Anche Ai Giorni Nostri Sarebbero Una Grande Band! The Pogues – The BBC Sessions 1984-86

pogues bbs sessions

The Pogues – The BBC Sessions 1984-86 – BBC/Warner CD

Oggi purtroppo non si parla più molto dei Pogues, gruppo anglo-irlandese tra i più originali degli anni ottanta, e perciò questo CD intitolato The BBC Sessions 1984-86 (già uscito in vinile per il Record Store Day ma con meno canzoni e solo riguardanti il biennio 1984-85) giunge più che gradito. Formatisi a Londra nel 1982, in breve i Pogues si affermarono come una delle band più creative e coinvolgenti del periodo con la loro fusione di musica tradizionale irlandese ed un punk-rock degno dei Clash (non a caso Joe Strummer farà brevemente parte del gruppo nel 1991), grazie a dischi uno più bello dell’altro ed esibizioni dal vivo letteralmente travolgenti. Musicalmente la band era un treno lanciato, ed era guidata dal particolare carisma del leader Shane McGowan, brutto, sdentato, con le orecchie a sventola ed un rapporto molto stretto con la bottiglia (penso che l’ultima volta che è stato sobrio facesse ancora le scuole medie), ma con una carica eccezionale sul palco ed un innato talento nel songwriting, al punto che, quando fu licenziato nel ’91 a causa della sua ormai cronica inaffidabilità, il resto della band pubblicò ancora due album piuttosto modesti e poi si sciolse.

The BBC Sessions 1984-86 documenta il meglio di sei sessions inedite che Shane e compagni tennero per la nota emittente britannica (tutte senza pubblico), partendo da quando non avevano ancora inciso neppure un disco e si chiamavano ancora Pogue Mahone (che in gergo irlandese significa “baciami il c..o”), fino ad uno show del novembre 1986 quando erano già una bella realtà avendo pubblicato i loro primi due album, Red Roses For Me e Rum Sodomy & The Lash, che nel CD sono rappresentati, tra canzoni finite sugli LP e b-sides di singoli, da ben dieci tracce ciascuno. Oltre a McGowan abbiamo Spider Stacy al tin whistle, James Fearnley alla fisarmonica, Jem Finer al banjo, Cait O’Riordan al basso (sostituita negli ultimi pezzi da Daryll Hunt) ed Andrew Ranken alla batteria, ai quali si aggiunge dal luglio 1985 Philip Chevron alla chitarra e mandolino. Le danze iniziano con la gioiosa Streams Of Whiskey, un folk-rock eseguito con grande energia e dal ritornello irresistibile, uno dei brani simbolo dei nostri, e proseguono con il meglio della loro produzione del periodo, come la coinvolgente rilettura del traditional Greenland Whale Fisheries, la splendida Boys From The County Hell (unico pezzo presente due volte insieme alla saltellante e strepitosa Sally MacLennane), dal ritmo forsennato e refrain accattivante, ed il noto standard The Auld Triangle, già un successo in passato per i Dubliners.

Ma gli highlights non si fermano certo qui, e possiamo goderci anche il formidabile strumentale Dingle Regatta, pura Irish music suonata con piglio da rock band, la filastrocca Poor Paddy On The Railway, punk-folk al 100%, l’inedito Connemara Let’s Go, con fisa e banjo in evidenza, la breve ma contagiosa Whiskey You’re The Devil (perfetta da ascoltare con una pinta di Guinness in mano), e Wild Cats Of Kilkenny, altro strumentale decisamente vibrante. Non mancano le ballate tipiche del gruppo, come la bellissima Navigator, un canto marinaresco dal chiaro sapore tradizionale, la toccante A Pair Of Brown Eyes, tra i classici assoluti di McGowan e soci, e la magnifica cover di Dirty Old Town di Ewan MacColl. Ci sono anche un paio di brani tratti dal film Straight To Hell, uno strano western con i Pogues e Strummer protagonisti, e cioè la suggestiva ed intensa folk ballad Danny Boy e l’indemoniata The Rake At The Gates Of Hell. I pezzi registrati nel 1986 sono in realtà un’anticipazione dell’album If I Should Fall From Grace With God del 1988 (forse il loro capolavoro), vale a dire la splendida title track, la cadenzata ballad Lullaby Of London e l’orientaleggiante e godibilissima Turkish Song Of The Damned.

I Pogues erano una grande band, e The BBC Sessions 1984-86 è qui per ricordarcelo.

Marco Verdi

Supplemento Della Domenica: Forse Il Miglior Disco Dal Vivo Ufficiale Del 2017. Christy Moore – On The Road

christy moore on the road

Christy Moore – On The Road – Yellow Furze/Sony Music Ireland 2 CD

Christy Moore è una leggenda in Irlanda (e non solo nell’isola di Smeraldo), ma è anche uno dei più grandi cantautori attualmente in circolazione, con una produzione sterminata, iniziata con un disco del 1969 che si chiamava Paddy On The Road. Sarà un caso, ma a quasi 50 anni da quel disco esce questo doppio dal vivo che si chiama On The Road: di Moore esistono molti album Live, sia da solo che con Planxty e Moving Hearts.. Anche questa volta il buon Christy centra l’obiettivo, con quello che è il suo primo album Live doppio: registrato nel corso degli ultimi tre anni, tra Inghilterra, Irlanda e Scozia, contiene 24 brani estratti dal suo repertorio, messi in sequenza per costruire una sorta di concerto ideale, con la giusta alternanza tra brani lenti e più mossi, ballate e gighe, brani malinconici, di denuncia, ma anche canzoni briose, spesso salaci, ricche di ironia e umorismo britannico, seguito da platee adoranti pronte a cantare e a battere le mani ad ogni suo comando, ma rispettose ed attente nei momenti più intensi e struggenti, quindi il pubblico ideale per qualsiasi performer. E questa volta Christy Moore non è in solitaria, è accompagnato da un piccolo ma capace gruppo di musicisti che si alterna nelle varie date: guidati all’immancabile, e grande, Declan Sinnott, a chitarra elettrica, acustica e strumenti a corda, Jim Higgins, percussioni e batteria, Cathal Hayden, violino e banjo, Mairtin O’Connor alla fisarmonica, Seamie O’Dowd, chitarra, armonica e mandolino, oltre alle voci aggiunte di Vickie Keating e del figlio di Christy Andy Moore, che da alcuni anni lo accompagna con le sue armonie.

christy moore 2 declan sinnott

Il risultato, manco a dirlo, è splendido, se amate la musica folk, irlandese e non, le canzoni d’autore, e in generale la buona musica, questo doppio è imprescindibile, anche considerando che il repertorio estrapolato da ben 16 diverse locations, quindi assai diversificato e completo, è arricchito anche da parecchie cover scelte con grande cura. L’apertura del concerto è spettacolare, con uno dei brani più amati e coinvolgenti appunto del suo repertorio, Ordinary Man, che dava il titolo ad un album del 1987, proposta nel corso degli anni in svariati arrangiamenti, in questo caso la pungente elettrica di Sinnott e il violino sono quasi interscambiabili, mentre la melodia molto cantabile la rende subito preda dei presenti che la cantano a squarciagola con Christy, che si vede costretto ad adeguarsi, con piacere, alla versione del pubblico presente al Barrowland di Glasgow; Ride On, tratta dall’omonimo album che lo stesso Moore considera tra i suoi più popolari (e in Irlanda il nostro è spesso ai vertici delle classifiche), è un brano scritto da Jimmy MacCarthy (che è stato omaggiato di recente anche da Mary Black, che ha inciso un intero disco dell’autore inglese, di cui leggerete sul Blog a breve), reso proprio dall’irlandese nel corso degli anni, sera dopo sera, una di quelle sue splendide ballate, cantate con voce profonda e risonante, dove la voce della Keating e la elegante solista di Sinnott sono elementi portanti della canzone, ascoltata in religioso silenzio dal pubblico. Che può subito scatenarsi di nuovo nella giga salace e incontenibile, a tempo di banjo e percussioni, della divertente Joxer Goes To Stuttgart, ma poi nella perfetta alternanza veloce-lento arriva una splendida Black Is The Colour, un brano tradizionale che ricordo in una altrettanto bella versione di Luka Bloom, il fratello di Christy, quando si chiamava ancora Barry Moore, nel suo primo disco Treaty Stone, con il fratello che dalla sua ha anche la voce inconfondibile e ad alto tasso evocativo, come la canzone, impreziosita dal lavoro di mandolino, armonica e violino.

christy moore 1

Don’t Forget Your Shovel è un’altra di quelle canzoni che prevedono la partecipazione del pubblico in un crescendo inarrestabile; altra title track The Voyage, malinconica e mesta, con la chitarra di Sinnott che cesella note mentre la voce di Moore sale e scende con dolcezza. Delirium Tremens è un immaginifico ed ironico resoconto sulle gioie e i dolori, nonché sugli effetti, dell’alcol, sostanza che ha avuto un ruolo sostanziale anche nella musica e nella vita di Shane MacGowan, di cui Moore interpreta con rispetto e devozione la meravigliosa Fairytale Of New York in una versione deliziosa. Lisdoonvarna viene ironicamente annunciata come canzone partecipante all’Eurofestival, ma in effetti è una delle più carnali, “sporche”, divertenti, eccessive e travolgenti canzoni del songbook di Christy https://www.youtube.com/watch?v=_SVo9W4QM5A ; The Cliffs Of Doonen è la più vecchia del repertorio, la facevano già i Planxty, altra ballad calda ed avvolgente, subito bilanciata dalla “delirante” Weekend In Amsterdam, cantata accapella e con continui colpi di scena nella narrazione senza limiti di parola nel resoconto delle avventure del protagonista https://www.youtube.com/watch?v=ZI4W1CyPtT0 . Viva La Quinta Brigada è uno di quei brani sociali, politici, storici, epici e collettivi, che costellano la carriera del cantautore irlandese, cantata coralmente dal pubblico. Si riparte subito con il secondo CD: City Of Chicago è una radiosa canzone del fratello Luka Bloom che l’ha reincisa per il recente Refuge http://discoclub.myblog.it/2017/10/17/dal-suo-rifugio-irlandese-un-lavoro-vibrante-e-intenso-luka-bloom-refuge/ , melodia scintillante, con la fisarmonica che ne sottolinea il tessuto sonoro incantevole; Go Move Shift un brano meno noto di Ewan MacColl (quello di Dirty Old Town e The First Time I Ever Saw Your Face) è ciò nondimeno un’altra canzone di grande spessore, degna della migliore tradizione folk irlandese.

ChristyMooreLiveattheMarqueeNov15_large

Si rimane in questo ambiente melanconico e raccolto anche con la successiva suggestiva Nancy Spain, cantata ancora una volta in modo evocativo da Moore che si appoggia anche sullo struggente violino di Hayden e sulle armonie corali del pubblico. Torna l’acuto e divertito storyteller per l’intrigante Lingo Politico e poi si passa al puro irish folk di The Raggle Taggle Gypsy, altro pezzo da novanta del songbook di Christy Moore, come pure la successiva St. Brendan’s Voyage, nuovamente estratta da Ordinary Man, sempre tipica del canzoniere più fortemente evocativo e corale di questo splendido musicista. Un altro che scrive canzoni non male è Richard Thompson, di cui Moore riprende Beeswing, una delle sue ballate più belle, interpretata con grande passione https://www.youtube.com/watch?v=zglpXd0gpuA ; McIlhatton francamente non la ricordavo, un brano dedicato a Bobby Sands, noto attivista politico nordirlandese, a lungo nelle prigioni inglesi, una canzone ”affettuosa” e piena di riconoscenza, costruita attorno ad un’aria musicale popolare. Ulteriore brano mesmerico ed ipnotico è la delicata Bright Blue Rose, altro pezzo di Jimmy MacCarthy, con Declan Sinnott splendido alla acustica con botteneck e alla seconda voce; non è da meno la versione da manuale di If I Get An Encore, per certi versi la parafrasi dell’intero concerto e di tutta la carriera di Moore, che comunque ci regala ancora un paio di brani prima di congedarci: North And South (Of the River), scritta con Bono e The Edge,  a cui consiglierei di andarsi a risentire quando scrivevano delle belle canzoni (perché ne hanno scritte tante, in passato), con la solista di Sinnott di nuovo sugli scudi https://www.youtube.com/watch?v=i-EbThBjons  e per ultima The Time Has Come, una delle sue migliori in assoluto, scritta con Donal Lunny e che conclude in gloria questo splendido concerto (virtuale), tra i migliori del 2017.

Bruno Conti

Chi L’Avrebbe Detto? Ci Sono Ancora! Pogues In Paris – The 30th Anniversary Concert At The Olympia

pogues in paris front.jpgpogues in paris cd+dvd.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Pogues In Paris – The 3oTH Anniversary Concert At The Olympia – Polydor/Universal 2CD – DVD – Blu-Ray – 3 LP – 2 CD+DVD+DVD

“Shurely Shome Mishstake” potrebbe biascicare Shane MacGowan, invece no, sono proprio loro, 30 anni dopo, ancora vivi e vegeti (chi più chi meno), a festeggiare il loro anniversario “Dans La Ville Lumiére, oui”, come si lancia ogni tanto Shane nel suo perfetto francese tra una canzone e l’altra, peraltro più comprensibile di quanto dica in inglese, usando locuzioni brevi e concise. Uno si chiede come faccia il suo fegato a resistere dopo così tanti anni, ma lo stesso si diceva di Keith Richards, che probabilmente ci seppellirà tutti (o Pete Townshend e Mick Jagger che in canzoni e interviste dicevano di volere morire giovani, ma poi ci hanno ripensato). In ogni caso, questa registrazione dei due concerti che i Pogues hanno tenuto all’Olympia di Parigi l’11 e il 12 settembre scorsi, supera le più rosee previsioni e le attese, evidentemente Shane e soci hanno una autonomia di almeno due giorni (di più non so, infatti a Londra per Natale, faranno una solo data) e in quell’ambito di tempo (e nei 90 minuti del concerto) sono in grado di regalare uno spettacolo coi fiocchi, i controfiocchi e il pappafico. Il suono è volutamente confuso e casinaro, ma quella è sempre stata la loro caratteristica, se il punk incontra il folk a metà strada e poi soccombe alle sue superiori melodie lasciando solo la sua energia, una ragione (e forse più di una) ci sarà.

Il 7 luglio del 1988 al Palatrussardi di Milano assistevo (o meglio non assistevo, visti i risultati) ad un concerto che sulla carta avrebbe dovuto essere strepitoso: i Pogues, i Los Lobos e Stevie Ray Vaughan insieme (e c’era forse anche Paolo Bonfanti ad aprire). Superato il caldo africano e l’acustica atroce mi sono scontrato con due artisti nella loro fase distruttiva, uno Stevie Ray Vaughan “fatto” e svogliato, peggio anche che nel live ufficiale che non ha mai reso merito alle sue virtù di performer straordinario e uno, Shane MacGowan bellicoso e incazzoso con il pubblico e i suoi compagni della band, e i Los Lobos onesti e gagliardi ancorché inascoltabili a causa dell’acustica e per il pubblico che erà lì per ascoltare solo La Bamba. A quasi 25 anni, smaltita e dimenticata la delusione, almeno i Pogues, che non hanno mai avuto un Live ufficiale degno della loro fama, perché Streams Of Whiskey il CD dal vivo in Svizzera del 1991 era diciamo “bruttarello” sia a livello tecnico che di contenuti, dicevo che i Pogues hanno questa nuova occasione per dimostrare il loro valore e, come in altre recenti reunion di “lunga gittata”, vedasi Zeppelin, ci riescono pienamente.

24 canzoni, un’ora e mezza di musica su due CD o su un DVD, con un secondo (costoso) DVD che li accompagna nella loro prima avventura in terra di Francia nel lontano 1986, i Pogues sciorinano il meglio del loro repertorio e la loro bravura dal vivo (non dimentichiamo che anche Joe Strummer era stato chiamato brevemente come sostituto di MacGowan nel suo periodo più buio): Spider Stacey, Jem Finer, James Fearnley, Andrew Ranken, Darryl Hunt e due veterani della scena musicale inglese e irlandese, come Philip Chevron (nei Radiators From Space) e Terry Woods (già negli Sweeney’s Man e nella prima versione degli Steeleye Span), tutti costoro sono musicisti formidabili e le versioni che scorrono dei loro brani sono eccellenti, dall’iniziale Streams Of Whiskey fino alla indiavolata conclusione con una Fiesta che viaggia al di là di qualsiasi limite di velocità, passando per classici come A Pair Of Brown Eyes, Dirty Old Town di Ewan MacColl, The Sicked bed Of Cuchulainn che chiude il primo CD. E poi ancora l’amatissima Sally MacLennane, Rainy Night In Soho, The Irish Rover con fisarmonica e flautini che attizzano un pubblico più che ben disposto (e ottimamente ripreso, come la band), l’immancabile Stars Of the County Down e la meno conosciuta Poor Paddy On The railway. In Fairytale Of New York anche se non c’è più la compianta Kirsty MacColl (figlia di Ewan) come seconda voce femminile (credo sia Joyce Redmond), Shane MacGowan azzecca una interpretazione vocale quasi perfetta (ma quasi, non esageriamo) per quello che rimane il loro più grande successo.

Quindi, nessun errore, sono proprio loro, da domani nei negozi!

Bruno Conti

Un’Altra Reunion Interessante! The Pogues In Paris – 30th Anniversary Concert At The Olympia

pogues in paris.jpgpogues in paris cd+dvd.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

The Pogues In Paris – 30Th Anniversary Concert At The Olympia – Universal 2CD – DVD – Blu-Ray – Limited Edition 3 LP – Limited Edition 2 CD + DVD + DVD + Libro 20-11-2012

Tutto ciò esce il 20 di novembre, nella stessa data dell’uscita delle varie edizioni della reunion dei Led Zeppelin (a proposito, Jimmy Page, in una intervista alla rivista Mojo, ha dichiarato che sta rimasterizzando tutto il vecchio catalogo del gruppo, che uscirà in una serie di Box, ciascuno dedicato ad un singolo album, a partire dal 2013, ogni disco conterrà inediti e rarità, ovvero versioni differenti dei brani già conosciuti, quindi cominciate a risparmiare, e a sperare, perché con i tempi di lavorazione di Page, il tutto potrebbe durare qualche lustro).

Viceversa, tornando ai Pogues, i concerti sono stati registrati l’11 e il 12 di settembre, quindi una produzione velocissima, dal produttore al consumatore. Questo è il contenuto:

Disc: 1
1. Streams Of Whiskey
2. If I Should Fall From Grace With God
3. The Broad Majestic Shannon
4. Greenland Whale Fisheries
5. A Pair Of Brown Eyes
6. Tuesday Morning
7. Kitty
8. The Sunnyside Of The Street
9. Thousands Are Sailing
10. Repeal Of The Licensing Laws
11. Lullaby Of London
12. The Body Of An American
13. Young Ned Of The Hill
14. Boys From The County Hell
15. Dirty Old Town
16. Bottle Of Smoke
17. The Sicked Bed Of Cuchulainn

Disc: 2
1. Sally MacLennane
2. Rainy Night In Soho
3. The Irish Rover
4. Star Of The County Down
5. Poor Pady
6. Fairytale Of New York
7. Fiesta

Che è lo stesso per il doppio CD, il DVD o il Blu-ray, ma…il secondo DVD conterrà ulteriore materiale: interviste varie e, soprattutto, esibizioni inedite dal vivo d’archivio dalla televisione francese, tra le quali la famosa Les Enfants Du Rock del 1986. Per festeggiare ulteriormente, se siete da quelle parti per le feste natalizie, i Pogues terranno un concerto alla O2 Arena il 20 di Dicembre. I denti di Shane MacGowan sono sempre al loro posto, sul pavimento, per il resto sembra abbastanza in forma! Recensione a breve.

Bruno Conti

 

Onde Radio Dall’Inghilterra. Levellers – Static On The Airwaves

levellers static on the airwaves.jpg

 

 

 

 

Levellers – Static On The Airwaves – OTF Recordings 2012

Devo ammettere che ho sempre avuto un debole per i Levellers, band folk-punk-rock di Brighton (Sud Inghilterra) sulla breccia ormai da più di un ventennio, che tengo in considerazione sin dal loro folgorante esordio “ufficiale” Levelling The Land (91), un vero e proprio “bestseller” del genere folk rock, tanto da rimanere nelle classifiche dei dischi più venduti in Inghilterra addirittura per anni. Il sottoscritto ha conosciuto i Levellers verso la fine del ’92, in un “torrido” concerto tenuto in un locale di San Colombano Al Lambro (purtroppo di fronte a poche persone), e questi “folletti” sul palco esprimevano la forza, la grinta, l’aggressività della generazione che rappresentavano (e tuttora rappresentano), il rispetto e la conoscenza della tradizione musicale nella quale era inserita. Infatti il gruppo ha mosso i primi passi della propria carriera artistica in piena era “punk-folk”, e a differenza di altri esponenti di quel periodo, ha subito dato delle connotazioni molto più elettriche al proprio suono, lasciando quasi esclusivamente all’incredibile violino di Jon Sevink le sfumature di un “sound” tradizionale, anche se va detto che il “nostro” usa generalmente lo strumento come una sciabola, cavandone sonorità che hanno poco di tradizionale e molto di “punk-rock”.

 

L’attuale “line-up” della band è composta oltre che dal citato Sevink al violino, da Mark Chadwick il cantante anche alle chitarre, Jeremy Cunningham al basso, Charlie Heather alla batteria, Matt Savage alle tastiere, e da Simon Friend al mandolino e banjo, e sotto la produzione di Sean Lakeman (fratello del più noto cantautore Seth), i Levellers con questo lavoro dimostrano musicalmente di restare fedeli alle proprie radici, dove le chitarre sono sempre sferraglianti, la sezione ritmica sembra scolpita nel granito tanto è vigorosa e solida ed il violino è sempre naturalmente al suo posto, più indiavolato che mai, ma capace anche di sfumature dolci e melodiose. I testi delle canzoni di Static On The Airwaves si riflettono sull’attuale politica estera britannica, partendo dal brano iniziale We Are All Gunmen dal ritmo saltellante, con una batteria pulsante e il violino a punteggiare la melodia, mentre la seguente Truth Is non conosce mezze misure, viaggia a tutto gas con il violino di Jon che si impossessa degli stacchi strumentali, e ricama veloci assoli. After The Hurricane è una ballata piuttosto dolce con un refrain indovinato, segue un pezzo solido come Our Forgotten Towns con un’apertura indiavolata nella forma classica della “fiddle tune”,  e ancora sempre a seguire una No Barriers dalla struttura analoga, con una arrabbiata base strumentale.

Un cenno a parte lo merita sicuramente Alone In This Darkness, un’oasi acustica in cui rivedo i Levellers che più ho amato, con un prezioso lavoro dell’immancabile violino, uno degli episodi migliori del lavoro. Si prosegue con l’irruenza e l’aggressività che pervadono Raft Of The Medusa, pezzo duro e tosto, mentre Mutiny ci porta verso lidi danzerecci, marchio di fabbrica dei primi album. Un arpeggio di chitarra introduce la splendida ballata folk Traveller, con sottofondo di piano, violino,chitarra acustica e armonie vocali, l’opposto di Second Life forse il pezzo meno riuscito del CD. Chiude il tradizionale The Recruiting Sergeant,arrangiato alla maniera dei mai dimenticati Pogues dello “sdentato” Shane MacGowan. Coinvolgente e appassionato Static On The Airwaves sprigiona un grande vigore, incanta nelle canzoni d’atmosfera e diverte negli episodi più orecchiabili, insomma, un’ottima occasione per entrare in contatto con la musica dei Levellers, sempre in bilico tra rock e folk, destinato non solo a chi ancora non li conosce, ma anche ai fans di vecchia data. Esuberante.

Tino Montanari

Dall’Energia del Frutteto Alla Vendetta Del Marinaio – Bap Kennedy

bap kennedy.jpg

 

 

 

 

 

 

Bap Kennedy – The Sailor’s Revenge – Proper Records Limited Edition  (2 CD)

Martin Kennedy in arte Bap, classe 1962 nato a Belfast (una città che non ha mai goduto delle gioie e del verde dell’Irlanda), è stato la voce solista di una grande Folk-Rock Band come gli Energy Orchard, che erano stati una bella sorpresa al loro esordio, firmando un contratto per cinque dischi con la MCA con la raccomandazione di Steve Earle (quando l’altro leader del gruppo era ancora il bassista Joby Fox, autore del loro unico successo, Belfast), e l’omonimo Energy Orchard (1990, pubblicato per l’etichetta americana insieme al successivo Stop The Machine 1992)) e Shinola (1993), brillano ancora oggi per freschezza e innovazione, con un “sound” che richiama a radici celtiche, robuste dosi di rock’n’roll e Van Morrison nel cuore. Però i sogni di gloria finirono ben presto, il gruppo dopo qualche anno si sciolse, lasciando ai più (e al sottoscritto) il rimpianto di un percorso incompiuto.

Bap da allora si è inventato una brillante carriera di songwriter (probabilmente è il solo depositario dell’eredità degli Energy Orchard), iniziata con l’eccellente Domestic Blues (1998) prodotto da Steve Earle, il seguente Hillbilly Shakespeare (1999) dedicato in toto alla riscoperta delle canzoni di Hank Williams Sr., e Lonely Street (2000) manifestando ancora una volta la sua passione per la musica americana. Dopo una pausa di qualche anno, ritorna con Big Picture (2005) e Howl On (2009) lavori più che discreti, senza però suscitare le emozioni dei primi album.

Questo The Sailor’s Revenge (dal bellissimo titolo, La vendetta del marinaio), prodotto da Mark Knopfler (e si sente), è senza dubbio il migliore della sua carriera, e mai come in questo caso il CD suona fresco e pieno di vitalità, merito delle sue composizioni che devono molto comunque alla presenza in studio dell’ex Dire Straits. Il disco come nelle produzioni più serie, si avvale anche di ospiti di peso: Mark Knopfler stesso alle chitarre, Jerry Douglas Lap Steel e dobro, James Walbourne alle chitarre ritmiche, Guy Fletcher al piano e organo, Michael McGoldrick al flauto e Whistle, John McCusker al violino, Ian Thomas alla batteria, e la moglie Brenda Kennedy alle armonie vocali.

Tutti i brani sono composti da Bap, Shimnavale apre il disco e il dobro di Jerry Douglas segna subito la canzone con una melodia che l’autore canta con voce spedita e fluida. Not a Day Goes By richiama l’Irlanda per merito del whistle di McGoldrick, è tra i momenti migliori della raccolta.

Jimmy Sanchez è una composizione introspettiva, in cui l’arpeggio di Knopfler e il dobro di Douglas giocano un ruolo primario. Lonely No More è una deliziosa ballata d’atmosfera dove il violino punteggia dolci melodie. The Right Stuff sembra uscita da uno degli ultimi dischi di Earle, con il suono elettro-acustico, la melodia che esce lenta, tirandosi dietro gli strumenti, e la voce di Bap mostra una tonalità più americana. Maybe I Will rallenta i tempi, dolce ballata, canzone d’amore che mostra una finezza esecutiva ed una accorata ricerca melodica con il violino sempre in evidenza. Please Return To Jesus ha un suono “bluegrass”, tutta giocata sui vari strumenti a corda, e il nostro si adegua con voce distesa e melodia fluida. The Sailor’s Revenge ha il suono melodico di Knopfler con forti implicazioni folk, per una brano suggestivo e nostalgico, che richiama la nativa isola dello smeraldo. Working Man richiama in parte i vecchi Orchard, per una leggiadra ballad di struggente bellezza, deliziata dagli interventi di McGoldrick. The Beauty of You con la chitarra di Mark in sottofondo e la voce della moglie Brenda , per una brano che lascia scorrere la sua melodia pacificante. Chiude una Celtic Sea dove si respira a pieni polmoni ancora una volta l’aria dell’Irlanda.

Il bonus CD è una specie di Best Of della carriera di Bap Kennedy, che pesca tra i suoi album da solista (con dichiarata preferenza personale) con due inediti Be True To Your Heart con Peter O’Hanlon, e Into The Arms of Love da una session con Knopfler, e di particolare rilevanza due brani (già editi) On The Mighty Ocean Alcohol in duetto con lo “sdentato”  Shane MacGowan dei Pogues e Milky Way scritta a quattro mani con il suo “mentore” Van Morrison. Imperdibile.

Chi preferiva il Kennedy prima versione (quello folgorato e prodotto da Steve Earle) deve rassegnarsi ad un mutamento dettato da nuove inclinazioni musicali, che mirano alla fusione fra le emozioni dei  paesaggi Irlandesi ed un sottile gusto “americano”. Bap, figlio minore di una grande generazione di gruppi nord-britannici (dai Pogues ai Waterboys, per arrivare agli Hothouse Flowers e ai suoi Energy Orchard) non molla un colpo, continua imperterrito a seguire la sua strada, che parte dai pascoli verdi della sua terra per un album dall’impronta più Folk rispetto al passato, e che spero vivamente non passi inosservato. Altamente consigliato a chi viaggia di notte.

Tino Montanari

Una Band Di “Culto”! The Men They Couldn’t Hang – Demo’s And Rarities Voll. 1&2

men they couldn't hang demos 1.jpgmen they couldn't hang demos 2.jpg

 

 

 

 

 

 

The Men They Couldn’t Hang – Demo’s and Rarities Vol. 1-2 – Vinyl Stac Records – 2011

Gruppo sfortunato e simpatico questo dei The Men They Couldn’t Hang, che ha avuto solo un grande handicap, quello di trovarsi sulla strada dei Pogues, coloro che negli anni ottanta venivano ritenuti i migliori nel campo dell’alternative folk, e di non riuscire di conseguenza a trovare un proprio spazio “al sole” nell’immenso mercato del folk rock anglofilo e internazionale, anche se sinceramente la loro proposta musicale non possedeva l’inventiva della band dello “sdentato” Shane MacGowan. In ogni caso il gruppo inglese aveva fornito delle buone prove sin dall’esordio con Night of a Thousand Candles (1985), How Green Is The Valley (1986), Waiting For Bonaparte (1988), Silvertown (1989), Domino Club (1990), e lo splendido live Alive, Alive O (1991), che concludeva prematuramente la loro unione.

E sì che i presupposti c’erano: le chitarre e le voci stile Byrds, un notevole senso dell’armonia, brani piacevoli e scorrevoli, per un “sound” attraente e invitante, baldanzoso e vivace, a tratti irresistibile. Dopo alcuni anni di riflessione a causa di una separazione affrettata e poco convinta, i TMTCH tornano ad incidere dischi a partire da Never Born To Follow (1996), Big Six Pack (1997), The Cherry Red Jukebox (2003), Smugglers and Bounty Hunters (2005), per finire a Devil On The Wind (2009), abbandonando quasi completamente le contaminazioni dei primi lavori.

Ora, sono venuto in possesso di queste ristampe di due raccolte di “Demos & Rarities” (e molti album della discografia sono comunque ancora in produzione), che con merito e intelligenza spaziano nel periodo degli anni ’80, saccheggiando indubbiamente i lavori più significativi del gruppo, i già menzionati How Green Is The Valley, Silvertown e Domino Club. La formazione è quella originale con Stefan Cush alle chitarre elettriche, Philip “Swill” Odgers voce e chitarra acustica, Paul Simmonds al bouzouki e mandolino, Ricky McGuire al basso, Jon Odgers alla batteria, Nick Muir al piano e fisarmonica. Paul Simmonds che firma buona parte dei pezzi, in particolare è un piccolo genio. Fra i brani più popolari che compaiono in queste raccolte di piccoli tesori del “gaelic-punk”, figurano Rosettes, e Margaret Pie, del buon rock celtico, e ballate di ampio respiro come Australia, Billy Morgan, Family Way, che fanno rivivere storie e paesaggi d’ispirazione “anglofila”. La cosa più interessante del secondo volume riguarda i pezzi inediti che vengono ripescati dalle “sessions” di The Domino Club, e precisamente Broadway Melody, More Than Enough, e Walking To Wigan Casino, che a distanza di circa vent’anni, a confronto di quello che ci viene propinato da certi gruppi di oggi, rimangono attuali e di alto livello.

Mi auguro che l’uscita di queste “compilation” potrà servire a recuperare punti e credibilità verso una critica specializzata (musicale) che li aveva spesso snobbati, una band che attanaglia sempre l’attenzione dell’ascoltatore con tanta grinta  e una grande anima che caratterizza il loro “sound”, che nel tempo si è fatto più omogeneo e maturo. Un gruppo, quello dei The Men They Couldn’t Hang , che non merita assolutamente di essere dimenticato.

Tino Montanari