Lo Springsteen Della Domenica: Bello Giocare In Casa! Bruce Springsteen – Meadowlands July 25, 1992

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Bruce Springsteen – Meadowlands July 25, 1992 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Nuovo episodio degli archivi live di Bruce Springsteen e secondo show tratto dal tour di Human Touch e Lucky Town dopo quello splendido di East Rutherford del 1993. La location è la medesima (la Meadowlands Arena e la Brendan Byrne Arena sono due modi di chiamare lo stesso posto, come Stadio Giuseppe Meazza e San Siro), quindi siamo a poche miglia da casa di Bruce, ma se nel precedente concerto si era alle battute finali del tour, qui siamo appena alla seconda data (che è anche la seconda di ben undici consecutive nella cittadina del New Jersey). Quella tournée divenne famosa in quanto era la prima volta che il Boss si presentava senza la E Street Band, ma con un gruppo di buoni musicisti ribattezzati in modo un po’ spregiativo The Other Band: il chitarrista e direttore musicale era Shane Fontayne, la sezione ritmica era nella mani del bassista Tommy Sims e del batterista Zach Alford, poi c’era Crystal Taliefero che faceva un po’ di tutto tra cantare, ballare, suonare la chitarra ed il sassofono ed un gruppo di ottimi backing vocalists tra i quali spiccavano Bobby King (per anni con Ry Cooder) e Carol Dennis, all’epoca seconda moglie di Bob Dylan.

La quota E Street era rappresentata da Roy Bittan, grandissimo pianista al quale evidentemente Bruce non riusciva a rinunciare e che attenuava in parte lo shock di sentire il Boss con un suono diverso e meno esplosivo. Il triplo CD in questione è decisamente buono, in alcune parti ottimo, con Bruce che canta alla grande durante tutte le tre ore abbondanti senza neanche una sbavatura, anche se in certi momenti si sente che la band è ancora in rodaggio e non ancora pienamente “dentro” alle canzoni del nostro come sarà a fine tour (ed il live del 1993 testimonia questa differenza): stiamo parlando comunque di un gruppo superiore alla maggior parte delle rock’n’roll band in circolazione, ed il concerto risulta quindi molto godibile. L’apertura dello show, con tre dei brani migliori dei due album all’epoca usciti in contemporanea (Better Days, Local Hero e Lucky Town), è più che buona, poi la serata entra nel vivo con una superba Darkness On The Edge Of Town, nella quale si capisce perché Bittan sia indispensabile, ed una travolgente Open All Night con Bruce che inizia da solo e termina con un irresistibile coda full band a tutto rock’n’roll.

Ci sono ovviamente parecchi estratti dai due album pubblicati da pochi giorni, con l’inspiegabile eccezione di Human Touch: alcune canzoni sono ottime (la struggente ballata If I Should Fall Behind, il trascinante gospel-rock Leap Of Faith), altre buone (il coinvolgente rock’n’roll All Or Nothin’ At All, la grintosa Living Proof), qualcuna normale (Roll Of The Dice, Man’s Job) e non mancano neanche un paio di passi falsi (la brutta 57 Channels (And Nothin’ On) e l’insulsa Real Man, con un synth invadente). Nella prima parte dello show ci sono solo un paio di classici (Badlands e The River), ma troviamo anche i due pezzi migliori di Tunnel Of Love (Brilliant Disguise e la spettacolare Tougher Than The Rest, entrambe cantate con la moglie Patti Scialfa) ed una rara rilettura del brano di Wilson Pickett Ninety-Nine And A Half (Won’t Do), vero e proprio showcase per il gruppo di coristi. Finale spumeggiante con vari brani tratti da Born In The USA (la title track, che forse è quella che risente di più dell’assenza degli E Streeters, Working On The Highway, una torrenziale Glory Days e Bobby Jean), le superclassiche Hungry Heart, Thunder Road (acustica) e Born To Run e la chiusura con la toccante My Beautiful Reward.

Nel prossimo volume vedremo Bruce ancora a East Rutherford, ma stavolta con un balzo in avanti di ben vent’anni.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Un Live Bellissimo, Anche Se Con “L’Altra Band”! Bruce Springsteen – Brendan Byrne Arena, New Jersey June 24, 1993

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Bruce Springsteen – Brendan Byrne Arena, New Jersey June 24, 1993 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 4CD – Download

Quando alla fine degli anni ottanta Bruce Springsteen sciolse la E Street Band alla ricerca di nuovi stimoli, furono ben poche le voci di approvazione, e lo sconforto tra i fans si ingigantì quando nel 1992 il Boss pubblicò ben due album con il suo nuovo gruppo, Human Touch e Lucky Town, due dischi dove non mancavano le grandi canzoni, ma neppure diversi riempitivi (sono tuttora del parere che, scegliendo gli episodi migliori, avremmo avuto comunque un ottimo album singolo) e soprattutto con un suono piuttosto nella media, senza quel marchio di fabbrica e quella personalità tipici della sua vecchia band. Le critiche continuarono anche nel successivo tour, con “The Other Band”, come l’avevano soprannominata non senza una punta di disprezzo i fans, che raramente riusciva a catturare la magia degli show leggendari di Bruce, critiche avvalorate dall’album live pubblicato all’epoca, Plugged, decisamente poco riuscito. Questo nuovo episodio degli archivi live di Springsteen, che per brevità chiamerò Live 1993, è però un’altra storia: registrato a pochi passi da casa, alla Brendan Byrne Arena a East Rutherford, nel New Jersey (già teatro di un precedente live della serie, inciso nel 1984), ci fa ritrovare il Boss migliore, ispirato, coinvolgente ed in strepitosa forma vocale, alle prese tra l’altro con una setlist decisamente interessante ed una serie di ospiti a sorpresa che rendono più succulento il piatto.

E poi i musicisti che lo accompagnano, anche se non valgono neanche la metà degli E Streeters, non sono certo scarsi: Shane Fontayne alla chitarra elettrica, Tommy Sims al basso, Zack Alford alla batteria, Crystal Taliefero alla voce e chitarra (unico elemento forse abbastanza inutile), ed una bella serie di backing vocalists, tra cui spiccano Bobby King, per anni con Ry Cooder, e Carol Dennis, ex corista nonché seconda moglie di Bob Dylan. E, last but not least, Roy Bittan alle tastiere, un elemento imprescindibile per il suono del nostro, che evidentemente non se l’è sentita di lasciarlo a casa insieme agli altri ex compagni. Il concerto inizia in maniera intima, con un’intensa versione quasi a cappella (c’è solo una leggera tastiera in sottofondo) del classico di Woody Guthrie I Ain’t Got No Home, in cui Bruce divide le lead vocals con i suoi coristi e con il primo ospite della serata, Joe Ely (pelle d’oca quando tocca a lui). Poi abbiamo un mini-set acustico in cui Bruce propone una splendida e folkeggiante Seeds (quasi irriconoscibile), suonata con grande forza, una Adam Raised A Cain bluesata e completamente reinventata, e l’allora inedita This Hard Land, già bellissima e con una suggestiva fisarmonica. Da qui in poi parte lo show elettrico vero e proprio, con un’alternanza tra canzoni nuove e classici, per una scaletta davvero molto stimolante: i due nuovi album vengono rappresentati dagli episodi migliori (Better Days, la meravigliosa Lucky Town, un capolavoro, il trascinante gospel-rock Leap Of Faith, la potente Living Proof), da quelli più normali (Human Touch, Man’s Job, la dura Souls Of The Departed, che però dal vivo ha un tiro mica male), e purtroppo anche da quelli meno riusciti, come la pessima 57 Channels (And Nothin’ On), una porcheria che all’epoca il nostro ebbe il coraggio di fare uscire anche come singolo.

Poi ci sono gli evergreen, nei quali il gruppo fa il massimo per non far rimpiangere la E Street Band: da citare una splendida Atlantic City elettrica, le sempre trascinanti Badlands e Because The Night, la commovente The River, oltre all’inattesa Does This Bus Stop At 82nd Street? ed una struggente My Hometown, anche meglio dell’originale (mentre Born In The U.S.A. ha stranamente poco mordente, ed impallidisce di fronte a quella nota, che pure aveva un suono un po’ sopra le righe). Non mancano di certo le chicche, come un’intensa Satan’s Jewel Crown, un country-gospel reso popolare da Emmylou Harris (era in Elite Hotel), una solida Who’ll Stop The Rain dei Creedence, e soprattutto la strepitosa Settle For Love di Joe Ely, una delle signature songs del texano (che ha l’onore di cantare senza l’aiuto del Boss, che si limita a fargli da chitarrista), un pezzo che se fosse stato scritto nei primi anni settanta sarebbe entrato di diritto tra i classici rock di sempre. Il quarto CD (questo è l’unico live quadruplo della serie insieme al quello di Helsinki 2012) è una vera e propria festa nella festa, in quanto, dopo una toccante Thunder Road acustica, Bruce viene raggiunto, oltre che dalla moglie Patti Scialfa ed ancora da Ely, dai vecchi compagni Little Steven, Clarence Clemons e Max Weinberg, dalla futura E Streeter Soozie Tyrell, dai Miami Horns e, dulcis in fundo, dal grande compaesano Southside Johnny, che giganteggia da par suo nella travolgente It’s Been A Long Time (strepitosa), nella suggestiva Blowin’ Down This Road (ancora dal repertorio di Guthrie), e nel gran finale, con due classici di Sam Cooke, due irresistibili versioni di Having A Party e It’s All Right, inframezzate da una vibrante rilettura della Jersey Girl di Tom Waits. Confermo che sciogliere la E Street Band fu un grosso errore da parte di Bruce Springsteen, ma in questo Live 1993 c’è comunque un sacco di grande musica, che se non altro rivaluta in parte un periodo controverso della carriera del nostro.

Marco Verdi

Appendice Graham Nash – This Path Tonight: Molto Più Di Un Semplice Bonus DVD!

graham nash this path tonight

Graham Nash – An Evening With Graham Nash DVD

La settimana scorsa vi avevo parlato in anteprima del nuovo lavoro di Graham Nash, This Path Tonight (comprese le tre bonus tracks disponibili solo per il download), ma adesso che ho avuto la possibilità di visionare anche il DVD allegato alla versione deluxe (che Amazon spaccia come esclusiva, ma vale solo per l’America) mi rendo conto che il contenuto merita una breve disamina a parte. Normalmente nei supporti video presentati come bonus si trovano un po’ sempre le stesse cose, tipo il making of del disco in questione, interviste ai musicisti (che pure qui non mancano), un paio di videoclip dei singoli e, quando si sentono generosi, una manciata di brani live: qui invece sono state fatte le cose in grande, in quanto il DVD, intitolato An Evening With Graham Nash, presenta appunto un intero concerto (venti canzoni) tratto dalla tournée dello scorso anno (per la precisione la data è quella a St. Louis) nella quale Nash si esibiva accompagnato esclusivamente da Shane Fontayne.

Ed il concerto, nonostante la dimensione pressoché acustica (ma Fontayne si esibisce spesso all’elettrica, rilasciando anche più di un bellissimo assolo, mentre Nash occasionalmente si siede al pianoforte) è altamente godibile e non annoia neppure per un momento: Nash, vestito con un completo di jeans ed a piedi scalzi, è in grande forma vocale e si dimostra un interprete di gran classe, oltre ad essere anche un abile intrattenitore, introducendo le canzoni sempre con brevi e divertenti aneddoti, con un’ironia da vero englishman (e la sua pronuncia è comprensibilissima). Fontayne, poi, si dimostra un gran chitarrista (ed anche buon vocalist di supporto), che sa stare nelle retrovie quando serve ma al bisogno rilascia assoli infuocati che fanno dimenticare che sul palco sono solo in due (come in Immigration Man e Chicago), un partner perfetto per Graham. Il concerto è una sorta di autobiografia in musica del nostro, che inizia con due noti brani degli Hollies (Bus Stop e King Midas In Reverse) per poi deliziare i presenti con pagine note e meno note tratte dalla sua carriera solista e dai dischi con CSN (&Y), ma anche dagli album in duo con David Crosby, inserendo in anteprima anche due dei migliori pezzi da This Path Tonight, cioè Golden Days e Myself At Last, ed anche uno tutt’ora inedito, una bella folk song dal testo arrabbiato intitolata Watch Out For The Wind, che non avrebbe sfigurato affatto sul nuovo album. Chiaramente non mancano i brani più popolari di Graham (Marrakesh Express, Just A Song Before I Go, la drammatica Cathedral, la già citata Chicago, Our House, oltre al solito gran finale di Teach Your Children), ma anche pezzi meno battuti come Marguerita e Simple Man, oltre ad una squisita ripresa a due voci del classico dei Beatles Blackbird (già eseguita più volte anche con Crosby e Stills).

Ecco comunque la setlist completa:

 

  1. Bus Stop

  2. King Midas In Reverse

  3. I Used To Be A King

  4. Marrakesh Express

  5. Immigration Man

  6. Golden Days

  7. Myself At Last

  8. Wasted On The Way

  9. Wind On The Water

  10. Our House

  11. Military Madness

  12. Simple Man

  13. Marguerita

  14. Taken At All

  15. Watch Out For The Wind

  16. Just A Song Before I Go

  17. Cathedral

  18. Chicago

  19. Blackbird

  20. Teach Your Children

Un ottimo concerto, che per pochi Euro in più non dovrebbe lasciare dubbi su quale sia la versione di This Path Tonight da avere.

Marco Verdi

La Classe Non Invecchia! Anteprima Graham Nash – This Path Tonight

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Graham Nash – This Path Tonight – Blue Castle CD/Deluxe Download/CD+DVD

Certe convinzioni e certi stereotipi sono duri a morire: è infatti opinione comune che, nell’ambito del più famoso dei supergruppi, cioè Crosby, Stills & Nash (e Young, nei rari casi in cui si è degnato), Graham Nash rappresentasse l’anello debole. Certo, se paragonato agli altri due compagni di ventura forse l’ex Hollies ha un filo di talento in meno (Neil Young è di un altro livello o, come dicono gli esperti di calcio, fa reparto da solo), ma mi viene da ridere solo al pensiero di considerare uno che ha scritto brani come Marrakesh Express, Our House, Chicago, Cathedral, Just A Song Before I Go, Wasted On The Way (oltre al più grande classico di CSN, Teach Your Children) come una figura di secondo piano. Di certo non è mai stato un artista prolifico, dato che a parte i (pochi) album con il trio/quartetto di cui sopra, fino allo scorso anno aveva inciso solo cinque lavori da solista (ma per correttezza dovremmo ricordare anche i dischi in duo con David Crosby, comunque solo quattro), partendo nel 1971 con il bellissimo Songs For Beginners, inferiore al debutto del baffuto socio (il mitico If I Could Only Remember My Name) ma superiore all’esordio di Stills (che si rifarà di lì a breve con i Manassas), seguito nel 1974 dal discreto Wild Tales, dal claudicante Earth & Sky (1980), dal brutto Innocent Eyes (1986) e, dopo ben sedici anni, dall’ottimo Songs For Survivors, che anche nel titolo si riallacciava al disco di 31 anni prima e senza dubbio si piazzava appena alle sue spalle anche come qualità.

Negli ultimi anni Graham è stato molto attivo soprattutto dal punto di vista produttivo, in quanto ha curato la messa a punto degli splendidi cofanetti di Crosby, il suo e quello di Stills (nell’ordine), oltre al grandioso Live 1974 di CSN&Y, ma canzoni nuove nessuna: giunge quindi gradito questo album nuovo di zecca del musicista di Manchester, This Path Tonight (esce il 15 di Aprile, fra pochi giorni dunque), dieci canzoni (o tredici, come vedremo) proposte dal nostro con il suo consueto stile raffinato e gentile, un album sicuramente riuscito che, anche se non vale Songs For Beginners, si può tranquillamente mettere sullo stesso piano di Wild Tales.

Il disco giunge in un momento molto particolare della vita di Nash, e cioè la separazione, dopo ben 38 anni, dalla moglie Susan, e dell’innamoramento da parte del nostro per la giovane fotografa newyorkese Amy Grantham (che per quanto ne so, potrebbe anche essere la causa del divorzio, certi nonnetti ad un certo punto della vita non li tieni più, vedi anche l’ex compagno Neil con Daryl Hannah), evento che sicuramente ha dato nuova linfa ed ispirazione al nostro, il quale non manca però di portare alla ribalta anche i consueti temi di attualità (ed è un peccato non avere davanti i testi, mai banali nel caso di Nash). Il produttore (ed anche co-autore dei brani) è Shane Fontayne, chitarrista anche di CSN dal vivo, un ottimo musicista e valido anche in consolle: una produzione classica, con un suono mai invadente (tranne forse nella title track) e completamente al servizio della voce di Graham, sempre bella e pulita nonostante le 74 primavere; la band in studio è composta da gente che dà del tu ai propri strumenti, dal batterista Jay Bellerose al pianista Patrick Warren, passando per l’organo di Todd Caldwell ed il basso di Jennifer Condos.

This Path Tonight (la canzone) dà il via al disco in modo forte e deciso, con un arrangiamento rock e ritmo cadenzato, un inizio tonico e grintoso, anche se forse un tantino sopra le righe nel sound. Myself At Last la conoscevo già (l’hanno suonata CSN lo scorso anno a Milano), una ballata gentile e tipica del suo autore, ma non per questo non degna di nota (anzi, questo è il tipo di pezzi che mi aspetto in un disco di Nash), mentre Cracks In The City ha una struttura folk ed un ritornello molto intenso. La delicata Beneath The Waves, con un ricorrente arpeggio acustico ed un drumming complesso, è un brano d’atmosfera, sofisticato ma anche poco immediato, meglio Fire Down Below, elettrica e dominata dalla chitarra di Fontayne, anche se il cantato di Graham si mantiene su toni pacati.

Another Broken Heart è di un gradino superiore: Nash canta con la consueta classe, il ritmo è sostenuto e la melodia fluida e decisamente ben costruita (ed anche il suono, elettrico ma misurato, è perfetto); Target ci presenta un Nash vicino a quello degli anni settanta, una bella canzone dal timbro folk, motivo limpido e strumentata in maniera classica, con preziosi interventi di steel, piano ed armonica. Bella anche Golden Days, con il nostro che ricorda con affetto i bei tempi della sua gioventù artistica, un gradevole pastiche dalla base acustica e squisito gusto pop, con qualche riferimento beatlesiano (anche nel testo, in quanto Nash cita All You Need Is Love); Back Home, lenta e rarefatta, con sonorità quasi alla Daniel Lanois e la raffinata Encore, ancora con rimandi sonori al passato, chiudono il CD, almeno nella sua versione “fisica”.

Sì, perché esiste anche una edizione deluxe, ma solo per il download, con ben tre brani in più: Mississippi Burning (un brano che parla di contrasti razziali, condividendo anche lo stesso titolo di un famoso film di Alan Parker), che ha un andamento quasi da filastrocca folk ed un intenso ritornello corale, Soft Place To Fall, altro pezzo tipico per Graham, ma con una costruzione melodica di prim’ordine ed un accompagnamento elettrico guidato da una bella slide (meritava di entrare nel CD fisico, è una delle migliori) e The Last Fall, che chiude definitivamente il lavoro con una dolce ballata acustica, semplice ma a cui non difetta il pathos.

Un buon ritorno sulle scene per Graham Nash: spero solo che non sia il suo ultimo lavoro, ma considerando la regolarità con cui incide qualche dubbio in proposito mi viene.

Marco Verdi

*NDB E ne esiste un’altra versione, ancora più deluxe, senza le tre tracce extra, ma con un DVD aggiunto di oltre due ore, dove vengono riproposti venti classici dal songbook di Nash (qui potete leggere i titoli dei brani http://discoclub.myblog.it/tag/graham-nash/), che provvederemo ad illustrarvi con una post(illa) ad hoc, non appena lo avremo visto, visto che il tutto, come detto, esce il 15 aprile.

Quasi Più Bello Del Vecchio Live Ufficiale! Garland Jeffreys – Paradise Theater, Boston October ’79

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Garland Jeffreys – Paradise Theater, Boston October ’79 – Vox Rox 

Ecco un altro prototipo dell’artista di culto quasi perfetto: Garland Jeffreys, da New York, anzi Brooklyn, origini afro-americane e portoricane, compagno di università di Lou Reed (suo grande amico), addirittura prima dell’avventura con i Velvet Underground, una carriera discografica che in oltre 45 anni ha prodotto solo 14 album (compresi un paio usciti solo in Europa), ma con picchi qualitativi elevatissimi e un livello medio elevato costante. Tra una pausa e l’altra Garland ha coltivato le sue passioni, per la cultura, la letteratura, con diversi soggiorni in Italia, dove lo chiamavano “Garlando”, ma anche per la famiglia, con la nascita di una figlia alla fine degli anni ’90, e un’altra lunga pausa dal mondo musicale attivo. Ha collaborato con grandi musicisti che nel corso degli anni gli hanno prestato le proprie band per registrare alcuni dei suoi dischi migliori, o con cui ha diviso i palcoscenici in giro per il mondo. Con uno stile che incorpora elementi rock, soul e blues, ma anche tantissimo reggae, il tutto sempre con la classe del miglior singer songwriter, Garland Jeffreys ha avuto varie fasi nella sua carriera, il periodo di maggior successo sono stati gli anni alla Columbia, tra il 1980 e il 1983, in cui ha realizzato tre dischi formidabili, due in studio, Escape Artist (quello con la E Street Band, ma anche con il grande G.E. Smith alla chitarra), Guts For Love, e in mezzo il Live, Rock’n’Roll Adult, dove è accompagnato dai Rumor di Graham Parker al completo.

Ma anche gli anni settanta ci hanno regalato una serie di album fantastici, a partire da Ghost Writer e One-Eyed Back (per motivi oscuri stroncato dalla critica americana) per arrivare ad American Boy & Girl, il disco del ’79 che è una delle sue vette artistiche più importanti. Come sa chi mi legge non sono un grande cultore del reggae, ma per alcuni artisti faccio un’eccezione, Jeffreys in primis, ma anche la Armatrading, Graham Parker, Joe Jackson, i primissimi Police, dimentico qualcuno sicuramente. Il motivo di questo mio “outing” sarà chiaro tra un attimo. Siamo a fine 1979, Paradise Theater di Boston, una delle culle del rock dell’epoca, Garland è in giro per promuovere American Boy And Girl e la serata viene anche trasmessa dalla WBCN, l’emittente locale radiofonica e oggi proposta a noi posteri sotto forma di un CD di dubbia provenienza, ma indubbia qualità, sia sonora come qualitativa. Il repertorio è differente da quello del pur ottimo Live ufficiale del 1982, e per certi versi forse addirittura migliore, mancano alcuni classici, perché Jeffreys non li aveva ancora scritti (R.O.C.K soprattutto) o nella serata non li esegue, Matador, purtroppo. Ma il resto c’è tutto, corredato da alcune cover fulminanti ed eseguito con la classe del grande performer dal vivo, quale il nostro amico è sempre stato. Tra i pregi della serata anche una touring band di grande compattezza e versatilità, i cui nomi vengono massacrati nelle note di copertina, per il resto interessanti: uno dei chitarristi, Robert Athas, diventa Asis, l’altro, Shane Fontayne, non viene neppure citato, e sono i veri protagonisti, con Garland, della serata, ma anche il bassista Craig Johnson e il batterista Killer Burke (mai sentito, ma vista la bravura, azzardo, potrebbe essere Clem, dei Blondie, o Gary, quello di Hard Rain di Dylan?), creano un vortice ritmico di grande fascino.

A partire dall’iniziale Reggae Rhapsody, dove le due chitarre improvvisano un doppio riff circolare che ricorda quelli dei Television di Marquee Moon, prima di esplodere in un white reggae rock di rara potenza, con la bella voce di Jeffreys e le chitarre arrotate ed “effettate” subito in piena evidenza. Ma il rock non manca mai ai suoi concerti e American Boy & Girl e Rough & Ready sono due schioppettate di rara potenza, poi Garland scherza con il pubblico e con gli ascoltatori della radio, arrivando ad augurare il Buon Natale anche se siamo a fine ottobre, prima di lanciarsi in una sinuosa e reggata (ma rock e reggae convivono sempre) I May Not Be Your Kind, di grande fascino e City Kids, solo voce e chitarra, è da manuale del perfetto cantautore folk. 35 Millimeter Dreams è un altro pezzo rock dal riff accattivante (arte in cui il cantante e compositore di New York è maestro), prima di presentare Mystery Kids, allora inedita e che, sempre scherzando, viene annunciato verrà pubblicata nel 1993, con la band che macina sempre rock alla grande. Ghost Writer è in una versione monstre di oltre 12 minuti, con i due chitarristi, Athas e Fontayne, in vena di improvvisare e pure Wild In The Streets, in quanto a grinta, riff e belle melodie, non scherza per nulla. Pausa e poi tornano per i bis, tanti: Night Of The Living Dead, una fantastica Cool Down Boy, e poi ancora una scatenata Walking The Dog e China, solo voce a cappella, con il pubblico che ascolta in religioso silenzio. Un grande concerto per un grande artista.

P.S. I video non sono di questo concerto, di cui non c’era nulla, ma comunque buona musica dell’epoca

Bruno Conti