Meglio Tardi Che Mai, Preziosi Ritrovamenti! Sean Costello – In The Magic Shop

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Sean Costello – In The Magic Shop – Vizztone

Se questo In The Magic Shop fosse stato un nuovo disco, sarebbe stato tra i migliori dischi di Blues (e dintorni) dell’anno, e comunque nella ristretta cerchia dei top dell’anno nel genere, il CD ci rientra comunque. Sean Costello è ormai scomparso da circa sei anni, il 28 aprile del 2008, il giorno prima del suo 29° compleanno, per una overdose accidentale, dovuta probabilmente ai disturbi causati dai suoi disordini bipolari, e il CD della Vizztone è il terzo prodotto postumo che esce da allora. Da sempre considerato uno dei chitarristi prodigio usciti negli anni ’90 (il primo album Call The Cops, fu pubblicato nel 1996, quando Costello aveva 16 anni), rispetto ai vari Lang, Shepherd, lo stesso Bonamassa, Sean, solista dalla tecnica e dal feeling sopraffino, aveva in più anche una voce fantastica, in grado di spaziare tra, Blues, rock, soul, R&B, le sue passioni, con un timbro ed una potenza che di volta in volta potevano richiamare gente come Steve Marriott, Rod Stewart, Frankie Miller, ma anche cantanti soul come Al Green, Johnny Taylor, anche Bobby Womack, di cui riprende un brano in questo In The Magic Shop, e molti altri che si intuiscono nelle pieghe della sua musica https://www.youtube.com/watch?v=TC9_c6SynBE .

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Sean Costello, oltre che interprete sopraffino era anche un ottimo autore, e questo disco, registrato sul finire del 2005, sulla scia del disco omonimo pubblicato l’anno prima dalla Artemis Records, con buoni riscontri di critica, era rimasto criminalmente nei cassetti della casa discografica per circa una decina di anni e solo oggi vede la luce, dopo la ristampa dell’eccellente At His Best/Live http://discoclub.myblog.it/2012/01/08/un-altro-grande-talento-che-non-c-e-piu-sean-costello-at-his/ , che era un compendio di varie esibizioni dal vivo, con una registrazione cruda, una sorta di bootleg ufficiale. Il produttore originale delle sessions di studio, Steve Rosenthal, vincitore di 4 premi Grammy, e titolare del Magic Shop di New York, dove l’album venne inciso nell’autunno del 2005, ha fatto un lavoro perfetto con i nastri originali, e il disco suona fresco e pimpante come fosse stato inciso cinque minuti fa. Sono state catturate tutte le caratteristiche di Costello: il chitarrista fenomenale, in grado di”perdersi” (in senso buono), in una versione sbalorditiva di It’s My Own Fault, che da sola varrebbe tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=3MkEZkH54s4 , se anche il resto non fosse comunque buono, dove il nostro amico unisce una tecnica degna del miglior Mike Bloomfield, al feeling innato del suo autore B.B. King, e alla ferocia del più cattivo Buddy Guy, per un assolo che è un miracolo di equilibri sonori e che ti risucchia nella sua bellezza con una intensità e una passione che sono cosa rara anche nei migliori bluesmen, e nella parte cantata ricorda Steve Marriott

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Ma non mancano la passione per la buona musica soul, o addirittura per il suo predecessore R&B, in Can’t Let Go, un pezzo dello stesso Sean, che su un delizioso tappeto di organo, piano elettrico, voci femminili e misurati interventi della chitarra, ci permette di godere la sua voce qui più soffice e melliflua https://www.youtube.com/watch?v=6iPARKqtQEM , per poi tornare al blues torrido di Hard Luck Woman, dove Paul Linden, il tastierista, raddoppia anche all’armonica, che duetta con la solista di Costello https://www.youtube.com/watch?v=vwOU3AoH2Gs , senza tralasciare una bellissima ballata acustica come Trust In Me, dove l’espressiva voce del nostro si divide tra sonorità che oscillano tra il crooner navigato e il soulman appassionato alla Sam Cooke https://www.youtube.com/watch?v=whYxoHOuK00 . Per passare poi a Feel Like I Ain’t Got No Home, che è un blues-rock degno degli Humble Pie più assatanati https://www.youtube.com/watch?v=hZt_CtXdGws , con la voce di Sean Costello che oscilla tra la potenza di Steve Marriott e del giovane Joe Cocker, mentre la chitarra e la ritmica pestano di brutto, ma con gran classe. You Don’t Know What Love Is, cover di Fenton Robinson, è un altro blues con chitarra lancinante, ma su una base decisamente funky e quella voce incredibile che veicola la passione che c’è alle spalle della canzone https://www.youtube.com/watch?v=pfepCcZ3CxQ , mentre Check It Out, dalla penna di Bobby Womack, è un’altra trascinante perla di R&B ritmato e trascinante, come richiesto dal genere musicale, con la solista sempre pungente ed inventiva.

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I Went Wrong, firmata da Costello torna a quel blues, BB King style, che era da sempre nel DNA di questo giovane talento da Atlanta, Georgia. In questo senso You Wear It Well, , sempre molto seventies, cover di un brano del primo Rod Stewart, altro praticante del genere, non sorprende e ci sta benissimo https://www.youtube.com/watch?v=_YuMurfToqg . Non male Told Me A Lie, inconsueta ed incompiuta, ancorché costruita intorno ad un interessante giro di basso, e il funky con wah-wah della ritmatissima Make A Move, con Dayna Kurtz tra le voci di supporto. Conclude una delicatissima Fool’s Paradise, una sorta di brano da after hours che ci riporta al Sean Costello crooner. Un bel disco ritrovato, ma veramente bello, ve lo giuro, che era un peccato non poter ascoltare: come non essere d’accordo con quel “pretty good” quasi sussurrato che conclude l’album!

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Parte del ricavato della vendita del CD va al fondo di ricerca sulla Bi-polar Disease research.

Bruno Conti

Ottimo Ed Abbondante! Ronnie Earl And The Broadcasters – Good News

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Ronnie Earl And The Broadcasters – Good News – Stony Plain

Titolo del disco e copertina direbbero già tutto ma ci dobbiamo fermare qui? Certo che no! Ormai sono diventato una sorta di biografo ufficiale di Ronnie Earl, quarto album recensito negli ultimi cinque anni, praticamente tutti quelli usciti nell’ultimo lustro. Il precedente, uscito lo scorso anno, Just For Today, era un eccellente disco dal vivo http://discoclub.myblog.it/2013/04/06/vecchio-ma-sempre-nuovo-ronnie-earl-the-broadcasters-just-f/ , questo nuovo non si discosta molto dalla formula, peraltro vincente, dei suoi dischi con i Broadcasters. Come dicevo recentemente per Dave Specter, un suo omologo e “concorrente” nel mondo dei chitarristi blues(rock) http://discoclub.myblog.it/2014/07/07/messaggio-pervenuto-forte-chiaro-dave-specter-message-blue/  Earl non canta, quindi abitualmente i suoi dischi sono strumentali, basati soprattutto sull’interplay tra la solista di Earl e l’organo e il piano dell’ottimo Dave Limina, suo fedele pard di lunga data. Anche Good News viaggia su queste coordinate https://www.youtube.com/watch?v=wCYg1mOHu-o , ma come per quello di Specter (dove appare come vocalist Otis Clay), si guadagna mezza stelletta in più per la presenza di alcuni brani cantati dalla bravissima Diane Blue (qui sotto vedete il suo unico album del 2006, di difficile reperibilità) che già appariva nel disco registrato in concerto, con una fantastica versione di I’d Rather Go Blind.

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La qualità dei dischi di Earl è in ogni caso sempre elevata, il nostro amico è uno dei massimi virtuosi della chitarra elettrica degli ultimi anni, degno erede di Roy Buchanan, Danny Gatton ed altri grandi solisti che hanno graziato la faccia di questo pianeta, come dimostrano le sue progressioni chitarristiche, che inglobano sempre alla tecnica anche un gusto per la melodia (mutuato dal Santana più “melodico” o da Peter Green) e quei blues lenti e lancinanti, dove la chitarra è una estensione naturale dei sentimenti musicali di questo personaggio. Il disco si apre con una vivace I Met Her On That Train, una improvvisazione per chitarra e organo, che ondeggia tra il jazz alla Montgomery/Smith e qualche reminiscenza country&western che gioca con le assonanze a Mystery Train e  potrebbe ricordare Gatton, ma poi si entra subito nella stratosfera del blues e del soul con una “siderale” versione di A Change Is Gonna Come, una delle più belle canzoni di tutti i tempi, scritta da Sam Cooke e qui resa alla grande dalla passionale interpretazione dell’appena citata Diane Blue, quel “I Was Born By The River” che fa da incipit al brano è uno dei versi più belli della musica degli ultimi cinquant’anni e la versione che appare in questo Good News è veramente da brividi https://www.youtube.com/watch?v=wCYg1mOHu-o .

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Neal Creque, l’autore di Time To Remember era un jazzista poco conosciuto, un pianista, scomparso una quindicina di anni orsono, e il brano è l’occasione per ascoltare una di quelle progressioni strumentali, latineggianti, che periodicamente ricorrono nella musica di Ronnie, con l’interscambio tra organo e chitarra, sempre uguale ma sempre diverso. Il pièce de resistance del disco è una versione incredibile di In The Wee Hours, uno slow blues scritto da Buddy Guy, dove la voce della Blue si insinua negli spazi lasciati dalle magistrali improvvisazioni delle chitarre di Earl e dell’ospite Zach Zunis e dal piano di Limina, per creare undici minuti di pura magia Blues, anche questa bellissima versione, difficile fare meglio https://www.youtube.com/watch?v=7LASVWQ6RR4 . La title-track Good News ti concede tre divertenti minuti di respiro prima di rituffarti in Six String Blessing, un altro lento che è un assalto alle coronarie per gli amanti della chitarra, firmata dallo stesso Earl, con l’aiuto di Diane Blue, che la canta con passione https://www.youtube.com/watch?v=iq6zWTztzLM e di Deborah Blanchard, è un ulteriore dimostrazione del perché Ronnie Earl sia considerato uno dei maggiori bluesman contemporanei, con un controllo magnifico del suo strumento. Marje’s Melody è un’altra interessante costruzione sonora, di tipo più melodico, che consente a Earl di duettare con l’altro chitarrista ospite in questo disco, il bravo Nicholas Tabarias https://www.youtube.com/watch?v=UveyVq4tqhk .

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Blues For Henry, scritta con Hubert Sumlin, è un ulteriore tuffo nel blues, questa volta classico Chicago style, sempre grande controllo e tecnica ma anche molto feeling, con l’organo e la chitarra che si “sfidano” e alla fine vince l’ascoltatore. Il “trucchetto” è ribadito, a tempo di shuffle, nell’ottima Puddin’ Pie e giunge alla naturale conclusione, con una forte componente gospel, nell’ancora una volta eccellente interpretazione di Diane Blue legata ad una Runnin’ In Peace, intensa e ricca di spessore. Ancora una volta, se ce n’era bisogno, la conferma di uno dei massimi virtuosi del blues contemporaneo. L’ho già detto? Lo ripeto. E la signora è assolutamente da confermare.

Bruno Conti

Sempre A Proposito Di Cofanetti (In)Utili! Deep Purple – Hard Road The Mark I Studio Recordings 1968-69

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Deep Purple – Hard Road The Mark I Studio Recordings 1968-69 5 CD Parlophone/Warner 28-07-2014

Come conseguenza della suddivisione del vecchio catalogo EMI tra Universal e Warner, questo è il secondo cofanetto dedicato ai Deep Purple che vede la luce nel giro di pochi mesi in questo 2014. Un paio di mesi fa la Unversal ha pubblicato una serie di versioni concernenti Made In Japan, ora è la volta della Warner, su etichetta Parlophone, di ripubblicare i primi album della formazione inglese (Mark I, quella con Rod Evans, Nick Simper, Ritchie Blackmore, Jon Lord e Ian Paice). I più attenti avranno già notato che i CD contenuti nel box sono 5 mentre gli album registrati dalla prima formazione della band erano solo tre. Quindi una valanga di inediti? Ma figuriamoci! Semplicemente per due album su tre ci sono sia la versione mono che quella stereo e gli inediti, poche outtakes o versioni strumentali erano comunque già apparse nelle edizioni remaster del 2000. Quindi, inedita in assoluto è la versione mono di The Book Of Taliesyn, l’altra “novità” risiede nel fatto che si tratta di nuovi rimasterizzazioni targate 2014. In ogni caso, sotto c’è la tracking list completa, così potete decidere:

Disc: 1
1. And The Address (Mono Mix) [2014 – Remastered Version]
2. Hush (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
3. One More Rainy Day (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
4. Prelude: Happiness/I’m So Glad (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
5. Mandrake Root (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
6. Help (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
7. Love Help Me (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
8. Hey Joe (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
9. Shadows (Album Outtake)
10. Love Help Me (Instrumental)
11. Help (Alternate Take)

Disc: 2
1. And The Address (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
2. Hush (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
3. One More Rainy Day (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
4. Prelude: Happiness/I’m So Glad (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
5. Mandrake Root (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
6. Help (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
7. Love Help Me (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
8. Hey Joe (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
9. And The Address (2003 Remix)
10. Hush (1968 Monitor Mix) [2014 Remastered Version]
11. Prelude: Happiness/I’m So Glad (2003 Remix)
12. Hey Joe (2003 Remix)

Disc: 3
1. Listen, Learn, Read On (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
2. Wring That Neck (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
3. Kentucky Woman (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
4. Exposition/We Can Work It Out (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
5. Shield (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
6. Anthem (Mono Mix) [2014 Remastered Version]
7. River Deep, Mountain High (Mono Mix) [2014 Remastered Version]

Disc: 4
1. Listen, Learn, Read On (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
2. Wring That Neck (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
3. Kentucky Woman (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
4. Exposition/We Can Work It Out (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
5. Shield (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
6. Anthem (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
7. River Deep, Mountain High (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
8. Playground (Instrumental Outtake) [2014 Remastered Version]
9. Kentucky Woman (2003 Remix)
10. Oh No No No (Studio Outtake)
11. Playground (Remixed Instrumental Outtake)
12. River Deep, Mountain High (US Single Edit)

Disc: 5
1. Chasing Shadows (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
2. Blind (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
3. Lalena (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
4. Fault Line (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
5. The Painter (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
6. Why Didn’t Rosemary? (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
7. Bird Has Flown (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
8. April (Stereo Mix) [2014 Remastered Version]
9. Emmaretta (2012 Stereo Remix)
10. The Bird Has Flown (Early Version) [2012 Stereo Remix]
11. Why Didn’t Rosemary? (Early Instrumental Take) [Stereo Mix]
12. Blind (Stereo Mix) [2003 Remix]
13. Lalena (Stereo Mix) [Instrumental] [2014 Remastered Version]
14. April (Stereo Mix) [Part 1] [Single B-Side]
15. Emmaretta (Mono Mix) [Original Single A-Side]
16. The Bird Has Flown (Mono Mix) [Original Us Single B-Side]

https://www.youtube.com/watch?v=_4QBhC1uCP4

Bruno Conti

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*NDB Per oggi sarebbe tutto, non ho avuto tempo per altre notizie.

Volevo però quantomeno segnalarvi che il 27 giugno ci ha lasciati uno dei grandi della musica nera, Bobby Womack, It’s All Over Now per lui, come recitava il titolo del suo brano più famoso. Una piccola curiosità della sua vita, durata dal 4 marzo 1944 (nato un anno esatto dopo Lucio Dalla) al 27 giugno del 2014, era che alla morte del suo amico e mentore Sam Cooke, ne aveva sposato la vedova. Riposa in pace. E’ giusto è corretto che i Rolling Stones lo abbiamo ricordato sul loro sito e canale YouTube https://www.youtube.com/watch?v=KiC9d7JvD3A

Meglio Tardi Che Mai! The Animals – The Mickie Most Years And More

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The Animals – The Mickie Most Years And More – Real Gone 5CD Box Set

Il titolo del post ha una doppia valenza: innanzitutto è riferito al fatto che parlo di questo box set con notevole ritardo, essendo lo stesso uscito negli ultimi mesi del 2013, anche se non è mai troppo tardi per parlare di buona musica (o grande musica, come in questo caso), soprattutto se trattasi di ristampe.

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In secondo luogo sono oltremodo felice che qualcuno si sia finalmente ricordato degli Animals, dato che quando si parla di gruppi inglesi degli anni sessanta, dopo lo scontato dualismo Beatles – Rolling Stones, si passa subito agli Who e spesso (ma non sempre, purtroppo) ai Kinks, o alla triade Yardbirds – Cream – Fleetwood Mac se si è appassionati di blues, o ancora a Led Zeppelin e Deep Purple se si parla di hard rock (anche se queste ultime due band sono più frequentemente associate agli anni settanta), ma quasi mai ci si rammenta della band di Newcastle-upon-Tyne: quindi questo cofanetto della benemerita Real Gone, che racchiude i primi dischi del gruppo (discografia americana, più completa di quella inglese), giunge graditissima.

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Gli Animals furono una tra le band tra le più influenti dei sixties (chiedete per informazioni a Bruce Springsteen, Tom Petty e, anche se non lo ammetterà mai, a Van Morrison), un quintetto che fondeva in maniera mirabile rock, blues e soul, e che aveva i suoi punti di forza nella formidabile voce di Eric Burdon, una delle ugole più “nere” tra i bianchi, assolutamente in grado di adattarsi sia ai brani più grezzi che a quelli più melodici, e nell’organo di Alan Price, in grado di fare molto spesso la differenza (completavano il gruppo il chitarrista Hilton Valentine, il bassista Chas Chandler (futuro manager di Hendrix) ed il batterista John Steel).

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Non scrivevano molti brani originali, ma rivisitavano brani famosi e meno famosi del panorama blues, soul e pop, perlopiù americano (Willie Dixon, Ray Charles, un vero idolo per Burdon, Chuck Berry, John Lee Hooker, ma anche famose coppie di autori come Goffin – King o Mann – Weil), il tutto con un grande gusto ed un feeling micidiale, in alcuni momenti forse erano addirittura meglio degli Stones stessi, almeno in quegli anni.

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Andiamo a vedere brevemente i cinque CD inclusi in questo box, album prodotti da Mickie Most (tranne l’ultimo, come da titolo del box) e riproposti rigorosamente in mono.

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I Just Wanna Make Love To You: EP di sole quattro canzoni, pubblicato nel 1963. Un dischetto che rivela un gruppo ancora un po’ da sgrezzare ma già con idee e feeling al posto giusto: oltre alla title track (un classico di Willie Dixon ma più noto nella versione di Etta James), troviamo Big Boss Man di Jimmy Reed, una prima versione di Boom Boom di John Lee Hooker e Pretty Thing di Bo Diddley.

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The Animals: album del 1964 che si apre con la leggendaria House Of The Rising Sun, noto traditional che gli Animals avevano appreso dalla versione presente sul primo album di Bob Dylan (che a sua volta l’aveva rubacchiata a Dave Van Ronk, ma questa è un’altra storia…), ma che qui rivoltano come un calzino, dandone un’interpretazione potente e drammatica nello stesso tempo, una performance tra le più memorabili della storia del rock (e per una volta non è retorica), dall’arpeggio di chitarra di Valentine, definito in maniera geniale dal giornalista David Fricke (che cura le note di questa ristampa) “la colonna sonora di una camminata verso il patibolo”, all’assolo di organo di Price, fino all’incredibile prova vocale di Burdon: un brano da pelle d’oca anche la millesima volta che lo si ascolta, uno di quei pezzi sui quali si potrebbe scrivere un libro http://www.youtube.com/watch?v=MgTSfJEf_jM .

(NDM: ricordo un bellissimo film di Martin Scorsese, Casino, nel quale veniva usata questa canzone nel momento chiave della pellicola, e cioè quando nel finale gli eventi precipitavano e molti dei protagonisti ci lasciavano le penne, secondo me uno dei migliori momenti in assoluto di fusione tra musica e cinema http://www.youtube.com/watch?v=1FZ2FA-epcE .)

E’chiaro che questo brano da solo fu in grado all’epoca di trainare l’album fino al numero sette della classifica, ma all’interno ci sono molte altre canzoni di pregio, dall’ottima resa di The Girl Can’t Help It (Little Richard), ai due noti classici di Chuck Berry, Memphis Tennessee e Around And Around http://www.youtube.com/watch?v=H2kzqP__uXc , fino al trascinante finale con la bella I’ve Been Around di Fats Domino.

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 The Animals On Tour: registrato in studio (e non dal vivo come il titolo farebbe supporre), al disco manca un pezzo alla House Of The Rising Sun, ma nell’insieme è più riuscito del suo predecessore, e Burdon canta bene come non mai. Con ben tre brani di Ray Charles (tra cui la stupenda Hallelujah, I Love Her So e la sofferta I Believe To My Soul, con un riff di piano che ritroveremo molto simile qualche mese dopo in Ballad Of A Thin Man di Bob Dylan http://www.youtube.com/watch?v=4XsdYQCG12Q ), la vivace Let The Good Times Roll e lo strepitoso blues di Big Maceo Merriweather Worried Like Blues, con la band che gira a mille e Burdon che dà i punti a tutti i suoi colleghi dell’epoca http://www.youtube.com/watch?v=GaxTzdpz8EA .

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Animal Tracks: del 1965 come il precedente, questo è un altro grande disco: si apre con la splendida We Gotta Get Out Of This Place http://www.youtube.com/watch?v=jxNEiZhpinY , altro successo del gruppo, e contiene anche un’intensa versione della notissima Don’t Let Me Be Misunderstood http://www.youtube.com/watch?v=HHjKzr6tLz0 , per non parlare della formidabile resa di Bring It On Home To Me, seconda solo all’originale di Sam Cooke http://www.youtube.com/watch?v=ZntYBFyuZd4 . E con ben cinque pezzi su dieci a firma Eric Burdon, dei quali il gustoso errebi I Can’t Believe It  è sicuramente il migliore.

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Animalization: prodotto da Tom Wilson (il “more” del titolo del box), già noto per aver collaborato con Dylan e Simon & Garfunkel, il disco non si discosta molto dai predecessori, proponendo la solita riuscita miscela di cover e brani originali: Don’t Bring Me Down è la più nota http://www.youtube.com/watch?v=I0KrLaaCkPQ , ma spiccano anche See See Rider, You’re On My Mind e la notevole Cheating (dalla quale Tom Petty ha preso senz’altro spunto per scrivere la sua Breakdown http://www.youtube.com/watch?v=lddcmEhrh88 ). Arriva Barry Jenkins alla batteria, mentre il nuovo tastierista Dawe Rowberry appariva già dal precedente Animal Tracks!

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Questo box ha comunque tre difetti, che comunque spariscono se paragonati alla qualità della musica contenuta: in primo luogo l’assenza di Animalism, cioè l’ultimo album americano prima che Burdon sciogliesse e riformasse il gruppo, spostando l’asse della musica sul rock psichedelico tipico di San Francisco.

Il secondo difetto riguarda le bonus tracks, appena dodici in cinque CD, e nessuna di esse veramente inedita (perlopiù ci sono brani apparsi su singolo, missaggi differenti o versioni stereo di brani già presenti in mono): tra tutte spicca la bellissima It’s My Life, uno tra i momenti migliori per Burdon e soci http://www.youtube.com/watch?v=H3GNKUE-d9c .

Infine, la confezione, veramente cheap: un box di cartoncino sottile (che alla terza o quarta volta che lo si apre è già usurato), niente libretto, ed i CD presentati nella jewel box più basic in assoluto, quella per intenderci con la parte davanti della costa nera e rigata.

In più, in omaggio all’interno, troviamo una maglietta non particolarmente bella (io la uso come pigiama), con il risultato che, una volta estratta, i CD ballano allegramente da una parte all’altra del box.

Ma, come ho detto prima, sono quisquiglie (la confezione però è brutta brutta): la musica è davvero sublime, ed i soldi richiesti sono ben spesi fino all’ultimo euro.

Marco Verdi

Non Tutte Le “Zucche” Sono Vuote! The Gourds – All The Labor

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The Gourds – All The Labor – Soundtrack – High Plains Films – CD – DVD

Sebbene mi sforzi, non riesco a pensare a un album non riuscito tra gli undici pubblicati dai texani Gourds, in diciotto anni di carriera (dal 1996 a oggi). Cominciano subito col dire che questa band proviene da Austin, Texas (il che è già una garanzia) e hanno cominciato a fare musica dai primi anni ’90, diventando col tempo un gruppo perfettamente rodato nel cosiddetto country alternativo texano, dei veri e propri veterani della scena di Austin, da cui hanno imposto il proprio stile, un roots-rock poliedrico e festoso, nonostante le loro radici siano ancorate alla tradizione (si sono ispirati a personaggi come Doug Sahm e Lowell George). Il nucleo del gruppo è formato da Kevin Russell, Max Johnston, Keith Langford (omonimo del cestista dell’Olimpia Milano), Claude Bernard e Jimmy Smith, hanno esordito con periodici lavori tra cui vi ricordo Dem’s Good Beeble (96), Stadium Blitzer (98), Ghosts Of Hallelujah (99)e Bolsa De Agua (00) dedicato al citato Doug Sahm, disco che include melodie con fisarmoniche e violini che sanno di tex-mex, e che naturalmente risentono del vicino confine messicano. Nella seconda decade le “zucche” sono ripartite con Cow Fish Fowl Or Pig (02), Blood Of the ram (04), Heavy Ornamentals (06), Noble Creatures (07), l’ottimo Haymaker (09) e l’ultimo lavoro in studio Old Mad Joy (11), un disco di transizione (con una copertina improponibile).

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Questo All The Labor, stranamente, è il primo disco dal vivo di questa formazione, ed è il risultato di un film musicale (finanziato con il sistema della Kickstarter Campaign http://www.youtube.com/watch?v=tl9STjTJOGU) girato in più date nel corso del tour svoltosi fra il 2011 e 2012, con diciotto brani catturati a formare una perfetta colonna sonora, che vuole anche essere un bilancio della carriera. Ho sempre pensato che certe formazioni rendano al meglio nei concerti dal vivo, ed è questo il caso dei Gourds, quando la musica ruspante, e la contagiosa energia e il piacere della band di fare rock, si tramuta in versioni irresistibili di brani del primo periodo come Gangsta Lean, Pint Tar Ramparts, Jesus Christ With Signs Following, Maria, Plaid Coat, e brani del repertorio più recente (estratti da Old Mad Joy), quali Peppermint City, Melchert, Eyes Of A Child, Your Benefit, per chiudere in gloria con l’inedito All The Labor.

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“La grande bellezza” (citazione di moda in questo periodo) di questo documentario http://www.youtube.com/watch?v=x2fao5BSVzk , si manifesta nei ritmi sostenuti di Keith Langford, negli accenti cajun della fisarmonica di Claude Bernard, del banjo e violino di Max Johnston e soprattutto nella voce e nel mandolino di Kevin “Shinyribs” Russell, (il leader riconosciuto della band), senza tralasciare le chitarre elettriche, e dove la varietà del suono, in diverse forme, rappresenta il loro punto di forza. Dischi così fanno bene alla salute, non resta che pagare lo scontrino del CD o DVD, sedersi sulla poltrona, premere il tasto play del lettore, e scoprire che il divertimento è appena cominciato.

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NDT: Kevin Russell sotto lo pseudonimo di Shinyribs ha inciso due interessanti lavori solisti, Well After Awhile (2010) e Gulf Coast Museum (2013):  nel primo si trova una cover del classico A Change Gonna Come del grande Sam Cooke, in versione acustica con ukulele e mandolino.

Tino Montanari

*NDB. Last but not least, il nome dei Lowlands di Ed Abbiati viene dal titolo di una canzone dei Gourds.

Sembra Molto Interessante! Rod Stewart – Tonight’s The Night: Live 1976-1998

rod stewart tonight's the night 1976-1998

Rod Stewart – Tonight’s The Night: Live 1976-1988 4 CD Warner Bros/Rhino 18-03-2014

Ormai se ne parla da quasi quattro anni, è stato più volte annunciato e poi rimandato, ma alla fine ormai è certo, il 18 marzo la Warner pubblicherà questo cofanetto di 4 CD di materiale dal vivo completamente inedito, registrato da Rod Stewart fra il 1976 e il 1998: la copertina, se devo esprimere un parere, diciamo che non ha una immagine particolarmente ispirata (però poteva anche andare peggio), ma il contenuto sembra assai interessante, 58 brani presi da quattro decadi di quello che Rod The Mod ha sempre saputo fare meglio, cantare dal vivo (quando ha smesso di fare bei dischi in studio, da solo o con i Faces). Ecco il contenuto completo dei quattro dischetti, che seguiranno un ordine cronologico, senza presentare concerti completi, ma selezioni registrate qui e là, in giro per il mondo:

Disc One: 1976

https://www.youtube.com/watch?v=ihjoj1PCRYY
‘Three Time Loser’
‘You Wear It Well’
‘Big Bayou’
‘Tonight’s the Night (Gonna Be Alright)’
‘The Wild Side of Life’
‘Sweet Little Rock ‘n Roller’
‘I Don’t Want to Talk About It’
‘The Killing of Georgie (Part I and II)’
‘Maggie May’
‘Angel’
‘Get Back’
‘(I Know) I’m Losing You’
‘This Old Heart of Mine’

https://www.youtube.com/watch?v=tK6SU-wFvb8

Disc Two: 1976-1981
‘Sailing’
‘Stay with Me’
‘Born Loose’
‘(If Loving You Is Wrong) I Don’t Want to Be Right’
‘I Just Want to Make Love to You’
‘Blondes (Have More Fun)’
Medley: ‘(I Know) I’m Losing You/It’s All Over Now / Standin’ in the Shadows of Love / Layla’
Medley: ‘Twistin’ the Night Away / Every Picture Tells a Story’
‘She Won’t Dance with Me’
‘Passion’
‘Gi’ Me Wings’
‘Hot Legs’ (with Tina Turner)

Disc Three: 1984-1989
‘Tonight I’m Yours (Don’t Hurt Me)’
‘You’re in My Heart (The Final Acclaim)’
‘(Sittin’ On) The Dock of the Bay’
‘Hungry Heart’
‘Bad for You’
‘Some Guys Have All the Luck’
‘Rock Me Baby’
‘Infatuation’
‘I Ain’t Superstitious’
‘Every Picture Tells a Story’
‘Lost in You’
‘Forever Young’
‘Da Ya Think I’m Sexy?’
‘Crazy About Her’
‘Try a Little Tenderness’
‘You’re in My Heart (The Final Acclaim)’ (Reprise)

Disc Four: 1991-1998
‘Downtown Train’
‘This Old Heart of Mine’
‘Stay with Me’
‘Sweet Soul Music’
‘Mandolin Wind’
‘Highgate Shuffle’
Baby Jane’
‘Baby Please Don’t Go’
‘Cut Across Shorty’
‘(Find a) Reason to Believe’
‘Handbags & Gladrags’
‘Having a Party’
‘People Get Ready’
‘Have I Told You Lately’
Medley: ‘Twistin’ the Night Away / Chain Gang’
‘Cigarettes and Alcohol’
‘Rocks’

La scelta dei pezzi mi pare eccellente, con moltissime chicche e poco materiale pescato tra quello più bieco e commerciale di Rod Stewart, un bel cofanetto da mettere lì sui vostri scaffali, di fianco a cofanetti come Storyteller, Reason To Believe: The Complete Mercury Recordings (il migliore, un triplo che copre il periodo magico dal 1969 al 1974, imprescindibile), The Rod Stewart Sessions 1971-1998 (Rarities/Sessions box o il suo fratello “minore”, il doppio Rarities), senza dimenticare il quadruplo dedicato all’opera omnia dei Faces, Five Guys Walk Into A Bar…. A questo proposito vi ricordo che l’11 marzo uscirà un bellissimo doppio CD antologico, a prezzo speciale, dedicato a Ronnie Lane & Slim Chance, Oh La La: An Island Harvest, ma ne parliamo poi a parte.

rod stewart christmas eve 1976

Tornando al cofanetto dedicato a Rod Stewart il primo CD contiene materiale dedicato nel tour inglese del 1976, in diverse località: ci sono molti pezzi presi da quello che era il disco che era appena uscito, A Night On The Town, compresa Tonight’s The Night (Gonna Be Alright) che dà il titolo a questo box, oltre a tre ottime performances tratte dal suo capolavoro Every Picture Tells A Story, ovvero “You Wear It Well,” “Maggie May” e “(I Know) I’m Losing You”, oltre a I Don’t Want To Talk About It di Danny Whitten un n.1 nel 1977 e poi nuovamente, ri-registrato, nel 1998, una rara versione di Get Back dei Beatles, che era uscita in All This and World War II (uno strano documentario uscito nel 1976 sulla seconda guerra mondiale, che aveva la colonna sonora tutta di brani dei Beatles, fatti da chiunque, da Elton John, Jeff Lynne, i Bee Gees e Bryan Ferry, passando per gli Ambosia, Keith Moon e Riccardo Cocciante, ma anche una bella versione di Strawberry Fields Forever cantata da Peter Gabriel, fine della digressione). Tornando al primo dischetto del box c’è anche una notevole This Old Heart Of Mine, la celebre canzone degli Isley Brothers incisa per la Motown.

rod stewart a night

Il secondo CD riporta ancora due brani incisi nel 1976, Sailing e Stay With Me, mentre la maggior parte dei brani viene dal concerto al Forum di Los Angeles del 1979, tra cui (If Loving You Is Wrong) I Don’t Want to Be Right di Sam And Dave, un classico del Blues come I Just Want to Make Love to You, anche se non mancano, purtroppo, Blondes (Have More Fun) e Passion, riabilitate da due medley strepitosi,  Medley: ‘(I Know) I’m Losing You/It’s All Over Now / Standin’ in the Shadows of Love / Layla e Medley: ‘Twistin’ the Night Away / Every Picture Tells a Story, minchia!, scusate, perbacco https://www.youtube.com/watch?v=f5Lw-pqlaNU .Gi’ Me Wings viene da un concerto a Wembley del 1980, mentre Hot Legs è un duetto con Tina Turner registrato a LA nel 1981.

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Il terzo CD riporta estratti da un concerto a San Diego del 1984 e da una alla Meadowlands Arena (il fortino di Springsteen): infatti tra i brani c’è anche una cover di Hungry Heart di Bruce (mai saputo che l’avesse fatta), oltre a Rock Me Baby del grande BB King (all’inizio di carriera con gli Steampacket, Stewart era un fior di cantante di blues) e anche con Jeff Beck, non si scherzava con il repertorio, come dimostra una poderosa I Ain’t Superstitious, senza dimenticare (Sittin’ On) The Dock Of The Bay e Try A Little Tenderness di mastro Otis Redding, Forever Young di Dylan e Some Guys Have All The Luck, un megasuccesso per i Persuaders (e per lo stesso Rod). Però vi cuccate Do Ya Think I’m Sexy? scopiazzata da Taj Mahal di Jorge Ben, Infatuation e You’re In My Heart.

rod stewart live 1976

Il quarto CD, quello che va dal 1991 al 1998, stranamente è forse il migliore. Va bene che Stewart era reduce dal clamoroso successo di pubblico e critica dell’ottimo Unplugged…And Seated https://www.youtube.com/watch?v=C_KrAYtU6Zs , dove aveva rivisitato il suo miglior repertorio classico ma non mi ricordavo che avesse cantato dal vivo così tante belle canzoni: Downtown Town di Tom Waits ok, presa da un concerto sempre a Wembley del 1991 (non dimentichiamo che il buon Rod Stewart ha il record per il concerto gratuito con la maggiore affluenza di pubblico della storia, dai 3.500.000 ai 4.700.000 presenti (!!!), a seconda se le cifre le forniscono gli organizzatori o la questura, comunque una valanga di gente, per un concerto a Rio De Janeiro tra il 31/12/1994 e il 1° Gennaio 1995), ancora This Old heart of Mine, Stay With Me dei Faces, Sweet Soul Music di Arthur Conley, Mandolin Wind, Baby Please Don’t Go, Cut Across Shorty, Reason To Believe, Handbags and Gladrags, tutti brani che venivano dai primi album, quelli più belli. E ancora Havin’ A Party e il medley di Twistin’ The Night Away/Chain Gang dell’altro idolo di Stewart, il grandissimo Sam Cooke. Have I Told You Lately, la struggente ballata di Van Morrison, People Get Ready, il bellissimo brano degli Impressions di Curtis Mayfield che aveva registrato con Jeff Beck (a quando la rimpatriata più volte annunciata? E quella con i Faces? Questa è ufficiale, lo ha detto Ron Wood nel suo programma radiofonico). La conclusione è affidata ad altre due cover insolite, registrate nel 1998, Cigarettes and Alcohol degli Oasis https://www.youtube.com/watch?v=u4DhNSSKQjQ  e Rocks dei Primal Scream, apparse entrambe su When We Were The New Boys di quell’anno, uno dei meno peggio di Rod Stewart dell’ultimo trentennio, perché belli, a parte l’Unplugged, non ne ha fatti.

https://www.youtube.com/watch?v=hcgcPdkwk3s

Questo invece è decisamente bello ed interessante, praticamente vi ho già fatto la recensione, non resta che acquistarlo quando uscirà il 18 marzo, ad un prezzo che dovrebbe essere intorno ai 30 euro, quindi decisamente abbordabile.

Alla prossima.

Bruno Conti

 

Incontro Tra “Nobili” In Quel Di Memphis! Paul Rodgers – The Royal Sessions

paul rodgers royal sessions

Paul Rodgers – The Royal Sessions – Caroline/429 Records/Universal 28/01 o 04/02

Partiamo da un presupposto (anche due, forse tre): come potrebbe essere brutto un disco che contiene quattro canzoni del repertorio di Otis Redding (una via O.W. Wright), due di Albert King, una di Ann Peebles (ma la faceva anche Tina Turner), una scritta da Bacharach/David, ma nella versione Stax sfavillante di Isaac Hayes, una scritta da Smokey Robinson per i Temptations (cantata pure dal grande Otis nel ’66) e che inizia con uno dei brani più famosi del repertorio di Sam and Dave? La risposta è ovviamente no, a prescindere! Se a questo aggiungiamo che a cantare “tutto sto popò di roba” c’è una della più grandi voci bianche “nere” della storia della musica rock, Paul Bernard Rodgers, da Middlesborough, Inghilterra, bisognerebbe essere folli a pensarlo. E per mettere anche il carico, i musicisti che suonano nel disco sono (Reverend) Charles Hodges, all’organo, Michael Toles alla chitarra (se dico Shaft può bastare?), LeRoy Jones, al basso, “Hubby” Archie Turner, al piano elettrico Wurlitzer, Steve Potts e James Robertson, alla batteria. Più una quantità notevoli di cantanti di supporto e fiati, radunati ai Royal Studios di Memphis, dove tutti questi “benedetti” signori registravano, sotto la guida di Willie Mitchell, nei dischi di Al Green, Ann Peebles, O.W. Wright, Syl Johnson e miriadi di altri, dischi nati nel profondo Sud degli Stati Uniti, a cavallo tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, quando la soul music era al suo apogeo creativo.

Il titolo un po’ criptico del Post sta a significare proprio questo, un incontro della “nobiltà” della musica, cantanti, canzoni (che perdono la loro intangibilità, tanto sono belle), musicisti, studi di registrazione, tutte le cose che la musica moderna sta cercando di ammazzare. Il tutto unito dalla voce ancora incredibile di Paul Rodgers, uno che nella sua carriera ha cantato ogni genere: il blues e il rock fusi in un tutt’uno nei leggendari Free (All Right Now la conoscono anche i giovanissimi, perchè periodicamente riappare in uno spot o in una colonna sonora, con il suo riff inconfondibile http://www.youtube.com/watch?v=bHNxuo4i5Ds ), l’hard -rock, american style, che ha influenzato intere generazioni di rockers negli anni a venire, ma che era suonato da quattro musicisti inglesi, e anche un po’ di avventure finite male, i Firm con Jimmy Page e i Law con Kenney Jones, è meglio non ricordarli. Come molte delle avventure soliste del nostro amico: con una grande eccezione, guarda caso un altro tributo, Muddy Water Blues: A Tribute To Muddy Waters, il titolo dice tutto e Rodgers era accompagnato da una sflilza di chitarristi da paura (però sono passati più di 20 anni, era il 1993, anno in cui usciva anche uno splendido EP dal vivo, altrettanto bello, The Hendrix Set, dove omaggiava il mancino di Seattle

Nel frattempo reunion varie dei Bad Company, con molti dischi e DVD dal vivo, qualcuno anche bello e l’avventura con i Queen, dove, francamente, la voce pur potente ed espressiva di Paul, che aveva influenzato proprio quella di Mercury, non c’entrava molto con il repertorio degli ultimi anni della band inglese, con un risultato non disastroso, ma fondamentalmente inutitle. Come “splendidamente” inutile è questo The Royal Sessions. Molti si chiedono che senso ha rifare, quasi pari pari, dei classici della musica soul, quando potresti fare qualche bel dischetto di dubstep o nu soul “moderno? Ahia, mi sono fatto male mordendomi la lingua, boccaccia mia statti zitta, una risposta ce l’avrei ma mi taccio! Oppure cantanti come Bruno Mars, Pharrell o gruppi come i Daft Punk ed altri che eccellono proprio quando i “loro” brani meglio riescono ad imitare gli originali, presentando le canzoni come frutto di ispirazione quasi preternaturale (non sentite su vecchi dischi, aleggiano nell’aria), o i geni dell’hip-hop e del rap che per fare prima i brani famosi li campionano, però tutto questo è di Moda!

Allora a questo punto meglio un disco come questo, dove tutto è quasi “matematico”, gli arrangiamenti, la produzione (di Perry Margouleff, che con assoluta nonchalance passa dai Maroon 5 al soul della Hi Records), l’abilità dei musicisti e quella componente spesso trascurabile, come si chiamano quelle robe? Ah sì, le “canzoni”, un fattore infimo! E allora scorrono I Thank You di Sam & Dave , Down Don’t Bother Me di Albert King e I Can’t Stand The Rain, che cantava da par suo Ann Peebles, tutte in versioni gagliarde e sanguigne, con Rodgers che ha ancora una voce della madonna, dategli delle canzoni e lui sa cosa farci. L’uno-due da sballo di I’ve Been Loving You Too Long (To Stop Now) (in una long version memorabile) e That’s How Strong My Love Is, tratte dall’opera di Otis Redding, fa bene al cuore e alle coronarie. La versione di Walk On By non è quella, peraltro sontuosa, scritta da Burt Bacharach per Dionne Warwick, ma è quella concepita alla Stax da Isaac Hayes per il suo stupendo Hot Buttered Soul. Senza raggiungere i dodici minuti di quella versione memorabile gli elementi ci sono tutti, il wah-wah di Toles, gli archi, le coriste “in calore”, una piccola meraviglia. Questo signore compie 65 anni a fine anno, ma è ancora una potenza, non per niente nel 2007 si è pure sposato una Miss Canada ( un po’ di gossip). Any Ole Way è considerato un brano minore dell’opera di Otis Redding, era il lato B di Satisfaction, poi inserito nella Collector’s Edition di Otis Blue, il capolavoro del King Of Soul , ma averne di canzoni “minori” così. Anche It’s Growing non è conosciutissima ma canzoni così sono delle perle della soul music. I Free avevano altri brani del repertorio di Albert King nel loro carniere (The Hunter!), ma questa versione di Born Under A Bad Sign risveglia vecchi ricordi, il blues si riaffaccia sul percorso sonoro di Rodgers, meno dura e più sinuosa rispetto alle “cattiverie” dei vecchi tempi, ma sempre un bel sentire. La conclusione sarebbe affidata ad una strepitosa I’ve Got Dreams To Remember, sempre Otis!, mamma mia come canta, come si chiama quella cosa che o ce l’hai o se no non la inventi? Feeling, forse? Qui ce n’è a tonnellate. D’altronde si tratta di una delle più belle canzoni di tutti i tempi: senza urlare, strepitare, esagerare, Paul Rodgers la canta come se ne andasse della sua vita.

Dicevo sarebbe, perché se comprate la versione Deluxe del CD (vi pareva potesse mancare) trovate altri tre brani: due omaggi al maestro di Otis (perchè tutti ne hanno avuto uno), quel Sam Cooke dalla voce melismatica che potrebbe essere considerato uno degli inventori della soul music, con altre due versioni micidiali di Shake e Wonderful World, e uno a sé stesso con Walk In My Shadow ,che era uno dei brani più belli dei Free. Non vi basta ancora? C’è pure il DVD con il “making of” del tutto, dove potete vedere un drappello di grandiosi musicisti mentre si preparano a regalarci questa delizia che spero si poserà nei vostri lettori al più presto. Dal 28 gennaio in Europa e dal 4 febbraio negli Usa. Nel 2013 Boz Scaggs aveva registrato un ottimo Memphis che correva più o meno su queste coordinate http://discoclub.myblog.it/2013/02/27/la-classe-non-e-acqua-boz-scaggs-memphis/ , Royal Sessions forse è anche meglio, il tempo lo dirà!

Bruno Conti

“Neri Dentro”! Jesse Dee – On My Mind/In My Heart

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Jesse Dee – On My Mind/In My Heart – Alligator

Questa recensione potrebbe appartenere a due rubriche (se esistessero): “E intanto la Alligator non sbaglia un colpo” e “Neri Dentro”. Per l’etichetta di Chicago si tratta dell’ennesimo disco centrato, in una sequenza di pubblicazioni che negli ultimi anni non hanno mai mancato l’obiettivo di divertire ed emozionare. Il divertire è uno degli scopi massimi di questo CD di Jesse Dee (il suo secondo, anche se in alcune discografie gliene attribuiscono un terzo, ma è di un omonimo canadese), soulman bianco di Boston, la patria della J.Geils Band e Peter Wolf, volendo rimanere nel genere “musica nera rivisitata”. Come il suo grande amico e sodale, con cui spesso divide il palcoscenico dal vivo, e che sta dall’altra parte dell’Oceano, ovvero James Hunter, Jesse Dee è un grande appassionato e cultore del soul, ma quello vero, Al Green, Otis Redding, Etta James, soprattutto Sam Cooke, ma anche il primo Marvin Gaye, i Temptations e lo stile più leggero e pop della prima Motown e mille altri che non citiamo ma si possono immaginare.

Già il precedente Bittersweet Batch pubblicato dalla Munich Records aveva lasciato intravedere il suo talento, che ora viene confermato da On My Mind/In My Heart, non parliamo di capolavori ma di dischi piacevolissimi da gustare, centellinare, mentre ascolti questo giovane che in un mondo musicale falso e plastificato è in grado di (ri)proporre una musica fresca e frizzante come quella dei suoi predecessori, senza la stessa classe, ovviamente indirizzata ai cultori del genere, ma che può essere apprezzata da tutti senza riserve, ti consoli delle brutture di molto cosidetto “nu soul” attuale. I brani sono tutti “originali” (almeno nel nome e nel contenuto, magari le melodie un po’ meno), firmati dallo stesso Jesse Dee, che si avvale di un gruppo di musicisti, probabilmente non molto conosciuti al di fuori della’area dello stato del Massachussetts (dove è stato registrato l’album), ma assolutamente validi e pertinenti allo stile che perseguono.

Undici brani che si muovono nei meandri del soul e del R&B con leggerezza estrema: dall’apertura ricca di fiati della title-track che tra organo e chitarrine ritmiche ficcanti permette al bravo Jesse di mettere in evidenza la sua voce vellutata e senza tempo, una partenza blue-eyed soul, magari non è un testifier alla Redding o alla Pickett, ma si capisce subito che è uno bravo, come conferma il ritmo alla Marvin Gaye primo periodo della funky No matter where I Am propulsa da un basso molto marcato o le belle melodie della dolce Fussin’ and Fightin’ dove aleggia lo spettro di Sam Cooke, ma anche il miglior Robert Cray in salsa soul potrebbe essere un riferimento. I Won’t forget about you ha quella andatura alla Temptations di The Way You Do The Things I Do, divertente e spensierata, sempre con i fiati in libertà. Ottima anche Tell Me (Before It’s Too late) già nel suo repertorio live da qualche anno, con retrogusto gospel e qualche prova di falsetto sempre gradita.

E che dire del coinvolgente duetto con Rachael Price (una bravissima giovane cantante dell’area di Boston, ma nativa del Tennessee, solista nei Lake Street Dive,  gruppo che vi consiglio), ha la spensieratezza dei duetti dell’epoca d’oro del soul e tutti e due i cantanti hanno quel quid inspiegabile nella voce che distingue i cavalli di razza dai ronzini. Anche in The Only Remedy sfoggia un falsetto in alternativa alla sua voce naturale arricchita da quel tocco di raucedine che fa soul dal primo ascolto, mentre la dolce ballata What’s A Boy Like Me To Do? ci riporta al Cooke più mellifluo e anche melismatico e vi assicuro che è un bel sentire, potrebbe ricordare anche i brani più melò della scomparsa Amy Winehouse. Sweet Tooth con la sua energia sixties potrebbe far parte del repertorio più scatenato del suo omologo James Hunter. Boundary Line è un sontuoso gospel soul alla Al Green, passione e grinta convogliati in una voce in grado di emozionare. E per finire una Stay Strong di nuovo sbarazzina come i singoli più spensierati di quel Sam Cooke che è un po’ il punto di riferimento irrinunciabile della musica di Jesse Dee, bianco fuori ma nero dentro. E la ricerca continua.

Bruno Conti

Di Nuovo Insieme! Graham Parker & The Rumour – Three Chords Good

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Graham Parker & The Rumour – Three Chords Good – Primary Wave/EMI Label Service

In questo 2012 che si avvia alla conclusione, con alcuni colpi di coda interessanti a livello discografico, qualche mese fa abbiamo avuto la reunion, 27 anni dopo, dei Dexys Midnight Runners, che sono rimasti solo Dexys e in fondo erano la creatura di Kevin Rowland, ma questa di Graham Parker è proprio la reunion con il suo gruppo storico, i Rumour, con i quali aveva registrato solo una manciata do album, ma fantastici, tra il 1976 e il 1980. Quindi, se la matematica, o meglio l’aritmetica non è un’opinione, fanno 32 anni di separazione. E ci sono ancora tutti e sono gli stessi di allora, che è quasi miracoloso: Brinsley Schwarz e Martin Belmont alle chitarre, Bob Andrews alle tastiere, Andrew Bodnar al basso e Steve Goulding alla batteria. Un gruppo che in quegli anni gloriosi rivaleggiava con gli Heartbreakers di Tom Petty, la E Street Band e la Silver Bullet Band di Seger come migliore backing band dell’orbe terracqueo. E perdipiù Schwarz e Andrews provenivano dai Brinsley Schwarz (dove con Nick Lowe, Ian Gomm e Billy Rankin, evolvendosi dai Kippington Lodge, avevano “inventato” il pub rock) e anche Martin Belmont aveva suonato con i Ducks DeLuxe, altro geniale gruppo di quel genere.

Graham Parker, con la sua inossidabile funzione di trait d’union tra Stones e Van Morrison, con ampie spruzzate di Dylan, unite ad una passione gagliarda per il rock ed un sarcasmo tipicamente inglese e, soprattutto, una corposa manciata di grandi canzoni, ha realizzato in quel periodo una serie di dischi, che ancora oggi sono quanto di meglio si può ascoltare nel, chiamiamolo, “rock di sintesi”: R&R, Pub-rock, soul, reggae bianco, canzone d’autore, punk e new wave (ma solo nell’attitudine), quindi niente di nuovo, ma fatto di un gran bene. Dischi come Howlin’ Wind, Heat Treatment, Stick To Me, il doppio Parkerilla, Squeezing Out Parks, l’EP The Pink Parker e il promo Live At Marble Arch sono ancora oggi delle delizie per l’apparato uditivo di chi ama la buona musica. E il tutto, considerando che Parker, come lo Springtseen di quegli anni, non era stato proprio servito a dovere dalla sua casa discografica, alla quale dedicherà una delle canzoni più velenose mai dedicate all’industria discografica, Mercury Poisoning, uscita su Squeezing… il disco di commiato dai Rumour. All’incirca nell’ultimo anno sono usciti vari prodotti d’archivio che hanno allietato le giornate dei fans del vecchio Parker: prima i due Bootleg Box, con materiale che risaliva anche fino a quegli anni e poi il doppio CD (o DVD) dei concerti al Rockpalast nel 1978 e 1980.

Naturalmente nel frattempo Graham Parker, che si è trasferito negli Stati Uniti, ha proseguito la sua carriera solista, che nel corso di questo trentennio ha regalato ancora parecchie gemme ai suoi estimatori. Senza citarle tutte, andando a ritroso, l’ottimo ultimo Imaginary Television del 2010, Don’t Tell Columbus del 2007, Your Country del 2004 e più indietro nel tempo Struck By Lighting, The Mona Lisa’s Sister e tantissimi altri che non citiamo per non infierire sulla lista della spesa (ma un cofanetto come Passion Is No ordinary Word, che potrebbe essere il suo motto, se si trova ancora, sarebbe consigliatissimo).  

Ed ora, dopo tanto tempo, non inattesa, perchè se parlava da un po’ di tempo, avviene questa reunion, sancita da un disco come Three Chords Good, che rientra in quel rock di sintesi citato prima, niente di nuovo ma, sempre e comunque, fatto un gran bene! Spesso sono più efficaci cinque o sei oh-oh o tre o quattro la-la di intere batterie di sintetizzatori e diavolerie elettroniche, o dubstep pseudofuturibili, quando hai un gruppo di belle canzoni e una band perfetta per eseguirle. E questa è la ricetta dell’album.

Dal rock intriso di “reggae bianco” (non amo il reggae, ma qualche eccezione, per gente come la Armatrading, Garland Jeffreys, lo stesso Parker del passato e pochi altri, la faccio) di Snake Oil Capital Of The World, amaro ed acido nei testi, con le chitarre di Schwarz e Belmont subito pungenti ad intrecciarsi con l’organo insinuante di quel genietto di Andrews, uno che conosce tutti i segreti della tastiera rock (come Benmont Tench e Roy Bittan), si passa ad una ballata mid-tempo nostalgica e ricca di reminescenze e melodia come la deliziosa Long Emotional Ride. Stop Cryin’ About The Rain è uno di quei brani che probabilmente Graham Parker riesce a scrivere anche durante il sonno, ma con quegli oh-oh piazzati al posto giusto, qualche piccola percussione qui è là, arrangiamenti minimali ma perfetti, ti sembra di ritrovare un vecchio amico che in fondo non era mai andato via, eri tu che lo avevi dimenticato. I ritmi volutamente demodé di She Rocks Me, tra vecchio R&R e il Dylan di Blonde On Blonde, sono ciondolanti e incalzanti al tempo stesso, e poi se non hai i soldi per un sassofonista niente di meglio del vecchio kazoo, che non sentivo su un disco dalla seconda guerra punica.

Three Chords Good, mi vengono in mente due persone che potevano scriverla, uno è il “vecchio” Bruce, l’altro è Graham Parker. Che genere è? Boh! Però è bella e si ascolta con piacere: forse genere bella vecchia canzone, già sentita mille volte, ma una volta di più non guasta, ne sostituisce per 5:38 minuti altre 999, simili ma non uguali. Old Soul è lui, il vecchio Graham, disponibile anche in versione vagamente jazzata, molto laid-back. A Lie Gets Halfway ‘Round The World è una delle rare concessioni del disco a ritmi più serrati, quasi rock, anzi R&R alla Parker, dicansi pub-rock e qui vai di “duh-duh-duh” e “la-la-la”! That Moon Was Low è una soul ballad morbida ma succulenta, con uso di piano, degna del miglior Sam Cooke (e del miglior Graham Parker). Live In Shadows è un bel brano swing jazz vagamente vicino di cortile del Joe Jackson di Jumpin’ Jive, diciamo limitrofo. Arlington’s Busy è forse il brano più bello del disco, il Parker sociale che parla dei soldati in Iraq e Afghanistan con accenti e voce più Dylan del Dylan più dylaniano, quello migliore dei vecchi tempi andati, periodo Blonde On Blonde, musicalmente una meraviglia.

Coathangers sarebbe (è) il singolo dell’album, il brano più rock e tirato, a dimostrazione che la vecchia band è ancora in grado di far ruggire tutti i quattro clindri del motore e la voce c’è, non è invecchiata di una virgola rispetto al passato. E per finire un’altra di quelle ballatone malinconiche alla Ray Davies (o Ian Hunter, altro dylaniano Doc)) che Graham Parker dedica al Last Bookstore In Town, un mondo che va scomparendo e che va ricordato con affetto e commozione, e vai con l’ultimo assolo di kazoo. Musica senza tempo, il mondo di oggi visto da un osservatore più distaccato e meno incazzato del solito, un poco rassegnato perfino, ma sempre caustico e geniale. Potrebbe fare il paio con l’ultimo di Ian Hunter, come invecchiare con classe, di nuovo insieme ai vecchi amici!

Bruno Conti

Anteprima Nuovo Album Di Robert Cray Nothin’ But Love In Uscita Il 28 Agosto.

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Robert Cray Band – Nothin’ But Love – Mascot/Provogue/Edel in uscita il 28 agosto anche in Limited Edition Digipack Con Extra Track Nothin’ But Love Live

Quando sono belli bisogna proprio dirlo e questo Nothin’ But Love, 16° album in studio per Robert Cray, è uno dei suoi migliori album in assoluto. Evidentemente il cambio di etichetta e soprattutto l’incontro con un nuovo produttore, Kevin Shirley, hanno fatto bene al musicista di Columbus, Georgia. Proprio quel tanto bistrattato Shirley per le sue produzioni con Bonamassa, che il sottoscritto ha sempre trovato peraltro eccellenti. Ok, in passato ha lavorato con Journey, Iron Maiden, Mr.Big, Europe, non proprio musicisti da Blues classico, ma dal lato positivo ha lavorato con Black Crowes, Aerosmith e, ad inizio carriera, con Cold Chisel e Hoodoo Gurus, senza dimenticare il lavoro con Page per il doppio DVD retrospettivo dei Led Zeppelin che da solo gli varrebbe la medaglia al valore musicale. Se a uno come Rick Rubin si perdona un passato a furia di Run-D.M.C,. Slipknot e Slayer per i lavori successivi con Cash, Petty, Diamond, Avett Bros e in attesa degli ZZTop, qualche peccatuccio lo si può perdonare anche al buon Kevin, fine della parentesi.

Proprio l’approccio da “dirt under the fingernails”, come riportano le note di presentazione del disco, voluto da Shirley, ha fatto sì che questo disco, registrato volutamente in presa diretta, solo tastiere, basso, batteria e la chitarra e la voce del leader in primo piano, sia un ritorno alle origini di dischi strepitosi, in questo ambito musicale, come Who’s Been Talkin’, False Accusations e Strong Persuader, dove il blues veniva miscelato con soul, rock e qualche spruzzatina jazz con una classe e una souplesse che ricordava i suoi mentori musicali, gente come BB King, Albert Collins, Bobby Blue Bland ma anche Hendrix e Buddy Guy senza dimenticare “mister Mano Lenta” Eric Clapton, che ha espresso più volte la sua ammirazione e dato la sua amicizia al nostro. Cray non ha mai perso il tocco di chitarra e quella voce calda e suadente è un dono di natura, ma dischi come Twenty e This Time non hanno fatto molto per mantenere la sua reputazione, per usare una parafrasi, soprattutto l’ultimo faceva un po’ pena (il termine esatto sarebbe “cagare” ma per rispetto…), con un suono molliccio e ripetitivo, privo di idee e con dei suoni poco incisivi, parere personale. Eh sì che di idee non ne occorrono tante in un genere come il Blues, bastano delle buone canzoni, dei suoni caldi e naturali, una buona produzione, tutti ingredienti che non mancano in questo Nothin’ But Love e che comunque nei concerti dal vivo, come dimostrava anche il recente disco Live Cookin’ In Mobile, al buon Robert, anche in tempi recenti, non hanno mai fatto difetto.

E’ ovvio che soprattutto nel caso in cui si parli di album con una uscita più avanti nel tempo, per ottenere le informazioni basilari ci si avvale delle informazioni contenute nei comunicati stampa ed è altrettanto ovvio che in queste note si parli sempre in termini entusiastici dei prodotti in questione, poi sta al senso critico di chi scrive prendere “cum grano salis” quanto si ricava, senza appiattirsi o, peggio ancora, soccombere al copia e incolla come è diventata pessima abitudine in questa era tecnologica per molta cosiddetta critica musicale, soprattutto in rete. Il problema non si pone per questo nuovo Robert Cray che, ribadisco, è proprio genuinamente bello di suo e quindi non ha bisogno di aiuti esterni: lo scorso anno Cray è stato “indotto” nella Blues Hall Of Fame, a 57 anni dovrebbe essere il bluesman più giovane ad essere indotto in questa “Accademia”. Per festeggiare pubblica questo nuovo album, tutto composto di materiale originale scritto con gli altri componenti storici del suo gruppo, il tastierista Jim Pugh, il bassista Richard Cousins e il batterista Tony Branaugel che è produttore anche di suo.

Il suono, brillante e lineare, si gusta sin dall’iniziale Won’t Be Coming Home un blues antemico di quelli classici del suo repertorio migliore. Anche Worry è una eccellente canzone con un pianino alla Winwood che ricorda certe cose dei Traffic e un call and response nel reparto vocale che aggiunge fascino al brano, sempre percorso dalla chitarra di Cray. La jazzata I’ll Always Remember You aggiunge anche una sezione fiati alle procedure. Side Dish, energica e grintosa vira addirittura verso sonorità vicine al R&R con il piano di Pugh a fiancheggiare la solista di Robert e A Memo ci ricorda appunto il Cray melodico e avvolgente dei capitoli migliori. Blues Get Off My Shoulder è uno slow blues quasi da crooner, nuovamente con fiati al seguito, mentre la lunga ed emozionante I’m Done Crying è una ballata in crescendo con una bella sezione fiati aggiunta che conferisce pathos alle operazioni e Great Big Old House è il consueto omaggio al grande deep soul da parte di Robert Cray, cantato con grande partecipazione e con l’organo in spolvero. E la conclusiva Sadder Days, molto malinconica, ricorda certe di Sam Cooke. Tutto molto bello, che altro dire!  

Non (vi) resta che aspettare.

Bruno Conti