Savoy Brown – La Band Più Longeva Del British Blues! Parte II

savoy brown 70's

Seconda parte

Gli Anni ‘70, quelli di maggior “successo” commerciale 1970-1975

Successo è una parola forte, visto che al massimo arriveranno al 50° posto in UK, proprio con il disco successivo

savoy brown looking in

Looking In – 1970 Decca **** l’ultimo della formazione con Lonesome Dave Peverett che diventa la voce solista, Tone Stevens al basso e Roger Earl alla batteria, l’album conferma la buona vena compositiva della band, che alterna momenti raffinati ad altri più sanguigni che fanno arrivare il disco anche nella Top 40 americanhttps://www.youtube.com/watch?v=mQ9u3g1Nv-A . Copertina fantasy/horror e sound a tratti decisamente più virato ad un potente rock-blues, che poi i Foghat porteranno a compimento, vedi Poor Girl con Simmonds in gran forma, mentre Take It Easy più laidback, potrebbe passare per un brano di B.B. King, e anche Sunday Night, giocata in punta di dita, illustra il lato più swingante del gruppo, mentre nella sospesa Money Can’t Save Your Soul ci sono delle analogie con i Fleetwood Mac di Peter Green, con la lunga Leaving Again che opta per un approccio più tirato alla Humble Pie. Gran disco che prelude ad un cambio totale: Simmonds ingaggia praticamente quasi tutti i Chicken Shack dell’epoca, Raymond, Sylvester e Bidwell e il nuovo cantante Dave Walker. Il risultato è

savoy brown street corner talking

Street Corner Talking – 1971 Decca ***1/2 forse un filo inferiore, ma con la nuova line-up che va di rock (and roll): Tell Mama, con una ottima slide ricorrente, la cover di I Can’t Get Next To You dei Temptations, dove sembra di ascoltare gli Stones dell’epoca, la potente Let It Rock, la scandita Time Does Tell e la vibrante title track testimoniano di una band in buona salute e con Simmonds in grande forma, che poi nella seconda facciata si scatena nella lunga All I Can Do, dove piano e organo fanno da apripista alla lunga improvvisazione di Kim che poi la ribadisce in Wang Dang Doodle https://www.youtube.com/watch?v=YCSmA0gf14A .

savoy brown hellbound train

Hellbound Train – 1972 Decca *** Copertina ancora memorabile, meno il contenuto, al di là della lunga e travolgente title track che rimane uno dei loro brani più popolari sino ai giorni nostri https://www.youtube.com/watch?v=N6TkCLDcC7o , il resto è meno soddisfacente, benché il disco sarà quello di maggior successo negli States arrivando fino al n° 34 delle classifiche. Intendiamoci il disco non è brutto, però non soddisfa del tutto e segna l’inizio della parabola discendente dei Savoy Brown, ribadita nel successivo

savoy brown lion's share

Lion’s Share – 1972 Decca *** che pure inizia bene con una A Shot In the Head a tutto bottleneck https://www.youtube.com/watch?v=JBqFrMEobtQ  e due cover di blues come Howlin’ For My Far Darlin’ di Howlin’ Wolf e Hate To See You Go di Little Walter, con Simmonds che nel disco suona anche l’armonica, ma manca la grinta degli album precedenti, il suono è fin troppo scolastico.

savoy brown jack the toad

Jack The Toad – 1973 Decca **1/2 è anche peggio. Dave Walker lascia per i Fleetwood Mac e arriva tale Jackie Lynton come voce solista, Sue & Sunny come backing vocalist e Ron Berg alla batteria. Si salva giusto Simmonds alla chitarra e armonica, ma non basta.

savoy brown boogie brothers

Boogie Brothers – 1974 Decca *** è migliore, grazie alla presenza del nuovo cantante e chitarrista, l’ottimo Miller Anderson, un veterano della scena rock-blues britannica, in arrivo dalla Keef Hartley Band: ottime l’iniziale Highway Blues, dove si apprezza la stentorea voce di Anderson https://www.youtube.com/watch?v=3VxeTV4zFBI , il country-blues Me And The Preacher con lap steel in evidenza, la cover a tutto riff di You Don’t Love Me (You Don’t Care) di Bo Diddley, con armonica aggiunta e il potente blues-rock Rock’n’Roll Star con Kim Simmonds al wah-wah https://www.youtube.com/watch?v=_pw1WNmGD_w .

savoy brown wire fire

Wire Fire – 1975 Decca **

Purtroppo Anderson rimane solo per un album, e in questo nuovo le parti vocali sono divise tra Simmonds, il bassista Andy Rae e il tastierista Paul Raymond: francamente si salva poco del disco, forse solo gli assoli di Simmonds, ma quelli sono sempre rimasti l’unica costante positiva nel percorso della band, insieme alla attività live, che ogni tanto ha riservato dei soprassalti di classe in un percorso in declino.

Come Per Altre Grandi Band, Un Lento Ed Inesorabile Declino 1976-2001

savoy brown greatest hits live in concert savoy brown live and kickin'

Vediamo cosa si può salvare in questo lungo periodo. Skin ‘N’ Bone – 1976 Decca ** è anche peggio, ma gli diamo una stelletta in più per la lunga Walkin’ and Talkin’ registrata dal vivo, dove Kim Simmonds rilascia un lungo assolo che vivacizza le operazioni e lavora di fino anche all’armonica. Su alcuni dischi dell’epoca stendiamo un velo pietoso: con l’uso di musicisti di provenienza Metal e Hard Rock, tipo l’ex cantante del Joe Perry Project. Tra i dischi dal vivo buono Greatest Hits Live In Concert – 1981 Town House *** con il titolo che dice tutto, mentre quelli in studio degli anni ‘80 è meglio dimenticarli. Per Kings Of Boogie – 1989 GNP Crescendo *** torna come cantante Dave Walker, che poi rimane anche per il successivo Live And Kickin’ – 1990 GNP *** Il resto della band, per usare un eufemismo, non è straordinario, ma il medley di 20 minuti con I’m Tired/Hard Way To Go/Louisiana Blues/Street Corner Talkin’/Hellbound Train è veramente gagliardo https://www.youtube.com/watch?v=vekUh34mWxs . In questo periodo escono anche molti CD dal vivo di archivio, alcuni registrati nel periodo 1969-1975, interessanti, ma visto che non credo siano molto reperibili vi ricordo solo, se vi capita di trovarli Live At The Record Plant 1975, Looking From The Outside: Live 69/70, Jack the Toad: Live ’70/’72, Hellbound Train, Live 1969-1972 tutti usciti a cavallo tra fine anni ‘90 e inizio 2000, fateci un pensierino.

Il Lungo “Ritorno” 2003-2020

Savoy-Brown-s-Simmonds-proud-of-band-s-longevity

Improvvisamente, agli inizi degli anni 2000, Kim Simmonds decide di porre un freno alla situazione, firma un contratto con la Blind Pig che nel 2003 pubblica Strange Dreams – 2003 Blind Pig ***, il primo di una serie di album, dove il nostro amico , improvvisatosi in seguito quanto meno adeguato cantante, e rimanendo axemen tra i migliori in assoluto in ambito rock-blues, decide di tornare a fare le cose sul serio. La BGO ripubblica in CD, spesso accoppiati a due a due gli album classici e Simmonds inizia a pubblicare per la propria etichetta alcuni dischi dal vivo che danno il via in anticipo ai festeggiamenti per il 50° Anniversario del gruppo in avvicinamento. Ma prima escono alcuni ottimi album per la Ruf Records, dove la nuova line-up, ancora attiva ad oggi, si rivela solida, compatta e finalmente degna delle glorie passate.

savoy brown voodoo moon

Il cantante e sassofonista Joe Whiting rimane solo per l’eccellente Voodoo Moon – 2011 Ruf Records ***1/2 per il quale riprendo quanto detto nella recensione dell’epoca “Non siamo di fronte ad un capolavoro, ma sarà il passaggio ad una casa come la Ruf che conosce l’argomento Blues e dintorni come le proprie tasche, sarà la nuova formazione, comunque il risultato finale non è da buttare, anzi, di tanto il tanto, il vecchio “fuoco” che li aveva portati ad essere una delle formazioni più importanti del cosiddetto British Blues Revival si riaccende https://www.youtube.com/watch?v=_6R7Za5DMb4&list=OLAK5uy_kWdC5oLxYpasJ1Ou1lpyrGb-706NoGWl8 . Non siamo ai livelli dei primi album come Getting To Point o Blue Matter ma ci avviciniamo al sound più rock di ottimi album come Street Corner Talking e Hellbound Train, il loro più grande successo negli States.”.

savoy brown songs from the roadkim simmonds and savoy brown goin' to the delta

Stesso discorso per il successivo Songs From The Road – 2013 Ruf CD/DVD ***1/2 Anche in questo caso mi cito “Era l’ora. Lo so, si dice spesso, ma in questo caso è più vero che mai. Dopo i chiari segnali di ripresa con un buon disco come Voodoo Moon, uscito nel 2011 e di cui vi aveva parlato positivamente sempre chi scrive: il passo successivo poteva, e doveva, essere un bel CD dal vivo (magari con DVD aggiunto): e così è stato, e anche se non sempre l’assioma, “ah, ma dovrebbero fare un disco Live” viene poi confortato dai risultati sperati, per i Savoy Brown, in questo caso, vale!” https://www.youtube.com/watch?v=TZym9Q67WxA  Nel 2014 Whiting abbandona e il gruppo prosegue come power trio, con Simmonds alla voce (uhm!) Tanto che il CD successivo esce come Kim Simmonds And Savoy Brown – Goin’ To The Delta – 2014 Ruf Records ***1/2 lo stile sarà anche Delta Blues, ma, forse per la prima volta, Kim firma tutte le 12 tracce del disco e suona con una grinta e una classe che sembravano perdute: sentire per credere, Laura Lee, grande Chicago Blues, lo slow duro e puro di Sad News, la potente Nuthin’ But The Blues, lo strumentale Cobra dove sembra di ascoltare gli ZZ Top https://www.youtube.com/watch?v=jP8ONu5cVTU .

kim simmonds and savoy brown the devil to paysavoy brown witchy feelin'

E anche il successivo The Devil To Pay – 2015 Ruf Records ***1/2 ribadisce la ritrovata vena, con Simmonds che scrive come un disperato, cosa mai fatta in passato, altre tredici nuove composizioni per festeggiare il cinquantesimo del gruppo che viene celebrato anche con il notevole Still Live After 50 Years Volume 1 pubblicato nel 2017 https://www.youtube.com/watch?v=TFUmjvoFpDk , al quale seguirà il volume 2 uscito nel 2019, entrambi per loro etichetta Panache Records, forse entrambi da 4 stellette. Nel 2017 Kim Simmonds festeggia i suoi 70 anni ed esce l’ultimo disco per la Ruf Records, tra streghe e blues, l’ancora una volta ottimo Witchy Feelin’ – 2017 Ruf Records ***1/2 con lui sempre i fedelissimi Pat DeSalvo al basso e Garnett Grimm alla batteria, in un disco che propone anche lo swamp Why Did You Hoodoo Me o Livin’ On The Bayou, tra Creedence e JJ Cale, il Mississippi Blues a tutto bottleneck di Standing On A Doorway, l’orgia hendrixiana con wah-wah a manetta di Thunder, Lighting And Rain https://www.youtube.com/watch?v=kUd-6ZNuvuc .

savoy brown you should have been theresavoy brown ain't done yet

Conclusa l’avventura Ruf Simmonds firma con la Quarto Valley, ma il risultato non cambia: ancora ottima musica per City Night – 2019 Quarto Valley ***1/2 con il gruppo che dopo tanto cercare sembra avere finalmente trovato l’elisir di lunga vita, con un ulteriore album solo di materiale originale di Simmonds, con le ottime Walking On Hot Stones a tutto riff e slide a manetta, uno slow lancinante come Selfish World e la eccellente title track dove la solista scorre fluida e fluente come ai vecchi tempi https://www.youtube.com/watch?v=2_7dd2IqzTs . Nel frattempo esce anche un ulteriore album dal vivo Savoy Brown Featuring Kim Simmonds  – You Should Have Been There! – Panache Records ****, registrato nel 2003 e che illustra gli inizi del comeback della band. Infine, ed è storia recente, come da titolo del CD https://www.youtube.com/watch?v=2l9HuI1MJ6E , non è ancora finita Savoy Brown – Ain’t Done Yet – Quarto Valley Records ***1/2, mi cito per una ultima volta “Puntuale come un orologio svizzero, quasi ogni anno, Kim Simmonds ci presenta un nuovo album: questo Ain’t Done Yet dovrebbe essere il numero 41 o 42 (parliamo solo di quelli di studio, se aggiungiamo Live e antologie il numero cresce in modo esponenziale), in 55 anni di carriera” https://www.youtube.com/watch?v=SzAgBCCu-hA . Quindi virus o non virus, non è ancora finita, o se preferite non sono finiti: prosegue la saga dei Savoy Brown, forse la più longeva band del blues-rock britannico, non contando nel novero ovviamente gli Stones.. Quindi lunga vita a Kim Simmonds e soci, e in attesa di nuove avventure, per il momento è tutto.

Bruno Conti

Savoy Brown – La Band Più Longeva Del British Blues! Parte I

savoy brown 60's 1savoy brown 60's 2

Proseguendo nella nostra serie di monografie dedicate ad una disamina di alcune delle principali band britanniche, inserite in quel filone che è stato appunto definito British Blues, dopo Fleetwood Mac https://discoclub.myblog.it/2019/06/28/in-attesa-del-cofanetto-inedito-atteso-per-lautunno-ecco-la-storia-dei-fleetwood-mac-peter-green-un-binomio-magico-dal-1967-al-1971-parte-i/ , Ten Years After https://discoclub.myblog.it/2013/03/13/alvin-lee-1944-2013-il-chitarrista-piu-veloce-del-mondo/ , e ovviamente John Mayall, con e senza Bluebreakers https://discoclub.myblog.it/2019/05/20/john-mayall-retrospective-il-grande-padre-bianco-del-blues-parte-i/ , questa volta ci occupiamo dei Savoy Brown, una delle band più longeve, in attività già dal 1965 e a tutti gli effetti, come dicono i nostri amici inglesi “still alive and well”, ancora vivi e vegeti, con una media di una o due nuove uscite discografiche all’anno, l’ultima pubblicazione risalente a fine agosto 2020 https://discoclub.myblog.it/2020/10/05/non-e-ancora-finita-eccoli-di-nuovo-savoy-brown-aint-done-yet/ . Naturalmente nel conteggio non inseriamo i Rolling Stones, che sono i più longevi di tutti, e che ultimamente un paio di capatine dalle parti delle 12 battute le hanno fatte: per essere pignoli mancherebbero i Chicken Shack, di Stan Webb e Christine Perfect, e tutta una serie di band e solisti, di culto o meno, che stanno ai margini di questa scena, o in quanto predecessori del fenomeno, Yardbirds, Animals, Pretty Things, Manfred Mann, “eredi”, dai Free ai Taste, tra i “minori” la Climax Blues Band, i Groundhogs e la Keef Hartley Band passando per Cream, Jeff Beck Group, Led Zeppelin, che però sono fenomeni a sé stanti; poi ci sarebbe la “second wave” del movimento, che partendo a metà anni ‘70 dai Dr. Feelgood, a inizio anni ‘80 approda a gente come la Blues Band e i Nine Below Zero. Magari dedicheremo una puntata al “Best Of The Rest”. Comunque bando alle ciance e veniamo alla vicenda dei nostri amici Savoy Brown: naturalmente mi sono fatto un bel ripasso riascoltando i loro album e ho avuto la conferma che i migliori album come sempre sono quelli di inizio carriera, per quanto punte di eccellenza più saltuarie, ci sono state anche negli anni successivi e nel clamoroso ritorno attuale.

Gli inizi, che coincidono proprio con gli “anni migliori” 1965-1970

Nel febbraio del 1965 Kim Simmonds, “lider maximo” e tuttora alla guida della band, decide di formare a Londra, insieme ad un gruppo di amici, quello che sarà il primo nucleo della sua futura creatura, nsieme a Bryce Portius, uno dei primi musicisti neri a fare parte di una band blues (rock) inglese, che era il vocalist, a cui si aggiungono il tastierista Trevor Jeavons, il bassista Ray Chappell, il batterista Leo Manning e John O’Leary all’armonica, molti dei quali non arriveranno neppure ad incidere, in un tourbillon di sostituzioni, il disco di debutto, che esce sotto il moniker di

SavoyBrownShakeDown

Savoy Brown Blues Band – Shake Down – 1967 Decca ***1/2 Il produttore, quasi inevitabilmente, è il deus ex machina della scena britannica, ovvero Mike Vernon, una garanzia. Undici brani, quasi tutte cover, meno due pezzi: uno The Doormouse Rides The Rails, firmato da Martin Stone, aggiunto come secondo chitarrista solo per questo primo album, poi troverà “fortuna” con i Mighty Baby, band a cavallo tra psych-rock e progressive, di cui se volete approfondire c’è un box di 6 CD At A Point Between Fate And Destiny – The Complete Recordings, con l’opera omnia https://www.youtube.com/watch?v=UnWMLRQ5eW0 . L’altro brano è la lunga Shake ‘Em On Down un traditional arrangiato collegialmente dalla band, con l’aiuto dell’ottimo pianista Bob Hall, che appare in tre brani del disco, in cui spiccano vibranti versioni di I Ain’t Superstitious, Let Me Love You Baby, Black Night, I Smell Trouble, Oh Pretty Woman, It’s All My Fault, ma tutto il disco è eccellente https://www.youtube.com/watch?v=KJKo1QApfVQ , con la formula della doppia chitarra, che viene riproposta per il successivo

savoy brown Gettingtothepoint_500X500

Getting To The Point – 1968 Decca ***1/2 dove come chitarrista arriva Dave Peverett (in futuro nei Foghat come Lonesome Dave Peverett), ottimo alla slide, e il suo socio Roger Earl alla batteria, anche lui poi nei coriacei Foghat. C’è anche un nuovo ottimo cantante Chris Youlden, mentre Bob Hall rimane in pianta stabile, con il nuovo bassista Rivers Jobe. Come vedete il bandleader Simmonds applicava la formula della rotazione, come Mayall con i Bluesbreakers; la band eccelle negli slow blues, dove si apprezza la tecnica sopraffina di Simmonds e la voce potente di Youlden, tipo l’iniziale Flood In Houston https://www.youtube.com/watch?v=pEVKNz0fyZw , Honey Bee di Muddy Waters, Give Me A Penny dove sembra di ascoltare il Jeff Beck Group, la potente Mr. Downchild con doppia chitarra https://www.youtube.com/watch?v=KJKo1QApfVQ , ma anche i pezzi più mossi come You Need Love di Willie Dixon, brano poi trasformato dagli Zeppelin in Whole Lotta Love prendendo spunto soprattutto dalla versione degli Small Faces, ma anche da questa https://www.youtube.com/watch?v=r0AQL0RnXMU . L’anno successivo, con l’innesto di Tone Stevens, viene realizzato

savoy brown Blue_Matter_(album)

Blue Matter – 1969 Decca **** che viene considerato (insieme al disco successivo) il loro capolavoro https://www.youtube.com/watch?v=N7wTOiYavCs&list=OLAK5uy_lrUqtRSmh00t70YCyznMN_4s_sjHEpfUE . L’uno-due iniziale con l’accoppiata Train To Nowhere e la minacciosa Tolling Bells è da sballo, ma spiccano anche le cover di Don’t Turn From Your Door di John Lee Hooker, e nella sezione live una superba Louisiana Blues di Mastro Muddy, con le chitarre di Kim e Dave che si inseguono, brano che è tuttora uno dei loro cavalli di battaglia, ottima anche una incendiaria It Hurts Me Too e il brano di Peverett May Be Wrong dove la band tira di brutto. Lo stesso anno, a distanza di pochi mesi, esce anche

savoy brown A_Step_Further

A Step Further – 1969 Decca **** altro disco che prosegue nella collaudata formula studio + live https://www.youtube.com/watch?v=Uybbl1wHWLo . E’ l’ultimo disco con Bob Hall al piano, che faceva da trait d’union tra il loro animo blues e quello più rock: Youlden firma quasi tutte le tracce della prima facciata in studio, tra cui spicca il solito “lentone” intenso Life’s One Act Play, dove appaiono anche gli archi, e spicca un assolo fantastico di Kim, e insieme a Simmonds, il vero tour de force Savoy Brown Boogie, registrato dal vivo a Londra nel Maggio 1969, un lungo medley ribollente di oltre 22 minuti, che incorpora Feel So Good, Whole Lotta Shakin’ Goin’ On, Little Queenie. Purple Haze e Fernando’s Hideway. I Savoy Brown ai vertici della loro potenza, quando competevano alla pari con Ten Years After e Fleetwood Mac, con in più la presenza di Chris Youlden che era un cantante fantastico, sentire per credere., anche se poi la sua carriera solista sarà del tutto deludente. Ma prima di abbandonare registra ancora con loro nel 1969 l’ottimo

savoy brown Raw_Sienna

Raw Sienna – 1970 Decca **** non più prodotto da Vernon, ma da Youlden e Simmonds, entrambi anche al piano in alcuni brani, oltre a scrivere la totalità delle canzoni: anche se qualcuno azzarda che Youlden avesse “problemi” di dipendenza e forse fu questa una delle ragioni del suo mancato successo come solista. In effetti in questo album troviamo Needle And Spoon, brano ricercato, come altri presenti nel disco, meno portato al boogie e più rivolto verso il formato canzone https://www.youtube.com/watch?v=R4rQvaL9qxE , come ribadiscono la fiatistica A Litte More Wine, dove Peverett va di slide alla grande, con il supporto di Youlden al piano, in un pezzo in stile Chicago o Blood, Sweat And Tears, come pure That Same Old Feelin’, con grande solo di Kim, reiterato nella superba Master Hare, dove appaiono anche gli archi, mentre anche l’ottima Is That So di Simmonds non scherza, un lungo brano strumentale molto raffinato con forti elementi jazzy. Tutto l’album è comunque solido e centrato, tra i loro migliori.

Fine prima parte.

Bruno Conti

I 50 Anni Sono Passati Da Qualche Tempo, Ma Loro Continuano A Festeggiare! Kim Simmonds And Savoy Brown – Still Live After 50 Years Volume 2

kim simmond & savoy brown still live after 50 years

Kim Simmonds And Savoy Brown – Still Live After 50 Years Volume 2 – Panache Records             

Continua ininterrotta la serie di album relativi ai Savoy Brown, sia CD nuovi, come il recente, eccellente City Night, come pure dischi di materiale dal vivo, pubblicati dalla etichetta personale di Kim Simmonds, la Panache Records, che spesso però ripropone i dischi anche più volte, come è il caso di questo Still Live After 50 Years Volume 2, che già aveva circolato nel 2017 e ora esce di nuovo con una diversa distribuzione europea e, come da titolo, è la seconda parte di un concerto tenuto da Simmonds e soci al Paradise Theatre di Syracuse, NY il 12 aprile del 2014. Con la formula del power trio, insieme a Kim ci sono i compagni abituali degli ultimi dieci anni, Garnett Grimm alla batteria e Pat DeSalvo al basso. Repertorio che pesca sia da brani originali come da classici del blues: Nothin’ But The Blues è un pezzo originale di Simmons che era proprio sul disco del 2014 Goin’ To the Delta, la voce diciamo che è diventata “adeguata” negli anni ma nulla più, il leader dei Savoy Brown non è mai stato un grande cantante, ma compensa abbondantemente con la sua abilità riconosciuta alla chitarra, in questo pezzo cadenzato nello stile tipico della band fondatrice del British Blues.

 

Monday Morning Blues è un vecchio brano di Lowell Fulson, estratto da Steel del 2007, buona versione come la precedente, ma nulla di memorabile; Kim poi passa all’acustica per una cover di Shot In The Head, un vecchio brano che era su Lion’s Share del 1972, canzone scritta da Young e Vanda, la coppia alle spalle degli Easybeats e poi a lungo con gli AC/DC, versione noiosetta. Meglio I’m Tired di Chris Youlden, da A Step Further, uno dei loro capolavori, la versione parte con il freno a mano tirato, ma poi Simmonds comincia a lasciarsi andare con una lunga improvvisazione della solista, qualità che viene ribadita in Black Night, una canzone tratta da Shake Down, il loro primo album del 1967, per festeggiare in anticipo i 50 anni di carriera, anche questa versione, con l’acustica, non soddisfa del tutto. Viceversa un altro cavallo di battaglia come Street Corner Talking erutta dalle casse a tutto riff nella propria potenza elettrica non intaccata dal passare degli anni , quasi 10 minuti anche con variazioni jazzy nella parte centrale; Ride On Baby pesca sempre dal vecchio repertorio, Jack The Toad del 1973, con Simmonds che passa alla slide per un’altra gagliarda dimostrazione del loro poderoso blues-rock, compresa una dimostrazione della sua abilità all’armonica, prima di congedare il pubblico con un estratto dal lunghissimo medley Savoy Brown Boogie che occupava una intera facciata di A Step Further, qui c’è solo la parte di Whole Lotta Shakin’ Goin’ On, presa comunque a tutta velocità con la sezione ritmica che permette a Simmonds di improvvisare da par suo.

In definitiva un buon album complessivamente, anche se ci sono in giro dei dischi dal vivo migliori dei Savoy Brown, ma accontentiamoci.

Bruno Conti

Quello “Bravo” Dei Boston Era L’Altro, Comunque Non Male. Barry Goudreau’s Engine Room – Full Steam Ahead

barry goudreau full steam ahead

Barry Goudreau’s Engine Room – Full Steam Ahead – BarryGoudreausEngineRoom.Com

Dunque vediamo, invento, Enciclopedia della Musica Rock, lettera B: Barry Goudreau’s Engine Room, vecchio chitarrista della formazione dei Boston (sempre lettera B) dal 1976 al 1981, quindi i primi due dischi: però non era quello “bravo”, ovvero Tom Scholz, che suonava quasi tutto, ma il chitarrista ritmico nel primo album omonimo e poi come secondo solista in Don’t Look Back, ma mai incluso nelle rare reunion successive, inclusa quella del 2013, dalla quale mancava pure Brad Delp, il cantante originale, che era scomparso nel 2007. Goudreau nel frattempo ha proseguito la sua carriera sia come solista che in alcune band abbastanza oscure (una anche con Delp), fino ad approdare nel 2017 (ebbene sì, il CD è uscito da qualche tempo, ma con reperibilità assai scarsa) a questo Full Steam Ahead, dove anche lui si scopre appassionato e praticante del  (rock)blues inizio anni ’70, quello del tardo periodo del British Blues per intenderci, e l‘album bisogna dire che non è per niente male, niente di straordinario o memorabile, ma molto meglio di quelli di artisti ben più celebrati.

Con Goudreau alla solista e il vecchio pard Brian Maes al canto e alle tastiere (a lungo anche insieme a Peter Wolf): gli altri, poco noti, non li citiamo, a parte James Montgomery presente all’armonica in un pezzo, comunque una onesta sezione ritmica  e alcune voci femminili di supporto, il tutto per 11 canzoni scritte per l’occasione ma che suonano tutte “vagamente” come classici perduti del rock-blues dell’epoca d’oro. Dall’iniziale Need, l’unico brano firmato da Maes, che sembra un brano dei Savoy Brown di inizio anni ’70 (o dei Foghat se preferite), ma anche con rimandi al suono del classico rock americano dei Boston anni ’70 (ci mancherebbe), con chitarre pimpanti e sound FM https://www.youtube.com/watch?v=DpWfYDb1HC0Layin’ It Down In Beantown, il pezzo con Montgomery all’armonica, invece è un solido e gagliardo blues-rock con le ragazze che si agitano sullo sfondo e Montgomery che soffia di gusto nello strumento, mentre gli assoli di Barry sono ficcanti e ben calibrati; Time è una bella e suggestiva blues ballad d’atmosfera, dalle armonie avvolgenti e “vagamente” pink floydiane, con  Maes che la canta veramente bene.

Treat You Right è un gagliardo boogie-rock molto “riffato” con qualche rimando agli ZZ Top, mentre Dirty vira verso il classico hard rock made in the 70’s. Keep The Faith va di slide alla grande, un barrelhouse blues sempre energico e con il classico call and response tra Maes e le coriste, Don’t Stop Please viaggia di nuovo dalle parti di Foghat, Humble Pie e altre band dell’epoca che proponevano un rock energico e grintoso, prima di lasciare spazio a Why, altra piacevole ballata elettroacustica, dai retrogusti soul. Ball Keeps Rollin’, come da titolo, è un altro brano energico e ad alta densità di rock https://www.youtube.com/watch?v=J78BRh6kxmI , con Barry Goudreau che si cimenta anche al talkbox, ricordando il Joe Walsh degli inizi, ma anche Peter Frampton. Reason To Rhyme parte come una ballata acustica e poi in crescendo  viaggia dalle parti del progressive rock dei Kansas, ma anche nuovamente del sound dei vecchi Boston, con la solista di Barry sempre ben in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=v5znwE1c48Q . A chiudere All Mine, un blues acustico con Maes alla seconda chitarra e Goudreau al bottleneck, una armonica non accreditata, mentre le coriste conferiscono un tocco quasi gospel all’insieme. Le coordinate sonore sono quelle descritte, fate vobis.

Bruno Conti

Buona La Seconda Per Un Ottimo Album Dal Vivo! Savoy Brown Featuring Kim Simmonds – You Should Have Been There!

savoy brown you should have been there

Savoy Brown Featuring Kim Simmonds  – You Should Have Been There! – Panache Records

“Non E’ Mai Troppo Tardi”, così recitava il famoso motto del maestro Manzi,  e non vale solo per artisti che (ri)appaiono dopo lunghe assenze dalle scene, ma in qualche caso si può applicare anche ad alcuni album che, come nel caso di questo You Should Have Been There, ha circolato solo brevemente e limitatamente a livello distributivo nel 2005, e contiene un concerto registrato dal vivo allo Yale di Vancouver il 23 febbraio del 2003. In quegli anni, pur essendo sempre stati uno dei  gruppi storici del British Blues i Savoy Brown di Kim Simmonds non avevano ancora iniziato quella sorta di rinascita artistica e discografica, coincisa poi con una bella serie di dischi per la tedesca Ruf dal 2011 ai giorni nostri https://discoclub.myblog.it/2017/10/19/tra-streghe-e-blues-non-si-invecchia-mai-savoy-brown-witchy-feelin/ . Allora la band sembrava già in fase di decisa ripresa ma i loro CD, a parte Strange Dreams, pubblicato dalla Blind Pig, circolavano a livello decisamente indipendente e quindi la Panache Records oggi distribuisce nuovamente questo concerto, tra l’altro con le note originali di Simmonds del 2004.

Sono “solo” sei brani, destinati anche ad un broadcast per la radio canadese, ma il quartetto che vede a fianco di Kim, chitarra solista e voce, anche David Malachowksi alla seconda chitarra, Gerry Sorrentino al basso e Dennis Cotton alla batteria, ci dà dentro veramente di gusto con queste sei tracce, che a parte l’iniziale When It Rains, che dura tre minuti scarsi, hanno un minutaggio intorno ed oltre i dieci minuti  ciascuna, con Simmonds e compagni che ci regalano un tuffo nel repertorio classico dei Savoy Brown, con lunghe improvvisazioni chitarristiche che rinverdiscono i fasti del passato in modo veramente brillante e gagliardo. La voce del veterano inglese, al solito, diciamo che è solo adeguata alla bisogna (non è mai stato un grande cantante), ma l’accoppiata Gibson/ampli Marshall è sempre letale nella sua efficacia: il brano di apertura, appena citato, era nel disco di studio del 2003, un solido pezzo rock-blues dove la solista inizia a viaggiare con le sue linee fluide e grintose, ben sostenute da Malachowki, poi con Where Has Your Heart Gone, un brano all’epoca inedito, uno slow blues di quelli torridi ed intensi, le cose si fanno subito serie, Simmonds forse non è tra i chitarristi più celebrati della storia del blues(rock), ma il suo tocco è comunque ricco di feeling e con un timbro sonoro veramente magico.

Poor Girl è un brano firmato da Tony Stevens, il bassista storico della band negli anni ’60 che poi entrò nei Foghat insieme al compianto Lonesome Dave Peverett, uno dei grandi cantanti del rock britannico, classico pezzo cadenzato e con il suono tipico dei Savoy Brown degli anni d’oro, con tutta la band che tira alla grande per quasi dodici minuti https://www.youtube.com/watch?v=baYXJM4LHqI , mentre Blues Like Midnight è la rilettura in chiave elettrica di un brano inciso per il disco acustico solista di Simmonds dallo stesso titolo, una sorta di blues ballad di grande intensità e raffinatezza, che fa da apripista per una delle loro canzoni più note, quella Street Corner Talking title track del disco del 1971, uno dei brani più hendrixiani ed incendiari del loro repertorio, una vera botta di adrenalina tra continui florilegi della solista con wah-wah innestato, veramente torrenziale nel suo approccio https://www.youtube.com/watch?v=njPCby1EjiA . Dopo gli assoli degli altri musicisti, a chiudere il concerto arriva Hellbound Train, altro cavallo di battaglia dei Savoy Brown, che nonostante il titolo che ne potrebbe ricordare le tematiche non è un pezzo di Robert Johnson, ma un originale firmato da Simmonds, grande appassionato di fantasy e fantascienza occulta, ispirato da HP Lovecraft, altra sventagliata di rock-blues di grande impeto e vigore, con le due chitarre che si fronteggiano in ripetute esplosioni e vampate di rock-blues in continuo crescendo, degne della fama del vecchio gruppo. Se ve lo siete perso al primo giro, assolutamente consigliato!

Bruno Conti

Tra Streghe E Blues Non Si Invecchia Mai. Savoy Brown – Witchy Feelin’

savoy brown witchy feelin'

Savoy Brown – Witchy Feelin’ – Ruf Records         

Quest’anno a dicembre anche Kim Simmonds taglia il traguardo delle 70 candeline, ma già nel 2015 ha festeggiato i 50 anni di carriera, con il suo gruppo, nato nei dintorni di Londra come Savoy Brown Blues Band, nel lontano 1965, quando anche i Bluesbreakers di John Mayall iniziano a muovere i primi passi in quello che sarebbe stato definito da lì a poco British Blues, e avrebbe vantato anche gruppi come i Fleetwood Mac, i Chicken Shack, i Ten Years After, e poi i power trios come i Cream o i Taste, gli stessi Free, che erano un terzetto con cantante, più moltissime altre valide formazioni. Anche se Kim Simmonds forse vorrebbe farci credere diversamente (e forse in questo caso ha ragione), i migliori anni della sua band sono stati quelli che arrivano fino al 1970-1971, anche se il gruppo fu uno dei primi ad avere successo pure in America (a parte alcune delle megaband citate prima), dove poi, sul finire degli anni ’70 Simmonds si è trasferito a vivere. Non vi sto a fare ancora una volta la storia del gruppo, ma diciamo  che dopo una quasi innumerevole sequenza di dischi bolsi, i Savoy Brown hanno ripreso a fare buoni dischi dal 2011, quando sono stati messi sotto contratto dalla Ruf http://discoclub.myblog.it/2015/10/05/anche-questanno-50-kim-simmonds-and-savoy-brown-the-devil-to-pay/ . Spesso con titoli macabri che rievocano i temi classici del blues, il diavolo con i suoi segugi, le streghe, ma anche i feticci voodoo evocati nei titoli di ben tre brani di questo album, come fu nel passato, qualcuno ricorda Hellbound Train?

Con Simmonds sono rimasti i soliti Pat DeSalvo al basso e Garnett Grimm alla batteria, il nome del gruppo è tornato in primo piano, dopo due dischi come Kim Simmonds e Savoy Brown, il nostro insiste nel voler cantare, e devo dire che a quasi 70 anni conferma i suoi progressi come vocalist, dicendo che le sue fonti di ispirazione sono JJ Cale, Tony Joe White e Mark Knopfler (meno male che non si ispira a Robert Plant, Rod Stewart o Paul Rodgers, perché lì la vedrei dura), e c’è anche un brano Guitar Slinger, dedicato a Roy Buchanan,  che Simmonds racconta di avere visto nel lontano1969 in un piccolo country bar e che gli è rimasto nella mente fin da allora per la sua straordinaria bravura. Non a caso è uno dei brani più interessanti, brillante e con la solista in evidenza, ma tutto l’album funziona, riprendendo il classico sound degli anni migliori, il suono triangolare del blues-rock più ruspante di cui i Savoy Brown furono (e sono tuttora) tra i migliori praticanti. L’iniziale Why Did You Hoodoo Me in effetti ha più di qualche contatto con i classici swamp di Tony Joe White, con in più la chitarra svolazzante ed ispiratissima di Simmonds e una ritmica stantuffante veramente poderosa; Livin’ On The Bayou rimane dalle parti di New Orleans e dintorni, un misto tra il miglior JJ Cale e i Creedence, con la solista nuovamente in grande spolvero, lirica e pungente. I Can’t Stop The Blues ancora con un riff tangente, conferma la buona vena della band per un blues ad alta densità rock, ma non manca un classico lento d’atmosfera come la vibrante title track Witchy Feelin’, sospesa e minacciosa.

Vintage Man su una persona che non cambia mentre diventa più vecchia (non so perché mi dice qualcosa), è il primo brano dove Simmonds si esibisce alla slide, e qui la voce mi ha ricordato il suo vecchio rivale Stan Webb dei Chicken Shack. Poi il bottleneck è assoluto protagonista nel Mississippi Blues della malinconica e splendida Standing On A Doorway dove Kim regala momenti di grande classe, con Memphis Blues, ancora a tutta slide, che ci trasporta idealmente a qualche centinaio di chilometri di distanza per un’altra eccellente razione delle 12 battute più classiche. Can’t Find Paradise è uno dei pezzi più rock e grintosi, vicini al suono “americano” degli anni ’70 con la solista sempre in primo piano, e in questo caso qualche aggancio con Knopfler ma anche con Clapton si percepisce, non sarà più un giovanotto, ma suona, caspita se suona! Thunder, Lighting And Rain è un altro brano portentoso, quasi otto minuti a tutto wah-wah, con Kim Simmonds che si (ri)scopre novello Jimi Hendrix, con cui aveva fatto delle jam nella Londra psichedelica degli anni ’60, qui riproposte in uno stile degno anche del miglior Buchanan. Per chiudere un album eccellente, il migliore dei Savoy Brown dell’ultimo trentennio (e oltre), manca ancora un raffinato strumentale notturno e jazzy come Close To Midnight, dove Simmonds lavora di fino sulla sua Gibson. Saranno “diversamente giovani” ma ci sanno fare.

Bruno Conti

Anche Per Loro Quest’Anno Sono 50! Kim Simmonds And Savoy Brown – The Devil To Pay

kim simmonds & savoy brown

Kim Simmonds And Savoy Brown – The Devil To Pay 

Da qualche anno a questa a parte, più o meno in coincidenza con l’inizio della seconda decade degli anni 2000, Kim Simmonds ed i suoi Savoy Brown (ma sempre lui è) sembrano avere recuperato una certa consistenza qualitativa a livello discografico, ripulendo una immagine di band leggendaria che si era deteriorata dopo intere decadi di dischi stanchi, triti e ritriti, ripetitivi, poco appetibili anche per i fans più accaniti del vecchio British blues. Dal vivo, sia con dischi nuovi come con pubblicazioni di materiale inedito d’archivio Simmonds e soci avevano mantenuto una loro dignità (come confermato anche dall’ottimo Songs From The Road, uscito un paio di anni or sono http://discoclub.myblog.it/2013/05/08/era-l-ora-savoy-brown-songs-from-the-road/ e dal recentissimo Still Live After 50 Years, un doppio CD registrato a New York venduto solo ai concerti e sul loro sito), ma anche in studio, dopo la firma con la Ruf, hanno sfornato alcuni album di buona fattura, non parliamo di capolavori, ma Voodoo Man del 2011, Goin’ To The Delta, disco registrato in trio dello scorso anno e ora questo The Devil To Pay, sempre con formazione a tre, segnalano una ritrovata vena compositiva di Simmonds, anzi, dirò di più, in passato il biondo Kim non aveva mai scritto così tanti brani, se consideriamo che gli ultimi CD contengono esclusivamente materiale a propria firma, cosa mai successa.

Forse l’idea di divenire anche il cantante fisso della formazione si poteva evitare, perché, per quanto mi sembri di notare un certo miglioramento nelle sue performance vocali degli ultimi anni, il nostro amico non è mai stato un gran cantante e messo a confronto con gente come Chris Youlden, Lonesome Dave Peverett o Dave Walker e Paul Raymond che cantavano in Street Corner Talking,  il disco a cui Simmonds dice di essersi ispirato per il tipo di approccio usato nel nuovo album, registrato in pochi giorni in uno studio di New York nell’aprile di quest’anno, dopo un accurato lavoro di preparazione ed arrangiamento delle canzoni che avrebbero fatto parte del progetto nel suo studio personale casalingo. Le canzoni, come nel caso del precedente Goin’ To The Delta, sono tutte nuove, ma è innegabile che se uno ci si mette di impegno in ognuna si trovano echi, ritmi, riff, idee che vengono dalla storia del blues e del rock (come ha fatto un critico per il succitato disco precedente, un brandello di Chicago Blues, Hound Dog Taylor e Muddy Waters, un riff di chitarra di Son Seals o Buddy Guy, un attacco di Ted Nugent o degli ZZ Top, un ritmo alla Bo Diddley o una “scivolata” di bottleneck).

E la voce, ripeto, pur migliorata, si può paragonare ad un Mark Knopfler con la raucedine, in effetti quando non alza il tono tutto bene, quando si sforza di essere più vigoroso non ci siamo. Però poche righe fa avevo detto che il disco è piuttosto buono e lo confermo. Le parti chitarristiche sono decisamente valide, con punte di eccellenza qui e là, la sezione ritmica di Pat DeSalvo al basso e Garnett Grimm alla batteria è tra le migliori con cui ha suonato negli anni e i pezzi, sia pure sentiti mille volte, suonano comunque freschi, arrangiati con cura ed eseguiti con grande passione. Dallo slow blues appassionato e dall’atmosfera melanconica di Ain’t Got Nobody, con la vecchia Epiphone di Simmonds che traccia traiettorie calde e ricche di feeling, al classico Chicago Blues ritmato e travolgente di Bad Weather Brewing che ricorda proprio il sound classico dei migliori Savoy Brown, rigoroso ma con il vigore del rock nel suo DNA https://www.youtube.com/watch?v=RznhCkZ-VWY , passando per la tirata Grew Up In The Blues, dove la voce mostra i suoi limiti ma la chitarra vola fluida o nello shuffle When Love Goes Wrong, sempre pimpante, il vecchio Kim, 68 anni quest’anno e 50 di carriera alle spalle, ancora una volta dimostra perché è sempre stato considerato uno dei grandi del blues britannico. Ogni tanto si cimenta anche all’armonica, come nella cadenzata Oh Rosa, o in ritmi diddleyani come nella title-track https://www.youtube.com/watch?v=3Xrfkwn4T6o , ci delizia nello strumentale Snakin’ che ricorda quelli dei vecchi maestri dello strumento https://www.youtube.com/watch?v=lYRl-2YoQSU , ed eccelle di nuovo in un lento lancinante come Got An Awful Feelin’, senza dimenticare una cavalcata slide con la sua Gibson 335 nella vorticosa I’ve Been Drinking https://www.youtube.com/watch?v=__ma8TfMvpA . Quindi, con i limiti ricordati, tutto sommato un eccellente disco blues per uno dei maestri del genere.

Bruno Conti

Vecchie Glorie Sempre In Gran Forma, 2. Kim Simmonds And Savoy Brown – Goin’ To The Delta

kim simmonds and savoy brown goin' to the delta

Kim Simmonds And Savoy Brown – Goin’ To The Delta – Ruf Records/Ird

Come nel caso del disco dei Wishbone Ash, anche i Savoy Brown ruotano da molti anni intorno alla figura di un musicista, il chitarrista Kim Simmonds, fondatore della band nel lontano 1965 (quindi quasi 50 anni fa) quando il British Blues muoveva i primi passi (sì è vero c’erano già stati Cyril Davies e Alexis Korner) con l’avvento di band come i Bluesbreakers di John Mayall, con Eric Clapton alla solista, già con gli Yardbirds, che insieme a Stones, Animals, Pretty Things e molti altri, si erano fatti portavoce del blues e del R&R nero presso il grande pubblico inglese, “bastardizzando” il classico suono della Chess e degli altri artisti di Chicago, con un vigore che da lì a poco avrebbe dato vita al British blues-rock prima e all’hard rock poi. I Savoy Brown (con Ten Years After, Chicken Shack, Fleetwood Mac) furono uno dei primi gruppi a realizzare dischi di quello che loro consideravano la versione europea del suono di Chicago e della zona del Delta del Mississippi, e in questo senso i primi dischi, Shake Down e Getting To The Point, con Chris Youlden, voce solista, Bob Hall al piano e Martin Stone e in seguito “Lonesome” Dave Peverett alla seconda solista, sono ancora oggi dei grandi dischi di Blues, dove la reinterpretazione di classici delle dodici battute si alternava a brani originali firmati da Simmonds e dagli altri.

kim simmonds 3

Proprio Simmonds raramente viene ricordato tra i grandi axemen di quella era gloriosa, ma invece è stato uno dei chitarristi migliori dei quegli anni, rigoroso ma ricco di inventiva, capace di suonare in punta di vita, con uno stile quasi jazzato e poi di cavare dal manico della sua chitarra note dure ed incattivite che sarebbero state il preludio alla svolta rock-blues degli anni successivi. Con questo Goin’ To The Delta, dopo gli ottimi Voodoo Man e il disco dal vivo http://discoclub.myblog.it/2013/05/08/era-l-ora-savoy-brown-songs-from-the-road/ , Kim decide di tornare sul “luogo del delitto”, il Delta e la musica di Chicago sono gli spunti da cui parte questo nuovo CD, ma l’approccio è inconsueto, nessuna cover ma tutta una serie di brani firmati dallo stesso Simmonds sulla falsariga del blues classico, suonati con una formazione a tre, solo il bassista Pat De Salvo e il batterista Garnett Grimm ad accompagnarlo. Ed i risultati sono molto buoni, Simmonds non è mai stato un cantante formidabile, ma in quasi mezzo secolo di carriera sui palchi di tutto il mondo ha sviluppato una voce diciamo adequata, abbondantemente controbilanciata dal suono della chitarra che è viva, tagliente e pimpante come poche volte nel corso degli ultimi anni della sua carriera (i due dischi appena citati esclusi).

kim simmonds savoy brown 1

L’iniziale Laura Lee mette subito le cose in chiaro, le classiche 12 battute del Chicago Blues più elettrico con una chitarra fluida e pungente come si confà allo stile di Simmonds http://www.youtube.com/watch?v=bTWntcoxjE8 , una parte cantata che viene dal songbook immaginario dei grandi autori neri e la verve e la grinta che i bianchi, che non dovrebbero saperlo suonare, secondo gli stereotipi della critica, hanno aggiunto al blues stesso. Sad News rallenta i tempi ma non l’intensità del lavoro della solista, uno slow blues di quelli duri e puri che era facile trovare nei primi anni della Savoy Brown Blues Band. Nuthin’ Like The Blues alza la quota rock del sound del trio e ci riporta al suono più grintoso del periodo “americano” della band http://www.youtube.com/watch?v=muLScTsbcCU , impressione confermata da uno strepitoso strumentale come Cobra, un boogie blues modellato sulle migliori performances degli ZZ Top, quasi cinque minuti di pura forza chitarristica dove Kim Simmonds ci delizia con tutti i “trucchi” e i virtuosismi del miglior blues-rock elettrico, grandissimo brano, una potenza devastante! When You’ve Got A God Thing http://www.youtube.com/watch?v=_k6_z0UT7GM  e Backstreet Woman si impadroniscono dei ritmi più funky del Blues di Albert King, più groove e basso in bella evidenza, ma con la solista sempre in grado di disegnare assoli ricchi di feeling e mordente.

kim simmonds 2

Goin’ To The Delta è un altro classico esempio del sapido blues elettrico che usciva dai fumosi locali della Wind City nei gloriosi anni ’60 (e anche da locali come il Marquee e il Klooks Kleek nella Londra dello stesso periodo) http://www.youtube.com/watch?v=mOEBKYIiYvs .Just A Dream è il classico slow blues che non può mancare in un disco che vuole rievocare quel periodo di grande creatività, mentre Turn Your Lamp On introduce elementi R&B e R&R, altri pilastri della musica di quel periodo qui ripresa con il giusto piglio, anche se tra le pieghe dei brani, ovviamente, si respira una aria di déjà vu che non sempre il lavoro della solista di Simmonds può redimere, ma ci prova alla grande. In I Miss Your Love, un altro slow cadenzato e ricco di atmosfera, Kim si cimenta con profitto anche alla slide http://www.youtube.com/watch?v=E9Oc_wUQkuE  per tornare al Chicago blues di Sleeping Rough, forse un po’ ripetitiva: in fondo non stiamo parlando di un capolavoro ma di un buon lavoro indirizzato soprattutto agli amanti del genere, come conferma la conclusiva Going Back, altra escursione nei percorsi collaterali del R&B, sempre punteggiati dalla solista, precisa e puntuale, del nostro amico Kim, che non ha perso la verve dei giorni migliori. Un ennesimo onesto ritorno per una della firme storiche del “blues bianco”!

Bruno Conti

Era L’Ora! Savoy Brown – Songs From The Road

savoy brown songs from.jpg

 

 

 

 

 

Savoy Brown –  Songs From The Road – Ruf CD/DVD

Era l’ora. Lo so, si dice spesso, ma in questo caso è più vero che mai. Dopo i chiari segnali di ripresa con un buon disco come Voodoo Moon, uscito nel 2011 e di cui vi aveva parlato positivamente sempre chi scrive  e-alla-fine-ne-rimase-uno-il-chitarrista-savoy-brown-voodoo.html, il passo successivo poteva, e doveva, essere un bel CD dal vivo (magari con DVD aggiunto): e così è stato, e anche se non sempre l’assioma, “ah, ma dovrebbero fare un disco Live” viene poi confortato dai risultati sperati, per i Savoy Brown, in questo caso, vale! La serie Songs From The Road della Ruf ha peraltro illustri predecessori: i doppi di Jeff Healey e Luther Allison, e in misura minore quello di Erja Lyytinen, sono ottimi esempi di come usufruire di questi cosiddetti combo, CD+DVD, ottima qualità del suono, immagini ben realizzate e, soprattutto, concerti che soddisfano anche per i contenuti musicali.

Questo dei Savoy Brown in particolare mi sembra il più riuscito in assoluto della serie e tra i migliori dischi dal vivo mai realizzati dalla storica band blues(rock) inglese, che non sempre in passato è stata pari alla sua fama, anche in questo ambito. Ok, della formazione originale c’è solo Kim Simmonds, il biondo chitarrista e leader, ma basta e avanza, se i comprimari (leggi nuovi componenti del gruppo) sono all’altezza della situazione. E questo mi pare proprio il caso: come dicevo per il disco in studio, e confermo per questo live, Joe Whiting è un ottimo cantante, ugola potente e padronanza della scena, l’unica pecca, piccola, è questa sua fissa per il sax inserito in un ambito blues-rock (lascia perdere Joe, che ogni tanto rompi le balle!), soprattutto in considerazione dello stato di grazia di Simmonds, che è veramente magistrale in questo concerto, occhi chiusi, grande concentrazione e una serie di assolo veramente notevole, a conferma della sua reputazione di guitar hero, che se non raggiunge quella dei più grandi, in una ipotetica Top 30 dei migliori nel genere, secondo me, ci entra alla grande. Ben coadiuvato dalla sezione ritmica composta dai “nuovi” Pat De Salvo al basso e Garnett Grimm alla batteria, e con una scelta azzeccata del repertorio i Savoy Brown, o quel che resta di loro, dimostrano che non tutti i “dinosauri”  del rock sono estinti, qualcuno, in area protetta, nelle riserve concertistiche, resiste!

Il pubblico dei fortunati “crucchi” invitati al Musiktheater Piano di Dortmund nel maggio del 2012, non è numeroso, ma caldo ed entusiasta e viene subito investito dal poderoso treno sonoro del brano strumentale 24/7, tratto dall’ultimo Voodoo Man, Joe Whiting è al sax, in questo caso anche con un assolo efficace, ma il protagonista è subito Kim Simmonds, a occhi chiusi comincia a strapazzare con gran classe la sua Gibson d’annata (normale o Flying V). Un attimo e cominciamo a tuffarci nel passato, Looking In è la title-track del sesto album del gruppo, 1970, quando in formazione c’era ancora Lonesome Dave (Peverett) poi nei Foghat, che ha scritto il brano con Simmonds ai tempi, e la chitarra del leader in questo brano, ben sostenuta da un basso pulsante e da una agile batteria, traccia una serie di evoluzioni tra rock, blues e quel tocco raffinato di jazz che lo ha fatto spesso paragonare al suo contemporaneo Alvin Lee, il cantato da blues-rocker americano di Whiting è parimenti efficace. A riprova che il repertorio proveniente da Voodoo Man è di ottima fattura, il loro migliore da lungo tempo a questa parte, anche Natural Man, sempre tirata ma sinuosa nelle linee chitarristiche, non sfigura con i vecchi brani.

Anche il riff di Street Corner Talking è uno di quelli classici del rock-blues, imparentato con alcuni simili che uscivano dai dischi dei Free dell’epoca, e pure il cantato e le linee di chitarra ricordano la coppia Rodgers-Kossoff. She’s Got The Heat, sempre da Voodoo, è una scarica di potente boogie a tempo di slide (o viceversa) con un assatanato Kim Simmonds al “collo di bottiglia”! Time Does Tell era sempre su Street Corner Talking e questa versione non ha nulla da invidiare all’originale cantato da Dave Walker, anzi, il sax rompe un po’ i maroni (come detto in apertura) ma la parte vocale e soprattutto la lunga improvvisazione chitarristica di Kim sono da manuale del perfetto rocker, se non della giovane marmotta. Dalle paludi della Louisiana l’insinuante Voodoo man conferma la ritrovata vena creativa del quartetto (inglese?) e fa il paio con la tirata Meet The Blues Head On sempre dall’ultimo CD e sempre ottima, nella versione live ancora migliore che in studio. Poi siamo invitati tutti sul “treno diretto verso l’inferno”, da Robert Johnson agli Ac/Dc l’argomento ha sempre stimolato la creatività e questa versione monstre di quasi 14 minuti di Hellbound Train, con i suoi picchi e vallate, fermate e ripartenze è una conferma della potenza del rock quando è maneggiato da chi conosce la materia, Simmonds è magistrale in questo brano. Ancora una potente Shockwaves e un altro classico come Tell Mama di nuovo con slide in evidenza prima della conclusione con il super classico Wang Dang Doodle sempre da Street Corner Talking, il disco più saccheggiato insieme all’ultimo.

Nel DVD un’intervista di undici minuti ma anche due ulteriori e micidiali brani, un medley costruito intorno a Litte red rooster e una selvaggia e lunghissima Louisiana Blues, altri 25 minuti di musica in totale che varrebbero il prezzo di ingresso, se già il resto non fosse gustoso oltre modo. Come direbbe Nero Wolfe: “Soddisfacente Kim”! Un’ottima occasione per conoscere i Savoy Brown oppure “un ripasso” proficuo della materia per i ripetenti.

Bruno Conti

E Alla Fine Ne Rimase Uno (Il Chitarrista)! Savoy Brown – Voodoo Moon

savoy brown voodoo moon.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Savoy Brown – Voodoo Moon – Ruf Records CD o LP   

Ero pronto alla ennesima delusione con questo nuovo album dei Savoy Brown, Voodoo Moon, evidentemente dopo oltre 45 anni di onorata carriera il vecchio fuoco del gruppo sembrava essersi spento. Specialmente negli ultimi 15 anni, da quando Kim Simmonds, l’unico membro originale del gruppo sin dalla fondazione, aveva assunto anche il ruolo di cantante (lascia stare Kim!) i dischi si erano succeduti sempre più mosci, routinari e non è che anche gli anni ’80 e ’90 fossero stati così proficui a livello qualitativo. Per cui mi ero avvicinato a questo album senza particolari aspettative e invece… Non siamo di fronte ad un capolavoro, ma sarà il passaggio ad una casa come la Ruf che conosce l’argomento Blues e dintorni come le proprie tasche, sarà la nuova formazione, comunque il risultato finale non è da buttare, anzi, di tanto il tanto, il vecchio “fuoco” che li aveva portati ad essere una delle formazioni più importanti del cosiddetto British Blues Revival si riaccende. Non siamo ai livelli dei primi album come Getting To Point o Blue Matter ma ci avviciniamo al sound più rock di ottimi album come Street Corner Talking e Hellbound Train, il loro più grande successo negli States.

Non dimentichiamo che in questa formazione, negli anni, sono transitati personaggi come Lonesome Dave (Peverett) e Roger Earl che poi avrebbero fondato i Foghat, il pianista Bob Hall e vari musicisti che hanno incrociato la loro carriera anche con Fleetwood Mac, Chicken Shack e il Mighty Baby e Chilli Willi Martin Stone per citarne alcuni. Kim Simmonds dice nelle note del libretto che le canzoni di questo Voodoo Moon sono le migliori che scrive dai primi anni ’70 e probabilmente ha ragione! Ma nel frattempo cosa è successo? Sorvoliamo e concentriamoci su questo album.
Un’altra ragione di trepidazione c’è stata, di primo acchito, quando ho letto i nomi dei nuovi componenti del gruppo: Joe Whiting, la voce solista, un veterano della scena rock americana che non avevo mai incrociato nei miei ascolti che suona anche il sax (poco per fortuna) e la sezione ritmica Pat De Salvo, basso e Garnett Grimm, batteria, tutti mai sentiti, ma devo dire bravi. Soprattutto il cantante, Whiting, che ha una bella voce (non so perché mi ha ricordato la tonalità di Mal dei Primitives, mi è venuta così) adatta al drive rock & blues dell’eccellente brano iniziale Shockwaves con la chitarra di Simmonds in evidenza e il brillante pianino del membro aggiunto Andy Rudy a dargli man forte. Ma anche le atmosfere più ricercate alla Fleewood Mac (periodo blues, obviously) di Natural Man con il lavoro di coloritura del sax che non rompe più di tanto e l’organo che si insinua tra le pieghe del pezzo e gli dà quasi sonorità da swamp rock della Louisiana e gli assoli di Kim Simmonds fluidi ed inventivi rinverdiscono i fasti del passato di quello che si può considerare l’unica “vecchia gloria” del gruppo ma ancora in grande spolvero.

Too Much Money è il brano che, anche per la presenza di un piano elettrico, ha il sound più commerciale e un tantino scontato ma redento dal solito buon lavoro della chitarra e la slide e il groove boogie blues di She’s Got The Heat unito al cantato pimpante di Whiting risollevano subito le sorti del CD. Look At The Sun parte bene ma poi si ammoscia con il cantato di Simmonds (te lo ripeto Kim, lascia perdere, non avevi cantato per 30 anni, ci sarà stato un motivo!), anche il sax più presente non aiuta il brano. Ottimo, forse il migliore del lotto, 24/7, un brano strumentale (sarà un caso?) che profuma di southern rock e con la band che gira alla grande seguendo le evoluzioni della chitarra del leader. Round and round senza infamia e senza lode ancora con il cantato alla camomilla di Simmonds. Tutt’altro discorso per le atmosfere nuovamente brillanti della title-track Voodoo Moon che costruisce un bel crescendo che mi ha ricordato a momenti il riff alla All Along the Watchtower del classico di Dylan-Hendrix. Meet The Blues Head On, nonostante il titolo, è forse il brano più vicino al classico suono rock americano dei Savoy Brown  anni ’70, non male anche se non particolarmente memorabile.

Quindi per concludere, più luci che ombre e dicono che il gruppo dal vivo abbia ancora un bel tiro per cui, senza strapparvi i capelli dall’entusiasmo, potete farci un pensierino se vi piace il genere.

Bruno Conti