Non Finisce Mai Di Stupire, Un Altro Disco Splendido! Mavis Staples – We Get By

mavis staples we get by

Mavis Staples – We Get By – ANTI-

Vediamo alcuni fatti “certi” relativi al nuovo album di  Mavis Staples We Get By: intanto, girando per i vari siti,scopriamo che è il 12° album della cantante di Chicago, ma forse il 13° o anche il 14°, non contando i due Live, il tributo in quanto tale, uscito nel 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/07/04/un-altro-concertotributo-spettacolare-mavis-staples-ill-take-you-there-an-all-star-concert-celebration-live/ , e ovviamente tutti i dischi con gli Staples Singers. Però non si capisce perché la colonna sonora  del 1977 A Piece Of The Action, con brani scritti da Curtis Mayfield, e Spirituals & Gospel: Dedicated To Mahalia Jackson del 1996, con Lucky Peterson, ma entrambi cantati in toto da Mavis, non debbano rientrare nel conteggio? Quindi una certezza di questo We Get By è che per l’ennesima volta dal 2007, quando Ry Cooder le produsse lo splendido We’ll Never Turn Back, e poi in tutti i successivi  album pubblicati dalla ANTI-, è che la Staples non ha sbagliato più un disco da allora, sempre mantenendo livelli di qualità sopraffini, nonostante nel corso degli anni siano cambiati i produttori, Jeff Tweedy per tre volte, M. Ward, e la stessa Mavis per il recentissimo Live In London.

Un’altra certezza (e anche una costante) sembra essere la presenza della splendida band che la accompagna dal 2010 (con l’eccezione di One True Vine del 2013), Rick Holmstron alla chitarra, Jeff Turmes al basso e Stephen Hodges alla batteria, che anche Ben Harper, il nuovo produttore che ha scritto pure tutte le canzoni, non ha voluto cambiare, riservandosi solo il ruolo di voce duettante nella title track. Volendo l’altra certezza potrebbe essere il fatto che al 10 luglio questa splendida signora compirà 80 anni, ma per scaramanzia non lo diciamo (o si?): la voce anche per l’occasione è strepitosa, una vera forza della natura, l’ultima vera grande cantante della black music, adesso che Aretha Franklin se ne è andata (ma non faceva un disco decente da tantissimo tempo), come prima di lei Etta James e ancora prima Nina Simone, e Tina Turner, Gladys Knight, Ann Peebles, Bettye LaVette che erano comunque di livello inferiore. Ma Mavis no, il suo stile vocale che da sempre mescola soul, gospel, blues, R&B, e ha pure certi accenti rock che la fanno amare anche da un pubblico più contemporaneo, come evidenziano alcuni brani di questo We Get By, più che qualcuno che semplicemente se la cava, come sembrerebbe suggerire il titolo, ci presentano una leonessa che non ha nessuna intenzione di abdicare.

Ben Harper ha scritto veramente delle belle canzoni per l’occasione, e anche il tema della resilienza, della speranza, dei diritti civili dei neri, ben rappresentati nella bellissima foto di copertina di Gordon Parks “Outside Looking In”, tratta dall’opera di questo paladino della cultura afroamericana, confermano che Mavis Staples non ha dimenticato neppure la lezione di Pops Staples che per tantissimi anni ha guidato con fermezza una delle famiglie più importanti della storia della musica, non solo nera. L’iniziale Change è subito un grido di sfida ma anche di speranza, con la potenza di un brano che tira di brutto grazie alla chitarra decisamente rock di Holmstrom che mulina riff impetuosi, mentre CC White e Laura Mace rispondono con fierezza gospel  alle esortazioni di una Mavis veramente infervorata come ai tempi d’oro degli Staples Singers e la sezione ritmica risponde colpo su colpo; Anytime, con una chitarrina funky insinuante è sempre e comunque gospel-soul di grande intensità, grazie al call and response tra le due ragazze e la voce profonda e risonante, rauca e vissuta se vogliamo, ma sempre devastante della Staples. We Get By è una splendida ballata cantata a due voci da Ben Harper e Mavis Staples, con i due che si sostengono a vicenda con la forza della migliore musica soul mentre Holmstrom lavora di fino con la sua chitarra.

Non manca il funky-soul gagliardo ed incalzante di una orgogliosa ed intensa Brothers And Sisters, dove si apprezza la classe e la coesione della band (ascoltate il giro di basso devastante di Jeff Turmes) che accompagna la nostra amica. E a proposito di intensità non manca certo in Heavy On My Mind, solo la voce di Mavis, un tamburello e la chitarra elettrica di Rick Holmstrom, mentre Sometime, ancora con accenti tra R&B e gospel, è più mossa e vivace, con la solista riverberata a caratterizzarla, e a seguire un’altra ballata di quelle sontuose, Never Needed Anyone, cantata ancora una volta alla grande da una ispirata Mavis https://www.youtube.com/watch?v=x_f_X2TN1IE . Stronger ha riferimenti biblici nel testo e un piglio musicale dove rock, gospel  e blues convivono con forza, anche grazie al lavoro sempre stimolante e variegato della chitarra di Holmstron https://www.youtube.com/watch?v=vnX7m6fPlpU  ,che sostiene appunto con forza una ennesima impetuosa prestazione vocale della Staples e delle due vocalist di supporto. Chance On Me è un blues-rock di notevole potenza, con ennesimo assolo da sballo di Holmstron e prestazione vocale super della Staples https://www.youtube.com/watch?v=SS9BpWhOZ7M , mentre Hard To Leave, che rende omaggio a Marvin Gaye nel testo, è un’altra ballata di grande intensità emozionale e anche One More Change mantiene, in chiusura di disco, questo formato sonoro, grazie ad un’ altra interpretazione vocale da incorniciare di Mavis. Che classe questa signora, non finisce mai di stupire!

Bruno Conti

Chi Cerca Trova, Un Altro Nome Da Tenere D’Occhio! Rick Holmstrom – Cruel Sunrise

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Rick Holmstrom – Cruel Sunrise – M.C. Records

Rick Holmstrom è da cinque anni il chitarrista della band di Mavis Staples, che è poi la sua: Jeff Turmes, l’ex marito di Janiva Magness, al basso, slide e sax, e Stephen Hodges, alla batteria. Con quest’ultimo e con quel pazzoide di John “Juke” Logan aveva registrato nel 2010 un selvaggio disco dal titolo di Twist-O-Lettz di cui vi ho parlato da queste pagine, bellissimo ma unico nel suo stile ( blues-boogie-and-roll-rick-holmstrom-john-juke-logan-stephen.html). Cruel Sunrise è il seguito dell’album del 2007, Late At Night, ma tiene conto degli sviluppi ultimi della carriera di Holmstrom, con la presenza della Staples che canta, manco a dirlo, divinamente, in un paio di brani. Proprio Mavis gli ha fatto il complimento più bello che si può fare ad un musicista che ruota in quell’ambito, che è Blues, ma non solo, dicendo che Rick gli ricorda moltissimo il suo babbo, il grande Pop Staples. E quindi in questo lavoro troviamo un po’ di tutto, rock delle radici, swamp, soul, gospel, canzoni e molto altro, il tutto nobilitato dal tocco leggiadro della chitarra del leader, che ha un timbro e una varietà sonora tra le più valide nel panorama attuale. Quindi tutto perfetto e disco straordinario? Quasi. Perché il difetto, come ho detto altre volte, risiede nella voce di Holmstrom, che è uno strumento adeguato, in alcuni brani molto efficace, in altri abbastanza anonima e lima leggermente la qualità del prodotto finale, che è, in ogni caso, tutt’altro che disprezzabile.

Il disco si apre con una notevole Need To Dream, un brano rock che si colloca a metà strada tra gli Smithereens e Dave Alvin quando lascia viaggiare la sua chitarra, roots-rock di buona fattura e con la voce di Holmstrom, in questo caso, ricca di grinta, gli arrangiamenti e il lavoro della ritmica sono pressoché perfetti. Cruel Sunrise è una sorta di blues “anomalo”, con un ritmo ondeggiante e la solista che cesella note pungenti e vibranti, con il sax di Turmes che ne sottolinea il lavoro, veramente un grande chitarrista, non di quelli “esagerati” ma con una tecnica sopraffina e soprattutto un “tono” fantastico. Owe You Everything è una sorta di swamp blues minaccioso alla Susie Q, percorso dalla voce unica di Mavis Staples che con il passare degli anni non accenna a perdere un briciolo della sua magia, come hanno dimostrato gli ultimi album, di cui questo brano è una sorta di estensione, stessi musicisti, stessa cantante, stesso autore, Rick Holmstrom, che firma anche tutti i brani dell’album, oltre a rilasciare un assolo “cattivo”, incitato dai “come on Rick” di Mavis. You Drive ‘em Crazy è una bella ballata, quasi Stonesiana nel suo incedere, peccato che lui non sia Jagger. It’s Time I Lose è uno di quei bluesacci ribaldi, intrisi di rock, ma penalizzato dal cantato, anche se la parte strumentale è trascinante. Blues che si fa ancora più accentuato in Creepin’ In ma la parte cantata non mi intrippa. A testimoniare la varietà dei temi musicali I’ll Hold You Close è una canzone dalle atmosfere malinconiche con il sax di Turmes che fa capolino di tanto in tanto nelle pieghe del brano, mentre la chitarra di Holmstrom assume timbri lancinanti, quasi alla Neil Young, breve ma intensa.

Lord Please è l’altro brano affidato alla voce di Mavis Staples, che però non si sente moltissimo, canta più che altro all’unisono con Rick, mentre la canzone è prevalentemente strumentale con dei brevi intermezzi vocali e il risultato è notevole. Anche Break It Down è la conferma dell’attuale vena compositiva di Rick Holmstron, che dice di avere scritto molto in questo periodo, per “riposare” dal suo lavoro di padre di due bambine piccole e sfogare la sua ispirazione. I’m Not Afraid di nuovo ricade in quel cantato, a Milano si dice loffio, ma se guardate sul vocabolario trovate la definizione del termine, anche la buona parte strumentale questa volta non salva il tutto. A differenza di By My Side, cantata con più convinzione e con una bella costruzione melodica, come la possiamo definire? Una bella canzone potrebbe andare? Luellie è uno strumentale quasi sperimentale, dove i tre strumentisti possono dare libero sfogo alle loro notevoli capacità tecniche: apre un assolo di sax di Turmes, con la batteria di Hodges in libertà, poi entra la chitarra di Holmstrom, dalle tonalità quasi sognanti, che sviluppa un bellissimo assolo in crescendo. Non c’entra un tubo con il resto del disco ma ha un suo fascino, come tutto il CD!

Bruno Conti

P.s. Esiste anche una versione Deluxe dell’album, con un secondo CD con 12 cover strumentali di classici del soul, del blues e del rock.

Blues, Boogie And Roll! Rick Holmstrom, John “Juke” Logan, Stephen Hodges – “Twist-O-Lettz

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RICK HOLMSTROM, JOHN “JUKE” LOGAN, STEPHEN HODGES

Twist-O-Lettz

Mocombo Records

***1/2

Diventa sempre più difficile fare dei dischi di Blues interessanti: o sei un Padreterno o uno dei grandi del blues (ma a questo punto hai i tuoi annetti e quindi o vivi di rendita con dischi “tributo” o Live with friends e l’occasionale colpo di genio, tipo l’ultimo B.B. King prodotto da T-Bone Burnett). In caso contrario ti devi inventare o re-inventare qualcosa se non di nuovo almeno di originale.

Rick Holmstrom, che non è più un giovanotto, nato nel 1965 in Alaska (si direbbe uno dei posti meno Blues del mondo), si è fatto lentamente una reputazione come uno dei migliori stilisti della chitarra in circolazione, suonando con vari musicisti blues californiani (dove si era trasferito con la famiglia a metà anni ’80) e in particolare nei Mighty Flyers di Rod Piazza.

Poi nel 1996 con l’album strumentale Lookout e negli anni 2000, i famosi noughties, ha iniziato una carriera solista che lentamente lo ha portato alle luci della ribalta. Devo essere sincero e dirvi che i suoi album (già recensiti sul Busca) non mi hanno mai particolarmente entusiasmato, li ho sempre trovati “bellini”, tecnicamente ineccepibili ma un po’ come dire, turgidi. Faccio mea culpa, sulla scia di questo album in trio e delle ottime performances nelle ultimo bellissimo album di Mavis Staples anche se il disco del 2007, Late In The Night, al di là dell’ottima cover di Dylan continua a non entusiasmarmi.

Ma questo Twist-O-Lettz sì! Cosa è andato a pensare questo diavolo di un Holmstrom (perché l’idea è sua): mi prendo il mio batterista Stephen Hodges, chiamo il mio amico, l’armonicista e cantante John “Juke” Logan (che ha suonato con chiunque, dai Los Lobos a Ry Cooder, Etta James, Lucinda Williams, Dave Alvin, Leon Russell perfino John Lee Hooker e che è matto come un cavallo) e ci chiudiamo in un vecchio studio di registrazione, Pacifica Studio (The ‘Soul Cauldron’) a El Lay, California, tutti, musicisti, strumenti, equipaggiamenti selvaggi e vecchi impianti di amplificazione, microfoni vintage da tutte le parti, appesi al soffitto, nascosti, spariamo l’eco a mille e poi iniziamo a dare fuori da matti e improvvisare.

Il risultato, contro ogni aspettativa (o forse no) funziona alla grande: pensate ai grandi Houserockers di Hound Dog Taylor (indispensabile almeno un suo disco in una discoteca blues che si rispetti) o, in tempi recenti, i Black Keys, due formazioni senza bassista, rispettivamente per il boogie e per il roll, unite il Blues dell’armonica (e della voce) di Logan, la “follia” sonora, almeno in questo disco, di Rick Holmstrom che sperimenta una quantità di sonorità che dal blues originale passano per i primi grandi chitarristi rumoristi (Link Wray e Lonnie Mack, ma anche i Ventures e Cliff Gallup) del rock and roll.

Il risultato,si diceva, in alcuni brani è strepitoso e, in generale di ottima qualità: sentitevi i sei minuti iniziali della cover di The Land Of A Tousand dances di Chris Kenner (il titolo del disco prende il nome dalla sua band), il rollare della batteria, la voce filtrata e urlante, gli effetti di chitarra e il sound potente ma che viene pari pari da un qualche disco di R&R degli anni ’50, l’insieme sprigiona una energia incredibile e richiama, per certi versi, quanto in un ambito più blues facevano gli artisti della Fat Possum, poi quando le apparecchiature fischiano e scoppiettano sembra di essere in qualche laboratorio di sgangherati scienziati di film di serie B.

Anche quando prende il sopravvento l’anima più blues di Logan e la sua armonica fronteggia la chitarra di Holmstrom come nel blues più tradizionale di If I Should Die l’ambito sonoro “live” del disco è sempre presente e loro si divertono come pazzi. Be Home Soon con la bass-harp-from-hell (non sono normali!) di Juke Logan a segnare il ritmo e la chitarra di Holmstrom molto fifties è un altro buon esempio. Ma anche il blues atmosferico di Lone Wolf e quello più classico di Let’s Rock and Roll con la sua anima boogie piacciono.

Waitin’ Too Long è ancora un R&R molto coinvolgente mentre Jukestaposition (che titolo!) è un altro di quei momenti di misurata anarchia sonora, uno strumentale con l’armonica di Logan a duellare ancora una volta con la chitarra di Holmstrom, ma prima che il Rock venisse inventato. Ottimo anche il funky di I’d Like to see e la cavalcata freeform finale dell’ottima Ways of action per citarne ancora un paio ma tutto l’album è una piacevole sorpresa.

Bruno Conti