Uno Dei Migliori “Nuovi” Chitarristi In Circolazione. Sean Chambers – Welcome To My Blues

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Sean Chambers – Welcome To My Blues – American Showplace Music

Il chitarrista della Florida torna con il suo settimo album, una dichiarazione di intenti più che un titolo, Welcome To My Blues è un ennesimo tassello di una “onorevole” carriera solista, iniziata nel 1998, quando, grazie al suo primo disco, fu scelto come direttore musicale della touring band di Hubert Sumlin con cui rimase quattro anni, e poi proseguita a colpi di rock-blues solido e roccioso, chiaramente influenzato dai grandi bluesmen, ma anche e soprattutto da Jimi Hendrix, e ancor di più, anche per proprietà traslativa, da Stevie Ray Vaughan, al quale parecchio si ispira pur non essendone un clone. Per gli amanti della chitarra dal suono tosto e ruvido, ma anche ricco di spunti tecnici pregevoli e con un suono limpido che spesso erompe dai canali dello stereo con una definizione veramente apprezzabile grazie al lavoro del produttore Ben Elliott (già all’opera nel precedente Trouble & Whiskey), uno che sa maneggiare questo tipo di musica grazie alle sue esperienze con gente come Leslie West, Savoy Brown, Albert Castiglia, Todd Wolfe, ma anche lo stesso Sumlin, Eric Clapton, Keith Richards, ed altri meno noti, registrati sempre nei suoi Showplace Studios di Dover, New Jersey, dove opera abitualmente e da cui prende il nome anche l’etichetta per cui incide Sean Chambers.

Il nostro amico, come mi era già capitato di dire in un passato anche recente https://discoclub.myblog.it/2017/05/22/poderoso-rock-blues-di-stampo-southern-sean-chambers-trouble-whiskey/ , ha una voce più che piacevole, potente e grintosa il giusto, ma soprattutto si apprezza la sua notevole maestria alla solista, con uno stile fluido e prorompente, in grado di esaltarsi in lunghi assoli che spesso traggono ispirazione e forza dai suoi idoli del passato. Prendiamo il brano di apertura, la title track Welcome To My Blues, un pezzo come altri dell’album firmato da Chambers insieme all’ottimo tastierista John Ginty https://discoclub.myblog.it/2017/04/24/unaltra-bella-coppia-musicale-john-ginty-feat-aster-pheonyx-rockers/ , un vorticoso rock-blues di impianto texano, che tanto deve alla musica del grande SRV, grazie anche alla solida sezione ritmica di Todd Cook, basso e Moe Watson, batteria, su cui si innestano le continue divagazioni della solista di Sean, ma anche l’eccellente Black Eyed Susie, un lento ed intenso blues d’atmosfera, con Sean Chambers alla slide e Ginty all’organo B3, seguita dalla prima cover, una lenta e cadenzata Cherry Red Winter, tratta da un disco Alligator del 1995 di Luther Allison, costellata da una serie di lancinanti e torrenziali assoli che rendono omaggio allo stile furioso di Allison e che avrebbero reso orgoglioso il suo “maestro” Stevie Ray Vaughan.

Notevole anche Boxcar Willie, l’unica canzone firmata in solitaria da John Ginty, che conferma il poderoso impeto del rock-blues di Chambers, sempre in evidenza con la sua brillante solista, prima di passare a Cry On Me, dove Ginty questa volta è al piano, per un ondeggiante shuffle dalla tipica andatura sudista; One More Night To Ride, scritta ancora con Ginty e con l’ospite Jimmy Bennett alla slide e Sean Chambers che pigia a tutta potenza sul pedale del wah-wah per un omaggio funky-rock a Mastro Jimi Hendrix https://www.youtube.com/watch?v=2tQ9PGJ5-Qk . Red Hot Mama tra blues e R&R, di nuovo con il nostro amico alla slide, vira decisamente verso tempi e sonorità alla Johnny Winter, con You Keep Me Satisfied, firmata di nuovo con Bennett e il bassista Cook, altro ottimo esempio del rock-blues irruente del musicista della Florida (citata nel testo), di nuovi con retrogusti southern rock, prima di tuffarci in un altro torrido “lentone” come Keep Movin’ On dove Chambers esplora ancora con classe e potenza il repertorio classico del miglior blues (rock), poi ribadito in una cover di All Night Long, un brano del 1972 di T-Bone Walker, costruito intorno ad un giro funky del basso e all’organo dei Ginty e che rimanda al sound dello Spencer Davis Group di Steve Winwood, sempre arricchito dalla fluente solista di Chambers https://www.youtube.com/watch?v=7A7mPCx93I0 , che in conclusione di album rende omaggio con uno strumentale jazzy e raffinato che, anche nel titolo, Riviera Blue, ricorda lo Stevie Ray Vaughan di Riviera Paradise, a conferma di uno stile eclettico e variegato che lo rende uno dei migliori solisti elettrici attualmente in circolazione.

Bruno Conti

Poderoso Rock-Blues Di Stampo Southern. Sean Chambers – Trouble & Whiskey

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Sean Chambers – Trouble & Whiskey – American Showplace Music

Mi era già capitato, in passato,  di parlare, in modo più che positivo, di Sean Chambers: in occasione del suo Live From The Long Island Warehouse del 2011 http://discoclub.myblog.it/2011/10/20/virtuosi-ain-t-nothin-but-the-blues-rock-the-sean-chambers-b/ , poi il chitarrista della Florida aveva pubblicato nel 2013 un altro buon album, dal titolo The Rock House Sessions, prodotto da Reese Wynans, che suonava pure le tastiere nel disco, dove apparivano tra i musicisti gente come Bob & Etta Britt, Tom Hambridge alla batteria, Tommy McDonald al basso, Rob McNelley alla seconda chitarra, quindi non i primi che passavano per strada. Ora a distanza di quattro anni dal precedente il nostro amico ritorna con Trouble & Whiskey, il suo sesto CD (e forse il migliore), in una onorata carriera che lo ha visto suonare ad inizio carriera come chitarrista della band di Hubert Sumlin, facendo la dovuta gavetta. In Humble Spirits del 2004 c’erano Bobby Torello alla batteria e Dan Toler addirittura al basso, oltre a Bernard Allison, e pure il Live citato prima era un ottimo album.

Nulla quindi da far supporre che il nuovo album potesse essere inferiore ai suoi predecessori, e infatti non lo è. Sean Chambers, per dividere la capocchia di uno spillo, è un praticante del rock-blues più che del blues, nel senso che il suo genere è tirato e grintoso, dalle parti del power trio, anche se le tastiere sono sempre ben presenti, ma soprattutto è un notevole virtuoso della chitarra elettrica, di quelli della scuola Hendrix, Stevie Ray Vaughan, ZZ Top, per la sua provenienza sudista, ma, per certi versi, anche con affinità con Gary Moore, nel senso che gli piace “picchiare”, con giudizio, nella propria musica. Nel nuovo disco Chambers è affiancato da Kris Schnebelen ex Trampled Under Foot alla batteria, oltre che da Todd Cook al basso e da Michael Hensley alle tastiere, più altri ospiti che vediamo fra un attimo: l’iniziale I Need Your Lovin’, uno dei sette brani originali firmati dal nostro, è un poderoso rock-blues di stampo southern, molto alla ZZ Top, con la chitarra che inizia a volteggiare con vigore sulle evoluzioni della sezione ritmica e dell’organo; in Bottle Keeps Staring At Me Chambers passa alla slide, per un brano che mi ha ricordato moltissimo lo stile di Rory Gallagher, mentre la title track è un torrido blues lento (firmato insieme al collega Jimmy Bennett) in cui Sean ci delizia con uno di quei classici assoli da faccina, quelli dove il chitarrista estrae dal suo strumento fino all’ultima stilla di feeling, e per fare ciò il viso si contorce in smorfie che fanno pensare a qualcuno affetto da una forte acidità di stomaco, oppure che stia eseguendo un assolo della Madonna, e per l’occasione siamo nella seconda categoria.

E pure nel reparto vocale non si scherza, il musicista della Florida è un possesso di una voce potente ed espressiva, e nella successiva Travelin’ North, dove John Ginty siede all’organo, i due si sfidano in un sinuoso duetto chitarra-organo che rimanda all’accoppiata Ronnie Earl/Bruce Katz nei dischi dei Broadacasters. Cut Off My Right Arm è la prima delle tre cover, un blues più classico e rigoroso, dal repertorio di Johnny Copeland, sempre con il fluido lavoro della solista in evidenza; Bullfrog Blues, un traditional degli anni ’20, lo si ricorda nella versione dei Canned Heat, ma a chi scrive soprattutto in quella di Rory Gallagher, e la grinta di Chambers, di nuovo alla slide, si rifà moltissimo all’approccio poderoso del grande irlandese, e per completare il tuffo nel passato Schnebelen piazza pure un “desueto” assolo di batteria. Eccellente anche la ripresa di Sweeter Than An Honey Bee, un brano di B.B. King, con Michael Hensley al piano, dove la band, con Sean anche all’acustica si lancia in un vorticoso ritmo che più che a Riley rimanda di nuovo a Gallagher in trasferta sul Mississippi; Handyman è firmata di nuovo con Bennett, che è anche impegnato alla seconda chitarra, ancora un brano a tutto riff, che vira verso il lato più tirato e rock della musica di Chambers, che comunque suona sempre come un indemoniato. E tanto per non farci mancare nulla Be Careful With A Fool è un altro slow blues di quelli intensi, con la chitarra che inanella una serie di assoli lancinanti della premiata scuola Jimi Hendrix o Stevie Ray Vaughan, mentre in Gonna Groove, firmata ancora con Bennett, come da titolo  si va molto di funky felpato, con organo sincopato e anche se la tensione si allenta un attimo l’assolo prima di slide e poi della solista tradizionale è sempre di grande classe e finezza, come tutto l’album del resto. Se vi piace il blues-rock chitarristico non passate oltre.

Bruno Conti    

Virtuosi? Ain’t Nothin’ But The Blues-(Rock)! The Sean Chambers Band – Live From The Long Island Blues Warehouse

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The Sean Chambers Band – Live From The Long Island Blues Warehouse –Blue Heat

Forse per la bravura meriterebbe  anche un giudizio superiore alle tre stellette canoniche che si danno ai buoni album. Ma nello stesso tempo non si può certo definire Sean Chambers un “originale”, peraltro la sua tecnica è ragguardevole e non per nulla la rivista inglese Guitarist Magazine lo ha inserito tra i 50 migliori chitarristi rock-blues dello scorso secolo, con il risultato che per il passaparola e la legge della moltiplicazione in alcuni articoli in rete è diventato uno dei 50 più grandi chitarristi di tutti i tempi! E questo, per quanto bravo sia, mi sembra francamente eccessivo.

Nativo della Florida Chambers ha pubblicato 3 album di studio dal 1998 a oggi per tre diverse etichette indipendenti e quindi questo Live è una sorta di summa della sua carriera, con i pregi del disco dal vivo e allo stesso tempo i vantaggi del disco in studio (quindi entrambi positivi), visto che è stato registrato agli Eko Sudios di New York di fronte a un  pubblico sparuto di soli invitati. Siamo di fronte al classico power-rock-blues trio (con l’armonicista Gary Keith aggiunto sporadicamente) e il nostro amico appartiene alla schiera dei virtuosi dello strumento, quella che discende da Jimi Hendrix passando per Stevie Ray Vaughan con qualche fermata laterale per Johnny Winter ma che si è anche nutrita a pane e blues e non per nulla Chambers a cavallo della fine secolo ha passato cinque anni come musical director nella band di Hubert Sumlin. Non so se avete presente di cosa si tratta? Ovviamente non è un tipo con la bacchetta che dirige la sezione ritmica ma, soprattutto nei gruppi di blues con “vecchie glorie”, è quello che si definisce secondo chitarrista e fa il lavoro sporco, la ritmica, i fills, ogni tanto quando il leader riposa o nella parte introduttiva del concerti si concede qualche assolo e intanto assorbe e impara.

Evidentemente Sean Chambers deve avere imparato bene perché in questo concerto sciorina tutto il suo repertorio, esplorando la chitarra in ogni dove, scorrendo il manico in su e in giù, davanti, dietro, ovunque, lavorando di pedaliera con una predilezione per il wah-wah che viene utilizzato spesso e volentieri e mettendo in luce le sue virtù chitarristiche che sono notevoli.

Non sarà un grande vocalist ma si difende e comunque il lavoro alla chitarra compensa più che abbondantemente, lo si capisce fin dall’orgia di wah-wah dell’iniziale potentissimo brano strumentale Dixie 45 che la lezione di Vaughan e Hendrix è stata ben assimilata. Come gran parte del materiale del CD è segnalato trattarsi di originali di Chambers ma ricorda mille altri brani sentiti nel genere e va benissimo così. Love Can Find A Way è una variazione più funky del brano precedente con la voce roca e vissuta (ma non memorabile, come già detto), e una rara apparizione dell’armonica di Gary Keith, mentre The Moon On Main Street un brano firmato da Fred James era uno dei cavalli di battaglia dei Kinsey Report, uno slow blues di quelli torridi tra Albert King, Buddy Guy e Ronnie Earl, insomma ci dà dentro alla grande. Strong Temptation era la title-track del suo primo album, piena di grinta e ritmi funky-soul, seguita da un brano firmato da un altro James ben più famoso, ovvero Elmore di cui viene ripresa una Dust My Broom che è l’occasione per dimostrare la sua bravura anche alla slide e la lezione appresa da Winter, Gary Keith fa un’apparizione più sostanziosa all’armonica.

Crazy For Loving You è un altro intenso slow blues alla SRV con grande impegno della solista di Chambers. Danger Zone è un blues-rock alla ZZTop di quelli potenti come usava ai tempi d’oro del genere. Too Much Blues è un altro bluesaccio di quelli tosti e carichi mentre Hip Shake Boogie è nuovamente una jam strumentale di quelle adatte per mostrare ancora il suo lato più virtuosistico e presentare il resto del gruppo. Rimangono gli oltre 10 minuti della conclusiva In The Winter Time un altro slow blues turgido e intenso dove Sean Chambers esplora la sua chitarra fin nei più reconditi nascondigli per estrarne una grande performance. Non sarà nuovo, non sarà originale, ma per gli amanti della chitarra rock-blues magari anche un po’ tamarra questo signore si conferma un grande “manico”. Lo so che ce ne sono tanti in giro ma Sean Chambers è proprio bravo!  

Bruno Conti