Un Disco Di Una Bellezza Rara! Brandi Carlile – By The Way, I Forgive You

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Brandi Carlile – By The Way, I Forgive You – Elektra/Warner CD

Recensione tardiva di un disco uscito lo scorso mese di Febbraio (il classico caso di: lo fai tu – lo faccio io – non lo fa nessuno), ma talmente bello da meritarsi l’inclusione nella mia Top Ten di fine 2018. Brandi Carlile da quando ha iniziato a pubblicare dischi nel 2005 non ha mai sbagliato un appuntamento, ma fino ad oggi non aveva mai pareggiato la bellezza del suo secondo lavoro, The Story (2007), un album eccellente che contava su una serie di canzoni bellissime, a partire dalla magnifica title track, uno dei brani migliori in assoluto del nuovo millennio a mio parere. Give Up The Ghost (2009) era ottimo, ma non al livello di The Story, ed i seguenti Bear Creek (2012) e The Firewatcher’s Daughter (2015), pur validi, erano un gradino sotto (mentre l’unico disco dal vivo di Brandi, Live At Benaroya Hall With The Seattle Symphony, pur avendo ottenuto critiche contrastanti a me era piaciuto tantissimo). Lo scorso anno la songwriter originaria di Ravensdale (un sobborgo di Seattle) ci aveva regalato lo splendido Cover Stories, una sorta di auto-tributo per il decennale di The Story, in cui le canzoni del suo secondo album venivano rivisitate da una serie di artisti famosi, il tutto a scopo benefico. Quella esperienza deve aver fatto bene a Brandi, in quanto il suo nuovo album, By The Way, I Forgive You, è un disco davvero splendido, con dieci canzoni una più bella dell’altra, un lavoro ispiratissimo che personalmente colloco sullo stesso piano di The Story. L’album, che vede la nostra affrontare i brani con il consueto approccio folk-rock, vede alla produzione una “strana coppia” formata dall’onnipresente Dave Cobb e da Shooter Jennings, e proprio il suono è uno dei punti di forza del CD.

Infatti alcuni brani si differenziano dal classico stile di Cobb, fatto di suoni scarni e dosati al millimetro, quasi per sottrazione, in quanto ci troviamo spesso immersi in sonorità decisamente più ariose, anzi direi quasi grandiose, ma senza essere affatto ridondanti: un termine di paragone potrebbe essere il suono dei Fleet Foxes, folk elettrificato e potente dal forte sapore emozionale. E Brandi, forse spronata da questo tipo di sonorità, tira fuori alcune tra le sue performance vocali migliori di sempre, con un’estensione da paura; tra i musicisti, oltre ai due produttori (Cobb alla chitarra e Jennings curiosamente al piano ed organo, evidentemente deve aver imparato qualcosa anche da mamma Jessi Colter), troviamo i soliti collaboratori sia della Carlile (i gemelli Phil e Tim Hanseroth, co-autori anche di tutte le canzoni) che di Dave (il batterista Chris Powell), mentre ai cori partecipano Anderson East in un brano e le Secret Sisters in un altro, e due pezzi hanno un arrangiamento orchestrale ad opera del grande Paul Buckmaster (noto per le sue collaborazioni, tra gli altri, con Elton John, del quale Brandi è una nota fan), qui alla sua ultima collaborazione essendo scomparso nel Novembre del 2017. Il disco (a proposito, il bel ritratto di Brandi in copertina è stato eseguito da Scott Avett, proprio il leader degli Avett Brothers) inizia alla grande con Every Time I Hear That Song, una splendida ballata di ampio respiro, dall’incedere maestoso ed una melodia da pelle d’oca, con un arrangiamento semi-acustico e corale di sicuro impatto (il testo tra l’altro contiene la frase che intitola l’album).

The Joke è il primo singolo, ed è una scelta per nulla commerciale: si tratta infatti di un’intensa ballata pianistica, cantata dalla Carlile in maniera straordinaria, con un toccante motivo di pura bellezza, impreziosita da una leggera orchestrazione e da un crescendo strumentale emozionante. Hold On Your Hand è una folk song che inizia in modo quasi frenetico, con Brandi solo voce e chitarra, poi nel refrain entrano gli altri strumenti ed i cori, e ci ritroviamo di nuovo in mezzo a sonorità grandiose, atipiche per Brandi (e qui vedo parecchie somiglianze con i già citati Fleet Foxes), ma il ritornello è di quelli che colpiscono da subito, grazie anche al contributo essenziale dato da un coro di sette elementi (tra cui Brandi stessa, i due Hanseroth ed Anderson East). The Mother è dedicata dalla Carlile alla figlia Evangeline, avuta tramite inseminazione artificiale dalla sua compagna, e vede una strumentazione più raccolta, un folk cantautorale puro e cristallino, tutto giocato sulla voce, un accompagnamento molto classico ed un motivo anche stavolta splendido; la lenta Whatever You Do è dominata dalla voce e dalla chitarra di Brandi, poi a poco a poco entra il piano (Shooter si rivela un ottimo pianista), altre due chitarre e la sezione ritmica, ma il tutto assolutamente in punta di piedi, ed anche gli archi di Buckmaster accarezzano la canzone con estrema finezza.

Fulron County Jane Doe è più diretta e solare, ha perfino un feeling country (un genere poco esplorato da Brandi negli anni), e degli accordi di chitarra elettrica che curiosamente rimandano alla mitica For What It’s Worth dei Buffalo Springfield: la Carlile canta al solito in maniera impeccabile ed il brano risulta tra i più godibili. Sugartooth è l’ennesima fulgida ballata di un disco quasi perfetto, un lento dall’approccio rock, con uno scintillante arrangiamento basato su piano e chitarre ed il consueto refrain dal pathos incredibile; stupenda anche Most Of All, un altro pezzo dalla struttura folk e con una linea melodica fantastica, il tutto eseguito con un’intensità da brividi: anche questa la metto tra le mie preferite. Il CD, una vera meraviglia, si chiude con la spedita Harder To Forgive, altro pezzo folkeggiante, cantato alla grande ed arrangiato ancora in maniera corale ed ariosa (ancora similitudini con lo stile del gruppo di Robin Pecknold), e con Party Of One, un finale pianistico ed intenso, che ha dei punti di contatto con le ballate analoghe di Neil Young.

A quasi un anno di distanza dalla sua uscita By The Way, I Forgive You rimane un disco splendido, e fa parte di quei lavori che continuano a crescere ascolto dopo ascolto.

Marco Verdi

pegi young

P.S: a proposito di voci femminili (e di Neil Young), vorrei ricordare brevemente Pegi Young, scomparsa il primo Gennaio all’età di 66 anni dopo una battaglia di un anno contro il cancro. Nata Margaret Morton, la figura di Pegi è sempre stata legata a doppio filo a quella del grande musicista canadese, al quale è stata sposata per quasi quaranta anni prima che il Bisonte prendesse la classica sbandata della terza età per l’attrice Daryl Hannah.

Dal punto di vista musicale Pegi, che è stata in diverse occasioni in tour con il marito come corista, non ci lascia certo delle pietre miliari, ma una serie di onesti lavori di soft rock californiano https://discoclub.myblog.it/2014/12/08/laltra-meta-della-famiglia-o-piu-pegi-young-the-survivors-lonely-crowded-room/ : l’ultimo, il discreto Raw, è del 2017. Nel 1986 Pegi è stata anche la fondatrice con il famoso consorte della Bridge School, un istituto per la cura dei bambini con gravi tare fisiche e mentali (la coppia ha avuto due figli, entrambi con seri problemi: Ben è affetto da paralisi cerebrale, Amber da epilessia) https://discoclub.myblog.it/2011/10/04/25-anni-di-buone-azioni-e-di-belle-canzoni-the-bridge-school/ .

Vorrei ricordare Pegi con la bellissima Unknown Legend del marito Neil, brano che apriva l’album Harvest Moon nel 1993 e che era a lei ispirato: infatti quando i due si conobbero nel lontano 1974 lei lavorava come cameriera in un diner vicino al ranch di Young.

Un Grande Autore Rende Omaggio Ad Una Leggenda Del Soul. Donnie Fritts – June A Tribute To Arthur Alexander

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Donnie Fritts – June (A Tribute To Arthur Alexander) – Single Lock Records

La Single Lock Records è una piccola etichetta indipendente americana che ha la sua sede a Florence, Alabama, quindi profondo Sud degli Stati Uniti: tra i fondatori Ben Tanner degli Alabama Shakes, Will Trapp e John Paul White. Tra gli artisti sotto contratto, oltre a White, Dylan LeBlanc, Nicole Atkins e Cedric Burnside, di cui leggerete a parte. Il repertorio pesca dalla zona Shoals dell’Alabama, e quindi rappresenta i famosi Muscle Shoals Studios e una delle vere leggende della musica “southern” americana, ovvero Donnie Fritts, che pubblica il suo secondo album per la Single Lock, dopo l’ottimo Oh My Goodness del 2015, che si pensava potesse essere il suo ultimo album https://discoclub.myblog.it/2015/10/25/il-ritorno-forse-commiato-grande-donnie-fritts-oh-my-goodness/ . Invece, a 75 anni, Fritts è entrato ancora una volta in studio, per una serie di sessioni serali tenute ai Muscle Shoals, per realizzare un tributo al suo grande amico e mentore Arthur Alexander: dieci canzoni legate al grande cantante soul di You Better Move On, e a decine di altri brani che hanno fatto la storia della musica black, proprio a partire dal brano citato, che nel 1962 fu il primo successo ad uscire dall’area di Muscle Shoals, uno dei tre firmati dal solo Alexander.

Poi ne troviamo quattro che sono collaborazioni con Fritts, una firmata anche dal grande Dan Penn, ed infine, Soldier Of Love, comunque legata al repertorio di Arthur. Alle registrazioni dell’album, sempre essenziale ed intimo nelle sue riletture country-soul, ma non privo di momenti più mossi, hanno partecipato, oltre a White e Tanner chitarre, David Hood al basso, Reed Watson alla batteria, Kelvin Holly ancora alle chitarre e lo stesso Fritts al Wurlitzer e alle tastiere. Il risultato, lo ribadisco, è un piccolo gioiellino di equilibri sonori, intimi e confidenziali, con altri più movimentati e raffinati. D’altronde le canzoni sono tutte decisamente belle, l’interprete, per quanto la sua discografia sia veramente molto scarna, è uno che ha scritto, in tutti i sensi, la storia della musica, quindi il disco si ascolta con assoluto piacere: June, come ricorda lo stesso Donnie nelle note del libretto, invero scarne pure quelle, era il nomignolo con cui era conosciuto Arhur Alexander, e la canzone era stata scritta nel 1993 sull’onda emotiva della sua scomparsa, ed appare come toccante brano di apertura in questo album, solo la voce e il piano elettrico di Fritts, sembra una di quelle ballate romantiche in cui è maestro Randy Newman, e anche il timbro vocale è quello,  violino e viola in sottofondo e tanto feeling, deliziosa, una vera perla.

Ancora  raffinati tocchi di archi, il piano elettrico e una delicata melodia per In The Middle Of It All, una soul ballad  intimista, scritta dal solo Alexander, e apparsa nel suo album omonimo del 1972. You Better Move On l’hanno incisa in tantissimi, vorrei ricordare le versioni di Willy DeVille e degli Stones (e pure i Beatles si sono cimentati con Anna (Go To Him), il suo brano di maggior successo, viene riproposto in una sorta di unplugged version, mentre All The Time, una delle loro collaborazioni autoriali, è una deliziosa ballata country got soul, con le armonie vocali delle Secret Sisters, una sezione ritmica finalmente presente e organo e chitarre acustiche a colorare il suono. Anche I’d Do It Over Again beneficia di un arrangiamento corale, splendido ed avvolgente, con  tastiere, chitarre e voci di supporto semplicemente perfette. Ancora un arrangiamento sontuoso alla Randy Newman  per un’altra soul ballad di grana finissima come Come Along With Me, cantata sorprendentemente bene dal nostro amico che sfoggia una interpretazione da manuale https://www.youtube.com/watch?v=2CvPl12wgOc ; Lonely Just Like Me è un altro dei capolavori assoluti di Alexander, e anche il titolo del suo album finale pubblicato nel 1993, poco prima della sua scomparsa a soli 51 anni, altra versione da manuale, con quel tocco latino che sia DeVille che il Warren Zevon di Carmelita avevano cercato di carpire a Arthur, e gli echi della migliore soul music mai suonata e cantata da chicchessia, una vera chicca sonora anche in questa rilettura magnifica https://www.youtube.com/watch?v=M8ztC3ZFJIY .

Altra delizia per i padiglioni auricolori è Soldier Of Love, suonata e cantata con un impeto ed una intensità pregevoli ,e non si scherza neppure con il deep soul screziato di gospel di una intensa e sgargiante Thank God He Came con le Secret Sisters scatenate a livello vocale in un finale veramente ispirato. A chiudere il CD Adios Amigo, titolo del tributo del 1994 e altra canzone epocale, di nuovo rivista in modo più intimo, solo il Wurlitzer, gli archi e le voci delle sorelle Rodgers https://www.youtube.com/watch?v=nhWkBfDxNAk . Disco commovente e intenso, a dimostrazione che la classe non è acqua.

Bruno Conti

Crisi Del Terzo Disco? No, E’ Il Più Bello Dei Tre. The Secret Sisters – You Don’t Own Me Anymore

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The Secret Sisters – You Don’t Own Me Anymore – New West CD

Devo fare una doverosa premessa: questa recensione sarà ricca di aggettivi altisonanti, e prima che pensiate che ho esagerato vi confermo che sono tutti meritati. Le sorelle di Muscle Shoals Laura e Lydia Rogers, in arte The Secret Sisters, hanno fatto parlare molto di loro con i primi due album: il primo, omonimo, del 2010 è stato un fulmine a ciel sereno, un bellissimo disco di puro country e folk nel quale le due ragazze rivisitavano diversi brani della tradizione e canzoni di Hank Williams, George Jones, Bill Monroe e Buck Owens, oltre a comporne un paio per conto loro, seguite in studio nientemeno che da Dave Cobb (all’epoca non così “prezzemolo” come oggi) e T-Bone Burnett come produttore esecutivo http://discoclub.myblog.it/2010/10/30/a-dispetto-del-nome-chiaramente-country-the-secret-sisters/ . Un album che ha ricevuto critiche positive quasi ovunque, pur non conseguendo vendite soddisfacenti; ben quattro anni dopo ecco il seguito, Put Your Needle Down, ancora con Burnett in regia e con stavolta la maggior parte dei brani ad opera delle due sisters: il risultato commerciale è stato ancora più deludente, e c’è stata stavolta anche qualche critica qualitativa non positiva, al punto che la Universal ha poi deciso di sciogliere il contratto delle ragazze. A tre anni di distanza, e con un nuovo accordo con la New West, ecco il terzo album delle Sorelle Segrete, You Don’t Own Me Anymore, per il quale è stato chiesto l’aiuto in sede di produzione della brava Brandi Carlile (e anche dei gemelli Tim e Phil Hanseroth, da sempre inseparabili collaboratori della cantautrice di Washington): ebbene, sarà per l’apporto di Brandi (che ha scritto anche diversi brani insieme alle Rogers), la quale ha dato sicuramente nuovi stimoli ed una visione differente da quella di Burnett, sarà per la grande forma compositiva di Laura e Lydia, ma You Don’t Own Me Anymore non solo è il miglior disco delle Secret Sisters, ma è anche un grande album in his own right.

Lo stile di partenza è sempre lo stesso, una musica giusto a metà tra country e folk con uno stile che rimanda a sonorità d’altri tempi, ma qui troviamo anche canzoni dall’approccio più moderno, che in un paio di casi arrivano a sfiorare il rock, il tutto dovuto senz’altro alla presenza tra i musicisti della stessa Carlile e degli Hanseroth Twins (e le Sisters hanno restituito il favore partecipando con una canzone a Cover Stories, il bellissimo tributo all’album The Story della Carlile): ma quello che fa la differenza è certamente la bellezza delle canzoni, ispirate come non mai, e le splendide e cristalline armonie vocali di Laura e Lydia, vero punto di forza del duo. Per avere un’idea di come sarà il CD basta ascoltare l’iniziale Tennessee River Runs Low, con strepitoso attacco a cappella ed atmosfera subito vintage, poi entrano in maniera potente i musicisti (che però usano strumenti acustici, ma la sezione ritmica c’è e si sente), con il banjo a dare un sapore dixieland, ottimo uso del piano, grandi voci e suono splendido. Molto bella anche Mississippi, una ballata dal sapore folk ma con un arrangiamento di grande forza, un drumming secco ed una melodia bellissima, nobilitata da un notevole crescendo; Carry Me è un’altra ballata profonda e toccante, con un arrangiamento più moderno ma non per questo meno emozionante, con le voci purissime delle due ragazze ed una chitarra twang a guidarle, mentre King Cotton è un irresistibile country-folk dal sapore antico, che sembra balzato fuori dalla colonna sonora di O Brother, Where Art Thou?, davvero splendida anche questa.

Kathy’s Song è proprio il classico brano di Simon & Garfunkel, e le ragazze mantengono intatta la bellezza dell’originale, He’s Fine è semplicemente formidabile, una folk song in purezza, dal ritmo sostenuto ma strumentazione parca, melodia cristallina e pathos incredibile; To All The Girls Who Cry è uno slow pianistico di grande intensità, mentre Little Again è giusto a metà tra una western ballad ed una scintillante folk song, anche qui con un motivo di prim’ordine. La title track è una ballata dal delicato sapore anni sessanta, la sinuosa The Damage è invece una raffinata canzone tra country, folk e jazz, davvero squisita, ‘Til It’s Over è toccante, ancora purissima e cantata in maniera eccellente, Flee As A Bird, unico traditional presente, chiude l’album con una folk song incontaminata, solo due voci ed un banjo. Mi rendo conto, come ho scritto all’inizio, che ho speso diversi aggettivi “importanti” per descrivere questo terzo disco delle Secret Sisters, ma non ho dubbi che, se vorrete farlo vostro, la penserete come me.

Marco Verdi

*NDB Anche questo uscirà il prossimo 9 giugno, così concludiamo la trilogia delle anteprime della settimana, domenica un’altra.

Cover Stories, La Recensione: Ovvero Rivisitando “The Story” Di Brandi Carlile Per Una Giusta Causa. Anche Cantato Da Altri Sempre Un Ottimo Disco!

cover stories brandi carlie

Various Artists – Cover Stories – Sony Legacy

Ne abbiamo già parlato un paio di volte; prima in occasione della presentazione e poi all’uscita del 5 maggio, ma visto che si tratta di una operazione a sfondo benefico http://discoclub.myblog.it/2017/05/05/esce-il-5-maggio-ma-visto-che-il-fine-e-nobile-cover-stories-ovvero-rivisitando-the-story-di-brandi-carlile-per-una-giusta-causa/  torniamoci per un’ultima volta. Al link leggete tutta la storia, questa volta parliamo solo dei contenuti, ossia delle singole canzoni, di quello che giustamente viene ancora oggi considerato il migliore album di Brandi Carlile, cantautrice di cui spesso e volentieri avete letto su questo Blog http://discoclub.myblog.it/2015/03/18/folk-rock-il-nuovo-millennio-delle-migliori-brandi-carlile-the-firewatchers-daughter/ :

1. Late Morning Lullaby – Shovels & Rope

Il duo americano agli inizi mi piaceva molto, poi mi pare che si siano persi per strada, con una svolta commerciale verso il “modernismo” a tutti i costi, che mi sembra li accomuni a gente come Mumford And Sons, Arcade Fire, Low Anthem, Needtobreathe (con cui hanno collaborato, nel pessimo Hard Love) e vari altri. Per l’occasione i due fanno le cose per benino, forse ispirati da questa dolce ninna nanna che apriva anche l’album originale, con l’intreccio delizioso delle due voci, Michael Trent e Cary Ann Hearst  una chitarra acustica e poco più, bella partenza.

2. The Story – Dolly Parton

La title track dell’album è anche una delle più belle canzoni del disco, Dolly Parton, una delle “eroine” musicali della Carlile, rimane molto fedele allo spirito del brano, un folk-rock accorato, cantato con grande pathos e passione.

3. Turpentine – Kris Kristofferson

Splendida anche la rivisitazione del grande Kris, la voce è sempre più “vissuta” e scarna, ma la classe non manca, e pure questa, un’altra delle canzoni migliori di The Story, rifulge di nuova gloria in una versione splendida, caratterizzata da una pedal steel avvolgente, dalla chitarra di Chris Stapleton e dalle armonie vocali della figlia di Kristofferson, Kelly.

4. My Song – Old Crow Medicine Show

Per gli Old Crow Medicine Show mi pare che valga la regola aurea dei tempi di “E Intanto Dustin Hoffman Non Sbaglia Un Film”, loro non sbagliano non dico un album ma neppure una canzone: My Song diventa una splendida bluegrass song dei Monti Appalachi, con armonie vocali impeccabili, picking di chitarre, banjo e mandolino e svolazzi di violino, bellissima. Tra l’altro, se cercate in rete, visto che sono stati in tour assieme, si scambiano di continuo versioni dei loro brani.

5. Wasted – Jim James

Ultimamente il leader dei My Morning Jacket, da solo o con il suo gruppo, non sempre centra l’obiettivo, e anche questa versione psichedelica alla Tomorrow Never Knows di Wasted, non mi pare il massimo.

6. Have You Ever – The Avett Brothers

Questa canzone era già bella di suo, ma la versione dei fratelli Avett, rallentata rispetto all’originale, intima e delicata, quasi alla Simon & Garfunkel, è un altro dei pezzi migliori contenuti in questo tributo. Dando il via ad un trittico di cover nella parte centrale dell’album che sfiora la perfezione.

7. Josephine – Anderson East

Per esempio, nel caso di Anderson East, che sia una delle più belle voci in circolazione delle ultime generazioni non lo scopriamo certo oggi: la sua sua voce rauca e vissuta, a dispetto dei suoi 29 anni ancora da compiere (ma Otis Redding ne aveva 26, quando morì nel 1967), è perfetta per questa versione gospel-soul di Josephine, arricchita anche dalle armonie vocali della fidanzata Miranda Lambert.

8. Losing Heart – The Secret Sisters

A proposito di armonie vocali, due che non scherzano nel campo sono le Secret Sisters, di cui ai primi di giugno, il 9 per la precisione, è in uscita il terzo album You Don’t Own Me Anymore, prodotto, toh che caso, da Brandi Carlile. Se ne parla molto bene, recensione già prenotata da Marco, quando verrà pubblicato. Per il momento gustiamoci questa Losing Heart, pure questa rallentata rispetto all’originale, ma sempre una piccola perla, con la stessa Brandi al banjo e Tim Hanseroth al piano e mellotron, una ballata molto anni ’70, affascinante.

9. Cannonball – Indigo Girls

Le Indigo Girls erano presenti anche nell’album originale, quindi sembrava quasi doverosa la loro presenza per un altro dei pezzi “forti” del CD, con il classico sound del duo americano, a cui molto si è ispirata la Carlile ad inizio di carriera, anche se l’uso dei fiati e del violino è inconsueto, quasi pop barocco, comunque interessante, e gli intrecci vocali sono sempre magnifici.

10. Until I Die – TORRES

Torres condivide con Brandi le passioni per Kate Bush, Johnny Cash e Kurt Cobain, una sorta di spirito affine sul lato alternative-indie, e questa versione lo-fi sembra ispirata proprio dalla cantante inglese, e poi la voce è decisamente bella.

11. Downpour – Margo Price

Questa era una delle canzoni che più mi piacevano dell’album originale, e la versione dell’emergente Margo Price, cantata con voce dolce e vulnerabile, quasi “infantile”, ben si accoppia con il sound alternative-country della Carlile, con intrecci di chitarre  e pedal steel che disegnano la deliziosa melodia della canzone.

12. Shadow On The Wall – Ruby Amanfu

Ecco uno dei due brani che erano già stati pubblicati in precedenza e non incisi appositamente per questo progetto. Ruby Amanfu è una cantante nata in Ghana, ma che vive ed opera musicalmente negli Stati Uniti, tra Nashville e Los Angeles. In possesso di una voce potente ed espressiva è in circolazione già dal 1998, ma Standing Still, il disco del 2015, è stato il primo con una produzione “importante”, e una delle cose migliori dell’album era proprio la sua versione della canzone di Brandi.

13. Again Today – Pearl Jam

Non potevano mancare naturalmente i suoi amici Pearl Jam (Mike McCready è apparso nei suoi dischi e Eddie Vedder è sempre disponibile per degli eventi di carattere benefico come questo): la versione di Again Today, che in origine era una malinconica ballata, per l’occasione diventa una potente canzone rock nello stile tipico della band di Seattle (quindi anche quasi concittadini) con la stessa Brandi Carlile alle armonie vocali per uno dei brani più importanti della raccolta

.14. Hiding My Heart – Adele

Questo pezzo era la “traccia nascosta” nella versione originale di The Story e poi era presente come bonus track nella versione limitata dell’album 21 di Adele, il disco che ha venduto svariati “fantastilioni” di copie in giro per il mondo.

Quindi, ribadisco, non solo un album per una giusta causa, ma anche, a parte un paio di eccezioni, un gran bel disco!

Bruno Conti

Musica Per “Sottrazione”, Ma Di Grande Intensità! Dan Layus – Dangerous Things

dan layus dangerous things

Dan Layus – Dangerous Things – Plated CD

Dan Layus è un musicista originario di San Diego, già leader degli Augustana, un gruppo di alternative country e roots rock con alle spalle ben cinque album pubblicati dal 2003 al 2014, di cui diversi addirittura per una major (la Epic). Dire però che Layus è il leader del gruppo è riduttivo, in quanto in realtà egli “è” il gruppo, nel senso che negli anni ha fatto e disfatto come più gli piaceva, fino a restare nell’ultimo lavoro, Life Imitating Life, senza altri membri oltre a lui, ed in pratica ha assunto il ruolo di one man band. Ora ho tra le mani il suo ultimo disco, Dangerous Things, è Dan deve aver pensato che intitolarlo nuovamente ad una band che di fatto non esiste più doveva essere troppo, anche perché le canzoni di questo album non suonano affatto come un lavoro di gruppo, bensì al 100% come l’opera di un cantautore. Infatti Layus, che ha anche prodotto il disco insieme a Rich Egan, ha optato per una veste sonora che definire spoglia è un eufemismo: negli undici brani del CD troviamo solo lui con la sua chitarra ed il piano, due violiniste (Anne Buckle e Kelly Aus), il noto steel guitarist Dan Dugmore e, alle armonie vocali le bravissime Laura e Lydia Rogers, meglio conosciute nel mondo musicale come The Secret Sisters. Niente di più, almeno a livello sonoro (e steel e violino mai nella stessa canzone), dato che dal punto di vista qualitativo Dangerous Things si rivela essere una vera e propria sorpresa, un lavoro di una’intensità unica, con il nostro che dimostra di essere un songwriter coi controfiocchi, al quale basta poco per emozionare. E d’altronde, scegliendo la strada della sottrazione, il rischio era quello di risultare ripetitivo ed addirittura di annoiare, ma questo non avviene, anzi in almeno tre-quattro casi ci troviamo davanti a canzoni di qualità eccelsa, con country e folk come background ed una semplicità di fondo che è poi ciò che fa la differenza. Un signor disco quindi, che catapulta all’improvviso tra noi un nuovo talento che personalmente non conoscevo.

L’album inizia alla grande con la splendida title track, che vede Dan accompagnato solo dalla sua chitarra, dalle voci delle sorelle Rogers e dalla steel di Dugmore in sottofondo, ma la melodia è decisamente bella ed intensa, nobilitata ulteriormente dalla voce espressiva del leader. La tenue Driveway è uno slow cantato con voce quasi sussurrata ma con notevole pathos, e l’effetto finale, grazie anche alla languida steel, è emozionante: una voce e due strumenti, ma non serve di più. In Four Rings Layus si sposta al piano, dimostrando di essere capace di un fraseggio eccellente, ed il brano è un’altra struggente ballata, arricchita solo da uno splendido coro delle due Sisters, che dona un tono gospel, e da un malinconico violino; stessa formazione, ma con Dan alla chitarra, per la profonda You Can Have Mine: la strumentazione ridotta non permette voli pindarici o brani rockeggianti, ma credetemi se vi dico che il disco possiede un’intensità rara.

Only Gets Darker vede ancora il trio Layus-Sisters-Dugmore, un pezzo dalla melodia cristallina di derivazione country (lo vedrei bene riproposto da Emmylou Harris), mentre i seguenti quattro brani hanno come protagonisti solo i due Dan (con Layus che si alterna a piano e chitarra), e meritano una menzione d’onore la splendida Let Me Lose You, una fantastica ballata pianistica, dal motivo superbo ed eseguita alla grande, tra le più belle del CD, e la vivace Destroyer, forse l’unica a cui avrebbero giovato un paio di strumenti in più (altro ottimo pezzo comunque). La toccante Enough For You è l’unica con il nostro in perfetta solitudine, mentre la conclusiva The Nightbird è l’ennesima struggente ballad, questa volta dai toni soul, con Dan ancora al piano e le sorelle a ricamare vocalmente nel retro, anche questa davvero bella. Un piccolo grande disco, intenso, emozionante e, perché no, sorprendente.

Marco Verdi

Il Ritorno (E Forse Commiato) Di Un Grande! Donnie Fritts – Oh My Goodness

donnie fritts oh my goodness

Donnie Fritts – Oh My Goodness – Single Lock CD

Donnie Fritts, ultrasettantenne musicista dell’Alabama, è un pezzo di storia della musica. Sessionman, tastierista, autore, Fritts è stato, dalla fine degli anni sessanta in poi, tra i maggiori responsabili del mitico Muscle Shoals Sound, dal nome dei famosi studi di Sheffield (Alabama) dai quali è passata la crema del rock americano e non, insieme a luminari del calibro di Dan Penn, Billy Sherrill, David Briggs, Robert Putnam, Jerry Wexler, Spooner Oldham, Tony Joe White, David Hood e Barry Beckett, solo per citare i più noti, un suono caldo con marcati elementi soul ed un grande uso dell’organo, con variazioni talvolta funky, talvolta quasi country, sound che all’epoca diventò un vero marchio di fabbrica. Come pianista ed organista il suo nome è legato a doppio filo a quello di Kris Kristofferson, per il quale ha suonato per circa quarant’anni, mentre come autore ha scritto, da solo o in coppia con altri, alcuni brani diventati dei veri e propri classici, tra cui Adios Amigos (Arthur Alexander), Breakfast In Bed (Dusty Springfield) e soprattutto, insieme a Troy Seals (un’altra mezza leggenda), We Had It All, incisa per primo da Waylon Jennings ma in seguito anche da gente come Ray Charles, Willie Nelson, Rolling Stones (è nella ristampa deluxe di Some Girls https://www.youtube.com/watch?v=4mJ6aZ3Bj7c ), Rod Stewart e Dolly Parton, oltre ad essere stata suonata dal vivo per una trentina di volte da Bob Dylan durante la sua tournée con Tom Petty negli anni ottanta.

Fritts non ha inciso molto a suo nome, solo tre dischi in quaranta anni (Prone To Lean nel 1974, l’ottimo Everybody’s Got A Song nel 1997, con ospiti del calibro di John Prine, Willie Nelson, Waylon, Kristofferson, Tony Joe White e Delbert McClinton, e One Foot In The Groove nel 2008), e pertanto questo nuovissimo Oh My Goodness, uscito un po’ a sorpresa, è da considerarsi un piccolo evento, impreziosito dal fatto che il disco risulta decisamente buono. Donnie ha prodotto l’album insieme al tastierista Ben Tanner ed a John Paul White, ex dei Civil Wars https://www.youtube.com/watch?v=GYBaUU34iy4 , il quale ha fatto un lavoro eccelso, mettendo la voce di Fritts (non perfetta, ma particolare e comunicativa sì) al centro di tutto, e rivestendola con pochi e selezionati strumenti, lasciando uscire quindi l’essenza delle canzoni. Un disco composto per lo più da ballate, arrangiate in maniera semplice e classica, e che mette spesso da parte l’elemento sudista (sempre comunque presente) in favore di un’atmosfera più intimista, risultando certamente tra i lavori di Donnie quello più personale (i brani sono quasi tutti scritti da lui, alcuni decenni fa e alcuni oggi, ma c’è spazio anche per qualche selezionata cover).

Anche gli ospiti speciali (e ce ne sono: John Prine, Brittany Howard degli Alabama Shakes, le Secret Sisters, ovvero Laura e Lydia Rogers, Jason Isbell ed il chitarrista Reggie Young) non si prendono mai il centro della scena, ma si mettono a completa disposizione delle canzoni, rendendo il giusto omaggio ad un musicista d’altri tempi. L’album si apre con Errol Flynn, una canzone poco nota di Amanda McBroom, una toccante ballata dall’arrangiamento spoglio ma di grande effetto, solo un wurlitzer, la chitarra acustica, qualche fiato e la voce vissuta di Donnie https://www.youtube.com/watch?v=4Fj5NXCQJy0 . La splendida If It’s Really Gotta Be This Way, di Donnie e Arthur Alexander https://www.youtube.com/watch?v=4ELdcxo9Px0 , rivive in questa nuova versione, con la melodia eccellente che spicca in mezzo ad un arrangiamento di grande impatto emotivo, con un bel quartetto d’archi che aggiunge il giusto pathos. Memphis Women And Chicken è un noto brano di Fritts e Dan Penn, e qui il caldo suono dell’Alabama fa finalmente la sua comparsa, un country-blues elettrico dal timbro decisamente sudista e con la chitarra “paludosa” di Bryan Farris; The Oldest Baby In The World, scritta dal nostro insieme a Prine (che suona anche l’acustica) è una folk ballad pura, che ha il passo e lo stile del grande cantautore di Chicago, alla quale il piano elettrico di Donnie aggiunge l’”Alabama touch”.

Tuscaloosa 1962 è una gustosa rock song rurale, sullo stile delle ultime cose di Levon Helm, con graditi interventi di Isbell alla slide; Them Old Love Songs, solo voce, piano, basso e le sorelle Rogers, è un altro lento pieno d’anima, cantato con feeling dalla voce quasi spezzata del nostro, mentre Foolish Heart (di Jesse Winchester), sempre guidata dal wurlitzer di Donnie, è trasformata in un pezzo quasi dixieland grazie al sapiente uso dei fiati. Lay It Down è la signature song del semisconosciuto Gene Thomas (ed incisa tra gli altri da Waylon e dagli Everly Brothers), ed è un’ altra emozionante slow tune: è anche il brano tra tutti con più strumenti (chitarre, archi, fiati), ma usati con senso della misura e grande classe https://www.youtube.com/watch?v=gtmfPKwgKmg ; la mossa Good As New dà un po’ di verve ad un album che predilige i ritmi lenti (ottima qui la parte strumentale); Temporarily Forever Mine, una canzone del bravo Paul Thorn, è un altro slow suonato in punta di dita e cantato in maniera diretta. Il CD si chiude con la grintosa e ritmata Choo Choo Train (*NDB: si tratta del celebre brano dei Box Tops di Alex Chilton, scritta con Eddie Hinton) e la toccante title track, solo Donnie alla voce ed il vecchio compare Spooner Oldham al piano, un finale di sicuro effetto.

Dai ringraziamenti stampati nel libretto interno al disco sembrerebbe che Oh My Goodness possa essere l’ultimo lavoro per Donnie Fritts (ed è credibile vista l’età e la regolarità con cui incide): se così fosse, sarebbe il migliore dei commiati.

Marco Verdi

Novità Di Aprile, Speciale Pasqua E Dintorni Parte III. Billy Bragg, The Both (Aimee Mann-Ted Leo), Secret Sisters, Needtobreathe, Katie Herzig, Let The Music Play Black America Sings Bacharach/David

billy bragg live at the union chapel

Billy Bragg – Live At The Union Chapel – CD + DVD Cooking Vinyl

Si tratta della registrazione tenuta nel giugno del 2013 alla Union Chapel di Londra, nel corso della quale il Bardo di Woking presentava con la band l’album Tooth And Nail ed altre chicche del suo repertorio. Nel bis esegue in acustico l’intero Life’s A Riot With Spy vs Spy” e tra gli extra del DVD ci sono altri brani registrati a Lexington e alla Wembley Arena nonché promo videos, making of e interviste https://www.youtube.com/watch?v=nBfY9OnxTng . Più cinque cartoline. Questi i contenuti:

Disc: 1 (CD)

  • 1. Ideology
  • 2. Way Over Yonder In The Minor Key
  • 3. Do Unto Others
  • 4. All You Fascists Bound To Lose
  • 5. I Aint Got No Home
  • 6. You Woke Up My Neighbourhood
  • 7. Never Buy The Sun
  • 8. Between The Wars
  • 9. There Is Power In A Union
  • 10. Goodbye Goodbye
  • 11. My Flying Saucer
  • 12. Swallow My Pride
  • 13. Over You
  • 14. Valentine’s Day Is Over
  • 15. There Will Be A Reckoning
  • 16. Sexuality
  • 17. Handyman Blues
  • 18. Tank Park Salute
  • 19. Waiting For The Great Leap Forwards

Disc: 2 (DVD)

    • 1. Ideology (DVD)
    • 2. First Interview (DVD)
    • 3. Way Over Yonder In The Minor Key (DVD)
    • 4. Do Unto Others (DVD)
    • 5. All You Fascists Bound To Lose (DVD)
    • 6. I Ain’t Got No Home (DVD)
    • 7. You Woke Up My Neighbourhood (DVD)
    • 8. Interview 2 (DVD)
    • 9. Never Buy The Sun (DVD)
    • 10. Between The Wars (DVD)
    • 11. There Is Power In The Union (DVD)
    • 12. Interview 3 (DVD)
    • 13. Goodbye Goodbye (DVD)
    • 14. My Flying Saucer (DVD)
    • 15. Interview 4 (DVD)
    • 16. Swallow My Pride (DVD)
    • 17. Interview 5 (DVD)
    • 18. Over You (DVD)
    • 19. Valentines Day Is Over (DVD)
    • 20. Interview 6 (DVD)
    • 21. There Will Be A Reckoning (DVD)
    • 22. Sexuality (DVD)
    • 23. Interview 7 (DVD)
    • 24. Handyman Blues (DVD)
    • 25. Tank Park Salute (DVD)
    • 26. Waiting For The Great Leap Forwards (DVD)
    • 27. Life s A Riot With Spy Vs Spy Encore (DVD)
    • 28. No One Knows Nothing Anymore (Promo Video DVD)
    • 29. Handyman Blues (Promo Video DVD)
    • 30. Handyman Blues – The Outtakes (DVD)
    • 31. The Space Race Is Over (Live from The Lexington DVD)
    • 32. Chasing Rainbows (Live from The Lexington DVD)
    • 33. A New England (Live from Wembley DVD)
    • 34. Tooth & Nail EPK (DVD)
    • 35. Interview With Billy Bragg and Andrew Collins (DVD

the both aimee mann ted leo

The Both Aimee Mann & Ted Leo – Superego records

Questa è una collaborazione tra Aimee Mann e Ted Leo, ma mentre più o meno tutti conoscono la prima. tra i quali il sottoscritto che l’apprezza dai tempi dei ‘Til Tuesday e per la sua eccellente carriera solista, di cui, stranamente il disco più conosciuto è una colonna sonora, quella di Magnolia, pochi conoscono Ted Leo che invece è in giro dai primi anni ’90, prima nei Chisel (non Cold, la band australiana di Jimmy Barnes), e poi a seguire una carriera solista che gli ha fruttato sette album, di cui ammetto di non conoscerne nemmeno uno. Nel 2012 hanno fatto uno tour degli States insieme e da cosa nasce cosa ed ecco questo The Both, che esiste anche in una versione deluxe con due tracce acustiche extra venduta dalla catena Barnes & Noble https://www.youtube.com/watch?v=PNaEM54nfK4 . E sapete una cosa, la mia amica Aimee ancora una volta non delude, e pure lui è bravo, ca va sans dire che il disco è bello, c’è persino una cover di un brano dei primi Thin Lizzy di Phil Lynott, Honesty Is No Excuse, che fa guadagnare ulteriori punti ai due https://www.youtube.com/watch?v=V_D-c-4xANs . Con quella voce, lei e Chrissie Hynde (primo album solista a giugno, speriamo bene), sono due delle migliori cantautrici che fanno rock al femminile https://www.youtube.com/watch?v=nivz7x_TMK4 .

secret sisters put your needle down

The Secret Sisters – Put Your Needle Down – Republic/Universal

Un’altra coppia, ma queste sono sorelle, per la precisione Secret Sisters, Lydia & Laura Rogers, due giovani e paffute sorelline americane, ma molto brave; il nuovo Put Your Needle Down è prodotto come il precedente da T-Bone Burnett https://www.youtube.com/watch?v=BQgJ_2Rnufw ed hanno detto (tale Steve Leggett, per attribuirgli il merito di una descrizione molto efficace) dell’album: “Suona come Wrecking Ball, il disco di Emmylou Harris prodotto da Lanois, cantato dalle sorelle minori degli Everly Brothers mentre sono alla guida dei Cowboy Junkies”. E c’è anche un brano incompleto di Dylan, un demo dato dallo stesso Bob alle ragazze che l’hanno completato, The Lie, che quindi porterà la firma Dylan/Rogers/Rogers, non male. Oltre a composizioni firmate da Brandi Carlile, che ha diviso spesso i palchi con le sorelle, una cover di Lonely Island, un brano di Boudleaux Bryant che era nel repertorio proprio degli Everly Brothers https://www.youtube.com/watch?v=mdPYwsbuASc . Se non vi basta tutto ciò, nel disco suonano Jay Bellerose, Keefus Ciancia, Zachary Dawes, Gurf Morlix, Marc Ribot, oltre allo stesso Burnett. E c’è pure una bella cover di The Pocket Knife di PJ Harvey. Sarà mica bello?

needtobreathe rivers

Needtobreathe – Rivers In The Wasteland – Atlantic

Vengono dalla Carolina del Sud e sono etichettati come Christian Rock meets Alternative, ma niente paura i Needtobreathe, di cui Rivers In The Wasteland è il quinto album, fanno solo del buon vecchio sano rock, già il precedente The Reckoning era ottimo, questo nuovo è anche migliore. Tante chitarre, ma anche tastiere, fiati ed arrangiamenti complessi, ma anche momenti più riflessivi con la bella voce di Bear Rhineheart in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=Se2C3v1a7OY. Il tutto prodotto da Joe Chiccarelli https://www.youtube.com/watch?v=Ub1q16hLxJg. Per avere un piccolo paragone, ma non prendetelo troppo alla lettera, pensate ai Coldplay o agli U2 se non vi fossero persi per strada e avessero proseguito per la strada “americana”, o ai Counting Crows con un maggior zelo religioso. E anche qualcosa di Cat Stevens  “modernizzato” con i classici oh oh oh che ora vanni di moda, sentite qui https://www.youtube.com/watch?v=Z5Yo99VjE2o. Bravi, in una parola!

katie herzig walk though walls

Katie Herzig – Walk Through Walls – Marion-Lorraine Records

Anche Katie Herzig ha dovuto arrendersi agli album finanziati dai fans, questo Walk Through Walls, il suo quinto, che esce per la propria etichetta indipendente che già da anni pubblica i suoi CD. La Herzig fa parte di quella pattuglia di cantanti americane (e non solo) molto apprezzate dai curatori delle colonne sonore delle serie televisive americane, tipo Grey’s Anatomy, che spesso ha usato i suoi brani o di film, spot pubblicitari e cose simili. Questo ha fatto dimenticare che la ragazza ha talento, una bella voce tra Neko Case e Devon Sproule, i suoi brani eseguiti anche dai Duhks (un bel “ma che fine hanno fatto”, cade a fagiolo) e prima, per alcuni anni, era stata la voce solista di una band come i Newcomers Home che non sono entrati nella storia della musica. Tutto bene quindi? Più o meno, questo è il singolo https://www.youtube.com/watch?v=V0dGwtAL1AE bello il video, ma troppa “elettronica” per i miei gusti, come nel resto del disco https://www.youtube.com/watch?v=fGeQTIpczcQ , non tutti i brani ma quasi…piacerà alle radio, dove va molto questo genere, ma la preferivo prima, vedremo in futuro.

let the music play black america sings bachrach david

Let The Music Play – Black America Sings Bacharach & David – Ace

Ogni tanto l’etichetta inglese Ace pubblica questi volumi a tema, con nomi famosi e carneadi del soul (ma sempre bravissimi) che interpretano le canzoni dei grandi della storia della nostra musica, ci sono stati i volumi dedicati a Otis Redding, Bob Dylan e Lennon-McCartney, questa volta è il turno di Burt Bacharach e Hal David. Si legge già tutto in copertina, comunque questa è la tracklist completa:

  1. 1 Make It Easy On Yourself – Dionne Warwick (2:40)
  2. 2 My Little Red Book – Tony Middleton (2:16)
  3. 3 Long After Tonight is All Over – Irma Thomas (2:29)
  4. 4 Another Tear Falls – Marv Johnson (2:35)
  5. 5 I Say a Little Prayer – Aretha Franklin (3:33)
  6. 6 Message To Martha – Jerry Butler (3:01)
  7. 7 This Empty Place – Cissy Houston (2:30)
  8. 8 In the Land of Make Believe – The Drifters (2:35)
  9. 9 I Cry Alone – Ruby & the Romantics (2:41)
  10. 10 Let the Music Play – Roy Hamilton (2:24)
  11. 11 Always Something There to Remind Me – Patti Labelle & the Bluebelles (2:37)
  12. 12 The Last One To Be Loved – Lou Johnson (3:30)
  13. 13 Reach Out For Me – Willie Tee (3:35)
  14. 14 Alfie – The Delfonics (2:47)
  15. 15 (There Goes) the Forgotten Man – Gene McDaniels (2:58)
  16. 16 The Look of Love – Nina Simone (2:23)
  17. 17 Anyone Who Had a Heart – The Orlons (2:49)
  18. 18 What the World Needs Now is Love – James Carr (3:13)
  19. 19 Walk On By – Gloria Gaynor (3:04)
  20. 20 (They Long To Be) Close To You – Bobby Womack (4:51)
  21. 21 One Less Bell To Answer – Gladys Knight & the Pips (3:16)
  22. 22 I Just Don’t Know What To Do With Myself – Isaac Hayes (3:48)
  23. 23 Don’t Make Me Over – Brenda & the Tabulations (4:02)
  24. 24 A House is Not a Home – Mavis Staples (4:29)

Quelle due o tre(cento) canzoni famose le trovate, perché molte ne valgono cento di oggi! Non c’entra con il brano contenuto nel CD, ma che oggi quasi nessuno abbia sentito parlare di James Carr, uno dei più grandi cantanti di soul di tutti i tempi (per qualcuno il migliore) è quasi un delitto, https://www.youtube.com/watch?v=VR6BkppSGNc

Fine delle trasmissioni anche per oggi.

Bruno Conti

E I Chieftains Fanno “50” Con Un Gruppo Di Nuovi Amici – Voice Of Ages

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The Chieftains – Voice Of Ages – Hear Music/Concord CD o CD/DVD Usa 21/02/2012 Europa 23/04/2012

Perché quelle date diverse vi chiederete? Non so, chiedere alla Universal, mistero! Ma purtroppo è vero, in Europa uscirà 2 mesi dopo l’uscita americana. Come per Amnesty International, Bob Dylan e, più tardi nell’anno i Beatles, sono 50 anni di onorata carriera, 1962-2012 e quindi perché non festeggiarli con un nuovo gruppo di amici con un bell’album di duetti? Certo, eccolo qui: prodotto da Paddy Moloney e l’immancabile T-Bone Burnett arriva questo Voice Of Ages.

I Chieftains non sono nuovi a questo tipo di album; da quando nel 1988 hanno realizzato il bellissimo Irish Heartbeat con Van Morrison questa tradizione delle collaborazioni è stata coniugata in mille forme e con una infinità di artisti. Già, l’anno precedente, nel 1987 avevano realizzato un album con il flautista classico James Galway intitolato In Ireland e un altro, Celtic Wedding con un gruppo di musicisti bretoni, ma si trattava comunque di album strumentali con l’occasionale brano cantato, come era sempre stato nei primi 25 anni della loro carriera. Con irish heartbeat le cose cambiano, infatti nel 1991 arriverà The Bells Of Dublin con, tra gli altri, Costello, le sorelle McGarrigle, Nanci Griffith, Marianne Faithfull, Rickie Lee Jones e Jackson Browne. Nel 1992 Another Country, in trasferta in America con Willie Nelson, Emmylou Harris, la Nitty Gritty Dirt Band, Ricky Skaggs, Chet Atkins, Don Williams e altri, The Chieftains goes country. Sempre nel 1992 per il disco dal vivo An Irish Evening vengono invitati Roger Daltrey e di nuovo Nancy Griffith.

Nel 1995 con The Long Black Veil c’è l’apoteosi: Sting, Mick Jagger, Sinead O’Connor, Van Morrison, Mark Knopfler, Ry Cooder, Tom Jones e i Rolling Stones, cazzo! Se si può scrivere! Nel 1996 c’è Santiago il disco dell’incontro con la musica ispano-americana, tanto per non parlare solo dei dischi dei duetti e se volete risalire a risalire a ritroso nella loro discografia uno qualsiasi dei primi, numerati dall’1 al 7 e Bonaparte’s Retreat sono uno più bello dell’altro ma più per amanti e praticanti della musica celtica, mentre quelli con gli ospiti, per quanto sempre rigorosi nelle loro “radici musicali” sono più godibili anche dai novizi o dai fans degli ospiti. Long Journey Home un altro disco strepitoso vince il Grammy per miglior disco folk nel 1999 e vede tra gli ospiti Mary Black, Vince Gill, Liam O’Maonlai degli Hothouse Flowers e il ritorno di Elvis Costello e Van Morrison. Nel 1998 era uscito anche Fire In The Kitchen dove i Chieftains nel loro ecumenismo incontravano tutti musicisti canadesi.

E che dire di Tears Of Stone del 1999 un incontro tutto dedicato alle voci femminili? Una meraviglia, con Joni Mitchell, Natalie Merchant, Bonnie Raitt, Mary Chapin Carpenter, Joan Osborne, Loreena McKennitt, Corrs e molte altre.

Gli anni 2000 iniziano con Water From The Well che avrà anche una bella versione dal vivo su DVD. E il 2002 e il 2003 vedono l’uscita dei due dischi della trasferta a Nashville: Down The Old Plank Road e Further Down The Old Plank Road, con John Hiatt, Buddy & Julie Miller, Alison Krauss, Lyle Lovett, Patty Griffin, Gillian Welch e David Rawlings nel primo e John Prine, Joe Ely, Allison Moorer, Emmylou Harris, Carlene Carter, Patty Loveless, Rosanne Cash la Nitty Gritty e altri già presenti nel 1° volume. Uno più bello dell’altro!

Nel 2002 purtroppo muore Derek Bell, il loro leggendario arpista e tastierista, e quindi la loro produzione, anche per l’età (non dimentichiamo che Paddy Moloney è del 1938), si fa più rarefatta, ma un disco come San Patricio con Ry Cooder, uscito nel 2010 è un piccolo capolavoro e ha vinto molte poll di fine anno come miglior disco e non solo nella categoria folk-world music.

E alla fine arriviamo a questo Voice Of Ages che segna l’incontro dei Chieftains con un gruppo di “nuovi amici”, ovvero i rappresentanti di quel filone musicale neo folk-country-roots che si sta riaffermando proprio in questi ultimi anni.

Ad aprire le danze è la connazionale irlandese Imelda May, reginetta del neo rockabilly e della musica degli anni’50, una voce molto bella che ripropone Carolina Rua, cavallo di battaglia del repertorio di Mary Black e devo dire che pur facendo un ottimo lavoro non può competere con la voce pura e cristallina della Black. Molto brave anche le Pistol Annies, il trio americano country-roots reduce da un disco di esordio come Hell On Heels, tra le cose migliori sentite in quell’ambito musicale nel corso del 2011, propone una versione molto sentita (e ben cantata) di Come All Ye Fair And Tender Ladies, dove le voci di Miranda Lambert, Ashley Moore e Angaleena Presley si amalgano alla perfezione con il suono dei Chieftains. Ottima anche Pretty Little Girl dei Carolina Chocolate Drops e qui lo stile da string band si adatta alla perfezione al folk e il risultato finale ha anche screziature di old time music e cajun, ballabile e trascinante, ma suonando allo stesso tempo perfettamente Chieftains.

Bon Iver chiude un 2011 molto attivo con questa Down In The Willow Garden e anche Paddy Moloney ammette di essersi dovuto adattare al perfezionismo del musicista americano che ha preferito lavorare in proprio per mandare poi il suo lavoro ai musicisti irlandesi che scalpitavano in sala per completare il brano e l’album entro i tempi stabiliti. Altro gruppo (ma sono solo in due) assolutamente da scoprire se già non li conoscete sono i Civil Wars il cui debutto del 2011 Barton Hollow è tra gli esordi dell’anno più interessanti dell’anno appena finito. Tra country, folk e roots hanno scritto un brano appositamente per l’occasione, una Lily Love che ha tutte le caratteristiche di “un’aria irlandese” con le voci di Joy Williams e John Paul White che si intrecciano deliziosamente con flauti e flautini.

In Lark In The Clear Air il bluegrass dei Punch Brothers incontra l’antenato celtico e il risultato è tra i momenti più “tradizionali” e autentici dell’intero album. con i componenti del gruppo americano che potrebbero diventare Chieftains onorari tanto sono a loro agio in questa musica sia vocalmente che strumentalmente. Altra “aria celtica” struggente è quella cantata con passione e trasporto dalla bravissima Lisa Hannigan, la celeberrima My Lagan Love riceve un trattamento sontuoso in questa versione dove brillano le uillean pipes di Moloney. Finalmente, dopo 50 anni di carriera, la musica di Dylan e quella dei Chieftains si incontrano in una versione di When The Ship Comes In: a fare da tramite tra i due mondi i Decemberists che ancora una volta si confermano uno dei gruppi migliori attualmente in circolazione e con Colin Meloy che si trasforma nel Roger McGuinn della situazione per un brano che suona come un incrocio tra Band, Byrds e, naturalmente, Chieftains. 

Di pari livello è la partecipazione dei Low Anthem con una School Days Over introdotta da un coro di bambini e che poi si trasforma in una ulteriore “air” malinconica e di grande bellezza con la voce di Ben Knox Miller sostenuta da Joice Adams che trasforma l’indie folk del gruppo di Providence in perfetto folk irlandese. I Punch Brothers sono gli unici presenti con due brani: anche The Frost Is All Over con violini e flauti a duettare deliziosamente li conferma a perfetto agio con questa musica, con immagine non poetica ma efficace potrei dire che si trovano “come dei maiali a razzolare nel fango”. Le nuove regine dell’armonizzazione, ovvero le Secret Sisters (non a caso prodotte nel loro esordio da T-Bone Burnett) sono pressoché perfette nella dolce Peggy Gordon. Mentre mi ha sorpreso assai piacevolmente l’italo-scozzese Paolo Nutini  (peraltro i suoi dischi sono piacevoli e si ascoltano con gusto): Hard Times (Come Again No More) è uno dei brani migliori dell’intero progetto, cantato con voce maschia e sicura da Nutini è una bella ballata di stampo anglo-irlandese che non fa rimpiangere un Christy Moore della situazione.

Gli ultimi tre brani sono degli strumentali classici dei Chieftains, soprattutto il primo, la lunghissima (più di 11 minuti) The Chieftains Reunion rinnova i fasti dei loro anni migliori e, non accreditata (o meglio non lo so io perchè non ho il libretto del CD), appare anche una arpa celtica, se non mi sono sognato, oltre alle voci del gruppo (Kevin Conneff) e qualche ospite che armonizza nella parte centrale del brano caratterizzato da continui cambi di tempo e di atmosfere con violini, flauti, uillean pipes, arpa appunto e bodhran a duellare nella migliore tradizione del gruppo irlandese. E qui il piedino parte…Per concludere due curiosità: The Chieftains in Orbit è un brano registrato con la astronauta americana Cadie Coleman e il titolo dice tutto. L’ultimo brano rinnova l’incontro di cornamuse con il musicista spagnolo Carlos Nunez per una coinvolgente Lundu che conclude in gloria le danze.

Mi sa che anche questo entrerà nella lista dei migliori dell’anno. L’edizione Deluxe ha il video del brano con i Low Anthem e un making of.

Bruno Conti

P.s Il video di Lisa Hannigan che canta The Times They Are A-Changin’ accompagnata da Herbie Hancock e dai Chieftains è un omaggio ai 50 anni di carriera di Dylan e Chieftains, anche se non c’entra con il resto.

A Dispetto Del Nome, “Chiaramente” Country – The Secret Sisters

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The Secret Sisters – The Secret Sisters – Beladroit Records/Universal Republic ITA 23-11-2010

Quando recentemente, per scrivere il Post su Elton John & Leon Russell, ho fatto delle ricerche sulle ultime produzioni di T-Bone Burnett, nella lista, oltre al nuovo Elvis Costello National Ransom in uscita ai primi di novembre, mi ero imbattuto anche nel disco di esordio delle Secret Sisters. In effetti ad un esame più approfondito, con relativo ascolto, mi sono accorto del fatto che il CD, oltre ad essere bello, e questo conta, non è prodotto da Burnett, che si limita al ruolo di produttore esecutivo e scopritore, ma addirittura ha creato una etichetta ad hoc, quella Beladroit Records che vedete nei credits iniziali, per pubblicare questo album.

Il produttore “vero” è Dave Cobb, veterano della scena di Nashville con Waylon Jennings, ma anche dietro la consolle dell’ultimo bellissimo lavoro di Jamey Johnson. Loro, a dispetto del nome del gruppo, sono due sorelle vere, Laura & Lydia Rogers, vengono dall’Alabama e fanno del country genuino, non country-rock ma neppure quel country pop becero di Nashville, proprio old-time, partendo dal country swingato anni ’40 passando per Loretta Lynn e una certa passione per la ricreazione di un suono molto vintage (e qui Burnett deve essere andato in brodo di giuggiole).

Direi che per inquadrare il sound l’ideale sia partire da una cover famosa che le due sorelle riprongono in modo delizioso e che tutti conoscono: si tratta di Something Stupid, proprio il brano di Frank Sinatra, che cantato all’unisono dalle due sorelle acquista ulteriore fascino in questa veste country.

Per il resto la pedal steel di Robbie Turner e il piano di Pig Robbins imperversano sotto le due voci femminili, liberi di ricreare quel sound anni sixties vagamente honky-tonk come nella divertente Why Baby Way o nella romantica e malinconica The One I Love Is Gone.

Il modo di cantare questo materiale dichiaratamente country ma con un feeling quasi folk per certi versi mi ha ricordato le Unthanks il gruppo inglese che dovrebbe essere agli antipodi di questa musica ma che per attitudine ha molte analogie sonore. Queste voci quasi arcane che risalgono alle origini di una delle musiche più popolari in America ma che arriva fino alle sonorità spensierate di brani come My Heart Skips A Beat è come una “vecchia novità” quasi dimenticata e poi le tonalità e il timbro vocale sono, ripeto, veramente una delizia per le nostre orecchie non più abituate a questo approccio sonoro.

Sono solo undici brani per poco più di trenta minuti di musica, quasi non vi accorgete quando è finito, e un poco vi dispiace, non resta che fare ripartire il CD per gustarvi il country-rockabilly-pop piacevolissimo di I’ve Gotta Feeling e l’eccellente armonizzare della delicata Do You Love An Apple ma anche il puro country-swing di All About You, con pedal steel in prima linea e quella confettura vocale che risponde al nome di Waste The Day, ma sinceramente tutti i brani sono assolutamente piacevoli e si lasciano gustare senza problemi.

Una ulteriore curiosità è che questa estate hanno anche pubblicato un 45 giri, prodotto da Jack White (grande fan di Loretta Lynn) che suona anche nel disco con musicisti provenienti da My Morning Jacket, Raconteurs e Jackson Smith (il figlio di Patti e marito di Meg White dei White Stripes). Il “vinilino” contiene una cover di Big River di Johnny Cash e il traditional The Wabash Cannonball. La buona musica si diffonde con celerità!

In America è già uscito da qualche settimana, in Italia uscirà il 23 novembre, credo di essere il primo a parlarne, ricordatevi dove l’avete letto la prima volta.

Bruno Conti