Un Incontro Storico Con Uno Degli “Inventori”. Big Joe Williams – Southside Blues

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Big Joe Williams – Southside Blues – RockBeat Records

Detto che al primo ascolto avevo molti dubbi su questo album (dubbi che per alcuni aspetti minori, relativi alle registrazioni, rimangono), mi corre l’obbligo di dire che invece questo è un gran disco di blues. Al di là delle solite provenienze fantasiose del materiale di questo Live della Rockbeat, peraltro già uscito nel 1993 per la Pilz come Blues From The Southside, e con in copertina una foto di Joe Williams, il cantante della big band di Count Basie (sic), e non Big Joe Williams, e anche se il concerto dura solo 29 minuti per dodici brani, il bluesman del Mississippi (tutti da lì sembra vengano i grandi), uno dei padri del blues, nel 1963 aveva ancora una voce della Madonna, il tipico vocione da bluesman, profondo e risonante, una delle prime influenze sul giovane Muddy Waters, che a 15 anni, negli anni ’30 suonava l’armonica con lui. E’ stato anche uno dei primi ad incidere Baby Please Don’t Go (poi si sa che questi brani classici hanno sempre una dubbia attribuzione, vagano, come dire, nell’etere), e come tanti è stato (ri)scoperto agli inizi degli anni ’60 in quel di Chicago, quando le 12 battute sono ritornate in auge nella capitale dell’Illinois, la Windy City, grazie anche all’opera meritoria di alcuni giovani musicisti bianchi, innamorati di questa musica: uno in particolare, Mike Bloomfield, organizzava delle serate al Fickle Pickle, un locale di Chicago dove passavano spesso dei grandi nomi.

Bloomfield addirittura ha scritto anche un libretto intitolato “Me And Big Joe”, dove raccontava del suo rapporto contrastato con Williams e le bizzarrie di questo signore,che vengono narrate anche da altri suoi colleghi musicisti. Le note del CD riportano che nel disco, oltre a Big Joe Williams, suonano anche Mike Bloomfield, Sunnyland Slim, Horace Cathcart e Washboard Sam (indovinate a quale strumento?); su Bloomfield potrei concordare perché spesso c’è un chitarrista che si inerpica su intricate scale con la acustica e lo stesso Big Joe ogni tanto incita “Mike”, ma per il resto potrebbero essere Mago Zurlì e Topo Gigio per quello che si intuisce, e data l’autorevolezza abituale di questo tipo di note, spesso fantasiose. Comunque, come detto all’inizio, si sente un signore, all’epoca di 60 anni, ma ancora con un gran voce, che accompagnandosi con la sua tipica chitarra a nove corde, canta il Blues del Delta come pochi altri, prima e dopo di lui, hanno saputo fare. Oltre a tutto la qualità della registrazione è anche piuttosto buona per un disco dal vivo degli inizi anni ’60, si sente il pubblico applaudire alla fine dei brani, quindi è davvero Live, anche se non forse non in tutti i pezzi, quindi qualche dubbio rimane, ma forse no, sono troppo sospettoso io: comunque Nobody Knows You When You’re Down And Out, con le pennate vigorose di Williams e le divagazioni di Bloomfeld, qualche colpo secco del contrabbasso e la voce primigenia di Big Joe carica di una intensità senza tempo, è una delle versioni di riferimento di questo pezzo.

Baby Please Don’t Go dura meno di due minuti ma cazzarola se canta questo uomo, poche parole che valgono più di mille trattati e anche Sinking Blues a livelli di intensità non scherza, uno slow di quelli più “neri del nero”con accelerazione finale! Put On Your Nitecap Baby non è famosissimo come brano, ma è uno dei suoi cavalli di battaglia e il pathos interpretativo si taglia col coltello, mentre Bloomfield, se è lui, a 20 anni scarsi era già letale alla chitarra, come dimostra anche nella successiva Bye Bye Baby Blues, incitato sempre dallo scatenato Big Joe, che in tutti questi brani rivaleggia come potenza vocale con gente come Howlin’ Wolf o John Lee Hooker, che comunque erano dei suoi discepoli. Don’t Want No Big Fat Woman è “cattiva” come poche, sempre in questo ambito acustico ma dalla “elettricità” intrinseca, come pure nella successiva e “sospesa” Ride In My New Car With Me Blues o anche nella ondeggiante Going Away Won’t Be Back Till Fall. Sloppy Drunk Blues l’hanno incisa praticamente tutti, ma la versione di Big Joe Williams rimane un’altra di quelle di riferimento, con il suo tipico vocione sempre arrapato, mentre la successiva Sugar Mama, che sembra venire da qualche altra registrazione, ma non ho certezze in merito, dovrebbe essere registrata solo con la sua nove corde elettrificata, comunque anche in questo caso non prende ostaggi; stessa fonte anche per 44 Blues, sempre cruda e quasi “brutale” e per la sua versione di Terraplane Blues. Volendo si potrebbe dire che il blues lo ha inventato anche lui, e in questo Southside Blues si può sentire.

Bruno Conti    

Un Altro Tassello Nell’Infinita Storia Delle 12 Battute. Eddie Taylor – In Session: Diary Of A Chicago Bluesman 1953-1957

eddie taylor in session

Eddie Taylor – In Session – Diary Of A Chicago Bluesman 1953-1957 – Jasmin Records

Dopo l’interessante compilation dedicata alle prime registrazioni di Roy Buchanan The Genius Of The Guitar http://discoclub.myblog.it/2016/08/24/completare-la-storia-roy-buchanan-the-genius-of-the-guitar-his-early-recordings/ , l’etichetta inglese Jasmine ora ne pubblica una dedicata ad un altro chitarrista (e cantante) che in vita non ha ricevuto i riconoscimenti che avrebbe meritato. Pur non essendo stato dello stesso livello tecnico di Buchanan, Eddie Taylor è stato ciò nonostante uno dei solisti più importanti della scena del blues nero elettrico di Chicago, fin dagli inizi degli anni ’50: anche se era nativo di Benoit, Mississippi, Taylor ha dapprima operato come sessionmen in diverse registrazioni di importanti bluesmen (che vediamo fra un attimo) prima di pubblicare il suo primo album per la Testament solo nel 1966, e poi diverse interessanti uscite tra gli anni ’70 e ’80, fino alla sua morte avvenuta a Chicago nel 1985, a soli 62 anni. Il nostro non viene ricordato negli annali del Blues come uno dei nomi basilari, ma è stato fondamentale nello sviluppo dell’opera, ad esempio, di Jimmy Reed, di due anni più giovane di lui, al quale ha insegnato tutti i trucchi della chitarra, e di cui è stato a lungo collaboratore. Senza addentrarci ulteriormente nelle cronache del blues, diciamo anche che queste registrazioni, nonostante la qualità sia variabile a seconda della provenienza originale, è per la maggior parte più che accettabile, spesso sorprendente, considerando gli anni in cui sono stati registrate tutte le canzoni.

Eddie Taylor, con la sua chitarra (e in qualche brano anche voce) è l’unica presenza costante in tutti i pezzi, alcuni, secondo le note, non pubblicati ai tempi della registrazione ed inseriti in stretto ordine cronologico. I primi due brani vengono da un 45 giri del maggio 1953 attribuito a John Brim, anche lui nella storia del blues di Chicago, ma che francamente non ricordavo, poi ascoltando il primo brano, Ice Cream Man, mi sono ricordato che la canzone appariva nel primo disco dei Van Halen, lo stile chitarristico di Taylor è ovviamente meno dirompente di quello di Eddie, ma, grazie anche alla presenza di Little Walter all’armonica, fa la sua bella figura https://www.youtube.com/watch?v=-FXzfXBHXW8 , come pure la successiva Lifetime Blues. Poi c’è il primo brano con Jimmy Reed, You Don’t Have To Go, con Reed all’armonica e voce e Taylor e John Littlejohn alle chitarre, più un certo Albert King alla batteria, ma non credo sia “quel” King. Classico Chicago Blues elettrico degli esordi. Seguono sette brani del febbraio 1954, quattro a nome Sunnyland Slim, che canta e suona il piano, e tre attribuiti a Floyd Jones, ma la formazione è comunque la stessa in tutte le canzoni, con i due artisti citati, più Eddie Taylor, Snooky Pryor all’armonica, Alfred Wallace alla batteria, ottime Going Back To Memphis e The Devil Is A Busy Man (bel titolo) di Sunnyland Slim, e pure la mossa Shake It Baby, mentre quando guida il vocione di Jones, si apprezzano gli  ottimi slow Schooldays On My Mind e Ain’t Times Hard,, che sembrano dei brani perduti di Muddy Waters, con eccellente lavoro di Taylor alla chitarra e Pryor all’armonica.

Ancora due brani di Brim del 1954 e due tracce di Little Willie Foster, un nome che mi “mancava”! Finalmente i primi due pezzi del gennaio 1955 a nome Eddie Taylor, un 45 giri per l’etichetta Vee-Jay, dove già si notano la grinta e la chitarra del musicista di Benoit. A fine ’55 c’è anche la prima collaborazione con John Lee Hooker, una Wheel And Deal dove ci sono sia Reed che Taylor, e del grande Hook più avanti nel CD ci sono altri due brani, tra cui Dimples, uno dei suoi più grandi successi in assoluto, ma solo anni dopo, negli anni ’60 e in Inghilterra, in pieno boom del British Blues,che su questo pezzo ci costruirà un genere, il primo beat inglese https://www.youtube.com/watch?v=lhitRUFOVts . Nel CD ci sono ancora due pezzi di Jimmy Reed, tra cui spicca You Got Me Dizzy, nonché altre otto canzoni a nome Eddie Taylor, tra cui ricordiamo Big Town Playboy, Don’t Knock At My Door e il “lentone” Lookin’ For Trouble dove si apprezza anche la voce del nostro https://www.youtube.com/watch?v=oYWJDzqERKw  e pure Ride ‘Em On Down, che alla luce delle ultime notizie farà parte di Blue And Lonesome, il “nuovo” disco dei Rolling Stones dedicato ad alcuni classici del Chicago blues. Quindi, anche se la registrazione è tipicamente anni ’50, ma buona comunque, non si tratta di un disco per soli archivisti, ma di un altro tassello nell’infinita storia delle 12 battute.

Bruno Conti