Tra Texas E Louisiana, Sempre Con Brio E Classe. Marcia Ball – Shine Bright

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Marcia Ball – Shine Bright – Alligator Records/Ird

Sono circa 50 anni che Marcia Ball fa musica, praticamente da quando era alla Louisiana State University, con quello che si ricorda, più o meno, come il suo primo gruppo,  i Gum. Già nel 1970 era però ad Austin, Texas, dove nascono  Freda And The Firedogs,  un disco nel 1972, tra country e rock, e dal 1974 parte la sua carriera solista,  alla prima prova discografica però solo nel 1978 con Circuit Queen, e poi, più solidamente, con l’ottimo Soulful Dress nel 1984. La nostra amica è sempre stata fedele ai suoi amori, la Louisiana e il Texas, e infatti anche questo Shine Bright è stato inciso tra Maurice, Louisiana e Austin, Texas: un altro connubio che funziona è quello con la Alligator con cui Marcia incide da più di 15 anni e che, disco dopo disco, le fornisce sempre eccellenti produttori, per il precedente The Tattooed Lady & The Alligator Man del 2014 era Tom Hambridge https://discoclub.myblog.it/2014/11/11/la-donna-illustrata-marcia-ball-the-tattoed-lady-and-the-alligator-man/ , questa volta tocca a Steve Berlin, che tutti ricordiamo con i Los Lobos, ma ha suonato e prodotto centinaia di dischi nella sua lunga carriera.

E nel disco si alternano anche moltissimi musicisti di notevole spessore, alcuni noti, altri meno, ma tutti con il giusto “tocco”: ne ricordiamo alcuni, Eric Adcock e Red Young che si avvicendano all’organo (al piano c’è già una piuttosto bravina),  Conrad Choucroun alla batteria, Mike Schermer alla chitarra, ci sono anche cinque suonatori ai fiati, oltre a Berlin, che si succedono nei vari brani, e le “amiche” della Ball, Shelley King e Carolyn Wonderland, che prestano le loro splendide voci  per questo album. Non occorre ribadire che ancora una volta il disco si muove in tutte le mille sfaccettature della musica di Marcia Ball: dall’immancabile boogie-woogie al soul, passando per R&B e gospel, il gumbo di New Orleans, tra swamp e blues, l’arte della ballata, il tutto condito, quasi inutile dirlo, da tanto piano, suonato in modo splendido dalla nostra amica, che nel 2015 ha vinto il  ‘Pinetop Perkins Piano Player’ award, che nel 2013 e 2014 era andato a Victor Wainwright https://discoclub.myblog.it/2018/04/14/un-grosso-artista-in-azione-in-tutti-i-sensi-victor-wainwright-the-train-victor-wainwright-and-the-train/ .

Dodici brani in tutto, otto originali della Ball, uno di Ray Charles, uno di Jesse Winchester, la deliziosa e sfrenata Take A Little Louisiana, che tra cajun e zydeco, e sulle ali della fisarmonica di Roddie Romero, ci porta alla conclusione di questo variegato viaggio. Ma prima troviamo anche il R&B cadenzato e fiatistico di Ernest Kador, che però gli appassionati della buona musica conoscono come Ernie K-Doe, con un vecchio brano del 1962 I Got To Find Somebody, che ancora oggi suona fresco e pimpante.  Il  roadhouse party di R&B, se vogliamo impossessarci di un termine con cui viene definita la musica di Marcia Ball, era partito con il groove contagioso della title track dove la musicista di Vinton, Louisiana (ancora in possesso di una buona voce, nonostante le quasi 70 primavere)  e le sue amiche King e Wonderland si scambiano intrecci vocali di pregio, mentre il piano  e la chitarra di Schermer, oltre all’organo di Young, viaggiano alla grande.

Ci sono altri divertenti esempi di party music, come la mossa e speziata They Don’t Make ‘Em Like That, scritta con Gary Nicholson, e che ricorda certi brani di Fats Domino, altra grande influenza della Ball, o Life Of The Party, un brano di puro Mardi Gras, tra derive caraibiche e New Orleans soul.  Il brano di Ray Charles  What Would I Do Without You  è una sontuosa soul ballad nello stile del “genius”, ma anche il contributo di Shelley King, una robusta e profetica  When The Mardi Gras Is Over, non è da trascurare, con il piano di Marcia e i fiati che impazzano. Ma pure la sequenza di sei canzoni firmate dalla Ball non manca di divertire ed affascinare, da Once In A Lifetime Time, ancora pura Louisiana, alla bluesata Pots And Plans, la incantevole gospel ballad World Full Of Love, la contagiosa perla soul  I’m Glad I Did What I Did , con i suoi florilegi pianistici, il boogie Too Much For Me, testimoniamo di una musicista ancora in piena forma. Se volete gradire.

Bruno Conti

Questa E’ Una Grande Voce (E Anche Chitarrista)! Carolyn Wonderland – Moon Goes Missing

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Carolyn Wonderland – Moon Goes Missing – Home Records

L’ultima volta che ho avvistato (e ascoltato) Carolyn Wonderland era come ospite in un brano dell’eccellente Amazing Texas Blues Voices del “nostro” Fabrizio Poggi, alle prese con una versione grintosa e sanguigna di Nobody’s Fault But Mine, dove si apprezzava la sua voce potente e l’ottimo stile chitarristico http://discoclub.myblog.it/2016/08/31/piccolo-aiuto-dai-amici-gran-bel-disco-fabrizio-poggi-and-the-amazing-texas-blues-voices/ . Parafrasando il titolo di quel disco la Wonderland è effettivamente una “strabiliante voce texana”, nativa di Houston, vive da parecchi anni a Austin, dove è considerata una delle “regine” della scena blues locale. Con una discografia che con questo Moon Goes Missing approda al decimo album (tra dischi di studio e live), tutti rigorosamente poco reperibili, come spesso capita per i dischi belli, l’ultimo di studio era stato Peace Meal del 2011, ma nel 2015 ne era uscito anche uno dal vivo in trio per la Bismeaux Records, l’etichetta di Ray Benson degli Asleep At The Wheel, che è anche il proprietario degli studi discografici dove è stato registrato questo CD.

Ma la nostra amica non fa “solo” blues, anche la roots music e la musica dei cantautori non sono estranee al suo stile: e Bob Dylan è un fan dichiarato, al punto che nel 2004 chiese a Carolyn di scrivere alcuni versi di “risposta”al testo di una sua celeberrima canzone, che per l’occasione del nuovo album diventa  Brand New Leopard Skin Pillbox Hat, ed è uno dei maggiori motivi di interesse di questo disco, ma non l’unico. Partiamo proprio da questo pezzo: insieme alla Wonderland appare come seconda voce, slide e resonator guitar, ukulele e armonica (anche nel resto del disco), un ingrifato Guy Forsyth, che contribuisce al call and response di questa versione che evidenzia ancora di più l’aspetto blues del brano, con una versione dove le voci e le chitarre pimpanti dei due protagonisti  contribuiscono a creare una atmosfera calda e coinvolgente, e poi lei canta veramente bene. Ma questa non è una sorpresa, come si evidenzia fin dall’iniziale title track Moon Goes Missing, con le armonie vocali di Shelley King e un sound da bayou, misterioso e felpato, dove si apprezza anche il piano di  Cole El-Saleh, oltre alla chitarra della stessa Wonderland, che ha un tocco molto raffinato, ma è la voce ovviamente l’elemento che colpisce, potente e con quel tocco di “negritudine” che non guasta. Se aggiungiamo che i due musicisti che completano il suo trio, Kevin Lance alla batteria e Bobby Perkins al basso, sono due “vecchie volpi” della scena locale, si capisce perché la nostra amica è considerata una delle migliori cantanti della musica texana, più volte laggiù premiata (curiosamente Carolyn si è sposata nel 2011 sempre a Austin in una cerimonia officiata da Michael Nesmith).

Tornando alla musica Open Eyes è il blues classico che ti aspetteresti in un suo disco, uno slow intenso dove si apprezza anche l’organo Hammond B3 di Red Young,  e la voce sale e scende ben sostenuta dal lavoro eccellente della solista della stessa Wonderland, che è una chitarrista di notevole valore. Molto buono anche il duetto, scritto e cantato insieme a Ty Taylor, la turbina umana che è il leader dei Vintage Trouble, i due se le “suonano e se le cantano di gusto” nel funky-gospel-blues che risponde al nome di Hellfire Bitters; e pure la cover di  Can’t Nobody Hide From God dal repertorio di Blind Willie Johnson non scherza, elettrica e passionale, a tutta slide, con la voce che rimane padrona assoluta della canzone. In Swamp ci aiuta il titolo, una breva trasferta dal Texas alla Louisiana, con Forsyth all’armonica e tocchi di bayou-rock alla Creedence , della cover di Dylan abbiamo detto, ma anche la lunga e bellissima She Wants To Knows, con l’aggiunta di fiati, piano e organo a colorare il sound, ha una aura roots-rock ante litteram che non può non rimandare alla Janis Joplin di Pearl, e la parte centrale strumentale è fantastica, grande brano. Molto piacevole e rilassato l’old fashioned style di una birichina To Be Free, con “assolo” di voce alla Armstrong di Carolyn Wonderland, che è anche una brava trombettista, mentre Everytime You Go è un tagliente blues texano, con elettrica ed armonica a sostenere la voce a pieni polmoni della Wonderland, che poi si concede a un ritmato gospel-soul come Come Together, scritto insieme a Ruthie Foster, prima di chiudere con l’ultima sorpresa del disco, una versione intima ed acustica, ma di grande intensità, di Bad To The Bone di George Thorogood, solo voce e chitarre, ma che voce. Se già non la conoscete vale la pena di esplorare, per i fan una conferma.

Bruno Conti

“Con Un Piccolo Aiuto Dai Suoi Amici”, Un Gran Bel Disco! Fabrizio Poggi And The Amazing Texas Blues Voices

Fabrizio Poggi Texas-Blues-Voices

Fabrizio Poggi  And The Amazing Texas Blues Voices – Appaloosa/Ird

Questi sono i dischi che ci piacciono, al di là dei contenuti musicali (che sono ottimi), il titolo rende subito l’idea e ci spiega a cosa ci troviamo di fronte: Fabrizio Poggi,  armonicista di pregio, ha fatto un disco con delle “Stupefacenti” Voci Blues Texane, chiarissimo! Il titolo, ovviamente, è stato registrato in quel di Austin al Wire Recording Studio, con lo stesso Fabrizio alla produzione e l’ottimo ingegnere del suono Stuart Sullivan (vincitore di due Grammy per album di Jimmie Vaughan e Pinetop Perkins), che si occupa della parte tecnica. Il nostro amico questa volta non canta, si “limita” a suonare l’armonica in tutti i brani. Il gruppo che lo accompagna per l’occasione non è quello dei Chicken Mambo, ma ci sono ottimi musicisti locali riuniti per l’occasione, Bobby Mack e Joe Forlini, alle chitarre elettriche e slide, Cole El Saleh, a piano e organo, Donnie Price, basso e Dony Wynn, batteria. Prima di addentrarci nei contenuti e negli ospiti che celebrano insieme a Fabrizio il Blues Texano contemporaneo (ma anche quello classico) vi ricordo che questo è il 20° album di Poggi, dopo Il Soffio Della Libertà dello scorso anno incentrato sul blues e sui diritti civili http://discoclub.myblog.it/2015/07/27/ne-pensa-cento-ne-fa-fabrizio-poggi-il-soffio-della-liberta/  e l’eccellente Spaghetti Juke Joint che ipotizzava uno zampino italiano nella nascita delle 12 battute classiche http://discoclub.myblog.it/2014/11/03/quindi-abbiamo-inventato-anche-il-blues-fabrizio-poggi-chicken-mambo-spaghetti-juke-joint/ .

Entrambi erano contraddistinti dalla presenza di vari ospiti di pregio, caratteristica da sempre presente nei dischi del musicista lombardo, e il nuovo segue questa tradizione. I nove ospiti che si alternano sono tutti, più o meno, texani Doc (o “naturalizzati”), come Mike Zito, che viene da St. Louis, Missouri, e Guy Forsyth, da Denver, ma vive a Austin da 25 anni. Anche le età sono molto diverse: si va dagli 87 anni di Lavelle White ai 77 di W.C Clark, con gli altri che hanno una età media tra i 40 e i 60 anni. A parte Zito e Ruthie Foster, non sono forse molto famosi, tutti accomunati però da una gran voce. Ma andiamo con ordine: ad aprire le danze è Carolyn Wonderland, voce solista e chitarra in Nobody’s Fault But Mine, il brano “originale” di Blind Willie Johnson,  gran versione, tra blues e gospel, con classico call and response tra la voce strepitosa della Wonderland e quelle di Shelley King e Mike Cross, con brevi soli della stessa Carolyn e dell’armonica di Fabrizio. Ruthie Foster alle prese con Walk On, vecchio brano di Ruth & Brownie McGhee, tramutato in un aggressivo e tirato blues con uso di doppia slide. Sempre mantenendo lo spirito gospel grazie alle voci di King, Cross e Wonderland, con il buon Poggi che aggiunge il suo peso specifico all’armonica. Poteva mancare un omaggio a Muddy Waters? Certo che no! E quindi vai con Forty Days And Forty Nights, grande prestazione vocale e chitarristica (anche lui alla slide) per Mike Zito, che conferma una volta di più di essere un grande talento, con l’armonica di Poggi che risponde colpo su colpo  Dopo una tripletta così tocca a W.C. Clark, ancora in grande spolvero vocale, che ci regala un suo pezzo Rough Edges (nel vecchio 45 giri originale suonava anche Stevie Ray Vaughan), che ha tutti i crismi del grande blues texano, tra chitarre ed armoniche ruspanti.

Poi è la volta della super veterana Miss Lavelle White, 87 anni suonati, anche lei non autoctona, viene dalla Louisiana, ma vive in Texas da 70 anni e ci racconta che Mississippi, My Home, uno slow blues lungo e sontuoso con la solista della Wonderland in evidenza, ma anche gli altri strumentisti, in particolare piano e armonica in overdrive, e la voce vissuta ma ancora ricca di pathos della Lavelle. Bobby Mack aveva già scaldato la sua chitarra negli altri brani, ma ora è protagonista assoluto in Neighbor, Neighbor, un pezzo dove sembra quasi di sentire i vecchi Bluesbreakers di John Mayall. Mike Cross, con Lorkovic al piano, propone un proprio pezzo Many In Body, un altro gospel corale con uso di soul. Poi tocca ad un’altra signora che forse molti non conoscono, Shelley King, che ha fatto un paio di album accompagnata dai Subdudes e ha collaborato in passato con Levon Helm, molto bella la sua Welcome Home, con voce roca e felpata sostenuta dagli altri colleghi, mentre armonica e chitarra si scatenano. Di nuovo Mike Cross con la propria Wishin’ Well, ancora classico blues elettrico. Manca all’appello Guy Forsyth, ultimo ospite in ordine di apparizione ma non per l’impegno profuso, ottimo il traditional Run On, solo la voce poderosa di Forsyth, la sua National resophonic guitar e footstomp, a duettare con l’armonica Fabrizio Poggi nell’unico brano acustico di questa raccolta.

Che dire? Ottimo e abbondante. Esce in questi giorni.

Bruno Conti