Un’Altra Ricca “Ristampa” Di Bob: Il Santo Graal Del Rock! Bob Dylan & The Band – The Bootleg Series Vol. 11: The Basement Tapes Complete, Take 1

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Bob Dylan & The Band – The Bootleg Series Vol. 11: The Basement Tapes CompleteColumbia/Sony Box 6CD

In un anno in cui è stato riedito nella versione (si spera) definitiva il più grande disco dal vivo di tutti i tempi (il Fillmore East degli Allman Brothers) e sono iniziate le ristampe con inediti della più grande band di sempre (i Led Zeppelin, anche se si sperava in qualcosa di meglio, vero, Mr. Page?), volevate forse che il più grande in assoluto, cioè Bob Dylan, se ne stesse con le mani in mano? Certo che no, è così il nostro (o la Columbia, ma fa lo stesso) ha rinviato al prossimo anno il suo nuovo album, già pronto (Shadows In The Night, pare un disco di covers di Frank Sinatra) e ha calato la sua scala reale: la pubblicazione integrale (138 canzoni) dei mitici Basement Tapes, ciò che i fans del buon Bob avevano favoleggiato e desiderato per anni; per fare questo, è stato cambiato addirittura l’argomento dell’undicesimo capitolo delle Bootleg Series (che sembrava dovesse essere dedicato alle sessions di Blood On The Tracks), già deciso da tempo.

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La storia dei “nastri della cantina” è nota anche ai non dylaniati: nel 1967, dopo anni vissuti nella corsia di sorpasso (soprattutto il 1965 ed il 1966), a base di dischi (tre), concerti (abbastanza) ed anfetamine (tante), Bob Dylan decide che non è il caso di finire nella tomba e stacca la spina, usando come scusa ufficiale il famoso incidente motociclistico (che forse non era poi così grave),  andando a vivere con la moglie Sara (Noznisky Lownds) ed i figli nella sua nuova casa di campagna, a Woodstock.Qui, dopo qualche mese di ozio assoluto, ricomincia ad incidere, insieme a The Band (allora ancora chiamati The Hawks), una serie di canzoni allo scopo di mettere a disposizione dei brani nuovi a chiunque volesse incidere un pezzo di Dylan: tra le versioni più note di queste canzoni ricordiamo Too Much Of Nothing ad opera di Peter, Paul & Mary, The Mighty Quinn per i Manfred Mann, You Ain’t Goin’ Nowhere e Nothing Was Delivered, entrambi nel seminale Sweethearts Of The Rodeo dei Byrds.

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Dylan e compari (inizialmente senza Levon Helm, che si unirà nelle ultime sessions a cavallo tra ’67 e’68) iniziano a prenderci gusto e, spostatisi in una casa vicina presa in affitto da Robbie Robertson e soci, la mitica Big Pink (pare per lasciar tranquilla Sara, che era incinta), proseguono le incisioni includendo anche vecchi traditionals e covers di brani country, il tutto in un’atmosfera gioviale e rilassata, senza alcuna pressione, finendo per mettere a punto una serie impressionante di canzoni, alcune appena abbozzate ma la quasi totalità finite in ogni dettaglio.Poi il silenzio, fino a quando, nel 1969, fa la sua comparsa in alcuni negozi un disco misterioso con la copertina bianca: si tratta di Great White Wonder, ovvero il primo bootleg della storia ed anche il più famoso, nel quale trovano posto canzoni inedite di diversi momenti della carriera di Dylan, tra cui alcune di quelle fantomatiche registrazioni di due anni prima https://www.youtube.com/watch?v=WAPzhVD4vmo .

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Il disco vende parecchio, ed il mito dei nastri della cantina inizia a prendere forma, scatenando un vero e proprio passaparola tra i fans (internet era di là da venire…) che iniziano a chiedere a gran voce la pubblicazione ufficiale di quei recordings.Ancora nulla fino al 1975, quando finalmente la Columbia si decide a far uscire The Basement Tapes, un doppio LP con appena 16 brani tratti dalle sessions di otto anni prima, tra l’altro pieni di manipolazioni e sovrincisioni, e con l’aggiunta di otto pezzi della sola Band registrati ex novo, quindi fuori dallo spirito originale. Una mezza delusione insomma. Da allora sono usciti la miseria di cinque brani, sparsi nei vari cofanetti e nella colonna sonora del film I’m Not There (la title track, appunto), oltre ad un libro, La Repubblica Invisibile, scritto sull’argomento dal noto musicologo Greil Marcus (per molti imperdibile, per me un mattone), ma oggi possiamo dire che finalmente l’attesa è finita, ed abbiamo tra le mani in un sol colpo quelle che dovrebbero essere (il condizionale con Dylan è d’obbligo) tutte le registrazioni di quel 1967, che rendono inutili tutti i bootleg usciti in questi anni sull’argomento (The Genuine Basement Tapes e A Tree With Roots i più popolari): tra l’altro, ci sono circa una trentina di pezzi che non sono mai apparsi da nessuna parte, quindi una chicca anche per i dylaniani più incalliti.

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Il box di 6CD (esiste anche una versione doppia, sottotitolata Raw, e questa volta forse la cosa ha un senso, in quanto non sono tutti così appassionati da comprarsi l’opera completa) rispetta l’ordine cronologico delle registrazioni, secondo la scaletta in possesso di Garth Hudson (il direttore musicale e genio tecnologico della Band), con una qualità sonora finalmente adeguata, che spazza via quanto seppur di buono era stato fatto con i bootleg (io ho un paio di volumi di A Tree With Roots, e posso confermare che qui siamo su un altro pianeta), anche se chiaramente non si arriva alla perfezione richiesta per le incisioni professionali.

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Poi c’è la confezione, extralusso, che prosegue quanto instaurato con i volumi n. 8 e 10 della serie: un box slipcase con due bellissimi libri, uno con un lungo saggio del biografo dylaniano Clinton Heylin ed i crediti delle canzoni, e l’altro con varie foto del periodo 1967/69 (molte delle quali mai viste) ed altre tratte dalle sessioni fotografiche del 1975 per la famosa copertina “nani e ballerine” del disco originale. Ed infine, lo strepitoso contenuto musicale, una vera e propria full immersion nella musica americana tradizionale e non, che vede Bob e la Band come ideali precursori del movimento roots che oggi va per la maggiore: insieme ai molti brani autografi di Dylan (alcuni, se pubblicati all’epoca in altra veste, avrebbero potuto diventare dei classici assoluti), forma un body of work impressionante per qualità e quantità, visto che la veste sonora restaurata ce li fa apprezzare come se i numerosi bootleg non fossero mai esistiti.
Ed ecco una (spero) rapida disamina disco per disco, con molte dolorose esclusioni, per evitare di dover creare una recensione a puntate (*NDB. Due puntatine ci scappano): laddove non cito l’autore il brano si intende di Dylan.

Fine parte 1, segue…

Marco Verdi