Torna Il “Profeta” Con Un Altro Bel Disco. Chuck Prophet – The Land That Time Forgot

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Chuck Prophet – The Land That Time Forgot – Yep Roc CD

Bobby Fuller Died For Your Sins, uscito nel 2017, aveva ricevuto ovunque ottime critiche ed era stato giudicato come uno dei lavori più riusciti della corposa discografia di Chuck Prophet, singer-songwriter e chitarrista californiano noto per essere stato dal 1985 al 1992 l’alter ego di Dan Stuart nei magnifici Green On Red, semplicemente una delle migliori rock band di quel periodo (oggi colpevolmente dimenticati dalle case discografiche, cosa ancora più incredibile dato che ultimamente vengono ristampati anche album sconosciuti di oscure band psichedeliche degli anni 60 e 70). Prophet non ha mai assaporato il successo come solista, né ha mai inciso per una major, ma ha sempre fatto la musica che ha voluto nei tempi scelti da lui, e pur con alti e bassi fisiologici di una discografia che conta circa una quindicina di album in trent’anni https://discoclub.myblog.it/2012/03/01/l-altra-meta-del-cielo-chuck-prophet-temple-beautiful1/ , non ha mai veramente deluso arrivando in qualche episodio ad entusiasmare (come nel caso di Balinese Dancer, uno dei più bei dischi di rock “indipendente” del 1992).

Ora Chuck torna tra noi con un lavoro nuovo di zecca intitolato The Land That Time Forgot, un album davvero riuscito che conferma il suo ottimo stato di forma, dodici canzoni in cui il biondo musicista non cerca contaminazioni di sorta o suoni alla moda, ma ci regala circa tre quarti d’ora di sano e classico rock’n’roll chitarristico senza fronzoli, ben bilanciato tra ballate e pezzi più mossi e con un songwriting decisamente ispirato frutto della collaborazione a livello di testi con il poeta e scrittore Kurt Lipschutz. Prodotto dallo stesso Prophet insieme a Kenny Siegal e Matt Winegar e masterizzato dal leggendario Greg Calbi, The Land That Time Forgot può contare sul contributo di una lunga serie di sessionmen che danno al disco un suono ricco ed articolato, tra i quali segnalerei Dave Sherman al piano, organo e tastiere varie, Rob Stein alla steel guitar, Jesse Murphy al basso, Vicente Rodriguez alla batteria, James DePrato alla seconda chitarra e slide e Dave Ryle al sassofono. Il CD parte molto bene con la brillante Best Shirt On, una solare rock song chitarristica dal ritmo sostenuto, jingle-jangle byrdsiano e tracce di Tom Petty (anche per il timbro vocale di Chuck, simile a quello del compianto rocker), oltre ad un motivo davvero godibile ed immediato.

Un intreccio di chitarre introduce la lenta High As Johnny Thunders, ballatona fluida e distesa in cui il nostro parla e canta con disinvoltura e con un bell’intermezzo strumentale nel quale la sei corde del leader duetta col sax; la nervosa Marathon ha un intro potente degno degli Stones, ritmica pressante e Chuck che viene doppiato dalla voce femminile di Stephanie Finch, per un brano all’insegna del rock’n’roll in cui grinta e bravura vanno di pari passo. Nella languida Paying My Respects To The Train compare una steel in lontananza, ed il pezzo è uno slow crepuscolare guidato dal solito bel gioco di chitarre e con la complicità di un piano elettrico: canzone evocativa che mette in evidenza il songwriting maturo del nostro. Willie And Nilli è ancora un lento, ma di qualità ancora superiore: un pezzo intenso, struggente ed eseguito superbamente, dotato di una melodia che colpisce dritta al cuore; Fast Kid è invece una rock song ficcante e diretta, estremamente gradevole e con una slide malandrina, mentre Love Doesn’t Come From A Barrel Of A Gun è un midtempo elettroacustico decisamente ruspante e di nuovo con le chitarre che doppiano benissimo l’orecchiabile motivo.

Nixonland è uno degli highlights del disco, una ballata di grande spessore e potenza che inizia in maniera suggestiva con la chitarra acustica affiancata dal pianoforte, subito raggiunti dall’elettrica suonata in modalità “twang” e dalla sezione ritmica, mentre Prophet sciorina una melodia molto incisiva: ottima anche la coda strumentale. La delicata Meet Me At The Roundabout è una folk song acustica e cristallina, un momento di pace prima della gustosa Womankind, piacevole canzone guidata da chitarra e piano con echi di Jersey Sound springsteeniano e perfino un tocco di doo-wop alla Dion & The Belmonts. Chiusura con lo slow Waving Goodbye, che l’uso della steel rende vagamente country, e con Get Off The Stage, altra rock ballad pettyana dal notevole impatto emotivo.

Credo di non dire una bestialità se affermo che Chuck Prophet è uno dei musicisti più sottovalutati del panorama americano, ma lui come al solito va dritto per la sua strada e con The Land That Time Forgot ci consegna un altro prezioso tassello di una discografia di tutto rispetto.

Marco Verdi

L’Altra Metà Del Cielo: Chuck Prophet – Temple Beautiful

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Chuck Prophet – Temple Beautiful – Yep Roc Records 2012

Quando certi personaggi ritornano sulla scena discografica, provo sempre un po’ di emozione, se poi i ricordi portano alla mente una band che negli anni ’80 ha frantumato il cuore di molti, e parlo dei Green On Red (sguinzagliate i “cani poliziotto” e cercate l’album Scapegoats del ’91), il ricordo e la passione portano al piacere di parlare di questo lavoro. Di origine Californiana, Chuck ha fatto la gavetta in alcune band di San Francisco, prima di approdare giovanissimo alla corte dello scorbutico e mutevole Dan Stuart, nei citati Green On Red, finendo poi per imporsi diventandone una colonna portante. Il gruppo, a causa degli stati d’animo di Stuart, si concede dei momenti di stallo e proprio in uno di questi periodi Prophet, inizia a suonare da solo, giungendo all’esordio di Brother Aldo, che viene acclamato dalla critica e dal pubblico come uno dei migliori dischi del ’90, bissato nel ’93 dallo splendido Balinese Dancer, che non è semplicemente il seguito del disco di esordio, ma è la definitiva maturazione di un artista che affronta con piglio sicuro la seconda prova.

 

Carriera discontinua la sua, la discografia solista comprende undici dischi di varia caratura, con alti e bassi, ma sempre ricca di vero rock, cui si aggiunge questo Temple Beautiful, registrato ai Closet Studios di San Francisco e co-prodotto con Brad Jones, che ci regala un sano “sound” americano che va diritto al sodo, con una base ritmica importante, chitarre in spolvero e, quello che più conta, una manciata di belle canzoni. Lo aiutano in questa avventura, James Deprato alle chitarre, Rusty Miller al basso, Prairie Prince batteria e percussioni, Chris Carmichael violino e violoncello, Jim Hoke ai fiati, e la moglie Stephanie Finch voce e cori.

 

E il CD ti entra subito, a partire dal brano iniziale Play That Song Again, un rock sano, semplice e diretto. Un attacco ritmico deciso e una voce filtrata aprono Castro Halloween, in cui compaiono una tastiera digitale e chitarre dilatate. La “title track” è una canzone rock più tradizionale, puro stile anni ’60 (à la Kinks) con chitarre e organo in bella evidenza e la voce di Roy Loney dei leggendari Flamin’ Groovies in questo omaggio al leggendario locale di Frisco. Ballata acida è Museum of Broken Hearts, con accompagnamento ritmico chitarristico ed un violino in sottofondo. Willie Mays is up at Bat inizio blues con tanto di slide, si apre in un ritornello che entra subito in mente. The Left Hand and The Right Hand. e I Felt Like Jesus sono due brani un po’ incolori, che ricordano sonorità del George Harrison meno ispirato.

 

Who Shot John ha un inizio che ricorda i migliori Green On Red, ma poi si snoda con un ritmo alla Rolling Stones. La sognante He Came From So Far Away inizia con rumori elettrici di sottofondo, una ballata urbana con la voce della moglie Stephanie in perfetta sintonia con il tessuto sonoro dell’arrangiamento, come nella seguente Little Girl, Little Boy, in un duetto che richiama alla mente la famosa coppia Gram Parsons ed Emmylou Harris e dove spunta inaspettata anche una sezione fiati. White Night, Big City è un veloce country-rock che si snoda vivace e divertente, mentre la conclusiva Emperor Norton in The Last Year of His Life è una canzone dolcissima, una ballata dai sapori antichi, dove l’inconfondibile tocco della chitarra di Chuck punteggia una grande melodia.

 

Durante una lunga e onesta carriera, i suoi brani sono stati eseguiti da leggende come Solomon Burke, ha registrato con tutti da Calvin Russell a Kelly Willis, è salito sul palco con Lucinda Williams, Jim Dickinson, Aimee Mann, per citarne alcuni. Questo ultimo lavoro, dedicato alla sua città di adozione, San Francisco è consigliato a tutti e Chuck Prophet dimostra di non essere un semplice comprimario, ma un artista di spessore, che ci accompagna sull’autostrada della vita, con la sua musica suonata ad alto volume, mentre l’aria della notte entra dai finestrini aperti.

Tino Montanari