong My Love Is, I’d Rather Go Blind, Lonely Avenue, Tell It Like It Is, I Only Have Eyes For You (questa non mi sembra proprio soul, anche se i primi a farla diventare un successo sono stati i Flamingos, un gruppo di Doo-wop, poi l’hanno cantata Garfunkel, Carly Simon, Rod Stewart e prima l’aveva fatta pure Sinatra), Don’t Let me Be Misunderstood (lanciata da Nina Simone ma poi nota anche in molte versioni rock, in primis quella degli Animals). Non l’ho ancora sentito per cui spero non sia simile ai dischi della serie del Great American Songbook del citato Stewart, che erano delle palle terribili, di cui fra poco (ma dalla breve preview in video non sembrerebbe).

Sempre a proposito di “black music,” Macy Gray, con la produzione di Hal Willner, ripropone l’intero album Talking Book di Stevie Wonder, in una nuova versione targata 2012 per la 429 Records/Verve. Dopo Covered di qualche tempo fa, è il secondo disco di covers della riccioluta artista americana. Questo l’ho sentito brevemente e non mi sembra male, anche se l’originale era meglio, comunque un disco con You Are The Sunshine Of My Life, Superstition (peraltro rallentatissima e quasi irriconoscibile, ma con un bel arrangiamento di Willner, sempre geniale), Blame It On The Sun, I Believe (When I Fall In Love…) e tutto il resto, non può essere brutto.

I Madness ci danno lezioni linguistiche con Oui Oui Si Si Ja Ja Da Da, etichetta Lucky 7/Cooking Vinyl. C’è una My Girl 2 e variazioni sui loro temi classici ma non si sembra da strapparsi i capelli.

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Dopo tutti i discorsi, nei mesi scorsi, sul nuovo disco di Rod Stewart, alla fine esce un disco di canzoni Natalizie, ma proprio di quelle super famose, sentite mille volte, ma per chi scrive anche questo, come gli ultimi dischi di Rod The Mod (una volta) è una delusione e una palla tremenda. Arrangiamenti soporiferi a cura di David Foster, duetti con Mary J. Blige (che sarebbe anche brava), Cee Lo Green e uno “virtuale” con la defunta Ella Fitzgerald. Poteva mancare in questo Merry Christmas Baby, Verve/Universal, un bel duetto con Michael Bublé? Certo che no (godo come un riccio morto)! E probabilmente il disco venderà milionate di copie ma non c’è limite al peggio, dopo l’ultimo duetto citato, ho mollato il disco e sono passato ad altro. Ridateci i Faces!

E, in teoria, non sarei neppure contrario ai dischi natalizi per principio. Anche se quando ho letto i titoli dei brani del nuovo disco di Tracey Thorn, Tinsel And Lights, e mi sono reso conto che l’album era uno di quelli che loro chiamano “stagionali”, ho paventato il peggio e non volevo neppure dargli una ascoltatina, visto che gli ultimi dischi solisti della ex Everything But The Girl non mi avevano entusiasmato, ma in virtù delle ottime ristampe della Edsel del vecchio catalogo, mi sono detto, proviamo. E volete sapere una cosa? E’ proprio bello, se dovete comprare un disco natalizio quest’anno rivolgetevi con fiducia a questo. Tracey Thorn ha ancora una bella voce, quasi da ventenne, gli arrangiamenti sono molto eleganti, niente elettronica e dance e soprattutto la scelta delle canzoni è ottima e inconsueta. Oltre a due brani nuovi scritti per l’occasione da lei stessa, i brani vengono dal repertorio di Stephin Merritt (Magnetic Fields), Ron Sexsmith, Jack White (In The Cold Cold Night, un brano dei White Stripes), Snow di Randy Newman, Snow In Sun di Green Gartside (ovvero Scritti Politti, che fa una breve apparizione), River di Joni Mitchell e brani anche dei Low e di Sufjan Stevens. Una piacevole sorpresa, su Merge Records.

Continuano le ristampe dei dischi degli Strawbs sulla loro etichetta, la Witchwood Records, questa volta è il turno dell’ultimo disco che avevano registrato negli anni ’70, 1977 per la precisione. Si tratta di Deadlines, che aveva fatto una breve apparizione in CD per la One way a metà anni ’90, con un suono non rimasterizzato. Questa volta il disco ha il suo bel remaster e per gradire, come al solito nelle loro ristampe, ci sono ben 11 tracce bonus in questa nuova versione. Ovviamente riservato ai fans, tra cui mi onoro di essere, in virtù della indimenticabile voce di Dave Cousins, come spesso ricordato in questo Blog.

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Altri tre dischi “inconsueti”.

Gli RNDM (random), sono una specie di supergruppo minore, con il cantautore Joseph Arthur, il bassista dei Pearl Jam Jeff Ament e il batterista Richard Stuverud, proveniente dalla zona di Seattle ed in passato già collaboratore di Ament. Il disco si chiama Acts, esce per la Lonely Astronaut/Monkeywrench e ad un primo ascolto mi sembra un sano disco di rock energico, con delle piacevoli canzoni scritte da Joseph Arthur, che ha una bella voce “classica”.

I Rusted Root sono tra le formazioni storiche del filone jam bands, il primo disco risale al 1992 e da allora ne hanno fatti altri sette, compreso questo nuovo The Movement, pubblicato dalla Shanachie, che conferma il loro rock complesso, ricco di elementi percussivi e virtuosistici. Per l’occasione c’è un brano dove sembrano gli Stones, sarà perché è una cover di No Expectations?

Peter Blegvad e Andy Partridge sono amici di lunga data, ogni tanto decidono di fare un disco insieme e questo Gonwards è l’ultimo della serie, quindi fans degli XTC avvisati, per la collezione! Il disco è però per più di metà parlato e quindi anche se Partdrige si occupa della parte musicale non è proprio indispensabile, se non per fan scalmanati, anche se la classe non manca, di tanto in tanto. A differenza del recente disco a nome Mike Keneally Wing Beat Fantastic, sottotitolo Songs Written By Mike Keneally & Andy Partridge, che forse non avevo citato nel Blog, e che è decisamente bello, la migliore cosa di Partdrige dai tempi degli XTC.

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Nelle liste delle uscite settimanali non manca quasi mai un disco di country e anche questa volta non fa eccezione, Hope On the Rocks (anche in versione Deluxe con due remix e due pezzi live) è il 19° disco di Toby Keith dal 1993 a oggi, ne pubblica uno all’anno e se salta un’annata ne escono due o tre l’ anno successivo, dischi natalizi e live compresi. Si tratta di uno dei neo-tradizionalisti di Nashville, che alterna cose buone ad altre un po’ risapute, comunque per gli appassionati del genere, c’è di peggio (ma anche di meglio).

Cheryl Wheeler è una di quelle cantautrici per carbonari, per appassionati della buona musica (era una delle preferite del buon Franco Ratti), ma in in quasi trenta anni di carriera e con una decina di album pubblicati non aveva mai inciso un album dal vivo. Ora esce questo Greetings From Cheryl Wheeler Live Featuring Kenny White che conferma la bravura di questa non più giovane musicista che mi è sempre piaciuta in modo particolare, in possesso di una delle voci più interessanti del folk contemporaneo ed è anche una ottima compositrice, i cui brani sono stati incisi da Bette Midler, Juice Newton, Maura O’Connell, Linda Thompson e molte altre. Il disco è pubblicato a livello autogestito e quindi non di facile reperibilità. Se non la conoscete potete provare uno dei vari album che sono usciti per la Philo/Rounder, sono tutti belli.

Una segnalazione anche per il nuovo disco di una band italiana, i Cheap Wine, che nel nuovo disco, in uscita la settimana prossima, Based On Lies, fanno come di consueto del rock classico chitarristico in grado di rivaleggiare con il meglio delle produzioni internazionali.

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Un altro titolo, già uscito da qualche settimana ma che, come il Luka Bloom ricordato ieri, era sfuggito al vostro fedele recensore.

Il nuovo album di Greg Brown, Hymns To What Is left, musicista di cui sono stato per lunghi anni il fedele cronista sul Buscadero, dedicandogli anche una lunga retrospettiva di varie pagine, negli anni ’90 e del quale, anche oggi che non mi assegnano più le sue recensioni, rimango un fedele seguace, perché lo ritengo uno dei migliori musicisti e artisti americani in assoluto. I suoi dischi diventano sempre più difficili da recuperare, già quelli Red House e Trailer erano affidati a piccole etichette, peraltro fondate da lui, ora questo nuovo esce per la Sawdust Records e vede la partecipazione del solito giro di musicisti: la moglie Iris De Ment, di cui un brano, Arkansas, racconta la storia del viaggio fatto dai due coniugi per dare sepoltura alla madre, la figlia Pieta (da non confondere con Petra che è la figlia di Charlie Haden) e l’immancabile compagno di mille avventure musicali Bo Ramsey. Dopo l’eccellente Freak Flag, un altro ottimo disco per Greg Brown, una delle voci più incredibili e profonde (anche quando canta in falsetto) della musica roots americana, forse l’erede più credibile di Johnny Cash. Anche questo disco spero di trovare il tempo di recensirlo più diffusamente, per ora mi limito a segnalarvelo.

Per oggi, fine delle trasmissioni.

Bruno Conti

Occasioni Mancate, Occasioni Ritrovate. Gathering Field – Live 11.20.2010

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The Gathering Field – Live 11.20.2010 – Gathering Field 2 CD

Ci capitano spesso nella vita occasioni diverse che per una ragione qualsiasi non riusciamo catturare, e ci accorgiamo della mancanza successivamente, quando ormai il ritardo è diventato tale da non permetterci più di rimediare alle scelte sbagliate. Capita anche per i CD: ci si perde un’uscita decente e quindi bisogna sbattersi per recuperare il dischetto da un amico che previdentemente lo ha acquistato, oppure fare ricerche spesso inutili nei vari negozi specializzati. Quando poi si parla di personaggi più o meno sconosciuti come il gruppo in questione, i Gathering Field, potrebbe essere veramente un’ardua impresa il recupero della occasione persa. Non so quanti estimatori possano contare i Gathering Field nel nostro paese, pochini suppongo. Negli States questa band originaria di Pittsburgh ( la città dei grandissimi Rusted Root) è piuttosto nota in quanto negli anni novanta incise quattro ottimi lavori, a partire dal debutto omonimo nel 1994, seguito da Lost in America nel 1996, Reliance nel 1999, e So close to home nel 2001. Oggi dopo dieci anni in cui si erano perse le loro tracce, e ormai avevo perso ogni speranza di ritrovarli in pista, me li ritrovo sul palco del Club Diesel nella loro città natale, per questa performance dal vivo avvenuta il 20 Novembre dello scorso anno.

La band guidata dal leader e songwriter Bill Deasy, con Dave Brown chitarra solista, Ray DeFade alla batteria, Eric Riebling al basso e John “The Junkman” Burgh all’organo hammond, e la special guest Laura Shay background vocals ci propone un suono robusto e ben strutturato tipicamente americano, simile a quello di altre band del settore uscite da quel grande contenitore di talenti che è il sottobosco del mercato americano. Il concerto si apre con un heartland rock di vaglia One way or the other con chitarre al vento che poi si sviluppa come una classica ballata roots.

Stesso tempo di base per l’elettrica Complicated Me dove la voce di Deasy ha un timbro basso e sensuale, seguita da Are you an Angel brano elettrico che richiama artisti che abbiamo amato in passato. City by the sea ballata inedita con una melodia di fondo molto ben strutturata, tra le migliori dell’album, e Better off without me mettono in risalto la voce del leader. Si alza il ritmo con una Baby’s Mannequin che sembra uscita dai primi lavori di Tom Petty, Slightly Aimless e My Serenity sono brani lenti e cadenzati con la voce della bella e brava Laura Shay al controcanto.Si chiude la prima parte del concerto con due brani spudoratamente alla Counting Crows come The heart of everything che si avvale del contributo all’armonica di Clark Slater e una Rhapsody in Blue (che non è quella di Gershwin) si tratta di un rock’n’roll piacevole, ma che non porta nulla di più, uno dei brani meno riusciti del lavoro.

Dopo aver bevuto e mangiato (presumo), la seconda parte inizia con Lost in the Sun che prende il via con un chitarrone alla Duane Eddy, e si sviluppa poi come una classica ballata roots. Un rullo di batteria da vita ad un’altra ballata intimista Midnight Ghost, cui fa seguito uno dei cavalli di battaglia del gruppo Lost in America cantato anche dal pubblico in sala. Nuovamente si cambia registro musicale, con una I’d Believe In God for you con chitarre e organo stile anni ’70, seguita da un’altra ballata di spessore Bound to be dove la voce calda da “balladeer” di Deasy e la voce angelica al controcanto della Shay toccano forse artisticamente il punto più alto del concerto. Dopo un minuto di raccoglimento per la bellezza del brano precedente, si ritorna con una solida Divine Intervention, cui fa seguito una Dylan Thomas Days (in omaggio ad uno dei miei amori giovanili in letteratura, il poeta gallese Dylan Thomas) in perfetto stile Dave Matthews Band, come il brano successivo Border Town con il ritornello che si fischietta dopo tre ascolti. Ci si avvia alla fine del concerto con Who We Are dove tutti i componenti dimostrano di essere dei validissimi musicisti, per chiudere sorprendentemente con una Rough Road di non facile lettura.

In conclusione un CD ben fatto, solido pur con qualche sbavatura, suonato benissimo a confronto con altre uscite recenti di artisti più blasonati, che conferma i Gathering Field una roots-rock band classica tra le più interessanti con un ottimo vocalist Bill Deasy, anche autore di canzoni valide sia dal punto di vista melodico che lirico, e, in ogni caso, quello che li differenzia da altre band più osannate e di successo,  è il fatto che sono sempre le canzoni ad essere messe in primo piano, con tutto il gruppo che lavora in funzione di esse senza assoli strappa applausi o inutili virtuosismi. Mi auguro solamente di non dover aspettare altri dieci anni per risentirli e magari scriverne, perché in fondo anch’io ho una certa età.

Tino Montanari