Un Piccolo Grande Disco Di Puro Garage Rock’n’Roll! Bones Owens – Bones Owens Esce il 26 Febbraio

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Bones Owens – Bones Owens – Black Ranch/Thirty Tigers CD 26-02-2021

Confesso che quando ho visto la copertina dell’omonimo album di esordio di Bones Owens, giovane musicista del Missouri, ho pensato ad un disco di country, anche perché il ragazzo (il cui vero nome è Caleb Owens) ha alle spalle due EP dal suono piuttosto roots. Nulla di più sbagliato: Bones è un rocker dal pelo duro la cui musica è una vigorosa e stimolante miscela di garage rock anni sessanta, Rolling Stones, qualcosa dei Creedence ed un pizzico di blues, ed è depositario di un suono al fulmicotone con la chitarra sempre in primo piano. Bones Owens, prodotto da Paul Moak (che in passato ha lavorato con Marc Broussard e Blind Boys Of Alabama), è registrato in presa diretta e vede la presenza esclusiva di Bones alla chitarra, Jonathan Draper al basso e Julian Dorio alla batteria. Musica senza fronzoli, puro rock’n’roll suonato con grande potenza e feeling, ed in più con una serie di canzoni coinvolgenti e ben scritte che dimostrano che il nostro non sa mostrare solo i muscoli ma è un musicista che sa il fatto suo nonostante la giovane età.

credit Spidey Smith

credit Spidey Smith

Il CD si apre con la potente Lightning Strike, ritmo alto e chitarra in evidenza ma allo stesso tempo un motivo trascinante https://www.youtube.com/watch?v=vr8Y-6z1z1E : un termine di paragone azzeccato possono essere anche i Black Keys. Ancora più riuscita Good Day, una rock’n’roll song figlia degli Stones dal tempo cadenzato, un riff insistito e refrain corale immediato https://www.youtube.com/watch?v=qliGsJiIe2o , mood che si ripete con White Lines, puro rock chitarristico senza fronzoli ma diretto come un pugno nello stomaco, con un retrogusto blues. Il disco non conosce momenti di rilassatezza né concede tregua, ed è una sorta di roboante festival rock’n’roll lungo 37 minuti: When I Think About Love è dura ma piacevole, con un ritmo coinvolgente ed un breve ma incisivo assolo https://www.youtube.com/watch?v=B0fj6OBIgUs , Wave è puro garage rock moderno ma con un orecchio ai sixties (ed il consueto ritornello vincente), Blind Eyes molla leggermente la presa e si rivela come la cosa più vicina ad una ballata, ma in realtà è una rock song coi controfiocchi che a differenza delle precedenti è solo meno pressante (e la chitarra è sempre in tiro) https://www.youtube.com/watch?v=qliGsJiIe2o .

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Con Keep It Close siamo ancora in puro periodo Nuggets, sembra quasi una outtake dei Sonics (sentite basso e batteria, due macigni) https://www.youtube.com/watch?v=CyCk8HZGxrA , Ain’t Nobody è un rock-blues tosto ma godibile ancora con i Black Keys in testa, mentre Come My Way è ancora ruspante e godurioso rock’n’roll tutto ritmo e chitarra. Il CD si chiude con le energiche Country Man e Tell Me, ennesime sventagliate elettriche di livello egregio, bluesata la prima e con un riff quasi heavy la seconda, e c’è spazio anche per la “ghost track” Keep On Running, cadenzato e gustoso pezzo dal crescendo travolgente. Questo album di debutto da parte di Bones Owens è dunque una delle prime grandi sorprese del 2021, ed è un disco da far sentire in loop a chi sostiene che il rock sia morto.

Marco Verdi

I Primi (Neanche Tanto Timidi) Passi Del Leone Di Detroit. Bob Seger & The Last Heard – Heavy Music

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Bob Seger & The Last Heard – Heavy Music: The Complete Cameo Recordings 1966-1967 – ABKCO CD

Proprio nei giorni in cui il grande Bob Seger annuncia che nel 2019 terrà il suo tour d’addio alle scene (ed ultimamente quando qualcuno dei nostri eroi fa certe affermazioni, data l’età, bisogna purtroppo cominciare a credergli) la ABKCO immette sul mercato questo Heavy Music, un CD che, come recita il sottotitolo, raduna tutti i brani incisi dal nostro in gioventù per la Cameo-Parkway, quando era il leader di un quartetto denominato The Last Heard. In quegli anni Seger era parecchio attivo nella scena musicale di Detroit, ma questa fu la prima band con la quale incise del materiale ufficiale, per la precisione cinque singoli (e nessun album), i quali ebbero qualche riscontro locale ma ben poca esposizione a livello nazionale. Questo CD raduna per la prima vota i lati A e B di quei 45 giri, ed anche se non ci sono inediti vorrei sfidare chiunque ad ammettere che possiede i dischi originali. Ma che Bob Seger abbiamo in queste incisioni?

Beh, se pensate di avere di fronte lo splendido musicista di album come Night Moves, Stranger In Town o Against The Wind è meglio che cambiate opinione: in Heavy Music il nostro è ancora piuttosto ingenuo, molto derivativo in alcuni momenti, ed indeciso su quale direzione prendere. Infatti queste dieci canzoni alternano rock’n’roll, rhythm’n’blues, soul, garage e perfino musica californiana alla Beach Boys, ma c’è da dire che la forza, la grinta e l’energia sono già quelle del rocker che impareremo a conoscere e ad amare in seguito: diciamo che se non avete nulla (o poco) del nostro non dovete cominciare da questa compilation, ma di sicuro se siete dei fans gli spunti interessanti non mancano di certo. Oltre a Seger, che suona chitarra, piano ed organo, i Last Heard sono formati da Carl Lagassa alla chitarra, Dan Honaker al basso e Pep Perrine alla batteria (tranne che sul primo singolo del 1966, dove il chitarrista era Doug Brown): va detto che la sezione ritmica di Honaker e Perrine è la stessa che Bob si porterà nei Bob Seger System. La title track è certamente il brano più popolare della raccolta, dato che Bob lo riproporrà saltuariamente anche con la Silver Bullet Band (era anche nel mitico Live Bullet), ed è un energico pezzo a metà tra rock ed errebi, molto influenzato dalle torride performance di Otis Redding: la voce già formata, unita ad un feeling massiccio e ad una grinta notevole nobilitano il pezzo.

East Side Story sembra invece una outtake dei Them (ha dei punti in comune con Gloria): ritmo sostenuto, organo tipicamente sixties ed una vocalità debordante; Chain Smokin’ è un pezzo cadenzato e decisamente annerito, con una chitarrina insinuante (ed anche qui Bob si scatena nel finale), mentre Persecution Smith è chiaramente dylaniana, ma con un’energia strumentale da garage band (ottima la chitarra): fa quasi tenerezza ascoltare Seger, cioè uno che in futuro diventerà un grande, tenere i piedi in così tante scarpe. L’orecchiabile Vagrant Winter ha una melodia pop ma è anch’essa suonata in maniera forsennata, quasi come se la backing band fossero i Sonics, Very Few è l’unica ballata del disco, un brano lento ed etereo guidato dal piano ma con Bob che non sembra esattamente a suo agio (nei settanta diventerà un signor balladeer, ma qui è quantomeno acerbo), mentre in Florida Time sembra di sentire i Beach Boys sotto steroidi (il motivo mi ricorda non poco quello di 409), un pezzo solare e gradevole, ancorché parecchio derivativo. Sock It To Me Santa è un singolo natalizio, con Bob che fa il verso a James Brown e rocca di brutto; chiudono il breve CD (25 minuti) la seconda parte di Heavy Music, non molto diversa dalla prima, ed una versione strumentale di East Side Story intitolata East Side Sound.

Nel biennio 1966-1967 Bob Seger aveva già dentro si sé i germogli del rocker che sarebbe diventato in seguito, ed Heavy Music, quantunque destinato prettamente ad un pubblico di estimatori e completisti, è un dischetto importante per comprendere appieno il suo personale percorso di crescita.

Marco Verdi

Recuperi (E Sorprese) Di Fine Anno 1. Aiuto! Il Mio Lettore Va A Fuoco! The Sonics – This Is The Sonics

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The Sonics – This Is The Sonics – Revox CD

Quando è uscito questo disco l’ho preso più che altro per curiosità, senza immaginare che mi sarei ritrovato a fine anno ad inserirlo tra i miei dieci preferiti del 2015. I Sonics, storica garage band proveniente da Tacoma, stato di Washington, erano inattivi discograficamente addirittura dal 1967 (il peraltro rinnegato Introducing The Sonics, in quanto Sinderella del 1980 era composto da rifacimenti di alcune loro canzoni, ma nulla di nuovo), e gli anni diventano 49 se si conta dal loro secondo LP, Boom, che seguiva di un anno il bombastico esordio di Here Are The Sonics. I Sonics sono il prototipo della band di culto per antonomasia, di scarso (per non dire nullo) successo, ma di grande influenza per le generazioni di musicisti a venire: il loro suono, un rock’n’roll grezzo, potente ed aggressivo, viene considerato il progenitore del punk degli anni settanta e del grunge dei novanta, ed i due dischi del biennio 1965-1966 sono la punta di diamante del movimento garage sotterraneo, insieme agli album di band quali The Wailers, The Kingsmen e Paul Revere & The Raiders (questi ultimi però il successo lo conobbero eccome), anticipando di diversi anni l’effetto della storica compilation Nuggets (dalla quale erano peraltro assenti, ma furono inclusi con la loro Strychnine nella riedizione espansa in box del 1998).

I musicisti che hanno più o meno fatto riferimento negli anni al gruppo di Tacoma sono molteplici: i nomi più noti sono quelli dei Nirvana, White Stripes, Dream Syndicate, Flaming Lips e perfino Bruce Springsteen, che ha più volte proposto dal vivo la cover di Have Love, Will Travel di Richard Berry nell’arrangiamento proprio dei Sonics. This Is The Sonics non è però un disco di settantenni bolsi e patetici che si sono rimessi insieme per ricordare i vecchi tempi, ma una vera e propria bomba sonora che mi ha lasciato senza fiato, una scarica elettrica che attraversa le dodici canzoni del CD con la stessa forza di una scossa tellurica. I membri originali sono tre su cinque (Gerry Roslie, voce, piano e organo, Larry Parypa, chitarra solista e voce, Rob Lind, sassofono, armonica e voce), coadiuvati da Freddie Dennis (Kingsmen) al basso e voce e da Dusty Watson (Dick Dale Band) alla batteria, e con questo disco ci dimostrano che nonostante l’età sono in grado di dare dei punti (e tanti) anche a gente di due o tre generazioni successive.

Ma il disco, che si divide tra cover e brani originali, non è solo musica suonata a volume alto, ma anche con grande energia e feeling, un muro sonoro dominato dalla chitarra di Parypa che mena fendenti e riff a destra e a manca e dal sassofono impazzito di Lind, con una sezione ritmica che definire rocciosa è poco, un rock’n’roll quasi primordiale, con elementi blues ed errebi che colorano maggiormente il tutto. Fare una disamina dettagliata brano per brano in questo caso è quasi inutile, in quanto tutto il disco è una fucilata dal primo all’ultimo pezzo, a partire dall’uno-due iniziale da k.o., con la cover di I Don’t Need No Doctor (Ray Charles), un rock-blues tirato allo spasimo che ricorda il suono del disco dello scorso anno di Roger Daltrey con Wilko Johnson (ma con un sound ancora più “primitivo”), e la devastante Be A Woman, suonata a ritmo indiavolato e con il ritornello letteralmente sparato in faccia dell’ascoltatore.

La grezza Bad Betty precede uno degli highlights del CD, cioè una cover incredibilmente energica di You Can’t Judge A Book By The Cover di Willie Dixon (però portata al successo da Bo Diddley), con il sax in evidenza, ed una The Hard Way che spazza via in un sol colpo l’originale dei Kinks (non certo gli ultimi arrivati). Tra le mie preferite ci sono anche il rock’n’roll suonato ai duecento all’ora Sugaree, la furiosa Look At Little Sister (Hank Ballard, peraltro rifatta mirabilmente negli anni ottanta da Steve Ray Vaughan), la roca Livin’ In Chaos (mi brucia la laringe solo ad ascoltarla) e le conclusive Save The Planet e Spend The Night, che mettono definitivamente al tappeto chiunque sia ancora in piedi a questo punto.

E’ da molto tempo che un disco non mi dava questa adrenalina: per me album rock’n’roll dell’anno.

Marco Verdi

Novità Di Marzo, Parte Ib. Darius Rucker, Jesse Malin, Paul McCartney, Richie Furay, John Mayall, Sonics, Hawkwind, Quicksilver Messenger Service, Dayna Kurtz, Courtney Barnett

darius rucker southern style

Darius Rucker, dopo la partenza fulminante con gli Hootie And The Blowfish (il loro Cracked Rear View, con oltre sedici milioni di copie negli Stati Uniti, è uno dei venti dischi più venduti di tutti i tempi), si è progressivamente trasformato nel corso degli anni in un cantante country a tutti gli effetti. Southern Style, il suo sesto album, in una carriera solista iniziata nel 2002 (compreso un disco natalizio), mette in evidenza ancora una volta la sua bella voce baritonale e piacerà molto agli appassionati del country meno bieco e più ruspante, tutti brani originali scritti dallo stesso Rucker con vari collaboratori, ma allo stesso tempo non mancherà di provocare un po’ di nostalgia nei fans del suo vecchio gruppo. Non per nulla il disco esce per la Capitol Nashville (con la solita Deluxe version con 2 tracce extra) e quindi è proprio un disco di “genere”, anche se non mancano elementi del vecchio stile e sonorità più moderne https://www.youtube.com/watch?v=sTXq33a6YnM

jesse malin new york before the war

L’ultimo album ufficiale del newyorkese Jesse Malin risale al 2010, Love It To Life, un buon disco dal suono decisamente rock, pubblicato come Jesse Malin & The St. Marks Social, ma nel 2012 è uscito anche un disco acustico e distribuito solo ai concerti, Hail Mary Gunners, parte del ricavato del quale andava in beneficenza alla Croce Rossa internazionale; un disco registrato dal vivo a New York e San Sebastian, in Spagna, supportato da Mark Troth Lewis alla chitarra, e presentato come venti “frecce acustiche nella loro forma originale – dai retrobottega, camere da letto e sgabelli da bar del mondo”. Questo nuovo New York Before The War https://www.youtube.com/watch?v=CPMDiSUX3mM , fin dal titolo, viene annunciato come quello più influenzato dai suoni della sua città di origine, quindi echi di Lou Reed, Television, Ramones, ma anche le ballate del suo amato Springsteen, tocchi di Dylan e Neil Young, mi è sembrato di cogliere anche accenni agli Stones e secondo la critica americana potrebbe essere il suo miglior disco in assoluto. Esce ufficialmente il 31 marzo per la One Little Indian e questo è un assaggio https://www.youtube.com/watch?v=DfeSYF3VElM

paul mccartney a musicares tribute

La versione americana, zona 1, è già stata pubblicata dalla Shout Factory, in Europa uscirà il 12 maggio su etichetta Eagle Rock. Stiamo parlando del DVD (o Blu-Ray) dedicato a Paul McCartney, per la benemerita serie A Musicares Tribute, che riporta il concerto che si svolge tutti gli anni nella settimana dei Grammy e che premia una personalità del mondo musicale che si è distinta nel corso dell’anno (e della carriera) per il suo spirito filantropico. Quest’anno è toccato a Bob Dylan, mentre la serata dedicata a Macca è stata registrata nel 2012: ad omaggiarlo erano presenti, oltre a Sir Paul, per la simpatica consuetudine che prevede quasi sempre la presenza sul palco del festeggiato: 1) Get Back / Hello Goodbye / Sgt. Pepper s Lonely Hearts Club Band Cirque du Soleil featuring The Beatles Love Cast 2) Magical Mystery Tour Paul McCartney https://www.youtube.com/watch?v=9oSLl8K05g4  3) Junior s Farm Paul McCartney 4) Blackbird Alicia Keys https://www.youtube.com/watch?v=pX6T-dRnZNM  5) No More Lonely Nights Alison Krauss & Union Station 6) And I Love Her Duane Eddy 7) Oh! Darling Norah Jones 8) I Saw Her Standing There Neil Young & Crazy Horse https://www.youtube.com/watch?v=GyzR_3-dEN0  9) The Fool On The Hill Sergio Mendes 10) We Can Work It Out Coldplay https://www.youtube.com/watch?v=uAB4lhhEErw  11) Yesterday James Taylor & Diana Krall 12) For No One Diana Krall & James Taylor 13) My Valentine Paul McCartney 14) Nineteen Hundred And Eighty Five Paul McCartney 15) Golden Slumbers / Carry That Weight / The End Paul McCartney with Dave Grohl & Joe Walsh https://www.youtube.com/watch?v=aaKoBq9AU2c . Un’altra meno simpatica consuetudine che sta prendendo piede (con l’eccezione del DVD dedicato a Springsteen che durava quasi due ore) è quella di pubblicare solo una parte del concerto e quindi il dischetto del tributo a Paul dura solo 60 minuti circa, e quindi, come ho già ricordato recensendo mi pare il DVD di Bruce, mancano il brano dei Foo Fighters, Katy Perry (ce ne faremo una ragione), TonBennett, uno dei duetti di McCartney con Diana Krall e Bucky Pizzarelli, mi pare siano questi. Comunque rimane una bella serata, da avere nel formato che preferite.

richie furay hand in hand

Richie Furay è stato uno dei membri fondatori dei Buffalo Springfield e in seguito dei Poco (e aggiungiamo anche la Souther-Hillman-Furay Band), due/tre delle migliori formazioni del country e del rock americano di sempre, poi dopo la sua conversione religiosa alla chiesa pastorale americana, Furay ha diradato la sua presenza discografica pur continuando a fare dischi con una certa regolarità e partecipando spesso, come ospite, alle reunion delle band di cui ha fatto parte, ed azzeccando, di tanto in tanto, anche dei dischi che mostravano tracce del vecchio splendore, penso soprattutto a The Heartbeat Of Love, dove apparivano Timothy B. Schmidt, Kenny Loggins, Stephen Stills e Neil Young e al bellissimo doppio dal vivo Alive. Anche questo nuovo Hand In Hand, pubblicato in questi giorni dalla eOne Music, fa parte della categoria di quelli di avere, per la presenza di alcuni nuovi brani di buona qualità, tra cui Someday, con la presenza di Keb’ Mo‘ e una sontuosa versione di Kind Woman, con Kenny Loggins e Neil Young alle armonie vocali, oltre ad una bellissima We were the dreamers che ricorda il miglior country-rock di sempre, di cui è stato uno degli artefici https://www.youtube.com/watch?v=4jpXti74wTM

john mayal blues alive nyc

Il 1976 giustamente non è considerata una delle annate tra le più memorabili dei Bluesbreakers di John Mayall, è l’anno di Banquet In Blues, ma nei due concerti da cui è tratto questo broadcast radiofonico non ci sono più tutti i musicisti di quel disco (quindi niente Rick Vito, Don “Sugarcane Harris” e Soko Richardson), ma ci sono ancora Larry Taylor al basso, Jay Spell alle tastiere, mentre il chitarrista è tale Gary Rowles, non famosissimo ma bravo, qualcuno ricorderà che è stato il solista nei Love di Arthur Lee, la versione della band è la Mark XXVII, è il repertorio delle due serate è il seguente:

The Bottom Line, New York, NY, 2-Oct-76 (early show):
1. Long Time Blues
2. 1974 Gasoline Blues
3. Later On
4. The Boy Most Likely To Succeed
5. All Your Love
6. Room To Move
[Encores]
7. Stormy Monday
8. Old Time Blues

My Father’s Place, Roslyn, NY, 3-Oct-76:
9. Band Intros by Mayall
10. 1974 Gasoline Blues
11. Play The Harp
12. The Boy Most Likely To Succeed

Qualità sonora buona, in parte già uscito come bootleg, ma, escludiamo gli i fan incalliti di Mayall, se ne può fare tranquillamente anche a meno, oppure no, in fondo non è male, vedete voi. Etichetta S’more/RockBeat.

sonics this is the sonics

Ormai si stanno riunendo tutte le band storiche del band, quindi era inevitabile che succedesse anche per i Sonics, peraltro già di nuovo in azione dal 2007, con una serie di concerti dal vivo e un EP 8, uscito nel 2010, ma questo è proprio un nuovo disco di studio. Quello che è sorprendente di questo This Is The Sonics, registrato rigorosamente in Mono per la loro etichetta Revox (!), è che si tratti di un buon disco, i tre membri originali, Jerry Roslie, Larry Parypa e Rob Lind, sono in ottima forma, la sezione ritmica con gente del giro Kingsmen e Dick Dale è bella carica, e il disco suona come se fossimo in pieno 1966, un anno prima dello scioglimento, quindi garage punk e psych-rock classico della più bell’acqua. Ok, niente The Witch, Psycho, Strychnine, Louie Louie, ma i nuovi brani sprizzano energia e alcune cover di classici del blues come You Can’t Judge a Book By The Cover, Don’t Need No Doctor e Sugaree sono veramente gagliarde e sorprendenti. Produce Jim Diamond, famoso per il suo lavoro con i primi White Stripes, Dirtbombs e Fleshtones. E anche i brani nuovi tirano di brutto https://www.youtube.com/watch?v=BIzinr84gGw

hawkwind this is your captain boxhawkwind this is your captain back cover

Gli Hawkwind viceversa non si sono mai sciolti e continuano imperrterriti la loro carriera; nel corso degli anni sono uscite varie riedizioni, rimasterizzate e spesso potenziate, dei loro album migliori, ora la Parlophone UK del gruppo Warner pubblica questo box di 11 CD This Is Your Captain Speaking, Your Captain Is Dead – The Albums & Singles 1970-1974, senza le bonus delle ristampe, ma a prezzo super speciale e con l’ultimo CD che contiene rare versioni tratte dai singoli dell’epoca.Qui sopra, nel retro della copertina del box, potete legger i titoli dei brani ed i rispettivi dischi dove appaiono, questo pezzo è tratto dal Greasy Truckers Party.

quicksiver live in san jose 1966

A proposito di live continua la (ri)scoperta del vecchio materiale d’archivio dei Quicksilver Messenger Service. Sempre la Cleopatra Records (croce e delizia degli appassionati di ristampe e del sottoscritto) pubblica un raro concerto Live In San Jose 1966, dove appare la prima formazione del gruppo con Jim Murray, il primo vocalist della band, ad affiancare il classico quartetto Cipollina-Duncan-Freiberg-Elmore, quindi in teoria interessantissimo anche per il repertorio che presenta alcune rarità come All Night Worker, Walkin’ Blues e I Hear You Knockin’. Però è inciso, nella mia opininone, veramente maluccio, sembra un bootleg (e spesso queste registrazioni da lì vengono), ma di quelli purtroppo con qualità sonora scadente https://www.youtube.com/watch?v=q4yaXTr15mM

dayna kurtz risa and fall

Per concludere un paio di voci femminili veramente interessanti. Di Dayna Kurtz vi abbiamo parlato in modo lusinghiero sul blog http://discoclub.myblog.it/2013/06/14/una-tom-waits-al-femminile-dayna-kurtz-secret-canon-vol-2/. Ora è in uscita questo nuovo Rise And Fall per la sua etichetta M.C. Records, ma mi pare di ricordare che gli amici della IRD mi abbiano detto che avevano intenzione di pubblicarne una versione italiana con bonus, però non conosco con esattezza i particolari, per cui, in attesa di verificare, e poi naturalmente di recensirlo, nella rubrica Carbonari, mi limito a segnalarvi l’uscita del nuovo album di questa bravissima vocalist, nata nel New Jersey, ma residente a New Orleans, che è giustamente considerata dalla stampa di tutto il globo terracqueo uno dei piccoli tesori nascosti della musica cantautorale. Nell’attesa, questo nuovo brano fa già capire la classe della signora in questione https://www.youtube.com/watch?v=YF60nUWJ02k

courtney barnett sometimes i sit

Più giovane, ma assai promettente, è l’australiana Courtney Barnett, che giustamente è stata incensata dalla critica per il suo primo album The Double EP: A Sea of Split Peas, che come dice il titolo raccoglieva i primi due EP, pubblicati per il mercato australiano. Ora esce il primo disco ufficiale Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit, un titolo intrigante e ricco di (auto)ironia che indica la personalità vivace della ragazza, ma poi parla la musica, veramente interessante. Qualcuno l’ha paragonata a Hope Sandoval, altri hanno tirato in ballo Lou Reed e Nirvana, altri ancora hanno ricordato Liz Phair (ma mi sembra più brava), come la volete girare questo nuovo CD, edito dalla Marathon Artists in Europa e dalla Mom + Pop Records in Australia (o viceversa) la scorsa settimana, è diverso da gran parte di quello che circola al momento a livello di voci femminili https://www.youtube.com/watch?v=o-nr1nNC3ds, parliamo di rock, ma anche di belle ballate loureediane https://www.youtube.com/watch?v=1NVOawOXxSA

E pure in versione solitaria il talento si percepisce https://www.youtube.com/watch?v=Xv-FOSJIwrU

That’s all, a domani con un altro giro di novità.

Bruno Conti