Non Tutte Le “Zucche” Sono Vuote! The Gourds – All The Labor

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The Gourds – All The Labor – Soundtrack – High Plains Films – CD – DVD

Sebbene mi sforzi, non riesco a pensare a un album non riuscito tra gli undici pubblicati dai texani Gourds, in diciotto anni di carriera (dal 1996 a oggi). Cominciano subito col dire che questa band proviene da Austin, Texas (il che è già una garanzia) e hanno cominciato a fare musica dai primi anni ’90, diventando col tempo un gruppo perfettamente rodato nel cosiddetto country alternativo texano, dei veri e propri veterani della scena di Austin, da cui hanno imposto il proprio stile, un roots-rock poliedrico e festoso, nonostante le loro radici siano ancorate alla tradizione (si sono ispirati a personaggi come Doug Sahm e Lowell George). Il nucleo del gruppo è formato da Kevin Russell, Max Johnston, Keith Langford (omonimo del cestista dell’Olimpia Milano), Claude Bernard e Jimmy Smith, hanno esordito con periodici lavori tra cui vi ricordo Dem’s Good Beeble (96), Stadium Blitzer (98), Ghosts Of Hallelujah (99)e Bolsa De Agua (00) dedicato al citato Doug Sahm, disco che include melodie con fisarmoniche e violini che sanno di tex-mex, e che naturalmente risentono del vicino confine messicano. Nella seconda decade le “zucche” sono ripartite con Cow Fish Fowl Or Pig (02), Blood Of the ram (04), Heavy Ornamentals (06), Noble Creatures (07), l’ottimo Haymaker (09) e l’ultimo lavoro in studio Old Mad Joy (11), un disco di transizione (con una copertina improponibile).

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Questo All The Labor, stranamente, è il primo disco dal vivo di questa formazione, ed è il risultato di un film musicale (finanziato con il sistema della Kickstarter Campaign http://www.youtube.com/watch?v=tl9STjTJOGU) girato in più date nel corso del tour svoltosi fra il 2011 e 2012, con diciotto brani catturati a formare una perfetta colonna sonora, che vuole anche essere un bilancio della carriera. Ho sempre pensato che certe formazioni rendano al meglio nei concerti dal vivo, ed è questo il caso dei Gourds, quando la musica ruspante, e la contagiosa energia e il piacere della band di fare rock, si tramuta in versioni irresistibili di brani del primo periodo come Gangsta Lean, Pint Tar Ramparts, Jesus Christ With Signs Following, Maria, Plaid Coat, e brani del repertorio più recente (estratti da Old Mad Joy), quali Peppermint City, Melchert, Eyes Of A Child, Your Benefit, per chiudere in gloria con l’inedito All The Labor.

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“La grande bellezza” (citazione di moda in questo periodo) di questo documentario http://www.youtube.com/watch?v=x2fao5BSVzk , si manifesta nei ritmi sostenuti di Keith Langford, negli accenti cajun della fisarmonica di Claude Bernard, del banjo e violino di Max Johnston e soprattutto nella voce e nel mandolino di Kevin “Shinyribs” Russell, (il leader riconosciuto della band), senza tralasciare le chitarre elettriche, e dove la varietà del suono, in diverse forme, rappresenta il loro punto di forza. Dischi così fanno bene alla salute, non resta che pagare lo scontrino del CD o DVD, sedersi sulla poltrona, premere il tasto play del lettore, e scoprire che il divertimento è appena cominciato.

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NDT: Kevin Russell sotto lo pseudonimo di Shinyribs ha inciso due interessanti lavori solisti, Well After Awhile (2010) e Gulf Coast Museum (2013):  nel primo si trova una cover del classico A Change Gonna Come del grande Sam Cooke, in versione acustica con ukulele e mandolino.

Tino Montanari

*NDB. Last but not least, il nome dei Lowlands di Ed Abbiati viene dal titolo di una canzone dei Gourds.

Novità Di Maggio Parte VIII. Jason Boland, Randall Bramblett, Shinyribs, Jeffrey Foucault, Jude Johnsone, Chip Taylor

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Ultimi sei titoli per questo giro di novità relativo al mese in corso, ne rimangono alcuni che verranno recensiti singolarmente e quelli in uscita il 28 maggio. Partiamo con i primi tre.

Jason Boland viene dall’Oklahoma e quindi a pieno titolo fa parte del cosiddetto movimento “Red Dirt”, che prende il proprio nome dal colore del terreno che si trova in quello stato americano. Siamo nell’area country, ma di quello pimpante, che è anche non lontano parente e discendente del movimento Outlaw e del country texano. Questo è il 9° lavoro di Jason Bolland (& The Stragglers) (compresi due live): Dark & Dirty Mile, è uscito la scorsa settimana per la Proud Souls/Thirty Tigers e contiene nove brani originali di Bolland e un paio di altri autori, oltre ad essere prodotto da Shooter Jennings, garanzia di qualità.

Si era citato il nome di Randall Bramblett, per la sua partecipazione in un CD della Real Gone Music che conteneva un paio di ristampe di vecchi album dei Sea Level, ma questo signore, cantante, tastierista, chitarrista e sassofonista è in pista da metà anni ’70 (il suo primo album, That Other Mile, risale al 1975) e ha suonato anche come sessionman in centinaia di dischi nel corso di questo periodo: da Gregg Allman a Bonnie Raitt, da Robbie Robertson a Stevie Winwood passando per la quasi omonima Bonnie Bramlett, i Widespread Panic, tanto per citarne alcuni, con un stile influenzato dal blues, dal folk, dal rock, ma soprattutto dal southern in tutte le sue declinazioni, anche con influenze gospel. Questo nuovo The Bright Spots, uscito nei giorni scorsi per la New West, è un ulteriore esempio del suo ottimo “artigianato” musicale!

I pavesi Lowlands del mio amico Ed Abbiati hanno preso il loro nome da una canzone dei Gourds, l’ottimo gruppo americano, texani per la precisione, che è una sorta di piccola Band. Gli Shinyribs sono una costola di quella formazione e prendono il moniker dal soprannome di Kevin Russell che è il leader anche di questa band di cui avete potuto leggere nel Blog per il precedente album Well After Awhile shinyribs. A tre anni di distanza ci riprovano con Gulf Coast Museum e centrano ancora l’obiettivo. Piccolo grande disco, da beautiful losers o “carbonari” perfetti, come preferite. Etichetta Nine Mile, sarebbe uscito da un mesetto, ma la citazione la merita comunque. 

 

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Un altro terzetto di “clienti abituali” del Blog.

Prima Jeffrey Foucault, al nono album di studio, collaborazioni con i Redbird e Cold Satellite incluse, sempre citato in queste  rubriche sulle uscite discografiche ma mai con un suo post specifico (ma in futuro…). Ottimo singer-songwriter roots, questa volta schiaccia il pedale sul rock in alcuni brani ma è sempre presente la giusta quota di ballate. Il disco si chiama Cavalcade e Foucault, molto amato dal critico americano Greil Marcus, usufruendo anche lui della Kickstarter Campaign per autofinanziarsi, con la collaborazione della poetessa Lisa Olstein, confeziona una ulteriore ottima prova discografica. Assolutamente da scoprire.

Jude Johnstone è una delle mie cantautrici preferite tra le “sconosciute”, passione condivisa anche dallo scomparso Franco Ratti: si tratta di una cantante “anomala” ma bravissima. Ogni due o tre anni pubblica un album nuovo, questo Shatter, sempre per la sua Bojak Records, non se la fila nessuno regolarmente, ma intanto le sue canzoni sono state incise da Emmylou Harris, Bonnie Raitt, Stevie Nicks, Johnny Cash (la bellissima Unchained), Trisha Yearwood, Bette Midler, Jennifer Warnes e nei suoi dischi sono apparsi la stessa Harris, Clarence Clemons, Valerie Carter, Jackson Browne (più volte), Buddy & Julie Miller, Rodney Crowell che ne ha più volte magnificato le virtù, anche per il nuovo album. Un motivo ci sarà, basta scoprirlo!

Ennesimo disco per Chip Taylor, per citare alcune sue particolarità: grande cantante, autore, giocatore d’azzardo, zio di Angelina Jolie, fratello di Jon Voight, partner musicale di Carrie Rodriguez, e soprattutto, grande musicista. Ci siamo occupati di lui recentemente perché era l’autore di quel bellissimo brano dedicato alla strage avvenuta in Norvegia un paio di anni fa, This Darkest Day dalla-norvegia-con-passione-paal-flata-wait-by-the-fire-song.html, e anche di tutte le altre canzoni presenti in quel CD, visto che era un tributo a lui dedicato. Ora, nel suo nuovo doppio album Block Out The Sirens Of This Lonely Wordl, appare la sua versione di quel brano, insieme a tante altre stupende ballate che confermano la innata classe di un altro”grande vecchio” (Chip Taylor è del 1940). L’etichetta, come per tutti i suoi dischi degli ultimi venti anni è la Train Wreck. Anche i video sono bellissimi.

That’s all folks, alla prossima!

Bruno Conti

Un Altro “Nuovo” Texano. Shinyribs – Well After Awhile

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Shinyribs – Well After Awhile – Nine Mile Records

Non è Garibaldi e neppure Peter Green, per quanto, potrebbe sembrare. Il signore che vedete effigiato sulla copertina del disco degli Shinyribs Well After Awhile è nientepopodimenoche Kevin Russell anzi Kevin “Shinyribs” Russell from Austin, Texas. Ah bè però allora, direte voi! Ma chi cacchio è questo ennesimo Carneade o Beautiful Loser meglio definito?

Si tratta di una ennesima “scoperta”? Non direi. Il Signore in questione guida anche un’altra band texana che definirei di culto ma che è anche una delle migliori in circolazione, i Gourds, di cui è cantante e chitarrista.

Non pago delle imprese del suo gruppo (con cui, giustamente, è subito partito per una tournée degli States, dopo aver pubblicato il disco con l’altra ragione sociale, ma essendo sempre lui si può anche fare da gruppo di spalla), dopo un paio di anni di gestazione ha partorito questa nuova creatura (nel 2008 già eseguiva questo brano).

Ma noi siamo qui per parlare di questo gioiello di disco che si chiama Well After Awhile: il brano di apertura Who Built The Moon (nella versione definitiva) dopo una apertura alla In The Summertime dei Mungo Jerry, illumina subito la nostra giornata con un sound che oscilla tra country, soul, rock, swamp e quanto di meglio potete pensare, come se la Band non si fosse mai sciolta, esatto, è musica di quella qualità sopraffina. La voce ha un piglio autorevole, con mille sfumature, come si conviene alla musica che convoglia e ti fa godere piacevolmente anche nella successiva Devilsong, una gospel song per bianchi rockers intemerati, a cavallo tra Fogerty e Levon Helm con un piano elettrico come ciliegina sulla torta.

Country Cool con armonica e pedal steel, come da titolo, è una lezione nella creazione della perfetta country song, quella che sprizza soul da tutti i pori se li avesse, perfetta musica dallo stato del Texas e suprema scioltezza nelle sue note, musica che scivola facile facile. Shores Of Galilee, in duetto con Phoebe Hunt, è una meravigliosa fusione di due voci che si completano a vicenda e sono veramente perfette nella loro misurata collaborazione, grandissima musica.

(If You need the) 442 è una gioiosa contaminazione tra la musica di New Orleans e quella di Austin con un pizzico di yodel aggiunto, Fats Domino meets Creedence con la benedizione della Band. Poor People’s Store (con Christina Aguilera che rima con Black mascara, ma pensate alla pronuncia!), è puro R&B Acustico anni ’50, minimale, divertente e divertito. Torna la Band di Levon Helm per una trascinante e funky East Tx Rust, ma anche i Little Feat e i Radiators (e perchè no, i Gourds) ogni tanto prendono questo groove, a bordo c’è anche Ray Wylie Hubbard per duettare con suprema indolenza con il nostro Kevin Russell.

Un bel valzerone country con influenze cajun (sarà il violino?) non ce lo vogliamo mettere? Piatto servito con una intensa Fisherman’s Friend, cantata con tutti i crismi da un ispiratissimo Russell e suonata anche meglio dai musicisti che lo accompagnano in questa avventura Shinryribs (che pare avrà altre puntate): oltre al batterista Keith Langford, anche nei Gourds e al bassista Jeff Brown nonchè al tastierista Winfield Cheek (vero protagonista del suono dell’album) sono della partita anche, oltre ai già citati Hunt e Hubbard, Scrappy Jud Newcomb e Michael Fracasso altri luminari della scena texana.

Morning’s Night è una ballata spaziale (nel senso degli ampi spazi che evoca) e anche un brano che ancora una volta ridefinisce il termine di buona musica.

La conclusione, solo Kevin Russell, con un mandolino o un ukulele o una chitarra non saprei ma non importa, interpreta da par suo A Change Is Gonna Come di Sam Cooke, la versione è piena di “anima” e la voce raggiunge vette inaspettate di partecipazione e conclude in gloria un altro piccolo tesoro nascosto della discografia “minore” americana.

Bruno Conti