Una Grande Band Di “Sognatori”! Tindersticks – The Waiting Room

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Tindersticks – The Waiting Room – City Slang Records – CD – DVD

Stuart A.Staples e i suoi Tindersticks hanno sviluppato un “sound” facilmente riconoscibile sin dal bellissimo album d’esordio The Tindersticks (95), incidendo negli anni a seguire una decina di dischi di una bellezza raffinata. A quattro anni di distanza da The Something Rain (12) e tre da Across Six Leap Years (13), una sorta di greatests hits con nuove versioni di brani rari e dimenticati (recensiti come sempre puntualmente su questo blog http://discoclub.myblog.it/2013/11/27/il-solito-pop-camera-gustosa-versione-riveduta-corretta-tindersticks-across-six-leap-years/ ), tornano con un lavoro complesso ma anche affascinante, come questo nuovo lavoro The Waiting Room. L’attuale “line-up” del gruppo oltre al carismatico leader Staples, è composta da David Boulter, Neil Fraser, Dan McKinna, E Earl Harvin, avvalendosi della collaborazione del jazzista inglese Julian Siegel e della cantante Jehnny Beth del gruppo Savages, per 11 tracce che come al solito riescono a creare una dolce e rarefatta atmosfera.

La “sala d’attesa” dei Tindersticks si apre su una cover strumentale, quasi “morriconiana”, del noto tema da film Gli Ammutinati Del Bounty Follow Me, per poi passare subito ad una più tradizionale Second Chance Man con l’inconfondibile voce baritonale di Stuart, all’arrangiamento simil bossanova di Were We Once Lovers?, al free-jazz a loro modo di Help Yourself  con un’intrigante uso di ottoni, per poi arrivare al capolavoro del disco, una commovente Hey Lucinda che Staples duetta con la compianta cantante messicana Lhasa De Sela (in passato aveva già collaborato con il gruppo inglese, ed è scomparsa nel 2010 prematuramente, dopo aver inciso il brano). Dopo un “virtuale” momento di commozione, si riparte con il secondo brano strumentale This Fear Of Emptiness composto dal tastierista Boulter (pezzo che evoca ancora paesaggi cinematografici), restare meravigliati dalla bellezza delle note di una recitativa How He Entered, mentre la title-track The Waiting Room è una indolente canzone in perfetto “stile” Tindersticks, come pure il terzo strumentale Planting Holes, con il piano a distribuire note scarne e notturne. Ci si avvia (purtroppo) alla fine con le percussioni essenziali di We Are Dreamers! con la partecipazione canora di Jehnny Beth, e chiudere con Like Only Lovers Can, una ballata romantica dove ancora una volta la voce fumosa di Stuart diventa uno strumento avvolgente che rapisce l’anima. Il DVD accluso presenta un progetto che vede per ogni brano dell’album un video abbinato alla canzone, girato da registi del settore che rispondono al nome di Suzanne Osborne, Christoph Girardet, Pierre Vinour, Claire Denis (i Tindesticks hanno composto le colonne sonore di Nènette Et Boni e Trouble Every Day), Rosie Pedlov, Joe King, Gregorio Graziosi, David Reeve, e lo stesso poliedrico Stuart A.Staples.

Inutile dire che, ma io sono di parte, The Waiting Room si aggiunge alla lista dei “capolavori” della band proveniente da Nottingham, e Stuart A.Staples, anche se da poco ha varcato la fatidica soglia dei cinquant’anni, dopo venticinque anni di carriera riesce ancora a produrre una delle musiche più fascinose in circolazione, in quanto i Tindersticks sembrano sempre possedere il raro dono di scrivere grandi canzoni, sia di largo respiro, come di un intimismo disarmante, mantenendo di volta in volta un tasso notevole di professionale musicalità.

Se vi ho convinto, consiglio un ascolto a basso volume prima di spegnere del tutto la luce, e poi abbandonarsi “tra le braccia di Morfeo”.!

Tino Montanari

Il “Solito” Pop Da Camera Ma In Gustosa Versione Riveduta E Corretta! Tindersticks – Across Six Leap Years

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Tindersticks – Across Six Leap Years – City Slang 2013

Ad appena un anno e mezzo da The Something Rain (recensito puntualmente su queste pagine da chi scrive  http://discoclub.myblog.it/2012/03/30/una-pioggia-di-note-tindersticks-the-something-rain/), i Tindersticks,  per celebrare il ventesimo (più uno) anniversario di carriera, tornano in sala d’incisione, nel leggendario Studio 2 di Abbey Road, (proprio quello dei Beatles!) per registrare una sorta di “greatest songs” anomalo, nuove versioni di brani, però rari e tratti in gran parte dai loro album di minor successo, delle cui versioni i componenti della band non erano particolarmente soddisfatti http://www.youtube.com/watch?v=YdXRc9syInQ

I dieci frammenti che riprendono vita in queste nuove versioni partono con la ballata d’apertura Friday Night, estratta dal primo album solista del leader Stuart A. Staples (Lucky Dog Recordings (05) rifatta in una specie di rumba rallentata, mentre nella seguente Marseilles Sunshine sono gli archi a condurre le danze, passando poi nella malinconica She’s Gone , a un valzer dove duettano chitarra e pianoforte. E ancora, una Dying Slowly (siamo dalle parti del grande Cohen), contenuta in Can Our Love (01) album colpevolmente passato quasi inosservato. Gli archi si ripresentano (con più ritmo) in If You’re Looking For A Way Out (tratta da Simple Pleasure (99), e, sembra quasi incredibile, una batteria sincopata accompagna Say Goodbye To The City  http://www.youtube.com/watch?v=hnQ4mMYF02g, per arrivare a due ballate-manifesto del gruppo, Sleepy Song  http://www.youtube.com/watch?v=K7WQwHqU-9w e A Night In, pescate entrambe dal bellissimo secondo album omonimo Tindersticks (95 e) cantate con tono quasi dimesso dalla bellissima voce baritonale di Staples. Il cerchio si chiude con una visionaria I Know That Loving e con un brano uscito in un singolo in edizione limitata del 2008, What Are You Fighting For?, immeritatamente lasciato fuori dai dischi ufficiali (sarebbe stato perfetto in The Hungry Saw dello stesso anno.

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Across Six Leap Years, è una panoramica eccellente per un gruppo che sviluppa un “pop da camera”, come di consueto, di un livello musicale elevatissimo (anche se la ricetta, lo ammetto, è sempre la stessa), in cui Staples e i suoi compagni d’avventura fanno di questo auto-tributo il punto di ripartenza per dare un altro degno successore al citato The Something Rain. Disco per completisti (ma anche per i fans più affezionati), da ascoltare a notte fonda (magari in dolce compagnia), con un buon bicchiere in mano, lasciandosi trasportare da una musica tra le più fascinose in circolazione, perfetta per queste fredde serate invernali.

Tino Montanari

Una “Pioggia Di Note”! Tindersticks – The Something Rain

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Tindersticks – The Something Rain – Lucky Dog/City Slang 2012

I Tindersticks sono uno dei gruppi più originali prodotti dall’area musicale britannica negli anni ’90, cresciuti separatamente dalla scena indipendente, giungono con The Something Rain (bella la copertina della pittrice Suzanne Osborne) alla pubblicazione del nono album in studio, a cui bisogna aggiungere le colonne sonore di Nanette et Bonì  e Trouble Every Day, qualche raccolta (la più interessante è Donkeys 92-97), i due lavori da solista del leader Stuart A.Staples Lucky Dog Recordings e Leaving Songs, e lo splendido live The Bloomsbury Theatre 12.3.95 registrato con un orchestra di una trentina di componenti. I Tindersticks hanno avuto il pregio fin dal primo disco (meraviglioso) di avere un suono sempre ben definito e riconoscibile, ricchissimo di riferimenti, ma altrettanto personale. Non è possibile, ascoltando le canzoni dei Tindersticks, non tornare con la memoria a personaggi come Nick Cave, Leonard Cohen, Tom Waits, Lee Hazelwood, e direi anche il sottovalutato Mick Harvey. Il gruppo non nasconde nelle interviste che la propria musica nasca dall’incontro di queste proposte, ma è anche giustamente convinto che il risultato alla fine rispecchia il loro percorso musicale. Del resto visto che il sestetto, originario di Notthingham, evoca atmosfere fumose, torbide, film in bianco e nero ricchi di tonalità oscure (thriller, spie e dark ladies) è alquanto semplice associare la loro proposta agli artisti menzionati.

Osannati nel 1993 come nuova frontiera del “pop gotico” britannico e scomparsi nel 2003 nell’oblio generale, si sono riuniti nel 2008 con un album The Hungry Saw che ha ottenuto, se non successo, perlomeno quei riconoscimenti e attestati di stima che si concedono ai veterani, che sono diventati maestri per le nuove generazioni. The Something Rain è il terzo capitolo di questa nuova era, prima avevano pubblicato il meno ispirato Falling Down a Mountain (2010), e oltre ai componenti del gruppo David Boulter, Neil Fraser, Earl Harvin, Dan McKinna e il vecchio volpone Stuart A. Staples, troviamo collaboratori abituali come Terry Edwards al sax, Andy Nizza al violoncello, Julian Siegel al clarinetto, Will Wilde all’armonica e la brava Gina Foster cori e voce.

Nei nove episodi del disco sono sempre gli archi a dettare la linea, in quanto sanno sottolineare i momenti dolci con contrappunti morbidi che accarezzanole curve della melodia, ma sono pure capaci di diventare austeri e lasciare trapelare note taglienti e luminose. Si comincia con un brano narrativo Chocolate di quasi dieci minuti, che è il seguito di una canzone presente nel secondo album della band My Sister, mentre in Show Me Everything la voce baritonale di Stuart Staples accompagna un coro femminile. This Fire of Autumn non è uno dei brani migliori del lotto, mentre la seguente A Night So Still è una ballata ammaliante, marchio di fabbrica del gruppo. Si cambia registro a ritmo di rumba con Slippin’ Shoes, con una sezione fiati intrigante, che mi ricorda vagamente Avalon dei Roxy Music, mentre il violino ricamato di Medicine canzone d’amore calda e sofferta (uno dei punti più alti del disco), sembra uscita dalla penna dell’ultimo Leonard Cohen. Frozen scritta da Staples con il cantautore David Kitt (di cui si sono perse le tracce) è un brano dal “beat” ossessivo, direi quasi sincopato, con riverberi musicali dai mille risvolti, mentre Come Inside è una ballata cameristica dove la voce di Stuart declama parole di seduzione, con una tromba finale di struggente bellezza. Il brano di chiusura è uno strumentale delicato Goodbye Joe composto da Boulter, che mi piace pensare sia un arrivederci d’amore.

In The Something Rain il suono è come sempre seducente, le canzoni dopo pochi ascolti prendono forma e diventano indispensabili, e anche questo lavoro contiene brani che entreranno a far parte, a pieno merito, del loro classico repertorio. Come sempre, i Tindersticks, riescono anche questa volta a rubarmi il cuore. Per impenitenti e inguaribili romantici.

Tino Montanari