Musica Per L’Infanzia, Ma Ottima Anche Per Gli Adulti! Sara Watkins – Under The Pepper Tree

Sara Watkins Under The Pepper Tree

Sara Watkins – Under The Pepper Tree – New West

Sara Watkins più o meno tutti sappiamo chi è: cantante e violinista assai eclettica, fondatrice con il fratello Sean e con Chris Tile dei Nickel Creek, una delle migliori band di country/bluegrass “contemporaneo”, in attività da fine anni ‘80 fino alla prima decade degli anni 2000, con un paio di reunion, nel 2014   e lo scorso anno per un Live At Fox Theater, autoprodotto e di difficilissima reperibilità, con il fratello ed alcuni amici ha dato vita anche al progetto Watkins Family Hour, autori di due deliziosi album https://discoclub.myblog.it/2015/08/28/simpatico-affare-famiglia-amici-watkins-family-hour/ , nel 2018 con le amiche Sarah Jarosz e Aoife O’Donovan ha registrato un eccellente disco sotto il moniker I’m With Her. E in questi anni, a partire dal debutto omonimo del 2009, prodotto da John Paul Jones degli Zeppelin, ha lanciato anche una solida carriera solista https://discoclub.myblog.it/2016/08/10/recuperi-estivi-gruppetto-voci-femminili-1-sara-watkins-young-all-the-wrong-ways/ : nei suoi dischi, oltre a country e bluegrass progressivo, ci sono anche morbidi elementi rock/pop e cantautorali, quindi cosa mancava?

Un bel disco di canzoni per bambini: ed ecco Under The Pepper Tree. Fermi, dove andate! Per bambini cresciuti e adulti a cui piace sognare, perché questo album è veramente piacevole e incantevole: sono nove cover, scelte tra musiche di film famosi, alcuni della Disney, standard della canzone americana, perfino un pezzo dei Beatles, scritto da John Lennon per Ringo, la dolce e sognante Good Night, che chiudeva il White Album, oltre a due brani scritti per l’occasione, il tutto suonato in punta di dita con grande classe da un gruppo di musicisti provetti, a partire dal produttore Tyler Chester, che suona anche una infinità di strumenti nel CD, Alan Hampton al basso e Ted Poor alla batteria, David Garza e Sean Watkins alle chitarre, Chris Thile, mandolino e voce, Rich Hinman alla pedal steel guitar, oltre alle armonie vocali di Aoife O’Donovan, Sarah Jarosz, Taylor Goldsmith (Dawes), Sam Cooper e alla stessa Sara Watkins, che canta, suona violino, chitarra acustica e piano elettrico. Alcuni dei musicisti citati appaiono come I’m With Her in Tumbling Tumbleweeds e come Nickel Creek in Blue Shadows On The Trail. Un disco ideale per placare i nervi provati dal Covid.

 Pure Imagination viene da Willy Wonka, atmosfere celestiali, violino accarezzante, come pure la voce cristallina di Sara che gorgheggia arrangiamenti complessi molto da musical, brano che poi confluisce senza soluzione di continuità in The Second Star To The Right da Peter Pan, poi arriva Blue Shadows On The Trail, il pezzo con i Nickel Creek, un vecchio standard di Roy Rogers, pura cowboy song con il picking splendido dei musicisti e armonizzazioni vocali sublimi. La dolcissima Edelweiss dove la Watkins duetta con la giovanissima figlia fa da preludio a Moon River, con contrabbasso, organo sullo sfondo, una chitarra acustica spagnoleggiante e la voce delicata che intona questa melodia senza tempo; la title track è un breve strumentale per solo violino, delizioso anche l’approccio per una calda When You Wish Upon A Star, altro classico Disney, questa volta da Pinocchio, chitarra elettrica appena accennata che precede l’arrivo dell’arpeggiata acustica in Night Singing, una ninna nanna originale scritta dalla stessa Sara che poi la dedica amorevolmente alla figlia.

La La Lu da Lady And The Tramp (o se preferite Lilly E Il Vagabondo) è un’altra soave canzone senza tempo a cui fa seguito il brano con le I’m With Her Tumbling Tumbleeweeds, voci in armonia, piano, pedal steel e violino per un’altra delizia. Blanket For A Sail sembra un pezzo di Norah Jones, anche per il timbro vocale della Watkins, che viene raggiunta da Goldsmith per questo country/swing jazzato e demodè, con ritmica appena accennata, violino e steel sempre pronti alla bisogna. Beautiful Dreamer è una canzone di Roy Orbison, spogliata dalla voce stentorea dell’autore, pur mantenendo la melodia del pezzo, mentre non poteva mancare una trasognata Stay Awake da Mary Poppins e pure “l’inno del Liverpool” You’ll Never Walk Alone, solo per voce e chitarra acustica, con il violino che entra nel finale, diventa un’altra ninna nanna per grandi e piccini e quando in chiusura un pianoforte diffonde le immortali note di Good Night possiamo andare a dormire sereni cullati dalla voce carezzevole di Sara Watkins.

Progetto inconsueto ma riuscito.

Bruno Conti

Recuperi Estivi. Un Gruppetto Di Voci Femminili 1: Sara Watkins – Young In All The Wrong Ways

sara watkins young in all the wrong ways

Sara Watkins – Young In All The Wrong Ways – New West

Visto che siamo in piena stagione estiva, come tutti gli anni è venuto il tempo dei “recuperi”, e quindi andiamo a recensire un po’ di quegli album che per varie ragioni, soprattutto di tempo ma anche perché ingiustamente dimenticati, non sono andati a finire sul Blog. Una serie di Post sarà dedicata ad alcuni dischi dove protagoniste sono le voci femminili, ma non mancheranno album di generi diversi, senza comunque trascurare le uscite del mese di agosto, alcune anche assai interessanti. Ma andiamo con ordine.

Oggi parliamo di Sara Watkins, cantante e violinista californiana sopraffina, che negli ultimi anni aveva momentaneamente accantonato la sua carriera solista prima per la reunion dei Nickel Creek nel 2014 http://discoclub.myblog.it/2014/05/27/ritorno-sulla-linea-tratteggiata-nickel-creek-dotted-line/ e poi nel 2015 per il delizioso quadretto d’assieme della Watkins Family Hour http://discoclub.myblog.it/2015/08/28/simpatico-affare-famiglia-amici-watkins-family-hour/. Ed ora, a quattro anni dal precedente Sun Midnight Sun, ritorna con il suo terzo album di studio, questo Young In All The Wrong Ways che ha avuto un esordio “sontuoso” nelle classifiche americane al 200° posto e la settimana successiva era già sparito, ma come sapete non è certo per questo motivo che recensiamo gli album, ci interessa la qualità e la buona musica e quelle ci sono in abbondante quantità. Si tratta del primo album con la nuova etichetta New West, ma alcune delle facce e dei nomi che la accompagnano sono quelli abituali: il fratello Sean Watkins alla chitarra, Benmont Tench, organo, piano, acustico e Wurlitzer, già presenti nei Watkins Family Hour. Più molte new entries, in rigoroso ordine alfabetico: Jay Bellerose alla batteria, il bravissimo Jon Brion a basso, chitarra e tastiere varie, Tyler Chester alle tastiere, Jim James Sarah Jarosz, vocalist aggiunti, come pure Aoife O’Donovan, Noam Pikelmy dei Punch Borthers, alla chitarra e Gabe Witcher della stessa band, che oltre a suonare decine si strumenti nel disco, ne ha curato gli arrangiamenti, la produzione ed è stato l’ingegnere del suono. E sono solo alcuni, i più conosciuti, poi ce ne sono molti altri utilizzati a french horn, arpa, cello, pedal steel, chitarre, contrabbasso (Paul Kowert, anche lui dei Punch Brothers), flauto, clarinetto, sax, una strumentazione ricchissima quindi.

Le dieci canzoni portano tutte le firma della Watkins, che ormai è diventata cantautrice a tutti gli effetti, con un album che non dimentica i vecchi amori per bluegrass e country, oltre a contenere elementi folk, ma poi spazia con eleganza in tutti gli stili, anche in ambito pop e rock (peraltro già usati con buon profitto nel disco del 2012), morbido quanto si vuole ma di buona sostanza. Prendiamo la title track che ruota attorno alla voce dolce ma grintosa della protagonista, come pure ad un suono decisamente rock, con chitarre elettriche ben presenti, una ritmica marcata e continui cambi di tempo, arrangiamenti raffinati e curatissimi di Witcher, che potrebbero ricordare sia le morbidezze di Norah Jones quanto lo stile più grintoso di Aimee Mann, o ancora della sua amica Fiona Apple,  ma pure Sarah Jarosz Aoife O’Donovan (con lei nella band I’m With Her), che curano le armonie vocali del pezzo, insomma una bella partenza. The Love That Got Away è una esile ballata che ruota attorno ad una strumentazione più parca, con piano, cello, forse un mandolino e poco altro a sostenere la deliziosa voce della Watkins, sempre sorretta da piccoli tocchi vocali aggiunti dagli ospiti. Molto bella anche la mossa One Last Time, con un po’ di picking country-bluegrass, elementi swing con il contrabbasso che guida il ritmo, la voce birichina e solare di Sara, armonie vocali deluxe, anche di Jim James, e i consueti continui cambi di tempo che tengono desta l’attenzione dell’ascoltatore, oltre a un breve assolo al violino, suo strumento di elezione. Move Me, il secondo singolo tratto dall’album, pur essendo il brano più lungo, è un’altra costruzione pop-rock di grande efficacia, e scorre con fluidità e semplicità, caratteristica di tutto l’album, improntato intorno alle grandi sensibilità dei musicisti utilizzati, qui Benmont Tench con pochi tocchi di organo rende magico un bel pezzo già dall’impianto sonoro solido, con la chitarra, presumo di Brion, a regalare grinta e spunti strumentali di gran classe.

Like New Year’s Day è un perfetto brano da cantautrice completa, una ballata avvolgente e raffinata, con una bella melodia che ti affascina e la voce che porge il testo con partecipazione e pathos, veramente bella, degna della migliore West Coast dei tempi d’oro. Say So potrebbe ricordare i Fleetwood Mac solari e californiani quando a guidare la canzone erano le voci di Christine Perfect e Stevie Nicks, pop di nuovo raffinato e di grande sostanza e con un bel crescendo incalzante, mentre Without A Word, con un piano Wurlitzer ammaliante e una chitarra acustica a guidare le linee melodiche della canzone, è una bella ballata di stampo folk-jazz, con le solite filigrane perfette della voce della Watkins, inquadrate dall’arrangiamento che ricorda i brani migliori della Norah Jones ricordata all’inizio. The Truth Won’t Set Us Free https://www.youtube.com/watch?v=9g2bQSfEswQ , malinconico racconto di un matrimonio finito male, ha però un drive sonoro movimentato, una sorta di honky-tonk country, dove il piano di Tench, il violino di Sara e una chitarra elettrica twangy alla Albert Lee o alla James Burton ci trasportano dalle parti delle Emmylou Harris Dolly Parton più pimpanti.

Per completare l’album mancano la malinconica Invisible, altra splendida ballata folkie ed intimista, di nuovo rivestita da Witcher con un arrangiamento complesso e di grande fascino, armonie vocali ad illuminarne la struttura leggermente cupa ma non triste. E per finire Tenderhearted, un brano che non sfigurerebbe nel songbook della migliore Emmylou Harris, una canzone che gli americani definirebbero “plaintive”, tradotto in italiano suona lamentoso, ma ci siamo capiti, anche se il dizionario non ci sorregge. Fino ad oggi forse il disco migliore e più completo della carriera di Sara Watkins, con tutte le sue anime musicali ben rappresentate. 

Bruno Conti

Un Simpatico Affare Di Famiglia, Con Amici Illustri: Watkins Family Hour

watkins family hous

Watkins Family Hour – Same – Family Hour Records/Thirty Tigers

Quando nel 2002 ai fratelli Sean e Sara Watkins, nel pieno della loro avventura con i Nickel Creek, la band di progressive country bluegrass tra le migliori del panorama musicale americano, venne offerta una serata al mese da utilizzare nel famoso locale Largo di Los Angeles per presentare nuovo materiale, libere improvvisazioni ed esecuzioni delle cover più disparate, probabilmente non immaginavano che l’idea ed il progetto originale si sarebbero  ampliati fino ad accogliere, nel corso degli anni, colleghi come Jackson Browne, i Dawes, Nikka Costa, Fiona Apple e musicisti straordinari come Greg Leisz e Benmont Tench, oltre ad una sezione ritmica da sogno formata da Sebastian Steinberg al basso e Don Heffington alla batteria. Ora l’idea originale diventa un album che nel titolo del Post ho definito “simpatico”, ma in effetti è una vera boccata di pura aria fresca californiana, pescata da qualche zona non contaminata dall’inquinamento della megalopoli L.A. (e ce ne sono, anche musicalmente). Il disco in definitiva è un tuffo nel miglior country-rock west-coastiano targato anni ’70 (e non solo), realizzato con gusto e destrezza musicale da questo manipolo di musicisti che eseguono undici cover di canzoni più o meno famose con la nonchalanche di un gruppo di amici e parenti che si ritrovano a suonare insieme solo per il puro piacere di farlo e coinvolgono l’ascoltatore con la loro indiscussa bravura https://www.youtube.com/watch?v=l7PJfKJz7ak .

Nella parte strumentale in effetti i protagonisti indiscussi sono la pedal steel e il dobro di Greg Leisz, vero maestro ad entrambi gli strumenti, nonché il piano e l’organo di Benmont Tench, uno dei più grandi tastieristi espressi dalla musica americana negli ultimi quaranta anni; se aggiungiamo i florilegi violinistici di Sara Watkins, altra virtuosa al suo strumento e il delizioso intrecciarsi delle voci di tutti i protagonisti impegnati, dai fratelli Watkins ad una Fiona Apple, a tratti grintosa in modo inconsueto, oltre al fare sornione di Tench e Heffington e Steinberg che cantano pure loro in un brano ciascuno, otteniamo un piccolo compendio di folk, pop, rock e country, con una chiara preponderanza di quest’ultimo. Niente di forndamentale o sconvolgente ma una quarantina di minuti di piacevole musica senza tempo eseguita con una grazia ed una delicatezza ammirevoli. Si parte con quella bellissima canzone, scritta da Robert Earl Keen, che risponde al nome di Feeling Good Again, con la pedal steel e il piano a creare una atmosfera di puro Texas country, ribadita dal violino di Sara Watkins, che fornisce anche una convincente interpretazione vocale; a seguire un classico della country music classica come Where I Ought To Be, scritta da Harlan Howard ma famosa per l’interpretazione di Skeeter Davis, qui in versione a due voci, Sara e Fiona Apple, che è quella principale e canta con una grinta e una convinzione inconsuete per la cantautrice newyorkese, cattiveria e voce roca come raramente, o quasi mai, era capitato in passato https://www.youtube.com/watch?v=Y3J2Rk_cMK8 .

La pedal steel, il piano e il violino sono nuovamente i protagonisti di una deliziosa interpretazione di un brano di uno dei re della country music, quel Roger Miller di cui viene ripresa una Not In Nottingham cantata con grande autorevolezza da Sean Watkins. Steal Your Heart Away è un pezzo di Lindsay Buckingham che in questa versione, cantata ancora da Sara, diventa una sorta di perfetto country-rock anni ’70, alla Eagles o Jackson Brown, Fletwood Mac goes country, delizioso, con Benmont Tench e Greg Leisz strepitosi ai rispettivi strumenti. Tench, canta con spirito alla Randy Newman, ironico e sornione, una Prescription For The Blues che tiene perfettamente fede al al titolo anche grazie agli svolazzi swing del violino della Watkins. Eccellente anche la rivisitazione di una canzone di Bob Dylan che al sottoscritto piace moltissimo, quella Going Gone Gone di cui ricordo una versione cantata da Robin Holcomb che conteneva un assolo sublime di Bill Frisell https://www.youtube.com/watch?v=ALM2SI0GZj8 , molto bella anche questa, cantata con grande partecipazione da Sean Watkins. Hop High è un traditional folk che permette di gustare le evoluzioni violinistche di Sara Watkins che per l’occasione sfodera anche una interpretazione vocale da brividi, mentre tutta la band gira a mille, Leisz per l’occasione al dobro e fratello Sean all’acustica nella jam strumentale nella parte centrale https://www.youtube.com/watch?v=hORlxyPOpJs .

She Thinks I Still Care è una bellissima ballata che faceva parte del repertorio di George Jones, qui cantata, molto bene, in una versione raccolta, dal bassista Sebastian Steinberg che si scambia anche i ruoli strumentali con Sean https://www.youtube.com/watch?v=LKPMcZPHcto , mentre The King Of The 12 Ounce Bottles, scritta da tale Lee Ving, leader di una band country punk negli anni ’80, è l’occasione per sentire anche la voce del batterista Don Heffington, un’altra country ballad della più bell’acqua con la pedal steel di Leisz ancora una volta sugli scudi, ben spalleggiato da Tench per l’occasione all’organo. Early Mornin’ Rain è uno dei capolavori assoluti di Gordon Lighfoot, bellissima canzone anche nella versione che si avvale dei talenti vocali femminili di Sara Watkins, eccellente anche al violino in contrapposizione al dobro di Leisz https://www.youtube.com/watch?v=6TV4Veh1Ddg , prima di unire nuovamente le forze con Fiona Apple per riprendere un altro classico assoluto, quella Brokedown Palace, brano del 1970 dei Grateful Dead, che è la canzone ideale per un “fare thee well” sentito e glorioso  https://www.youtube.com/watch?v=9egfDHqY-to  che conclude nel migliore dei modi questo delizioso tuffo nel passato con la Famiglia Watkins e i loro amici!

Bruno Conti

Novità Luglio. Tame Impala, Amy Helm, Watkins Family Hour, Buddy Guy, Joss Stone

tame impala currents

Come promesso ritorna la rubrica delle anticipazioni sulle prossime uscite discografiche (qualcuna anche già uscita) mentre ferve, al solito, il lavoro sulle recensioni degli album reputati più interessanti, con varie aggiunte che leggerete nei prossimi giorni. E, come al solito, non escludo che alcuni degli album riportati qui sotto poi avranno un Post completo, insieme a qualche titolo recuperato dalle uscite passate che per vari motivi erano stato trascurate.

Il terzo album dei Tame Impala, band australiana neopsichedelica (per mancanza di un termine migliore) è uscito il 17 luglio per la Interscoper/Universal, si intitola Currents ed ha avuto ottime critiche in giro per il mondo. Il sito http://www.metacritic.com/ che riporta i voti medi delle varie riviste e siti musicali indica una media di 83/100, con Pitchfork che gli ha assegnato 9.3, Spin 9, il NME 8, il Guardian 5 stellette, Q 4 stellette, Paste 9.4, e così via.

amy helm didn't it rain

Il 24 luglio uscirà il primo album solista di Amy Helm, figlia di Levon ed ex (?) componente degli Ollabelle, che in effetti dovrebbero essere solo in pausa di riflessione. Amy, oltre ad essere figlia di tanto padre, ha anche una madre di talento, Libby Titus, che è l’attuale compagna di Donald Fagen, e in passato lo è stata anche di Dr. John, dopo la separazione da Helm, nonché co-autrice con Eric Kaz di Love Has No Pride, una delle canzoni più belle di Bonnie Raitt e di molti altri brani nel corso degli anni, oltre ad un paio di album solisti. Quindi la musica di qualità è sempre stata una degli elementi fondamentali della vita di Amy Helm, che arriva a 44 anni a questo album di esordio, Didn’t It Rain, in uscita per la Entertainment One, dopo più di venti anni nel music business, avendo collaborato con grandissimi musicisti nel corso degli anni. A partire da suo padre, che appare alla batteria in tre brani del disco, Larry Campbell ( nel cui recente disco Larry Campbell and Teresa Williams appare anche la Helm), Byron Isaacs, bassista  e polistrumentista degli Ollabelle, che con Daniel Littleton alla chitarra e David Berger alla batteria, fa parte dell’attuale band di Amy, gli Handsome Strangers.

Nel disco suonano anche Bill Payne, Chris Masterson e Jim Weider, oltre a Campbell, alle chitarre, Marco Benevento, Brian Mitchell e John Medeski alle tastiere, più moltissime voce femminili di supporto, Carolyn Leonhart, Elizabeth Mitchell, Allison Moorer, Catherine Russell eTeresa Williams. Il disco è stato prodotto da Byron Isaacs, molto bello, manco a dirlo, con brani originali, cover di Martha Scanlan, Sam Cooke, classici spiritual, come la title-track che era nel repertorio sia di Mahalia Jackson come di Mavis Staples https://www.youtube.com/watch?v=_RglpLdfHpo
Gran disco!

watkins family hous

Anche questa è una bella sorpresa. Watkins Family Hour ricorda quelle riunioni di famiglia allargate come i dischi delle McGarrigle Sisters o della famiglie Wainwright e Thompson, ed in effetti siamo da quelle parti. Sara e Sean Watkins, che sono il lato family del gruppo, li conosciamo tutti, fratelli, ex Nickel Creek (ma il gruppo, al momento silente, esiste ancora), la prima, violinista e cantante, autrice anche di due ottimi album solisti, collaboratrice di Decemberists e Crooked Still, oltre ad apparire in parecchi dischi di pregio usciti negli ultimi anni, il secondo, multistrumentista, anche con alcuni album pubblicati a nome proprio. Tutti e due presenti pore in una sorta di supergruppo, WPA, Work Progress Administration, con un album e un EP a loro nome, progetto dove erano presenti anche Glenn Phillips dei Toad The Wet Sprocket e Luke Bulla, oltre alla sezione ritmica di Costello, Pete Thomas e Davey Faragher, più Benmont Tench (dagli Heartbreakers di Petty) e Greg Leisz. Questi ultimi due, insieme ai fratelli Watkins, Don Heffington alla batteria, Sebastian Steinberg al basso, e soprattutto Fiona Apple, già presente anche nell’ultimo disco della Watkins, in tre giorni, dal vivo in studio, hanno realizzato questo Watkins Family Hour, che comprende soprattutto cover tratte dal repertorio di Grateful Dead, Gordon Lightfoot, Robert Earl Keen, Bob Dylan, Harlan Howard, Lindsey Buckingham, eccetera. Il CD esce il 24 luglio su etichetta Family Hour e mi sembra molto buono https://www.youtube.com/watch?v=vRczyMGcPB8 . Country-rock, country got soul, folk-rock, come volete chiamarlo, il disco ha veramente un bel sound!

buddy guy born to play

Altri due titoli in uscita entro la fine del mese, il 31 luglio. Il primo è il nuovo di Buddy Guy Born To Play Guitar, etichetta RCA/Sony, il seguito dell’ottimo Rhythm And Blues pubblicato nell’estate del 2013, nello stesso periodo in cui esce questo nuovo (anche perché Guy compie gli anni il 30 luglio) e di cui vi avevo parlato ottimamente http://discoclub.myblog.it/2013/07/25/buddy-guy-non-lascia-anzi-raddoppia-il-30-luglio-compie-77-a/

Le premesse sono ottime anche per il nuovo disco https://www.youtube.com/watch?v=ntqlTG40inU ,  prodotto come il precedente da  Tom Hambridge e che vede presenti tra gli ospiti Van Morrison, Billy Gibbons, Kim Wilson e Joss Stone, che rilascia una ottima interpretazione vocale in (Baby) You Got What It Takes. Appena ci metto le grinfie sopra recensione completa.

joss stone water for your soul

Proprio anche di Joss Stone esce il nuovo disco solista Water For Your Soul, etichetta S-Curve/Stone’d Records, ma purtroppo non è altrettanto positivo il giudizio come per la partecipazione al CD di Buddy Guy. Non posso negare di avere sempre avuto una forte simpatia per questa giovane e talentuosa cantante inglese, che però alterna album ottimi, vedi i due volumi della serie Soul Sessions a ciofeghe terribili, come la collaborazione nel “tremendo” disco dei SuperHeavy, con Mick Jagger e Damien Marley, che l’ha convinta alla fine a registrare un disco di reggae. Come saprà chi legge questo Blog sono un grande estimatore (ma anche no) della musica caraibica, quindi il prospetto di un intero album dedicato al genere mi ha subito “entusiasmato”, anzi, mi sarei lanciato sulla versione Deluxe doppia che contiene anche un secondo CD con sei versioni dub di brani presenti in Water For You Soul. A parte nel titolo, soul ce n’è poco, più nu soul, hip hop, R&B e altre diavolerie moderne, oltre a tantissimo reggae. Fate conto che il miglior brano dell’album è forse questa The Answer, che incorpora elementi pop, un violino quasi celtico e ritmi orientali, ma certo un capolavoro non è. Se vogliamo si può salvare anche il secondo brano, This Ain’t Love, un funky -soul orchestrale vagamente alla Isaac Hayes, ma diciamo che il resto dei contenuti è inversamente proporzionale ai talenti vocali della Stone, che a 28 anni è sempre una delle migliori cantanti in circolazione, ma il disco non mi piace (già sentito tutto e bene), parere personale ovviamente. Peccato. Speriamo per il prossimo!

Per oggi è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

Ritornano “Sulla Linea Tratteggiata” Gli Acrobati Del Bluegrass. Nickel Creek – A Dotted Line

nickel creek a dotted line

Nickel Creek – A Dotted Line – Nonesuch Records

A più di venti anni (tanti ne sono passati dall’esordio  di Little Cowpoke (93) e a sette dallo scioglimento annunciato con la fine del tour 2007 (per potersi dedicare a vari progetti solisti), tornano i Nickel Creek, una delle più interessanti formazioni nell’ambito della musica acustica di stampo “bluegrass”. Dotati di una tecnica individuale impressionante a livello strumentale, Chris Thile al mandolino, Sean Watkins alle chitarre, e la dolce sorella Sara al violino, hanno raggiunto notevoli risultati in termini di vendite e notorietà, con i successivi Here In There (97), l’omonimo Nickel Creek (00), The Side (02), Why Should The Fire Die? (05),  chiudendo il cerchio con la raccolta Reason Why (08), peraltro interessante in quanto conteneva frammenti di una canzone di Bob Dylan (Subterranean Blues), la cover di Jerusalem Ridge di Bill Monroe, e l’occasione per sentire la brava Sara cimentarsi con la musica classica, con una partitura in Mi Maggiore di J.S. Bach.

nickel creek 3

Così il trio, dopo aver intrapreso strade separate (oltre ai noti dischi solisti, Sara ha prestato il suo violino per anni al gruppo dei Decemberists), si riforma e sotto la produzione del “rockettaro” Eric Valentine (Queens Of The Stone Age, Good Charlotte, Third Eye Blind), sforna (un po’ a sorpresa) questo A Dotted Line ricreando quel suono unico tra folk e bluegrass (che rimane la loro matrice originaria), con belle armonie sonore e preziosi giochi strumentali.

nickel creek 1

Il secondo viaggio musicale dei Nickel Creek riparte dagli arpeggi di chitarra acustica di Sean in Rest Of My Life (il titolo del brano è sintomatico), dagli impasti vocali di prim’ordine https://www.youtube.com/watch?v=AryNcdOSZs4 , a cui fanno seguito l’incantevole “riff” di Destination https://www.youtube.com/watch?v=jYepLpa8BDE , lo strumentale Elsie, dove si manifesta ancora una volta la bravura del gruppo, e la contemplativa Christmas Eve, con la voce polverosa di Sean a seguire le note di tristezza del violino di Sara. Hayloft è invece la cover di uno splendido motivo dei Mother Mother, rifatta in una miscellanea di hip-hop e punk (suona meglio ad ascoltarlo che a scriverlo) https://www.youtube.com/watch?v=16ZWx9e5vqc , dove è impossibile non muovere il piedino, mentre 21st May è un tradizionale country-folk su una tela di bluegrass https://www.youtube.com/watch?v=e0291wI1J5E , peraltro mai assente, per arrivare alla magnifica Love Of Mine (una canzone d’amore scritta da un bambino) interpretata da Sara, una ballata struggente che colpisce al cuore https://www.youtube.com/watch?v=lM3NGqNCnOc . Si prosegue con il secondo brano strumentale, la dinamica Elephant In The Corn, che esalta il mandolino di Chris, passando per l’aggressiva You Don’t Know What’s Going On, e andando a chiudere con un’altra cover Where Is Love Now di Sam Phillips, dove la voce e il violino di Saracinguettano” con il mandolino di Thile. Deliziosa.

nickel creek 2

C’era molta attesa attorno a questo ritorno dei Nickel Creek, e il risultato è un viaggio, ancora una volta, emozionante e sorprendente nel cuore eclettico della band, dove ciascuna canzone è un colpo di scena, cantata da ogni componente del gruppo, mescolando ballate a brani ritmicamente più mossi, dall’appeal melodico e sicuramente intrigante. A Dotted Line è fondamentalmente imperniato sulla strumentazione del trio, capace, come detto, anche di pregevoli impasti vocali, e sarebbe sbagliato affermare che non c’è nulla di nuovo in questo disco, in quanto la produzione di Valentine garantisce un sound più equilibrato e al passo coi tempi. Per quanto mi riguarda, sono contento che la favola dei Nickel Creek non sia finita.

Tino Montanari

Provaci Ancora Jackson! Un Tuffo Negli Anni ’70. Jackson Browne I’ll Do Anything – Live In Concert

jackson browne i'll do anything.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Jackson Browne – I’ll Do Anything – Live In Concert – DVD- Blu-Ray – Inside Recordings 2013

Vedendo scorrere le immagini di questo splendido concerto, chi scrive prova vera invidia per i fortunati presenti il 14 Novembre dello scorso anno, al Paramount Theater di Denver, Colorado, cornice ideale per le meravigliose canzoni di Jackson Browne. La backing band di Browne, oltre allo storico batterista Fritz Lewak e al gigantesco bravissimo chitarrista Val McCallum, include Tyler Chester al basso e tastiere, e i componenti della famiglia Watkins, Sean alla chitarra acustica e Sara al violino (entrambi già nel gruppo country-bluegrass Nickel Creek), il tutto per un concerto da ascoltare in religioso silenzio, nell’elegante intimità del vecchio teatro.

Come se il tempo si fosse fermato vediamo salire sul palco uno splendido giovanotto (64 anni), con la voce dal tono rassicurante a intonare ballate immortali, a partire dall’iniziale Black And White e poi In The Shape of a Heart (da Lives in the Balance), I’m Alive, Farther On e The Late Show (dall’album di riferimento Late For The Sky), The Naked Ride Home (dall’album omonimo), Live Nude Cabaret (dal sottovalutato Time The Conqueror). Dal noto The Pretender viene recuperata la title track e Sleep’s Dark and Silent Gate, a cui fa seguito A Child In These Hills (dall’album d’esordio), prima di consentire a Val McCallum di presentare la sua Tokyo Girl in duetto con Sara Watkins. Il secondo set è  (se possibile) ancora meglio, a partire dalla bellissima These Days e la famosa Take It Easy (da For Everyman e anche degli Eagles ), I’ll Do Anything (da I’m Alive), la celeberrima Running On Empty da uno dei dischi dal vivo più venduti della storia (7 milioni di copie), per chiudere con i bis di Rock Me On The Water e Before The Deluge (segnalo una splendida versione dei Moving Hearts di Christy Moore), un concerto meraviglioso, direi imperdibile!

A completamento, di seguito la scaletta del concerto:

Black And White

I’m Alive

Farther On

The Naked Ride Home

Live Nude Cabaret

Sleep’s Dark And Silent Gate

The Pretender

A Child In These Hills

Tokyo Girl

These Days

In The Shape Of A Heart

The Late Show

I’ll Do Anything

Running On Empty

Take It Easy

Rock Me On The Water

Before The Deluge

Questo signore (della generazione folk dei 70’s) sta invecchiando benissimo, al cospetto di tanti altri “mostri sacri” (di cui taccio il nome, onde evitare di rompere consolidate amicizie), e in questo show, aiutato da musicisti eccelsi, attraversa quattro decadi del suo “songbook”, con arrangiamenti in una dimensione elettro-acustica, dove la voce, la chitarra e il pianoforte di Jackson Browne, al centro della musica, toccano il cuore di tutti quelli (della mia generazione) che cercavano nelle canzoni, una musica elegante, mai sopra le righe, scoprendo ogni volta nuove sensazioni, da ascoltare prima con l’anima che con le orecchie.

Tino Montanari

Un Cantastorie “Nativo Americano”. Grant-Lee Phillips – Walking In The Green Corn

grant-lee phillips walking in the green corn.jpg

 

 

 

 

 

 

Grant-Lee Phillips – Walking In The Green Corn – Magnetic Field Records 2012

Mi è difficile parlare di Grant Lee Phillips senza parlare dei Grant Lee Buffalo (e ancor prima dei Shiva Burlesque, misconosciuta band degli anni ’80), gruppo che segnò gli anni ’90 con dei dischi eccellenti come Fuzzy (93) e Mighty Joe Moon (94) e di buona qualità, Copperopolis (96) e Jubilee (98), una splendida meteora, in cui la fine prematura della formazione, portò il “leader” ad intraprendere una onesta carriera solista, certificata dall’eccellente Virginia Creeper (2004).

La discendenza dalla tribù dei Creek, gioca un ruolo importante in questo ultimo lavoro Walking In The Green Corn (il titolo prende il nome da una danza tribale dei nativi americani), in quanto, scorrendo i testi del disco, permette a Phillips di rivendicare l’appartenenza ad una minoranza etnica, che ha subìto negli anni l’allontanamento dalla propria terra e ogni sorta di sopruso.

In queste dieci canzoni la strumentazione acustica regna sovrana, con l’aggiunta del pregevole apporto di Sara Watkins  (violino e voce), e di Alexander Burke (vibrafono): difficile dunque, in questo caso, l’analisi brano per brano, per segnalare un pezzo piuttosto che un altro, visto che il suono, inevitabilmente, li rende piuttosto simili: si può menzionare l’iniziale melodica Vanishing Song, la struggente litania di Buffalo Hearts, la cadenza “roots” di The Straighten Outler, il violino e la voce discreta di Sara in Fools Gold, e ancora la pianistica Bound To This World (con chiari richiami al “sound” dei Grant  Lee Buffalo), o le note pulsanti di Black Horses In A Yellow Sky, per chiudere con la solare title-track, un brano campestre punteggiato dal violino e dalla voce della Watkins.

Il “songwriting” di Grant-Lee Phillips resta grande protagonista in questo lavoro, brani minimali, eterei, semplici, suonati con pochi accordi di chitarra, piano e violino, ma dotati di un fascino e di un’atmosfera davvero pregnante. Walking In The Green Corn, è consigliato in primo luogo agli appassionati di queste sonorità, in secondo luogo a coloro che hanno amato i Grant Lee Buffalo,  (a cui farà sicuramente piacere riascoltare la bellissima voce dell’autore), e in terzo luogo anche a tutti gli altri, perché l’ascolto di questa musica, se non altro, distende i nervi e fa bene comunque bene all’anima.

Tino Montanari

NDT: Colgo l’occasione per augurare un Buon Anno a tutti i lettori di questo “utile” Blog.