A Sorpresa Ecco Un Altro “Cantattore”, Molto Bravo Pure Questo! Kiefer Sutherland – Down In A Hole

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Kiefer Sutherland – Down In A Hole – Warner Music Nashville/Ironworks Music

La lista degli attori che si rivelano anche ottimi (diciamo buoni) cantanti e spesso pure autori, si arricchisce di un nuovo personaggio. Dopo Jeff Bridges, Billy Bob Thornton, Kevin Costner, Bruce Willis, Jack Black, Russell Crowe, Kevin Bacon, Steve Martin (forse più un banjoista con i suoi Steep Canyon Rangers, vincitore anche di un Grammy), i due capostipiti che sono stati John Belushi Dan Aykroyd nei Blues Brothers, quelli più validi, ma ci sono anche altri che si cimentano in ambito musicale (Jared Leto, Keanu Reeves, Ryan Gosling, Johnny Depp e altri che non citiamo per bontà d’animo, oltre a diverse voci femminili). L’ultimo ad aggiungersi, devo dire a sorpresa, è Kiefer Sutherland, che in più è pure figlio d’arte, del grande Donald Sutherland: tra l’altro non sapevo che fossero entrambi canadesi, anche se Kiefer è nato nei pressi di Londra. Del babbo sappiamo tutto, e pure il figlio, sin dagli esordi con Stand By Me, Bad Boy, Promised Land, Lost Boys, fino ad arrivare al successo universale della serie televisiva 24, si è rivelato uno degli attori più bravi ed eclettici della cinematografia mondiale. Ora esordisce alla grande con questo Down In A Hole, registrato in quel di Nashville con l’aiuto di Jude Cole, discreto cantante e musicista, autore anche di diversi discreti dischi solisti dagli anni ’80 in avanti, poi trasformatosi in produttore (devo dire non con gente che mi fa impazzire, Lifehouse, Honeyhoney, Mozella, Beth Orton e anche Paola Turci, forse Rocco De Luca l’unico che non mi dispiace): ma questa volta, impegnato anche a vari strumenti, e autore con Sutherland di tutte le canzoni, con l’aiuto di una nutrita pattuglia di eccellenti musicisti locali, tra cui spiccano i più noti Greg Leisz, Phil Parlapiano e Patrick Leonard, ma anche gli altri non sono male, ha confezionato un bel disco di rockin’ country, o country venato di rock, come preferite.

Musicalmente quindi siamo dalle parti di Jeff Bridges, Billy Bob Thornton, Kevin Costner, con un sound solido, ricco di chitarre elettriche, e cantato con grinta ed energia, essendo Kiefer Sutherland in possesso di una eccellente voce, roca e vissuta, dal timbro leggermente baritonale (per intenderci sullo stile di Tom Waits Johnny Cash, che rimangono comunque di un’altra categoria), come testimoniamo i 50 anni da compiersi a dicembre, ed una serie di brani che lui stesso ha definito come una sorta di diario o giornale, canzoni che trattano soprattutto di sentimenti: separazioni, amori non corrisposti o finiti, bevute e bisbocce, rimpianti devastanti e speranze, impressioni raccolte in diversi anni e messe in musica. L’iniziale Can’t Stay Away sembra un heartland rocker degno del miglior Mellencamp, la voce si Sutherland potente e sicura, la chitarra slide, probabilmente Leisz, tagliente e vibrante, a caratterizzare il brano, che comunque spicca per l’eccellente atmosfera sonora d’insieme https://www.youtube.com/watch?v=KiT7F7dRGRU . Ottima anche la successiva Truth In Your Eyes, una bella mid-tempo ballad dove la steel guitar aggiunge una nota di fragilità e sentimenti feriti, tipica del country più genuino, il tutto con la solita bella melodia che rimane in mente e arrangiamenti curati alla perfezione da Jude Cole, con begli impasti chitarristici, tocchi mirati di piano e organo, armonie vocali usate con gusto e parsimonia https://www.youtube.com/watch?v=8So4bl6LWJs . Ma tutte le canzoni sono molto buone I’ll Do Anything, limpida e delicata, sta tra Springsteen John Prine, una canzone sui buoni sentimenti, mentre Not Enough Whiskey è la classica canzone sulle bevute per dimenticare, dove il whisky non basta mai, un’altra malinconica ballata con uso di pedal steel.

Going Home torna a virare su un solido rock, arricchito di elementi southern, dove le chitarre roccano e rollano di gusto, rispondendosi dai canali dello stereo: Calling Out Your Name, più intima e raccolta, con piano, organo e chitarre acustiche, a contendere il proscenio alle elettriche, mi ha ricordato certi pezzi di Bob Seger, e anche My Best Friend, introdotta da un bel arpeggio di chitarra acustica, è un’altra eccellente ballata, tra le migliori del disco grazie ad un coinvolgente crescendo, cantata con passione da Sutherland. Molto bella anche Shirley Jean, un valzerone di impianto country degno di Kris Kristofferson, con mandolino e steel di nuovo in bella evidenza, e un testo che racconta delle ultime ore di un detenuto nel braccio della morte https://www.youtube.com/watch?v=wQes5jLOcwA . All She Wrote introduce anche elementi blues e swampy soul, un pezzo tosto ma sempre percorso da belle melodie e arrangiamenti avvolgenti, interessante anche l’uso delle voci di supporto e del piano elettrico per aumentare il pathos del brano, che è sottoposto a continue scariche ritmiche https://www.youtube.com/watch?v=FGozPFSQoM8 . Down In A Hole, ha un titolo molto simile a quello di una canzone di Tom Waits (lì era preceduto da Way nel titolo), un altro gagliardo esempio della ottima penna di Sutherland e di Jude Cole, con fantastici interventi delle ingrifatissime chitarre elettriche che scaricano folate potentissime di puro rock,altra bellissima canzone. In conclusione Gonna Die, un brano che qualcuno ha paragonato al Johnny Cash degli ultimi anni, magari non per il tipo di di voce ma per l’atmosfera sonora, che è comunque più elettrica degli American Recordings, altro gran pezzo comunque.

Come in altri dischi di esordio Kiefer Sutherland ha scelto forse il meglio di 50 anni di esperienze di vita, ma il risultato è veramente di grande sostanza. Se sono tutti così bravi dateci altri “cantattori”. Finora una delle più belle sorprese di quest’anno.

Bruno Conti

Eccone Un Altro Davvero Bravo! Parker Millsap – The Very Last Day

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Parker Millsap – The Very Last Day – Okra Homa/Thirty Tigers CD

Di dischi di alternative country, roots, Americana o come diavolo volete chiamare quella musica strettamente legata alle radici ne escono, tra ottimi, buoni e meno buoni, un’infinità durante l’anno, ed ogni tanto qualcuno realizza dei lavori talmente belli che vengono ricordati anche a distanza di tempo: ad esempio, nell’ultimo biennio le fatiche di Chris Stapleton, Nathaniel Rateliff, Thom Chacon, Jason Isbell ed Anderson East hanno davvero meritato un posto di primo piano nelle classifiche di gradimento di chiunque ami la vera musica. Lo stesso destino potrebbe essere riservato a Parker Millsap, giovane songwriter dell’Oklahoma con già due dischi alle spalle (il secondo dei quali, omonimo, nel 2014 aveva già fatto intravedere delle doti non comuni) https://www.youtube.com/watch?v=SwFbuOUxmNc , che con questo nuovo The Very Last Day ci consegna uno dei migliori album di questi primi quattro mesi del 2016, almeno per quanto riguarda il genere Americana. Millsap, oltre ad essere in possesso di una voce roca, potente e talvolta quasi stridula (ma non fastidiosa), è un talento molto particolare, in quanto, pur partendo da una base folk ed usando una strumentazione tradizionale, affronta le sue canzoni con una forza ed un impeto da vero rocker, inserendo spesso e volentieri all’interno dei brani delle melodie inusuali e mai banali o prevedibili, creando un cocktail sonoro molto stimolante e consegnandoci una manciata di canzoni (undici) che forse necessitano di più di un ascolto per essere apprezzate appieno, ma di sicuro poi farete fatica a togliere il CD dal lettore.

Una miscela di folk, country, rock e blues suonata, ripeto, con una forza non comune e con soluzioni melodiche spesso non abituali: l’esempio perfetto è l’opening track Hades Pleads, un folk-grass potente e pieno di ritmo, con la vocalità aggressiva del nostro a dominare in lungo e in largo, una vera esplosione di suoni anche se gli strumenti sono acustici. A produrre il disco è stato chiamato l’esperto Gary Paczosa (già con Kathy Mattea, Darden Smith e responsabile nel 2014 del bellissimo tributo a Jackson Browne, Looking Into You) e ad accompagnare Parker, che si occupa delle parti di chitarra, troviamo l’ottimo Daniel Foulks al violino, Michael Rose al basso, Patrick Ryan alla batteria e Tim Laver al piano. Già detto dell’iniziale Hades Pleads, che ci catapulta all’interno del disco quasi con uno schiaffo, troviamo a seguire la creativa Pining, un brano che, basato su una struttura folk, ha una melodia ed un andamento quasi errebi, con un ottimo intervento centrale di pianoforte. Già da questi due pezzi capiamo che Millsap non ti dà quasi mai quello che ti aspetti, ma inserisce sempre qualcosa di personale all’interno dei brani. Morning Blues è sempre cantata con voce forte, ed è quasi una country ballad con il violino grande protagonista, ed i continui stop & go fanno sì che l’ascoltatore non si rilassi ma presti attenzione ad ogni singola nota; Heaven Sent si apre con un suggestivo arpeggio di chitarra ed una melodia che, almeno dalle prime note, ricorda The River di Springsteen, poi cambia direzione e diventa una ballata elettroacustica di notevole livello e con un ritornello al solito di grande forza ma nello stesso tempo immediato, direi una delle migliori del CD.

La title track ha uno sviluppo ritmico molto particolare ed abbastanza complesso e, anche se nel refrain il brano si fa più fluido, non è tra le mie preferite (e la vocalità debordante del nostro qui è un po’ fuori luogo); Hands Up è invece molto diretta, quasi rock’n’roll, un pezzo decisamente piacevole ed anche coinvolgente, mentre Jealous Sun è completamente acustica, voce e chitarra, con Parker che dimostra che anche da “tranquillo” sa toccare le corde giuste. Molto bella anche Wherever You Are, una ballata molto classica e con una splendida melodia dal tono epico e maestoso, un pezzo di bravura che ci fa vedere ancora una volta di che pasta è fatto il ragazzo; You Gotta Move è l’unica cover del disco (è un vecchio blues reso noto da Mississippi Fred McDowell ed inciso anche dai Rolling Stones nel mitico Sticky Fingers), ed è proposta in maniera sorprendentemente tradizionale, non molto diversa da come la facevano Jagger e soci: voce nel buio, un chitarra indolente, armonica bluesy e violino straziante, una rilettura di indubbio fascino. A Little Fire è l’ennesima perla, un brano di puro folk ancora eseguito in perfetta solitudine, mentre Tribulation Hymn conclude l’album con un piccolo capolavoro, una bellissima ballata folk-rock dal sapore vagamente irlandese e grande feeling interpretativo.

Avrete notato che non ho fatto neppure un paragone con artisti famosi ai quali Parker Millsap si può essere ispirato, ed infatti The Very Last Day, oltre ad essere un gran bel disco, è anche originale ed innovativo, e di questi tempi non è poco.

Marco Verdi

Le 500 Più Grandi Canzoni Di Tutti I Tempi Secondo La Rivista Rolling Stone Parte III

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Visto che piace passiamo alla terza puntata, brani sempre straordinari, le posizioni possono essere opinabili, ma è difficile sbagliare! In questo giro ho inserito anche i testi delle canzoni, se volete farvi una cantatina!

21) Bruce Springsteen – Born to Run

Pensavo meglio, ma non poteva mancare il Boss. Tra l’altro proprio in questi giorni mi sto sparando la registrazione video del concerto per il venticinquennale della Rock and Roll Hall of Hame al Madison Square Garden (non c’è in commercio!) e la parte con Sprinsgteen è stellare: duetti con Sam Moore, Darlene Love, John Fogerty e una versione di The Ghost of Tom Joad, elettrica e tiratissima, dove Tom Morello estrae dal cilindro un assolo di chitarra “galattico”, meraviglioso, da lasciare senza fiato. Magari in un altro post vi faccio il resoconto del concerto. Questa è la versione di Born to Run da Glastonbury di quest’anno.

22) Ronettes – Be My Baby
23) Beatles – In My Life
Una delle mie preferite in assoluto tra quelle di John Lennon, seconda solo a A Day in The Life, punta massina dell’arte dei Beatles, di cui nell’ultimo anno Jeff Beck ha realizzato una straordinaria versione strumentale, che si candida a miglior brano dell’anno in quella categoria.
Visto che il video della versione dei Beatles lo avevo giè inserito nel mio tributo a John Lennon per l’anniversario della morte, vi presento questa piccola chicca di una cantatutrice canadese emergente (anche Emmylou Harris ne ha fatta una cover bellissima).
testo-in-my-life.html (ovviamente non è di Ozzy Osbourne! E’ un refuso di chi ha inserito il testo)
24) The Impressions – People Get Ready
Curtis Mayfield, uno dei grandi “geni” della musica nera americana!
25) Beach Boys – God Only Knows
Beatles – A Day In The Life
Questa, a mio parere, doveva essere nei top 5. Come vi dicevo Jeff Beck ne fa una versione straordinaria, eccola! Occhio alla ragazzina al basso!
27) Derek and The Dominos – Layla
Eric Clapton (con Duane Allman) ai suoi vertici massimi.
Visto che non c’è un filmato di Layla con il gruppo originale, questi sono Derek & The Dominos nello show di Johnny Cash con Carl Perkins!
28) Otis Redding – (sittin’ on) The Dock of the Bay
Mr. Pitiful himself.
29) Beatles – Help

30) Johnny Cash – I Walk The Line
Prossima puntata, parte quattro.
Bruno Conti