Un’Altra Perla Sbucata Dalle Nebbie Del Passato. The Steve Miller Blues Band – Live From The Fillmore West 1968

The Steve Miller Blues Band - Live From The Fillmore West 1968

The Steve Miller Blues Band – Live From The Fillmore West 1968 – Retroworld/Floating World Records

In questo ultimo periodo mi è capitato più volte di occuparmi di Steve Miller, incluso un lungo articolo retrospettivo pubblicato sul finire del 2019 https://discoclub.myblog.it/2019/12/07/steve-miller-band-tra-blues-rock-e-psichedelia-parte-i/ , ma quando dalle nebbie del passato miracolosamente appare qualche “nuova” testimonianza del periodo fine anni ‘60, tra blues e psichedelia, è quasi doveroso portarlo alla vostra attenzione. Come è il caso di questo Live From The Fillmore West 1968, un broadcast radiofonico della emittente KFA Radio, relativo a tre serate speciali del 26/27/28 Dicembre appunto del ‘68, dove il gruppo si esibì insieme a Sly And The Family Stone e ai Pogo (che da lì a breve sarebbero diventati i Poco di Richie Furay). Due o tre precisazioni: il disco è attribuito alla Steve Miller Blues Band, ma, come evidenzia la locandina dell’evento, erano già la Steve Miller Band, avendo pubblicato due album con quel nome durante l’anno, nelle note viene ricordato che Boz Scaggs non era presente, in quanto se ne era andato a Settembre ‘68, ma come mi pare di desumere da altro materiale degli archivi di Bill Graham https://www.wolfgangs.com/music/steve-miller-band/audio/20053982-6771.html?tid=4884717 , sembrerebbe ancora presente nella line-up della Band, almeno nella data del 29, quindi non una di queste, ma dubito che 3 date no e poi una sì, e comunque mi sembra proprio la sua voce, oltre che una canzone scritta da lui, l’iniziale Stepping Stone.

E infine, rispetto anche ad altri CD che riportano date dal vivo dell’epoca, soprattutto del ‘67, la qualità sonora non è perfetta ma è più che soddisfacente. E la chicca della serata è la presenza di Paul Butterfield all’armonica in alcune tracce: con loro ci sono Lonnie Turner al basso, Tim Davis alla batteria e Jim Peterman alle tastiere: a prescindere dalla formazione, il concerto è favoloso, appunto l’iniziale Stepping Stone è testimonianza della furia chitarristica di uno Steve Miller infoiato con il pedale wah-wah costantemente inserito per un brano di una potenza devastante, dove il nostro emula le evoluzioni di Hendrix in salsa psych-blues. Mercury Blues è un brano che Miller e soci avevano già eseguito al Monterey Pop Festival, e inciso nella colonna sonora di Revolution, canzone che poi sarebbe entrata a far parte del repertorio dei Kaleidoscope di David Lindley, anche in questo caso wah-wah a manetta con Steve che impazza per gli oltre sette minuti del brano, con la band che lo segue come un sol uomo.

In Blues With A Feeling il nostro amico invita Paul Butterfield sul palco per una sanguigna ripresa di questo classico del blues, uno slow di Little Walter dove Miller distilla dalla sua chitarra una serie di assoli degni di Magic Sam o Buddy Guy, ottimamente spalleggiato da un ispirato Butterfield, che poi rimane anche per la jam improvvisata di Butterfield Blues, con botta e risposta tra i due, e si sente anche un’altra chitarra, quindi probabilmente Scaggs era presente, ma io non c’ero quindi… Paul rimane sul palco anche per le sublimi volute psichedeliche di una sontuosa, lunga ed improvvisata Song For Our Ancestors, e anche Roll With It, un lato B dell’epoca ha profumi acidi e psych, come pure una lunga cover di un brano degli Isley Brothers (altri pionieri del rock e del soul miscelati tra loro, come Sly Stone che divideva il palco con Miller in quella serata) quasi dieci minuti di blues-rock tirato e di grande potenza, con Steve sempre impegnatissimo alla solista, con Peterman di supporto all’organo, oltre alla seconda chitarra, e qualche deriva funky aggiunta come sovrappiù alle operazioni, con il gruppo in un continuo crescendo irresistibile.

Steve Miller Band Vintage Concert Poster from Fillmore West, Dec 26, 1968 at Wolfgang's

Drivin’ Wheel è una cover di Roosevelt Sykes che Miller suona dal vivo ancora oggi , un altro blues che parte lento e poi diventa un brano di grande intensità, anche con forti connotazioni rock, e ancora un electric blues Chicago style come Bad Little Woman, per concludere in gloria una splendida esibizione, sempre con uno Steve Miller molto ispirato alla chitarra. Una piacevole sorpresa. *NDB Documenti sonori di quel concerto in rete non ce ne sono, vi dovete comprare il CD, quindi ne ho messi un paio sempre del 1968, ma vi assicuro che la qualità del suono di questo Live From The Fillmore West benché lungi dall’essere perfetta è nettamente superiore, e raramente mi è capitato di sentire la Steve Miller Band suonare così bene dal vivo.

Bruno Conti

Steve Miller Band – Tra Blues, Rock E Psichedelia! Parte II

stevemillerband_733ateve miller band 2010's

Seconda parte.

Gli Anni del Grande Successo 1976-1983 (Mercury Years In Europa)

220px-Steve_Miller_Band_Fly_Like_an_Eagle

Fly Like An Eagle – Capitol 1976 ****

Da questo album in avanti I dischi della Steve Miller Band in Europa cominciano ad uscire per la Mercury, mentre in America rimangono su etichetta Capitol. Il successo si fa travolgente, i dischi vendono a vagonate (questo LP 4 milioni di copie) ma la qualità è ottima, come pure le critiche: ormai il nostro amico ha perfezionato quello space-rock-blues (esemplificato dalla Space Intro posta in apertura) che aveva sperimentato per la prima volta su The Joker. Aiutato dal suo “nuovo” trio dove Lonnie Turner è rientrato al basso e Gary Mallaber è il batterista perfetto, Miller è diventato anche un provetto creatore di singoli di successo, con riff immediati e un suono solare ed accattivante, Fly Like An Eagle, Take the Money And Run e Rock’n Me sono tre perfetti esempi di questo rock fruibile, “scivolante” e tipicamente americano, con Steve che oltre a suonare le chitarre si occupa anche delle tastiere, tra cui il famoso synth ARP Odyssey per gli effetti spaziali, e produce pure.

Forse non tutto l’album è indimenticabile come i tre brani principali, ma Wild Mountain Honey, con Miller anche al sitar, è fascinosa e sognante, la cover di Mercury Blues di KC Douglas (di cui ricordo una versione micidiale di David Lindley su El-Rayo X), ancora una volta attinge dal suo grande amore per le 12 battute, Serenade ha lo stesso incipit di All Along The Watchtower, e Dance Dance Dance, con John McFee al dobro, sembra un brano di John Denver o dei Poco, ma di quelli belli, e pure la cover di You Send Me di Sam Cooke non sfigura. Sweet Maree è il blues che non può mancare, con James Cotton all’armonica e anche la dolce The Window posta in conclusione è un buon brano.

220px-Bookofdreamsalbum

Book Of Dreams – Capitol 1977 ****

Le canzoni di questo album sono state registrate, come detto, nelle stesse sessions del precedente disco, quindi il suono e l’approccio musicale sono gli stessi: Jet Airliner è il mega successo del LP, ma anche gli altri due singoli Swingtown e Jungle Love, scritta con Greg Douglass, che suona la slide nel brano, sono di ottima fattura. Solita intro spaziale in Threshold, seguita dal riff irresistibile di Jet Airliner, poi Winter Time, con l’amico Norton Buffalo all’armonica, delicata ballata elettroacustica di stampo West Coast, la galoppante Swingtown, questa volta con il coretto preso in prestito da The Lion Sleeps Tonight, e un altro tuffo nei sixties “millerizzati” di True Fine Love.

Mentre tra i brani non memorabili il pseudo prog della sintetica Wish Upon A Star e il finto celtic rock di Babes In The Wood.  Decisamente meglio la ricordata Jungle Love, altro riff’n’roll à la Miller, la morbida psichedelia di Sacrifice e My Own Space, The Stake che ricorda (vagamente) Rocky Mountain Way di Joe Walsh. Forse un filo inferiore a Fly Like An Eagle, ma ancora un ottimo album. Nel 1978 esce Greatest Hits 1974-1978****, che vende un “gazilione” di copie (14 milioni per la precisione) e contiene ben sette brani di Book Of Dreams.

220px-Circleoflove

Circle Of Love – Capitol 1981 ***

A questo punto si poneva il problema di un nuovo album, Byron Allred è il nuovo tastierista, ma Miller sembra avere esaurito il meglio del suo repertorio e anche se “Paganini non ripete”, lui lo fa, in peggio, con le canzoni del nuovo album. La lunga Macho City che occupa l’intera seconda facciata del disco è un cosiddetto space blues, che però vira pericolosamente verso il disco-rock e l’approccio parlato che vorrebbe essere simile allo Zappa  più commerciale in effetti è solo noioso e ripetitivo, e si anima solo per brevi tratti. Le quattro canzoni del primo lato forse sarebbero state un discreto mini album: Heart Like A Wheel, tra surf e Buddy Holly, Get On Home, un rockettino leggero leggero, il doo-wop di Baby Wanna Dance e la title track Circle Of Love un pop gradevole alla Beach Boys con belle armonie vocali e un paio di assoli raffinati di Miller, un po’ poco invero, e il disco non vendette neppure molto.

220px-AbracadabraSM

Abracadabra –Capitol 1982 **1/2

Il disco seguente è forse anche peggio, molta musica pop ma eseguita con un sound pseudo New Wave, infarcito di tastiere, come nell’iniziale Keeps Me Wondering Why, oppure la disco-rock di Abracadabra molto anni ’80, e pure Something Special nonostante la presenza di Greg Douglass o il singolo sixties Give It Up, tra doo-wop e Beach Boys, non brillano molto. Never Say No ricorda il sound di Greg Kihn che l’anno dopo avrà successo con Jeopardy, Things I Told You sembra un brano dei Police meno ispirati e così via fino alla fine del disco, che però va al n°3 delle classifiche e vende un milione di copie.

220px-Steve_Miller_Band_Live

Steve Miller Band – Live! – Capitol 1983  ***1/2

Non un disco dal vivo memorabile, ma ci sono tutti i successi, incisi nel tour del 1982: formazione ampliata per aggiungere i due chitarristi extra, già presenti nel disco precedente, John Massaro e Kenny Lee Lewis, oltre a Norton Buffalo all’armonica che cerca di fare del proprio meglio per dare varietà alle versioni, in parte riuscendoci, anche se sono spesso molto simili a quelle dei dischi in studio: però Gangster Of Love, Rock’n Me, una bluesy Living In The Usa, Fly Like An Eagle, Jungle Of Love, The Joker, una pimpante Mercury Blues, con Steve Miller finalmente grintoso alla chitarra, Take The Money And Run, Abracadbra (no questa no), Jet Airliner, tutte in fila, fanno il loro effetto. Peccato che Buffalo’s Serenade un “bluesone” strumentale di quelli duri e puri non fosse presente nel disco originale, ma solo come bonus nella edizione in CD (però nelle edizioni successive non c’è più, neppure nel box di inediti e rarità Welcome To the Vault).

Dal 1985 a oggi, tra alti (pochi) e bassi.

Italian X-Rays – Capitol 1984  ** Per la serie non c’è fine al peggio Italian X-Rays, come direbbe il La Russa di Fiorello “ è veramente brutto”, un disco elettronico e sintetico dove non si salva nulla, neanche le vendite (forse, a cercare col lanternino Golden Opportunity). Di Living in the 20th CenturyCapitol 1986 – **1/2 salviamo, molto a fatica, la sequenza rock e blues di I Wanna Be Loved, My Babe, Big Boss Man, Caress Me Baby (un bel slow) e Ain’t That Lovin You Baby, anche se il sound è spesso pessimo. Forse la migliore Behind The Barn con doppia armonica, Norton Buffalo/James Cotton. Born To Be Blue – Capitol 1988 – **1/2, il primo disco solo di Steve Miller senza band, sulla carta è interessante, con il ritorno di Ben Sidran alle tastiere, e una selezione di jazz standards, ma il suono, con poche eccezioni, e nonostante la presenza di Milt Jackson e Phil Woods, è spesso turgido, tra smooth jazz e fusion di seconda mano, a meno che amiate il genere.

Wide River – Polydor 1993 *** prova a tornare al rock degli anni ’70, o quantomeno ci prova, diciamo che si lascia ascoltare, ogni tanto c’è anche un po’ di grinta come in Blue Eyes, qualche “riffettino” come in Cry Cry Cry e un accenno di 12 battute in Stranger Blues e nella cover (all’acustica) di All Your Love di Otis Rush, ma l’assolo di sax di Bob Mallach, grazie, ma anche no. Diciamo un 6 politico: dobbiamo poi aspettare 17 anni per avere Bingo! – Roadrunner 2010 ***/12, un più che valido disco di blues elettrico che ci riporta ai temi musicali che tanto lo avevano influenzato nella sua giovinezza.

Il disco vede l’ultima apparizione di Norton Buffalo, scomparso a ottobre del 2009 e comunque nell’insieme fa la sua porca figura, entrando anche nella Top 40 USA: Hey Yeah è un solido pezzo rock-blues scritto da Jimmie Vaughan, con Steve Miller che va anche di Wah-Wah  alla grande, Who’s Been Talkin’ è il classico di Howlin’ Wolf, suonato con forza e impeto, con Norton Buffalo ottimo all’armonica, eccellente All Your Love, con Mike Carabello dei Santana alle percussioni, niente a che vedere con la versione moscia di Wide River, molto buoni anche i due duetti con Joe Satriani, Rock Me Baby di BB King, accelerata e potente, e un brano scritto nel 1994 dalla strana accoppiata Nile Rodgers/ Jimmie Vaughn, la soul ballad Sweet Soul Vibe, per non dire del call and response vocale con Sonny Charles nella cover di Tramp di Lowell Fulson, e anche una fantastica Come On (Let The Good Times Roll) che rende omaggio a Jimi Hendrix (ottime anche le quattro bonus della versione Deluxe). Comunque è tutto l’album che funziona, ci voleva tanto a farlo?

Già che c’era, per riprendere un usanza del passato Steve Miller incide anche insieme Let Your Hair Down – Roadrunner 2011 ***1/2, che viene pubblicato l’anno successivo, stessi musicisti e ancora una ottima selezione di brani rock e blues, di nuovo degni della sua reputazione: Snatch It Back And Hold It di Buddy Guy, con la grinta e la verve della versione originale, I Got Love If You Want It  di Slim Harpo fantastica e hendrixiana, Close Together di Jimmy Reed dai profumi R&R, Pretty Thing con il classico drive alla Bo Diddley, una Can’t Be Satisfied di Muddy Waters che è puro Chicago Blues, Sweet Home Chicago à la Butterfield Blues Band, un altro scatenato R&R come The Walk.

Comunque  tutte le altre canzoni (bonus delle Deluxe incluse) sono eccellenti, con Miller che suona la chitarra veramente alla grande: come nel disco precedente oltre a Miller cantano anche Norton Buffalo, Sonny Charles, Kenny Lee Lewis, il tastierista Joseph Wooten e il bassista Billy Peterson.

Se volete, oltre al Live del 1983, tra i dischi dal vivo si possono segnalare anche The Joker (Live) ***1/2 uscito nel 2014 nel 40° anniversario del disco originale https://discoclub.myblog.it/2015/11/15/40-anniversario-piccolo-classico-del-rock-steve-miller-band-the-joker-live-concert/ , per l’etichetta personale di Miller, la Sailor, distribuita dalla inglese Edsel che è la stessa che ha ripubblicato anche molti dei vecchi album della Steve Miller Band in CD, spesso con l’aggiunta di bonus tracks; dello stesso anno anche Live at the Carousel Ballroom , San Francisco, April 1968 ***1/2 della Keyhole, anche se la qualità sonora non è eccelsa, interessante pure tra i live radiofonici Giants Stadium, East Rutherford N.J. 25-06-78 **** della Echoes, per certi versi superiore al disco dal vivo ufficiale del 1982/83, fin troppo striminzito, molto meglio questo radiofonico https://discoclub.myblog.it/2015/04/11/stadium-rock-depoca-steve-miller-giants-stadium-east-rutherford-n-j-25-06-78/ .

E’ tutto. Senza dimenticare il quadruplo Welcome To The Vault  Capitol 2019****, 3 CD + DVD, di cui avete già letto sul Blog la recensione completa https://discoclub.myblog.it/2019/10/29/cofanetti-autunno-inverno-4-uno-scrigno-di-tesori-finalmente-a-disposizione-di-tutti-steve-miller-band-welcome-to-the-vault/  e che è stato quello che ha scatenato la scintilla per questa retrospettiva dedicata all’artista di Milwaukee.

Bruno Conti

Steve Miller Band – Tra Blues, Rock E Psichedelia! Parte I

steve miller band 1steve miller band 1968

Le origini

La “ storia” di Steven Haworth (detto Steve) Miller merita di essere ricordata a grandi linee. Figlio di una coppia benestante di Milwaukee negli anni di metà secolo scorso, nato nel 1943 durante la Seconda Guerra Mondiale, con la mamma  Bertha, appassionata di canto jazz, e il padre George, che alla sua professione di medico patologo univa una passione sfrenata per la musica, oltre ad essere anche un eccellente ingegnere del suono dilettante, il giovane Steve sin dall’infanzia era abituato ad avere la casa visitata regolarmente da musicisti, in special modo la coppia formata da Les Paul (suo padrino) e Mary Ford, dei quali i genitori furono testimoni di nozze. Poi, dopo il trasferimento a Dallas in Texas, altri musicisti iniziarono a frequentare casa Miller,  gente come Charles Mingus, Tal Farlow, T-Bone Walker, con quest’ultimo che insegnò al piccolo Steve trucchetti come suonare la chitarra dietro la schiena e con i denti (ricorda un certo Jimi), oltre alla passione per il blues:quando a metà anni ’50 arriva alle scuole medie a Dallas, forma la sua prima band, i Marksmen (dal nome della scuola) , insieme al fratello Buddy al basso, e all’amico Boz Scaggs, a cui a sua volta insegna i primi rudimenti della chitarra. A questo punto la strada è tracciata, alla fine delle scuole superiori Miller torna nel Wisconsin per frequentare l’Università e nel 1962 forma gli Ardells, ancora con Boz Scaggs e un altro musicista importante per i futuri sviluppi, ovvero Ben Sidran, alle tastiere.

Dopo un semestre di studi in Danimarca e a poche ore dalla laurea in letteratura abbandona la scuola, con l’appoggio della mamma e le perplessità del babbo, e si trasferisce ancora una volta, in quel di Chicago, la culla del nascente blues  bianco elettrico americano, e dell’affermata scuola nera capitanata da Muddy Waters e dagli altri artisti della Chess,. Incoraggiato dai nuovi amici, tra cui Paul Butterfield, col quale lavora brevemente, forma insieme al tastierista Barry Goldberg, la Goldberg-Miller Blues Band che pubblicherà solo un singolo nel 1965. Poi torna in Texas per un ultimo tentativo di completare gli studi universitari, ma deluso dall’ambiente rinuncia di nuovo e con un pullmino Volkswagen parte alla volta di San Francisco, la nuova mecca della musica rock. Vede la Butterfield Blues Band e i Jefferson Airplane al Fillmore e decide di restare e provarci anche lui.

Steve Miller Band Psychedelic Years 1968-1970

All’inizio, nel 1966, la band si fa chiamare Steve Miller Blues Band, ma già l’anno successivo Blues sparisce dal moniker e accompagnano Chuck Berry nell’ottimo Live At Fillmore Auditorium (***1/2 Mercury 1967): insieme a Steve Miller, chitarra e armonica, ci sono JIm Peterman alle tastiere, Lonnie Turner al basso e Tim Davis alla batteria, lo stesso anno partecipa al Festival di Monterey. Agli inizi del 1968 rientra in formazione anche Boz Scaggs, seconda voce e chitarra, e tutti si recano a Londra insieme per registrare il primo album con il grande produttore Glyn Johns (si farebbe prima a dire con chi non ha lavorato, ma diciamo che è passato con tutti i grandi, Beatles, Stones, Led Zeppelin e Who può bastare?).

220px-Children_of_the_Future_(Steve_Miller_Band_album_-_cover_art)

Children Of The Future – Capitol 1968  ****

Un grandissimo album , spesso  sottovalutato, ma risentito in questi giorni per la stesura di questo articolo, ancora una volta mi ha sorpreso. Ci sono delle analogie con Sgt. Pepper dei Beatles, in quanto le canzoni fluiscono una nell’altra senza soluzione di continuità, e anche alcune sonorità profumano di quella psichedelia gentile tipicamente britannica dell’epoca. Glyn Johns opta per un suono caldo e da avvolgente: i primi 3 brani, Children Of The Future e altri due brevi frammenti già indicano il sound d’assieme, In My First Mind non ha nulla invidiare ai Pink Floyd bucolici degli inizi, con il piano e l’organo di Peterman in grande spolvero, anche con rimandi a Moody Blues e al nascente Canterbury Sound per gli eccellenti intrecci vocali, con The Beauty of Time Is That It’s Snowing (Psychedelic B.B.) che nel sottotitolo cita esplicitamente la psichedelia e nel sound ci sono anche elementi blues e del futuro suono rock della Sreve Miller Band anni ’70.

I primi due brani del lato B sono scritti e cantati da Boz Scagss: Baby’s Calling Me Home, un sognante baroque folk, Steppin’ Stone un vibrante blues elettrico che anticipa il disco omonimo del 1969 dove Scaggs collaborerà con Duane Allman, soprattutto nella fantastica Loan Me A Dime, un blues lento tra i più belli della storia, sentire il lavoro di Allman per credere https://www.youtube.com/watch?v=oTFvAvsHC_Y , e comunque anche Steve Miller è molto efficace, con le successive Roll With It e Junior Saw It Happen che sono puro acid rock westcoastiano del 1968, prima di lasciare spazio di nuovo al blues in Fanny Mae, con Miller anche all’armonica ed ad una cover di Key To The Highway che è classico electric blues.

220px-SailorMiller

Sailor – Capitol 1968 ***1/2

La stessa formazione, sempre con Johns alla console, si trasferisce in giugno a Los Angeles per registrare il secondo album Sailor, che verrà pubblicato ad ottobre. Ancora con questa eccellente commistione di  blues psichedelico: Song For Our Ancestors non ha nulla da invidiare al suono acido e ricercato della West Coast, sempre però anche con elementi britannici, mentre Dear Mary sembra quasi una outtake dei Beatles del White Album, sognante ed intima, con Scaggs che contribuisce all’album con tre brani, il blues-rock di My Song che ricorda il sound brillante dei Moby Grape, Overdrive uno strano blues quasi dylaniano con uso di slide e Dime-A Dance Romance, un altro pezzo rock in stile californiano, tra Spirit e Jefferson.

Living In The Usa un incalzante rock con elementi blues e R&B è il primo singolo ad entrare nelle classifiche Usa, mentre Quicksilver Girl è una deliziosa ballata psych con elementi pop quasi alla Beach Boys, è verrà ripescata anche per la colonna sonora del “Grande Freddo” nel 1984. Lucky Man è il piacevole contributo del tastierista Peterman che la canta, mentre l’organo imperversa, Gangster Of Love è una brevissima cover del brano di Johnny “Guitar” Watson,  in pratica solo il riff del brano, per introdurre uno degli pseudonimi usati da Steve Miller, che poi torna all’amato blues per una cover di You’re So Fine di Jimmy Reed. Ancora un buon disco, anche se leggermente inferiore all’esordio.

220px-Steve_Miller_Band_-_Brave_New_World

Brave New World – Capitol 1969 ***1/2

Si tratta del primo album senza Scaggs e Peterman che se ne erano andati alla fine del 1968, il secondo sostituito alle tastiere dall’ottimo Ben Sidran (e in un brano, la liquida ballata Kow Kow al piano c’è Nicky Hopkins). Nel disco, registrato sempre in California, spicca però una canzone registrata agli Olympic Studios di Londra, dove appare Paul McCartney con lo pseudonimo di Paul Ramon (da cui presero ispirazione a loro volta i Ramones, per il nome della band): il brano My Dark Hour, un potente rock chitarristico, è una improvvisazione tra Paul e Steve Miller e proprio il riff di chitarra verrà poi usato nel 1976 per Fly Like An Eagle (della serie non si butta mai via nulla).

Invece in Space Cowboy, un altro dei nomignoli di Miller, che la scrive insieme a Sidran, se il riff  vi ricorda qualcosa, “l’ispirazione” arriva da Lady Madonna. Sempre prodotto da Johns nel disco non mancano comunque i consueti elementi psichedelici come nella estatica title-track o nella vibrante e solare Celebration Song, scritta sempre con Sidran e con le armonie vocali di McCartney; il bassista Tim Davis scrive e canta nella potente scarica rock di Can’t You Hear Your Daddy’s Heartbeat, ed è la voce solista anche nel delizioso folk-blues LT’s Midnight Train, firmata dal batterista  Lonnie Turner. Ci sono altri tre brani firmati dalla coppia Miller/Sidran, lo strano psych blues con armonica di Got Love ‘Cause You Need It, la morbida e westcostiana ballata Seasons e la ricordata Space Cowboy.

220px-Your_Saving_Grace_(Steve_Miller_Band_album_-_cover_art)

Your Saving Grace – Capitol 1969 ***

Sempre nel 1969, a novembre, per mantenere la media dei due dischi all’anno, esce Your Saving Grace, lo stile è simile a quello del disco precedente, ma nell’insieme meno soddisfacente: solita equa e democratica divisione dei brani, uno a testa per Davis e Turner, uno della coppia Miller/Sidran, una cover di Motherless Childern che però fatica a decollare, forse il brano più interessante è la lunga Baby’s House scritta in coppia con Nicky Hopkins, che peraltro non è memorabile, anche se il tastierista inglese ci mette del suo. Ultimo disco a essere prodotto da Glyn Johns.

220px-Number5SM

Number 5 – Capitol 1970 ***

Il disco è prodotto dallo stesso Miller, e ci sono vari raddoppi di funzioni: un altro bassista Bobby Winkelman, nella tirata e dagli echi Beatlesiani, Good Morning, due tastieristi, con Hopkins che affianca Sidran, con Lee Michaels che si aggiunge all’organo per Going To Mexico, un  solido pezzo rock-blues  tipico di Miller, scritto con Boz Scaggs; non male ma non entusiasmante la bucolica I Love You, addirittura un tuffo “Campagnolo” nella comunque vibrante Going To The Country con grande finale chitarristico di  Miller, dove appaiono Charlie McCoy all’armonica e il violinista Buddy Spicher, mentre nel country-rock di Tokin’s del batterista Tim Davis (che l’anno dopo se ne andrà) ci sono anche Wayne Moss alla chitarra e Bobby Thompson al banjo. Hot Chili, come da titolo, aggiunge divertenti atmosfere Tex-Mex con tanto di trombe mariachi e anche una Steve Miller’s Midnight Tango, scritta da Sidran, diciamo non indimenticabile, come pure Industrial Military Complex Hex, che però in nuce ha il sound futuro della SMB anni ’70. Miller va anche di wah-wah nella lunga Jackson-Kent Blues, un gagliardo pezzo rock, forse il brano migliore del disco.

RLSM

Rock Love – Capitol 1971 **1/2

Le critiche per questo album (dove non è presente nessuno dei musicisti dell’album precedente) non furono particolarmente tenere: registrato metà dal vivo, i tre brani della facciata A, dove Miller è accompagnato dai  Frumious Bandersnatch, la band di Winkelman, dove militava anche Ross Valory, il futuro bassista dei Journey, e tre pezzi  in studio. A me a tratti non dispiace, i primi due brani sono registrati a Hollywood, ma in Florida, una piacevole The Gangster Is Back e lo slow Blues Without Blame, mentre la lunghissima Love Shock arriva da Pasadena, un rock-blues quasi hendrixiano con esteso uso del wah-wah da parte di Steve, anche se i lunghi assoli di batteria e basso nel finale non aiutano.

Dei pezzi in studio Rock Love, classico brano alla Miller, non è male, ma la morbida Harbor Lights e la lunga e strumentale Deliverance, anche con intermezzo scat di Steve, sono piuttosto prolisse. Il LP fu pubblicato dalla Capitol senza il consenso di Miller, mentre il musicista si stava riprendendo da un incidente con la motocicletta.

220px-Miller_recall

Recall the Beginning…A Journey from Eden – Capitol 1972 – ***

Per questo album ritorna Ben Sidran, che è anche il produttore del disco, ma come il precedente si rivelerà un flop commerciale, benché il LP non sia poi brutto, con Jim Keltner, Jack King e Roger Allan Clark, che si alternano alla batteria con Gary Mallaber (che poi sarà con la SMB negli anni d’oro dal 1976 al 1987), Gerald Johnson al basso e Jesse Ed Davis, seconda chitarra in Heal Your Heart, e con Miller che introduce il suo terzo alter ego in Enter Maurice. Proprio questo brano inizia ad inserire in modo embrionale quelle scansioni ritmiche che da lì a poco faranno la fortuna della band, anche se i coretti…insomma. E anche l’uso saltuario di archi e fiati forse è un po’ ridondante: in High Your Mama il nostro va di falsetto, mentre il pezzo con Jesse Ed Davis è un buon blues-rock vagamente alla Little Feat, Somebody Somewhere Help Me, con fiati, sembra quasi una canzone dei Doobie Brothers o dello Stills più scanzonato, Love’s Riddle una ballata sognante alla Crosby. Insomma il nostro deve ancora decidere bene cosa fare, anche se in Fandango e in Journey From Eden si intravede qualcosa del futuro sound.

220px-TheJoker

The Joker – Capitol 1973 ***1/2

Poi di colpo, sulle ali di un brano fortunato, arriva il successo clamoroso: album al n°2 nelle classifiche Usa, un milione di copie vendute, il singolo al primo posto. La formula classica del rock americano di Steve Miller deve ancora essere messa bene a punto. Però il riff e il ritornello di The Joker sono veramente irresistibili, uno dei brani dove rock e pop si incontrano in modo perfetto. Ottime anche l’iniziale Sugar Babe, una brillante rock song a tutto riff, Mary Lou con divertenti echi sixties, lo scioglilingua della ritmatissima Shu Ba Da Du Ma Ma Ma Ma, guidata dal basso super funky di Johnson, futuro cavallo di battaglia live, Your Cash Ain’t Nothin’ but Trash che è il seguito di Space Cowboy e The Gangster Of Love.

Nella seconda parte non mancano alcune tracce blues come The Lovin’ Cup, Come On in My Kitchen di Robert Johnson, dal vivo a Philadelphia, come la successiva Evil. Conclude il disco Something to Believe In, una ballatona country con Sneaky Pete Kleinow alla pedal steel.  Dal disco verranno tratti in tutto quattro singoli usciti tra il 1973 e il 1975. Prima del ritorno nel 1976 con il nuovo album, che viene già registrato però tra il 1975 e il 1976.

Fine prima parte.

Bruno Conti

Cofanetti Autunno-Inverno 4. Uno Scrigno Di Tesori, Finalmente A Disposizione Di Tutti! Steve Miller Band – Welcome To The Vault

steve miller band welcome to the vault

Steve Miller Band – Welcome To The Vault – Capitol/Universal 3CD/DVD Box Set

Nel mese di Novembre Bruno vi intratterrà con una dettagliata retrospettiva dedicata a Steve Miller, musicista molto popolare negli anni settanta ed ottanta con la sua Steve Miller Band: io oggi mi occupo invece di Welcome To The Vault, nuovissimo cofanetto che per la prima volta vede pubblicate diverse canzoni provenienti dagli archivi del cantante-autore-chitarrista di Milwaukee. Siccome le note biografiche sul personaggio le potrete leggere già nel post del titolare di questo blog, io mi limiterò alla recensione “nuda e cruda” del contenuto del box, che in tre CD più un DVD (ma esiste anche una versione audio singola intitolata Selections From The Vault) ripercorre tutto il cammino di Steve ponendo però l’accento su parecchie tracce sconosciute, con versioni alternate di pezzi noti, riletture dal vivo, cover incise in studio e addirittura ben cinque canzoni originali mai sentite prima. Steve aveva già pubblicato in passato qualche brano inedito, ma mai con una tale generosità: infatti su 52 pezzi totali (parlo della parte audio) ben 38 compaiono qui per la prima volta, e la bellezza del manufatto (una splendida confezione formato libro con numerose foto, note del noto giornalista David Fricke e crediti canzone per canzone, con in omaggio anche un poster, diverse cartoline e dieci plettri multicolori, oltre ad una suggestiva copertina lenticolare) è la ciliegina sulla torta che fa sì che il box sia da considerarsi imperdibile.

Sì, perché al suo interno troviamo davvero tantissima grande musica, da parte di un artista spesso sottovalutato e bistrattato dalla critica per la sua scelta, specie dagli anni settanta in poi, di specializzarsi nella scrittura di brani pop-rock di stampo californiano di sicuro impatto e grande successo (come se la capacità di scrivere hits di qualità fosse un demerito), tralasciando in parte il blues e la psichedelia di inizio carriera. Ma il blues è sempre stata la sua vera passione, ed in questo cofanetto ce n’è a volontà, sia in studio che soprattutto dal vivo, spesso in versioni lunghe ed infuocate. Non dimentichiamo che la SMB ha sempre avuto ottimi musicisti al suo interno, ed è stata anche trampolino di lancio per nomi del calibro di Boz Scaggs, Ben Sidran e Ross Valory (che diventerà il bassista dei Journey fino ai giorni nostri), oltre ad ospitare nei seventies il noto armonicista Norton Buffalo. Il box comprende anche dei brani editi, un po’ come American Treasure di Tom Petty, ma mentre nel caso del compianto rocker della Florida la scelta cadeva su canzoni meno conosciute, qua le hits non mancano, e nelle versioni più note (The Joker, Fly Like An Eagle, Abracadabra): sinceramente non capisco questa scelta, in quanto un neofita difficilmente si comprerà questo box, mentre i fan di Steve conoscono già questi brani a menadito (anche se riascoltarli fa sempre piacere). Ma passiamo ad una disamina disco per disco, premettendo che mi limiterò soltanto alle tracce mai sentite prima.

CD1. Il cofanetto comincia subito con tre inediti dal vivo, il primo dei quali è una straordinaria Blues With A Feeling di Little Walter, dieci minuti registrati nel 1969 in trio con Lonnie Turner e Tim Davis, un torrido slow blues che ci fa subito capire che Steve nel compilare il box ha fatto le cose sul serio: grande performance chitarristica del leader, ed è solo l’inizio. Una tosta versione della vibrante Don’t Let Nobody Turn You Around precede altri nove imperdibili minuti della fantastica Super Shuffle (siamo nel 1967), uno strumentale chitarristico a tutto ritmo nel quale il nostro ed i suoi compagni andavano già come treni: tra le cose più belle del box. Ci sono diverse versioni alternate di brani noti di Steve, a partire dall’hendrixiana Industrial Miltary Complex Hex, per proseguire con un’intima rilettura acustica di Kow Kow Calculator (1973, quattro anni dopo la versione originale), un demo del 1966 di Going To Mexico in cui Miller suona tutti gli strumenti, il sognante pop psichedelico Quicksilver Girl (con Scaggs alla seconda chitarra), una strepitosa Jackson-Kent Blues di otto minuti e mezzo anche meglio dell’originale ed una Seasons ancora con solo Steve alla voce e chitarra. Dal vivo abbiamo anche una fenomenale rilettura del classico di Robert Johnson Crossroads che non ha tanta paura di quella dei Cream (ma come suona Steve?) ed una scintillante Never Kill Another Man, acustica e folkeggiante con quattro voci all’unisono, molto CSN&Y. Dulcis in fundo, questo primo dischetto offre anche le prime due canzoni totalmente inedite, e se Hesitation Blues è una tenue ballata acustica che dura meno di due minuti, Say Wow è un gradevole midtempo blues che avrebbe potuto benissimo trovare posto su qualsiasi album del nostro.

CD2. I primi brani unreleased che troviamo sono due versioni della nota Space Cowboy, la prima solo strumentale ed embrionale (dura poco più di un minuto), mentre la seconda è registrata dal vivo nel ’73, ed è trascinante sebbene non incisa benissimo. Le “alternate versions” continuano con una doppia Rock’n Me (uno dei più grandi successi della SMB), la prima full band con Buffalo all’armonica e la seconda a livello di demo, una True Fine Love non particolarmente rifinita ma sempre molto bella, la grintosa The Stake, un blues di gran lusso, e due riletture di classici come My Babe di Willie Dixon e All Your Love (I Miss Loving) di Otis Rush, non inferiori a quelle finite rispettivamente su Living In The 20th Century e Wide River. Le chicche di questo secondo CD sono però le cover inedite registrate in studio: una potente Killing Floor (Howlin’ Wolf), blues e ritmo che vanno a braccetto, un’intensa Tain’t The Truth di Allen Toussaint, che assume la veste di una ballata anni sessanta, la coinvolgente Freight Train Blues di Roy Acuff, decisamente più blues che country (ma perché non pubblicarla?), una vibrante Double Trouble ancora di Otis Rush, ed una squisita Love Is Strange (Mickey & Sylvia, ma anche i Wings di Wild Life) dall’arrangiamento quasi reggae. La ciliegina sono i due brani scritti da Steve e mai sentiti prima, cioè il godibile rock’n’roll strumentale Echoplex Blues e soprattutto That’s The Way It’s Got To Be, una canzone davvero ottima, una calda ballata melodicamente impeccabile ed impreziosita dalla slide di Les Dudek, altro pezzo che non mi spiego come possa essere rimasto nascosto fino ad oggi.

CD3. Si inizia con una bella e rilassata registrazione live (1990) del blues di Jimmy Reed I Wanna Be Loved, in cui il nostro duetta chitarristicamente con il leggendario Les Paul, solo due chitarre ed un basso ma godimento alle stelle. Gli inediti di questo terzo dischetto sono perlopiù versioni alternate, comunque decisamente interessanti, a partire da una Fly Like An Eagle dall’arrangiamento più funky rispetto all’originale e registrata due anni prima. Poi abbiamo un demo chitarra-basso-batteria di The Window (canzone splendida in ogni caso), due ottime e vitali prime versioni di Mercury Blues e Jet Airliner ed una fluida Swingtown. Finale in deciso crescendo con una sontuosa Take The Money And Run dal vivo nel 2016 al Lincoln Center di New York con Jimmie Vaughan come axeman aggiunto ed una sezione fiati, strepitosa rilettura ricca di swing, seguita dall’ultimo inedito assoluto del box, Bizzy’s Blue Tango, una scintillante rock song strumentale dal mood coivolgente che giustamente è stata tirata fuori dai cassetti (è del 2004). Il cofanetto si chiude in maniera particolare, e cioè con due versioni molto diverse del blues di T-Bone Walker Lollie Lou: la prima è una registrazione inedita del 1951 proprio dello stesso T-Bone (con un pianista ed un bassista non accreditati) e proprio a casa di Steve, di fronte al padre del nostro che era amico del grande bluesman, mentre la seconda è eseguita dalla SMB ancora nel 2016 a New York con Vaughan, adattamento jazzato e decisamente raffinato.

Il DVD (che non ho ancora visto) contiene diverse cose molto interessanti, a partire da un concerto del 1973 (Don Kirshner Rock Concert) di undici pezzi, seguito da due brani del 1990 con Les Paul e varie cose come la partecipazione della SMB al mitico Monterey Pop Festival del 1967, due canzoni al Fillmore West nel 1970, un pezzo del ’74 insieme a James Cotton, Abracadabra in Michigan nell’82 e due brani tratti dall’Austin City Limits del 2011.

Se quest’anno a Natale volete farvi fare un bel regalo, questo cofanetto potrebbe essere un’ottima idea.

Marco Verdi

Novità Prossime Venture 18. Steve Miller Band – Welcome To The Vault: L’11 Ottobre La Band Apre I Propri Archivi Per Questo Box Retrospettivo.

steve miller band welcome to the vault

Steve Miller Band – Welcome To The Vault – 3CD + 1 DVD Capitol -11-10-2019 

All’inizio di questa decade la Edsel Uk ha ristampato in CD quasi tutti gli album della Steve Miller Band, alcuni anche potenziati con delle bonus tracks: attualmente la maggior parte sono già andati fuori produzione, ma in rete si trovano ancora quasi tutti. In tempi più recenti la Capitol ha immesso sul mercato in due volumi l’integrale del gruppo in versione vinile. Ora è annunciata l’uscita di questo cofanetto che va a pescare negli archivi della band californiana proponendo in un box quadruplo 52 tracce audio e 21 performance video su DVD (forse la parte più interessante), di cui la bellezza di 38 non sono state mai pubblicate e con 5 canzoni mai ascoltate prima d’ora, insieme a moltissime versioni alternative e dal vivo, registrate dal 1966 agli anni novanta, e alcune canzoni anche da esibizioni live del 2011 e 2016, anno in cui è stata “indotta” nella Rock And Roll Hall Of Fame.

Molto interessante anche il librone rilegato inserito nella confezione, ricco di foto, e con un saggio di oltre 9000 parole curato dal noto giornalista David Fricke e altra memorabilia varia che trovate effigiata sopra. Magari in un prossimo futuro dedicheremo un bell’articolo retrospettivo dedicato alla carriera di questa band che rimane una delle più valide di quell’epoca a cavallo tra eccellente blues, psichedelia e rock classico americano.Nel primo periodo nella band ha militato anche Boz Scaggs e nel corso degli anni sono passati nella fromazione anche Ben Sidran, Nicky Hopkins Norton Buffalo.

Per il momento qui sotto trovate il contenuto dettagliato di questo cofanetto annunciato in uscita il prossimo 11 ottobre, ed il cui prezzo, al solito molto indicativo, è previsto tra i 90 ed i 100 euro.

Tracklist
[CD1]
1. Blues with a Feeling (Live)* (1969)
2. Don’t Let Nobody Turn You Around – Alternate Version* (1969)
3. Super Shuffle (Live)* (1967)
4. It Hurts Me Too (feat. Steve Miller Band) (Live) (1967)
5. Industrial Military Complex Hex – Alternate Version* (1970)
6. Living in the USA (1968)
7. Kow Kow Calculator – Alternate Version* (1973)
8. Going to Mexico – Alternate Version* (1966)
9. Quicksilver Girl – Alternate Version* (1968)
10. Jackson-Kent Blues – Alternate Version* (1970)
11. Crossroads (Live)* (1973)
12. Hesitation Blues* (1972)
13. Seasons – Alternate Version* (1973)
14. Say Wow! * (1973)
15. Never Kill Another Man – Alternate Version (Live)* (1971)

*Previously unreleased

[CD2]
1. The Gangster is Back (Live) (1971)
2. Space Cowboy – Instrumental Version* (1969)
3. Space Cowboy – Alternate Version (Live)* (1973)
4. The Joker (1973)
5. The Lovin’ Cup (1973)
6. Killing Floor* (1975)
7. Evil (Live) (1973)
8. Echoplex Blues* (1973)
9. Rock’n Me – Alternate Version 1* (1976)
10. Rock’n Me – Alternate Version 2* (1976)
11. Tain’t It the Truth* (1976)
12. Freight Train Blues* (1976)
13. True Fine Love – Alternate Version* (1975)
14. The Stake – Alternate Version* (1976)
15. My Babe – Alternate Version* (1982)
16. That’s the Way It’s Got to Be* (1974)
17. Double Trouble* (1992)
18. Love is Strange* (1974)
19. All Your Love (I Miss Loving) – Alternate Version* (1992)

*Previously unreleased

[CD3]
1. I Wanna Be Loved (Live)* (1990)
2. Fly Like an Eagle – Alternate Version* (1974)
3. Space Intro (1976)
4. Fly Like an Eagle (1976)
5. The Window – Alternate Version* (1974)
6. Mercury Blues – Alternate Version* (1975)
7. Jet Airliner – Alternate Version* (1976)
8. Take the Money and Run (1976)
9. Dance, Dance, Dance (1976)
10. Swingtown – Alternate Version* (1976)
11. Winter Time (1977)
12. Who Do You Love? (1984)
13. Abracadabra (1982)
14. Macho City – Short Version (1981)
15. Take the Money and Run – Alternate Version (Live)* (2016)
16. Bizzy’s Blue Tango* (2004)
17. Lollie Lou (T-Bone Walker) (Live)* (1951)
18. Lollie Lou (Steve Miller) (Live)* (2016)

*Previously unreleased

[DVD]
Monterey International Pop Festival – 1967
“Mercury Blues”
“Super Shuffle”

The Fillmore West – Dutch TV Show El Dorado (Pik-In) – 1970
“Kow Kow Calculator”
“Space Cowboy”

Don Kirshner’s Rock Concert – 1973
“Star Spangled Banner”
“Living in the USA”
“Space Cowboy”
“Mary Lou”
“Shu Ba Da Du Ma Ma Ma Ma”
“The Gangster is Back”
“The Joker”
“Come on in My Kitchen”
“Seasons”
“Fly Like an Eagle”
“Living in the USA” (Reprise)

ABC In Concert w/ James Cotton – 1974
“Just a Little Bit”

Pine Knob, Michigan – 1982
“Abracadabra”

Steve Miller and Les Paul at Fat Tuesdays – 1990
“I Wanna be Loved”
“CC Rider”

Live from Austin City Limits – 2011
“Fly Like an Eagle”
“Living in the USA”

Alla prossima.

Bruno Conti

Né Levrieri, Né Autobus, Solo Un Duo Texano: Ma Che Genere Fanno, Boh! Greyhounds – Cheyenne Valley Drive

greyhounds cheyenne valley drive

Greyhounds – Cheyenne Valley Drive – Bud’s Recording Services   

Conoscevo la compagnia di autobus americana e la razza di levrieri, ma ammetto che i Greyhounds come band mi mancavano: eppure sono su piazza, a Austin, Texas, da una ventina di anni, e pare abbiano già inciso sei  album, gli ultimi due per la rinata Ardent Records (ma altre discografie ne riportano solo quattro in tutto). Riconosco di conoscerli poco, ma quello che ho ascoltato in questo Cheyenne Valley Drive ha quanto meno acceso il mio interesse per un sound “diverso” dal solito. Intanto sono un duo, formato da Anthony Farrell, tastiere e voce, e Andrew Trube, chitarra e voce, che spesso si accompagnano con un batterista, che cambia a seconda degli album, per l’occasione Ed Miles. Quindi niente bassista, ma come insegna la storia, non è una novità, sin dai tempi dei Doors, nei Greyhounds la presenza di una tastiera permette di duplicarne le funzioni, ma per l’assenza del basso sono stati avvicinati a White Stripes e Black Keys, per quanto ascoltando l’album mi sembra che più correttamente si possa parlare di una fusione di soul raffinato (molto blue-eyed, ma anche nero), blues , funky e qualche piccolo elemento di rock sudista, in fondo risiedono in Texas.

Ascoltando il primo pezzo Learning How To Love mi è venuto da pensare a Gil Scott-Heron, un pezzo come The Revolution Will Not Be Televised, magari non a livello testi,  un bel piano elettrico, l’organo e il vocione di Farrell che accenna anche qualche falsetto, la chitarra insinuante di Trube, per una miscela quanto meno non molto frequentata di rock e musica nera https://www.youtube.com/watch?v=IMPQP_UkV88 . Nella successiva No Other Woman, abbiamo anche la presenza del sax di Art Edmaiston, che ricorda vecchie collaborazioni live dei due con la band di Jj Grey & Mofro, e quindi il blues-rock si fa più incalzante e sudista, con chitarre e tastiere più “cattive”. Space Song inizia con il riff di People Get Ready, ma è un attimo, anche se l’aria funky-soul-blaxploitation-space rock, grazie alla chitarra con wah-wah (che potrebbe essere di Will Sexton, presente come ospite nell’album, insieme alla moglie Amy LaVere), con tastiere appunto spaziali, visto il titolo della traccia, e la chitarra abbastanza presente e impegnata, creano sonorità interessanti. Ci sono momenti più orientati verso la canzone tradizionale, con nella piacevole melodia della morbida WMD, ritmi smussati e addolciti, quasi levigati.

Non è da trascurare che comunque l’album sia stato registrato ai Sam Phillips Recording Studios di Memphis, dopo gli album se etichetta Ardent ci può stare, se vuoi affrontare il crocevia tra la musica nera e quella bianca. Nel caso in oggetto di questo Cheyenne Valley Drive (che è l’indirizzo di casa del batterista), per quanto interessante, mi pare a tratti un po’ all’acqua di rose: alcuni cronisti fantasiosi hanno definito il loro sound “ZZ Top meets Hall & Oates”, e per quanto sui secondi possa concordare, i tre barbuti texani non li vedo molto tra le loro influenze, almeno al livello di grinta, ma ognuno ci vede (e ci sente) quello che vuole. Poi per confondere ulteriormente le idee nel loro CV viene detto che hanno scritto canzoni per Tedeschi Trucks, può essere ma sinceramente non ne ho trovate, mentre hanno aperto per i loro tour, e quindi una notizia non sicura poi per voce di popolo diventa certa, fine parentesi, torniamo al CD. Get Away Clean è un altro moderno R&B, con la giusta miscela di elementi più morbidi e altri ruvidi, pochi dei secondi, e anche 12th Street è levigata, ma con un bel assolo di Trube che illustra il lato più blues della loro musica; All We Are è un altro blue-eyed soul, con qualche elemento alla Doobie Brothers del periodo Michael McDonald e Rocky Love è di nuovo più bluesy, vagamente alla Steve Miller Band anni ‘70, con una bella chitarra di nuovo in modalità wah-wah, Goodbye è più grintosa e rock, mentre la conclusiva Credo è nuovamente una morbida soul  ballad https://www.youtube.com/watch?v=pqhmuuVa-HI . Insomma se avete capito che genere fanno beati voi, comunque piacevole e inconsueto nell’insieme.

Bruno Conti

Una Band Decisamente Anomala, Ma Interessante. Dr. Dog – Critical Equation

dr. dog crtitical equation

Dr. Dog – Critical Equation – We Buy Gold/Thirty Tigers                

Del quintetto di Philadelphia non si è mai capito esattamente che genere facessero: i Dr. Dog sono stati etichettati di volta in volta come indie-rock, alternative rock, neo psichedelia morbida, anche pop e jam rock, e probabilmente contengono nella loro musica, sparsi. un po’ di tutti questi elementi , quindi diciamo che l’unico elemento certo di questo Critical Equation è che si tratta del loro decimo album https://www.youtube.com/watch?v=rklOPchnf6o . Forse la band a cui si possono avvicinare di più sono i My Morning Jacket, anche loro sfuggenti e difficili da etichettare, oltre a cambiare spesso nei loro dischi, anche in base al fatto che fossero più o meno riusciti. Prodotto e registrato in quel di L.A. da Guy Seyffert, recente collaboratore di Roger Waters, e che ha lavorato in passato con decine di solisti e band, i più disparati, il nuovo disco dei Dr. Dog ha avuto critiche molto differenziate: Uncut e American Songwriter ne hanno parlato benissimo, Q e altri siti di musica sono stati più tiepidi, o ne hanno parlato addirittura negativamente. Diciamo che forse, come ci insegnano da sempre i latini, la verità sta nel mezzo: un buon album complessivamente, senza particolari levate d’ingegno ma neppure cadute di stile evidenti, alla lunga si apprezza.

La band è una sorta di “democrazia” in cui i brani sono attribuiti ai diversi componenti, ma Scott McMicken, e Toby Leaman, i due fondatori, sono i principali autori, che si alternano comunque con Zach Miller, Frank McElroy e Eric Slick ai diversi strumenti, per cui troviamo accreditati due batteristi, due bassisti e così via, e pure a livello vocale intervengono un po’ tutti per creare piacevoli armonie globali, anche se la voce guida è quella di McMcMicken. Per cui alla fine il sound ha tutte le sfumature indicate poc’anzi: l’iniziale pigra e ciondolante Listening In, ha un’aria più pop e elegante, quasi “pensierosa” magari non definita del tutto, con le voci filtrate e chitarre e tastiere a segnare il territorio, pur se si apprezzano alcuni cambiamenti di tempo nella struttura della canzone. Go Out Fighting, dopo la solita partenza interlocutoria assume una andatura decisamente più rock, con la voce vagamente Lennoniana anni ’70, sottolineata da piacevoli armonie, che lasciano poi spazio ad un intervento quasi acido e psych della solista che si fa largo nel sound collettivo; Buzzing In the Light ha nuovamente qualche elemento beatlesiano nella costruzione della melodia e negli intrecci vocali, anche se il sound è decisamente più contemporaneo ed indie, morbido, sognante e godibile, mentre Virginia Please è più vivace e mossa, forse qualche eccesso nell’uso delle tastiere, ma non dispiace https://www.youtube.com/watch?v=aAF8KBglcIY .

Critical Equation è nuovamente riflessiva e ricercata, una delicata ballata con i giusti equilibri tra pop raffinato e di gran classe e la ricerca di melodie sempre molto centrate, con interventi misurati della chitarra https://www.youtube.com/watch?v=p4YAJ7rLOy4 . Qualcuno ha citato anche rimandi a band come Cheap Trick e Steve Miller Band che hanno sempre cercato di mediare tra pop e rock: l’orecchiabile True Love ne è un buon esempio, un pezzo rock, dove probabilmente la presenza di Seyffert ha contribuito ad arrangiamenti più complessi e ricercati, con Heart Killer che accelera ulteriormente i tempi, sempre con rimandi a band e solisti che maneggiano in modo brillante pop e rock, potremmo ricordare gli Squeeze o Nick Lowe, ma pure i citati My Morning Jacket. La lunga Night parte acustica e poi si trasforma in una brillante ballata melodica, dove forse si sarebbero potuti evitare gli eccessivi interventi del synth, che però non rovinano il fascino del brano. Intricati effetti vocali ci portano a Under The Wheel il pezzo che rimanda di più alla Steve Miller Band fine anni ’70 ricordata prima, tra chitarre e ritmi rock molto coinvolgenti. Chiude Coming Out Of Darness, che come l’iniziale Go Out Fighting non mi convince, forse sarà l’uso eccessivo del falsetto o un sound troppo turgido, ma per il sottoscritto non funziona, pur non inficiando il giudizio complessivo del disco che, come detto all’inizio, è positivo.

Bruno Conti

Canadesi Dal Cuore (E Dal Suono) Sudista. The Sheepdogs – Changing Colours

sheepdogs changing colours

The Sheepdogs – Changing Colours – Dine Alone Records/Warner Music Canada

Avete voglia di rituffarvi nei suoni degli anni Settanta? Siete rimasti degli inguaribili fans del buon rock sudista consumando i vostri vinili degli Allman Brothers o dei Lynyrd Skynyrd? Il vostro cuore batte forte quando parte lo splendido coro di Suite Judy Blue Eyes di Crosby, Stills & Nash? Vi ritrovate ogni tanto a canticchiare l’irresistibile (e un po’ ruffiano) ritornello di The Joker della Steve Miller Band? Vi do un consiglio: procuratevi il nuovo CD dei canadesi Sheepdogs e placherete subito tutte le vostre crisi di astinenza. La band, originaria di Saskatoon, la più popolosa città della provincia del Saskatchewan, è attiva dal 2006 ed ha già alle spalle cinque albums e due EPs. Si è formata grazie all’incontro, avvenuto in ambito scolastico, tra il chitarrista e cantante Ewan Currie e il bassista Ryan Gullen, a cui si aggregò il batterista Sam Corbett. Il trio, abbinando al proprio materiale di matrice rock-blues alcune covers dei Black Keys e dei Kings Of Leon, cominciò ad esibirsi nei locali della zona riuscendo a pubblicare un EP a nome The Breaks. Reclutato Leot Hanson come secondo chitarrista, mutarono il proprio nome in Sheepdogs e registrarono, autoproducendosi, i primi due albums intitolati Trying To Grow e Big Stand. La svolta per la loro carriera arrivò nel 2011, quando vinsero un concorso indetto dalla rivista Rolling Stone riservato a gruppi rock ancora privi di contratto discografico. Tale vittoria valse la copertina del prestigioso mensile nell’agosto di quell’anno, un contratto con l’etichetta Atlantic che ristampò subito il loro terzo disco Learn & Burn , oltre ad un secondo EP intitolato Five Easy Pieces, e la partecipazione a programmi musicali di rilievo come Late Night with Jimmy Fallon e ad importanti festival come il Bonnaroo, con conseguente aumento di fama e di vendite.

L’album omonimo, pubblicato nel 2012, diede ulteriore spinta agli Sheepdogs vincendo importanti premi della critica e piazzandosi nei primi posti delle classifiche canadesi. Il successivo Future Nostalgia del 2015 vide un parziale mutamento nella line-up della band, con l’abbandono di Leot Hanson, sostituito alla seconda chitarra da Rusty Matyas, e l’ingresso in pianta stabile del fratello minore di Currie, Shamus, che già saltuariamente in passato aveva suonato tastiere ed alcuni strumenti a fiato. Alla fine di quell’anno Matyas fu a sua volta rimpiazzato dal chitarrista di chiara matrice blues Jimmy Bowskill (ottimo anche alla lap steel guitar), che ha dato un notevole contributo, anche compositivo, alle 17 tracce del nuovo disco Changing Colours. Pronti, via! Come si diffondono le prime note del giro armonico che apre Nobody, sentirete il vostro piedino partire da solo tenendo il ritmo, mentre il vortice di chitarre, lap steel, basso e batteria si fa sempre più coinvolgente fino al ritornello assassino che vi entra nel cervello https://www.youtube.com/watch?v=hlPIp8DJUEI . Il primo singolo, I’ve Got A Hole Where My Heart Should Be, ribadisce le influenze sudiste del gruppo ed anche una evidente capacità di costruire riff semplici ed accattivanti, presenti anche nella successiva Saturday Night che pare quasi un outtake di Fly Like An Eagle della Steve Miller Band. Con Let It Roll ci immergiamo nei panorami bucolici del Tennessee o dell’Alabama, tra chitarre acustiche e lap steel in primo piano. Cambio radicale di atmosfere per The Big Nowhere, in cui compaiono i fiati e gli Sheepdogs sembrano voler citare i Santana dei tempi d’oro.

Ancora la sezione fiati apre la suadente ballad I Ain’t Cool dagli echi piacevolmente beatlesiani con brillanti armonie vocali e un bell’assolo di trombone del più giovane Currie, bravo pure al piano e all’hammond. You Got To Be A Man è tosta ma non particolarmente significativa, molto meglio la notturna Cool Down, che strizza l’occhio alla psichedelia californiana con un raffinato lavoro di chitarre e piano elettrico protagonista. Il finale in crescendo si interrompe bruscamente per dare spazio allo splendido duetto chitarristico di Kiss The Brass Ring, in puro stile Allman Bros, chiara fonte d’ispirazione anche per la solare Cherries Jubilee. Il continuo cambiar pelle nella sequenza delle canzoni è una delle doti vincenti di quest’album, come dimostra anche la lunga ed intensa I’m Just Waiting For My Time, che parte lenta con la voce supportata dal suono di un flauto per prendere corpo man mano che si sviluppa su trame che ci riportano indietro agli amati anni settanta. In Born A Restless Man gli Sheepdogs si travestono da bluegrass band e dopo l’oasi strumentale di The Bailieboro Turnaround ci mostrano come si scrive una grande country ballad con la turgida Up In Canada. C’è ancora spazio per le velleità da jam band di Hms Buffalo ed Esprit Des Corps, in cui Currie & soci tralasciano il cantato per suonare a ruota libera lungo le polverose strade che conducono a Sud, dove stanno ben piantate le loro radici. La conclusione è affidata alla luminosa Run Baby Run dove cogliamo, nelle raffinate armonie vocali, un riferimento per nulla nascosto ai numi ispiratori Crosby, Stills & Nash. Recentemente, il leader Ewan Currie, chiamato a definire il suono della sua band, ha risposto: pure, simple good-time music. Come dargli torto?

Marco Frosi

Ancora “Italiani Per Caso”, Ma “Americani Dentro”, Questa Volta Tocca a Valter Gatti – Southland

valter gatti southland

Valter Gatti – Southland – fonoBisanzio/Ird

Valter (con la V, credo per problemi all’anagrafe italiana) Gatti è l’ennesimo musicista italiano indipendente innamorato della musica degli Stati Uniti, anzi, come si deduce dal titolo del disco, Southland, quella del Sud degli States. Il nostro amico nasce, per mantenere l’analogia, nel Sud della Lombardia, nel lodigiano, ma opera, come giornalista e divulgatore nella zona di Padova (quindi una sorta di “collega”): questo disco è il suo esordio discografico, a quasi 60 anni, portati bene, decide di registrare un album per rendere omaggio alla musica che ha sempre ascoltato. E per realizzarlo si affida a una pattuglia di musicisti italiani: Paolo Costola, dobro, slide, chitarre elettriche ed acustiche, Valerio Gaffurini, Hammond, Fender Rhodes e piano, Larry Mancini, basso e Albert Pavesi, batteria, oltre alle armonie vocali di Raffaella Zago e alla viola e violino di Michele Gazich, che cura anche la produzione del disco, sempre citare i nomi, lo meritano. Non contento di tutto ciò contatta anche alcuni musicisti americani di “culto” per suonare nel CD: Greg Martin dei Kentucky Headhunters http://discoclub.myblog.it/tag/kentucky-headhunters/ , Chris Hicks, attuale chitarrista della Marshall Tucker Band e Greg Koch, grande chitarrista, testimonial della Fender per il modello Telecaster http://discoclub.myblog.it/2013/11/03/c-e-sempre-qualcuno-bravo-che-sfugge-greg-koch-band-plays-we/ .

E tutti gli rispondono di sì. Nel progetto viene coinvolto anche Massimo Priviero, per duettare in uno dei due brani cantati in italiano, nell’altro c’è Gazich. Il risultato è un disco di southern-folk-country-blues- rock, con un paio di cover di assoluto pregio, scelte con cura, All Along The Watchtower di Dylan e The Joker della Steve Miller Band. Se proprio devo fare un appunto (da appassionato ad appassionato) Gatti non ha una voce particolarmente memorabile, si affida ad uno stile vocale diciamo leggermente “laconico”, a tratti una sorta di parlar-cantando o viceversa, ma gli arrangiamenti curati di Gazich e la buona qualità delle canzoni e degli interventi solisti degli ospiti rendono il disco molto piacevole, per chi ama questa musica. E così scorrono l’iniziale Southland, un brano dall’atmosfera quasi celtica grazie alla viola di Gazich, ma anche derive “desertiche” americane; All Along The Watchtower viene proposta in una veste tra folk e rock, di nuovo grazie al guizzante violino di Michele sembra quasi una outtake di Desire, e ottimo anche il lavoro della slide di Costola.

Raffiche Di Vento, con il controcanto di Priviero e l’eccellente lavoro della tagliente chitarra solista di Chris Hicks, è un gagliardo pezzo rock, come pure la successiva In Your Town, una bella ballata sudista dalla melodia avvolgente con l’ottimo Greg Martin che colora il brano con la sua lirica chitarra. Lifelong Blues, come da titolo, illustra un’altra delle passioni di Valter, il blues, un altro pezzo percorso dalla chitarra di Martin e dal violino di Gazich, mentre Take Me As I Am è una delicata e struggente ballata pianistica. Nella cover di The Joker si cerca di ricreare l’atmosfera divertita e divertente del brano originale, sempre scanzonato e godibile; Gloomy Witness con l’ottima solista di Koch in evidenza, ha di nuovo quell’andatura ondeggiante del Dylan di Desire, miscelata al Knopfler più americano, ottima. E In My Boots alza ulteriormente l’asticella del southern rock classico, Greg Martin ci dà dentro con la sua solista e il brano galoppa. In chiusura il duetto folk con Gazich nella quasi parlata Dove Sei, intima e raccolta. Un bel dischetto.

Bruno Conti

40° Anniversario Per Un “Piccolo Classico” Del Rock. Steve Miller Band – The Joker Live In Concert

steve miller band the joker live

Steve Miller Band – The Joker Live In Concert – Edsel 

Da qualche anno a questa parte è invalsa l’usanza delle serate concertistiche dedicate alla ripresa di un album completo della discografia degli artisti più disparati: lo hanno fatto Springsteen e Patti Smith, Tom Petty e gli Stones, poi ci sono le jam bands che fanno i dischi degli altri, Gov’t Mule e Phish, a Halloween e Capodanno, sono maestri in questo, ora si aggiunge anche la Steve Miller Band, che in occasione del 40° anniversario dell’uscita di The Joker ha voluto festeggiare con un concerto quello che forse non è il più bello o di maggiori vendite album della propria discografia ( titolo che spetta rispettivamente a Fly Like An Eagle e Book Of Dreams, e al Greatest Hits) ma sicuramente uno dei più divertenti e piacevoli, come conferma questa riproposizione Live, uscita in origine solo per il download digitale lo scorso anno e ora pubblicata in versione fisica dalla Edsel.

Sono solo 9 pezzi per poco più di 40 minuti di musica, non nella stessa sequenza del disco originale, ovviamente The Joker, il brano più conosciuto conclude in bellezza l’esibizione, ma tutti da gustare, con la versione più recente della band di Miller, Kenny Lee Lewis, Gordy Knudtson, Joseph Wooten, Sonny Charles e Jacob Petersen, oltre alle ospitate di Gary Mallaber e Lonnie Turner che suonavano nel disco originale. I brani mantengono la freschezza dell’album del 1973, con in più lo spirito e l’improvvisazione della esibizione dal vivo, a partire dalla apertura, con tanto di finta puntina che scende sul disco, e la versione di Come On In My Kitchen di Robert Johnson, che era comunque Live anche nel disco di allora, e ci permette di gustare le radici blues del nostro, che iniziò appunto come Steve Miller Blues Band, e si conferma, per tutto il disco, fior di chitarrista. The Lovin’ Cup, con florilegio di chitarre acustiche, perfettamente riprodotte anche nella dimensione dal vivo, si avvale pure di organo e armonizzazioni vocali in puro stile sixties, grazie anche alla presenza di Sonny Charles, che sostituisce pure all’armonica il compianto Norton Buffalo, mentre Something To Believe In, che con le sue armonie country chiudeva la seconda facciata del disco originale, e dove la pedal steel era suonata da Sneaky Pete Kleinow, illustra un lato poco noto della musica di Miller https://www.youtube.com/watch?v=aZd0Y3W9BKY , che torna a colorarsi delle classiche 12 battute, con il sinuoso slow Blues Evil, non il pezzo di Howlin’ Wolf, bensì una composizione di Steve, una morbida ballata, ma con la solita chitarra solista in bella evidenza https://www.youtube.com/watch?v=qsGlhTGYUlo .

Mary Lou è un divertente funky R&B che oltre a Miller hanno anche inciso Ronnie Hawkins, Bob Seger, Gene Clark e Frank Zappa, tra i tanti, con Steve alle prese con un minaccioso wah-wah e, Shu Ba Da Du Ma Ma Ma Ma, che come il titolo fa il paio con quelli più “sciocchini” scritti da Sting, che ha un riff e un ritornello quasi memorabile tipo quello della title-track, con la band che si diverte e trascina il pubblico, come la Steve Miller Band dei tempi d’oro. E anche Your Cash Ain’t Nothi’ But Trash rientra nel ristretto novero delle canzoni più coinvolgenti del gruppo, di nuovo con il wah-wah a menare le danze, per proseguire nella festa del riff con una “ululante” Sugar Babe, sempre condotta con un irresistibile groove che era appannaggio della band allora come oggi, quando la senti non puoi non esclamare “ma è Steve Miller” https://www.youtube.com/watch?v=nCPW56RFEKg ! A maggior ragione con uno dei brani che ha uno dei riff e ritornelli più riconoscibili della storia del rock, quella The Joker che per la prima volta li portò alle vette delle classifiche americane, che è l’occasione per riunire lo “Space Cowboy” e il “Gangster of Love” ancora una volta con i suoi amici, cinque minuti di puro divertimento, come peraltro tutto il resto dell’album: non sarà un capolavoro ma il disco, pure in questa versione dal vivo rivisitata, è un vero piacere da (ri)ascoltare.

Bruno Conti