E Ora A Quando Il Prossimo ? Emitt Rhodes – Rainbow Ends

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Emitt Rhodes – Rainbow Ends – Omninvore Recordings/Warner

Quando usciva l’ultimo album di questo signore, Farewell Paradise, era il 1973, il presidente degli Stati Uniti d’America era ancora Richard Nixon, “Tricky Dicky” per chi non lo amava, e Emitt Rhodes aveva 23 anni, di cui 7 già passati nell’ambito musicale, prima con i Merry-Go-Round e poi come solista, forse, anticipando i tempi, volle evitare, a breve, di entrare anche a lui a far parte di quel club dei 27 che in quegli anni stava mietendo molte vittime? Chi può dirlo, lui forse? Comunque se volete leggere in breve la storia della sua discografia, la trovate in questo Post pubblicato nel lontano 2009, ai primi tempi del Blog http://discoclub.myblog.it/2009/11/03/one-man-beatles-emitt-rhodes/The One Man Beatles era anche il titolo di un documentario uscito nel 2010, a cura di un regista italiano, Cosimo Messeri, che raccontava la storia di questo enigmatico personaggio.

Da allora sono passati altri sei anni, ma alla fine il nostro ce l’ha fatta, autofinanziatosi con il crowdfunding di Pledge Music e questo Rainbow Ends è il suo nuovo album: i capelli e la barba sono diventati bianchi, non suona più tutti gli strumenti come un tempo, ma la classe, pur invecchiando, è rimasta quella. Dalla freschezza che traspare dai “solchi digitali” (se mi passate l’ardita metafora) di questo nuovo album non pare siano passati 43 anni dall’ultima volta, subito, fin dall’iniziale Dog On A Chain, il “singolo” che ha preceduto l’uscita del CD, non sembra assolutamente di sentire un signore di 66 anni che non pubblica dischi da una vita, il sound è sempre quello della Sunny California o della West Coast più gloriosa, se preferite, con un tocco (anche molto di più) del classico british pop sound dei tempi che furono, tutto molto bello, sin dal primo assolo di chitarra, suonata dal bravissimo Jon Brion, intervento breve ma incisivo, la voce non è più quella di un giovane McCartney, ma ha la freschezza di un James Taylor o di un singer-songwriter di quelli bravi. If I Knew Then dice il secondo titolo, che potrebbe riferirsi tanto a vecchi amori passati quanto a dolci rimpianti per un tempo che passa e scorre inesorabile, ma il tutto ha una invidiabile freschezza, una andatura più mossa, tra florilegi di chitarre elettriche, un pianino intrigante e un walking bass che guida il ritmo brillante e con tocchi beatlesiani di questo brano, un tempo c’era un termine per descrivere questa musica, soft rock, una parola ora desueta ma che non si può evitare di usare accostata a tutto questo Rainbow Ends. Isn’t It So sembra un pezzo del McCartney solista dei primi anni ’70, cantato da James Taylor e con i 10cc come band di supporto, archi e cori celestiali sullo sfondo. The Wall Between Us, introduce anche dei fiati accanto agli archi, ma il risultato è sempre questo pop-rock, morbido ma intrigante nelle sue strutture eleganti e ricche di particolari sonori, un organo qui, una chitarra là e ovunque questo armonie vocali fantastiche.

Chris Price, il produttore, ha catturato alla perfezione lo spirito di queste sessions, e dopo aver guidato il ritorno di Linda Perhacs un paio di anni fa, ora è al timone di comando anche per l’album di Emitt Rhodes, che come ho ricordato poc’anzi non suona tutti gli strumenti come un tempo, ma si affida a molti musicisti di pregio, oltre al citato Brion, anche l’altro chitarrista Jason Falkner, come pure l’attuale Wilco Nels Cline e quello passato Pat Sansone, nonché l’ottimo bassista Fernando Perdomo, spesso utilizzato nei dischi di Price, e anche le avvolgenti tastiere affidate a Roger Joseph Manning, altro musicista di grande esperienza. Se aggiungiamo le armonie vocali fantastiche fornite da Aimee Mann, Susanna Hoffs, Taylor Locke dei Rooney, anche alla chitarra e di alcuni componenti della band di Brian Wilson, tutto l’assieme rende, per esempio, un brano come Someone Else una mini sinfonia di perfetto pop-rock, in bilico tra West Coast e Beatles lato McCartney, ma anche influenze Beach Boys. Non mancano ballate pianistiche malinconiche come la struggente I Can’t Tell My Heart, dove la voce vissuta ma ancora giovanile di Emitt Rhodes ci guida nel suo “perfect pop” che non tramonta mai, anche questa ballad è comunque impreziosita da ricami chitarristici che sono la costante di tutto l’album.

Poi il nostro si incoraggia da solo con una vivace Put Some Rhythm To It, un’altra bella costruzione di pop McCartneyano, che rimane comunque un punto di riferimento anche se la voce è cambiata e non è più simile come un tempo, le “buone abitudini” non si perdono mai!. It’s All Behind Us Now è un altro titolo che guarda al passato. con la musica qui più bluesata e meno scanzonata, sempre deliziosamente retrò nei suoi arrangiamenti molto seventies che però non hanno perso il loro fascino intramontabile, la musica buona non passa mai di moda. What’s A Man To Do è un altro esempio di questo pop in excelsis deo, di nuovo con quel suono che fa tanto California anni ’70, il lato più solare e disimpegnato, ma sempre godibilissimo anche dalle nostre latitudini. E pure Friday’s Love con quel suo piano elettrico che scivola su un tessuto morbido che ricorda molto anche il blue eyed soul, secondo me piacerebbe molto al mio amico Max Meazza appassionato di quei cantautori californiani di quell’era gloriosa, tipo Ned Doheny, JD Souther, Stephen Bishop e molti altri, tutta quella generazione. La fine dell’arcobaleno, anche Rainbow Ends la canzone conclusiva, magari non ci riserva il magico calderone pieno di monete d’oro, ma solo un disco pieno di belle melodie, suonato in modo perfetto e cantato con gran classe, e non è poco. Speriamo di non aver aspettare altri 43 anni per il prossimo capitolo, perché dubito che saremo ancora qui, anche se lo auguro a tutti!

Bruno Conti