Meglio Solo Che Male Accompagnato! Popa Chubby – Tinfoil Hat

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Popa Chubby – Tinfoil Hat – Dixiefrog

Quando tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo dello scorso anno scatta la pandemia da Covid, Popa Chubby è in giro on the road per promuovere il nuovo album appena uscito It’s A Mighty Hard Road, ma come molti musicisti e artisti (per non dire anche dei comuni mortali, che però ogni tanto hanno potuto allentare l’isolamento) non immagina certo che la sosta sarà così lunga: già da subito manda richieste di aiuto a fans e appassionati, che gli rispondono, e quindi Ted Horowitz inizia a scrivere e registrare un po’ di canzoni nuove dal suo quartiere generale tra Bronx, NY City e Hudson Valley, con argomenti che da universali chiamate alle solidarietà umana Can I Call You My Friends? passano al tema del Black Lives Matter con No Justice No Peace, amichevoli vaffanculo a quello che allora era l’inquilino della Casa Bianca “TheDonald” con You Ain’t Said Shit, meditazioni sulla situazione di oggi che richiama quella dei tempi che furono in 1968 Again.

Il nostro non è un fine poeta e dicitore, quindi se serve nei testi usa accetta e piccone, mentre musicalmente, dovendo suonare tutti gli strumenti in solitaria, il suo solito blues ad alta gradazione rock, nutrito negli anni a Cream, Zeppelin e Mastro Jimi, si fa sempre più ruvido, pur inserendo, come è sua consuetudine, elementi punk e qualche tocco di reggae, una spennellata di soul e questa volta anche un po’ di surf, senza mai dimenticarsi di santificare comunque i grandi delle 12 battute. Ovviamente, come per molti altri che praticano le strade del blues la formula è sempre più meno quella, qualche shuffle, dei blues lenti, tanta grinta e moltissimi riff: i suoi ascoltatori quello si aspettano e lui li accontenta, ripreso in copertina con un cappellino di latta Tinfoil Hat, in testa, e mascherina sul volto, per il tocco di raffinatezza si presenta con acustica con il corpo di acciaio e poi procede con 11 canzoni 11 scritte da lui a ribadire le convenzioni non scritte, ma ben codificate ed appena ricordate, della propria musica.

La title track, con video con pupazzetto di uno con improbabile capigliatura bionda (chi sarà mai?) che cavalca anche missili, virus che fluttuano nell’etere, e annuncio iniziale da imbonitore, ritmo scandito primitivo, echi surf blues-rock, ma poi imbraccia la sua Gibson e ci spara un assolo potente dei suoi. Ci esorta anche non fare i pirla Baby Put On Your Mask, lui indossa il suo bottleneck per convincerci con un rock ribaldo, mentre nella antemica No Justice No Peace il messaggio è veicolato in un poderoso rock-blues dove come è sua usanza maltratta la solista e canta pure con convinzione e profitto, la voce ben delineata; in You Ain’t Said Shit dialoga con il suo amico Trump (ma, ohibò, odo forse una pernacchia a fine brano?) in una canzone deliziosa che sembra provenire da un vecchio vinile anni ‘50, c’era la guerra fredda, ma la musica era eccellente. Another Day In Hell è un “bluesazzone” (si può dire?) di quelli tirati, ribaldi, urlati e lancinanti, con la chitarra in spolvero che inchioda un altro assolo dei suoi https://www.youtube.com/watch?v=jKByTD6_39c .

In Can I Call You My Friends? tratta tutti i temi che hanno caratterizzato il 2020, pandemia, politica, proteste, Capitol Hill, con un video recente dove appare anche Biden, è la musica è vigorosa, rock and roll orgoglioso e barricadero, suonato e cantato con grande impeto, bellissima canzone. In Someday Soon (A Change Is Gonna Come) prova a rispondere anche a Sam Cooke con un brano dove una sinuosa slide è protagonista assoluta https://www.youtube.com/watch?v=lq4whvmmNDY , e Cognitive Dissonance a tempo di reggae puro è l’unico brano dell’album che non mi convince appieno (sono allergico, anche se lui ci aggiunge elementi rock con la chitarra insinuante e cattiva), mentre Embee’s Song con la sua andatura da sweet soul music e l’omaggio a Otis con un sentito “Let Me Love You, Baby!” e un assolo rigoglioso da grande rocker conferma la ritrovata vena di un Popa Chubby ispirato https://www.youtube.com/watch?v=3OIqTp2PQ38 , che nel finale ci regala 1968 Again dove utilizza con destrezza l’acustica con uso slide che mostra nella copertina del CD https://www.youtube.com/watch?v=loZz9vQlohg  e prima nello strumentale Boogie For Tony https://www.youtube.com/watch?v=9lURAz897CI  ci ricorda anche perché è giustamente considerato un eccellente chitarrista: e bravo Ted!

Bruno Conti

Il “Solito” Disco Di Ted Horowitz. Popa Chubby – It’s A Mighty Hard Road

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Popa Chubby – It’s A Mighty Hard Road – Popa Chubby Productions/Dixiefrog

Avevamo lasciato il nostro amico Ted Horowitz, alias Popa Chubby, alle prese con una antologia Prime Cuts: The Very Best Of The Beast From The East, che pescava dal meglio degli album della sua produzione precedente, quasi 30 anni tra alti e bassi, ma che aggiungeva anche un secondo CD di materiale inedito https://discoclub.myblog.it/2018/09/21/tutto-popa-e-niente-grasso-superfluo-si-fa-per-dire-popa-chubby-prime-cuts-the-very-best-of-the-beast-from-the-east/ . Quel disco per certi versi aveva anche sancito la fine della sua collaborazione con la earMusic, per quanto bisogna dire che comunque questo vale solo per il mercato europeo, negli Stati Uniti il tutto esce sempre per la propria etichetta PCP Popa Chubby Productions: così avviene anche per il nuovo It’s A Mighty Hard Road che in Europa verrà distribuito dalla Dixiefrog, un ritorno quindi all’etichetta che gli ha dato le migliori soddisfazioni e anche il titolo del Post è abbastanza simile ad un altro che avevo già usato nel recente passato https://discoclub.myblog.it/2016/11/19/il-solito-popa-chubby-the-catfish/.

A marzo Horowitz taglia il traguardo dei 60 anni e il veterano newyorchese festeggia l’evento con un buon album. Quindici canzoni dove il nostro, accompagnato come sempre dal fedele Dave Keyes a piano e organo, dal batterista Steve Halley nei primi quattro brani, che si alterna con Dan Castagna e con lo stesso Popa in parecchie tracce, che si occupa anche del basso quando non sono disponibili Brett Bass (?) e V.D. King. Tredici pezzi portano la firma di Horowitz, che aggiunge anche due cover finali, la classica I’d Rather Be Blind del terzetto Leon Russell/Don Nix/Donald Dunn, nonché una inconsueta Kiss di Prince. Come dicevo poc’anzi il disco, registrato quasi interamente ai Chubbyland Studios di New York, a parte le prime quattro tracce, presenta un Popa piuttosto motivato, come certifica subito l’iniziale The Flavor Is In The Fat, ovvero “Il Sapore E’ Nella Ciccia”, che è quasi una dichiarazione di intenti, uno dei suoi classici e robusti brani, dove Ted canta con vibrante impeto e la chitarra è pungente e subito libera di improvvisare con gusto, con le tastiere di Keyes e la ritmica a seguirlo come un sol uomo. Anche il rock-blues della potente title track ci presenta il vecchio Popa, quello dei giorni migliori; Buyer Beware, sui rischi di comprare una chitarra di seconda mano, è un divertente e movimentato shuffle che illustra ancora una volta l’approccio ruspante del nostro amico alle 12 battute, con tanto di citazione per l’amato Jimi Hendrix.

Ottima anche la flessuosa It Ain’t Nothin’ con un eccellente lavoro alla slide, molto piacevole anche la hard ballad Let Love Free The Way con una bella linea melodica e un lirico lavoro della solista, mentre la riffata If You’re Looking For Trouble illustra il suo lato più hard-rock, con risultati comunque apprezzabili e The Best Is Yet To Come è una deliziosa “soul ballad” che traccia, con una punta di ottimismo e speranza, la situazione sociale dell’America di Trump. Il titolo dell’album già esisteva, ma la canzone I’m The Beast From The East mancava all’appello, e quindi il buon Popa rimedia subito con un solido blues che coniuga lo stile “orientale” di NY con le classiche 12 battute di Chicago, in cui Chubby esprime il meglio del suo stile chitarristico. Non manca un rilassato brano strumentale Gordito, che ha profumi latini mescolati al blues del non dimenticato Peter Green, con Enough Is Enough che bacchetta ancora le tendenze “naziste” di Trump a tempo di funky-reggae e pedale wah-wah innestato a manetta, ma non soddisfa del tutto.

More Time Making Love è un classico brano di roots-rock di buona fattura e la divertente Why You Wanna Bite My Bones? viaggia sui binari di un piacevole boogie’n’roll, lasciando alla notturna ma irrisolta Lost Again l’ultimo posto libero per i brani originali. La citata I’d Rather Be Blind è vibrante e prevede una buona performance vocale del nostro, che poi improvvisa e cazzeggia nella cover di Kiss di Prince, con un uso sorprendente della armonica. Insomma, tirate le somme, il “solito” disco di Popa Chubby, più che positivo benché forse non eclatante.

Bruno Conti

Tutto Popa E Niente “Grasso” Superfluo, Si Fa Per Dire. Popa Chubby – Prime Cuts: The Very Best Of The Beast From The East

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Popa Chubby – Prime Cuts: The Very Best Of The Beast From The East – 2 CD earMusic/Edel

Se avete già molti dei dischi di Ted Horowitz a.k.a. Popa Chubby, forse questo Prime Cuts: The Very Best Of The Beast From The East potrebbe essere considerato superfluo, una antologia che pesca da 28 anni di carriera passati al setaccio dal nostro amico, che poi ha scelto quelli che secondo lui sono i brani miglior dal proprio catalogo. Però la storia non finisce qui e nel secondo CD il buon Ted ha pensato bene di aggiungere altre undici tracce inedite, nove in studio e due dal vivo. Una compilation interessante sia per i fans come per i novizi, che possono ascoltare una scelta di canzoni di uno dei cantanti e chitarristi (rock)blues più eclettici delle ultime generazioni. La scaletta non segue (strettamente) un ordine cronologico, per cui si parte con la autobiografica e molto piacevole Life Is A Beatdown, dove una buona melodia e un groove accattivante si sposano con le evoluzioni della chitarra, il tutto tratto dall’album del 2004 Peace, Love And Respect https://www.youtube.com/watch?v=mFUMiH4yYt4 ; Angel On My Shoulder viene da Booty And The Beats, il primo e probabilmente migliore disco di studio di Popa del 1995, un gagliardo brano di rock classico, con profumi e rimandi hendrixiani https://www.youtube.com/watch?v=3BGkgHZ-t3g , che poi vengono ribaditi in una notevole e fedele rilettura del classico Hey Joe dell’amato Jimi, una versione dove si può apprezzare tutta la potenza e la classe del chitarrista newyorkese, che quando vuole è in grado di rilasciare brani dove gli assoli di chitarra sono spesso ricchi di feeling e tecnica di prima categoria.

Ottime anche Stoop Down Baby, sempre dal primo album, un funky-rock-blues con uso d’organo e sax di ottima fattura e Sweet Goddess Of Love And Beer, dai retrogusti soul classici e qualche tocco springsteeniano; dall’album del 1996 Hit The High Hard One, il suo primo live, viene la notevole blues ballad San Catri, un lungo brano strumentale ispirato ancora dal songbook di Hendrix, dove si apprezza nuovamente il suo solismo ispirato, da vero mago della 6 corde. Sempre dal live viene anche il divertente boogie Caffeine And Nicotine, mentre lo splendido e lancinante slow Grown Man Crying Blues https://www.youtube.com/watch?v=AbM1tSa0RrUviene da Deliveries After Dark del 2007  , come pure la sua velocissima versione strumentale del tema del Padrino; molto bella anche la cover di Hallelujah, più vicina all’originale di Leonard Cohen che alla rilettura di Jeff Buckley, con un lirico solo di chitarra aggiunto. Somebody Let The Devil Out viene da The Good, The Bad And The Chubby del 2002, un blues elettroacustico che illustra anche il lato più tradizionale di Horowitz, con slide ed armonica, e qualche vago accenno rap che in questo brano ci sta, e ancora dallo stesso album I Can’t See The Light Of Day, una bella ballata che ricorda certi brani della Band e quindi il lato più roots di Popa Chubby.

Sempre dal disco del 2002, uno dei suoi migliori, viene anche la robusta Dirty Lie con ampio uso di wah-wah. Daddy Played The Guitar( And Mama Was A Disco Queen) era su How’d a White Boy Get the Blues? del 2000, non uno dei dischi migliori, e pure il brano è alquanto pasticciato, A chiudere un ottimo Best arriva il raro singolo natalizio There On Christmas dalla classica atmosfera festosa e piacevole. Il secondo CD raccoglie, come detto, 11 inediti: Go Fuck Yourself illustra in modo brutale la sua filosofia di vita, mentre molto buone sono le due tracce dal vivo, If The Diesel Don t Get You Then The Jet Fuel Will, un poderoso rock’n’roll che ricorda le sue cose migliori https://www.youtube.com/watch?v=FPGWD6_mk60 e anche lo scatenato rockabilly Race From The Devil sprizza energia da tutti i solchi virtuali. Hey Girl è un altro omaggio a tutto wah-wah al maestro Hendrix, Sidewinder è un notevole strumentale di impronta jazz rivisto comunque nel suo stile ruspante e Walking Through The Fire un altro strumentale dove si apprezzano le sue virtù solistiche, Sorry Man vira momentaneamente verso il country in modo gradevole, Back To N.Y.C, in versione demo, rimane un altro buon brano hendrixiano, il resto è un riempitivo, comunque piacevole, ma  globalmente l’album rimane interessante, anche per i “completiisti” di Popa Chubby.

Bruno Conti

Il “Solito” Popa Chubby, E Basta -The Catfish

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Popa Chubby – The Catfish – earMUSIC/Edel

Il “Pesce gatto” in un certo senso è il re dei pesci di acqua dolce, soprattutto dei fiumi e dei laghi americani, ma è anche una delle figure ricorrenti in alcune delle iconografie classiche del Blues, e per Popa Chubby che si è autoproclamato “The King Of The New York City Blues” era quasi inevitabile che prima o poi si arrivasse a questo titolo. E il nostro amico Ted Horowitz lo fa in quello che è il suo esordio per una nuova etichetta discografica, la earMUSIC, che si avvicenda alla Dixiefrog e alla Blind Pig, oltre alla Provogue che per un paio di album aveva distribuito i prodotti dell’artista americano. The Catfish arriva dopo il buon doppio dal vivo dello scorso anno Big, Bad and Beautiful ed il precedente I’m Feelin’ Lucky (The Blues According To Popa Chubby), un album dai risultati altalenanti almeno per il sottoscritto, dopo le buone prove per la Provogue. Devo dire che ad un primo ascolto questo album non mi aveva convinto del tutto, ma poi risentito a volumi consoni, cioè alti, tutto comincia, almeno nella prima parte, ad assumere un senso: dalla scarica di adrenalina del vigoroso funky-blues-rock dell’iniziale Going Downtown, con wah-wah a tutta manetta e la sezione ritmica Matt Lapham, basso e Dave Moore, batteria che ci dà dentro di brutto, all’altrettanto virulenta Good Thing che qualcuno ha voluto accostare al funky di Prince, ma secondo chi scrive si avvicina più a quello classico di Sly & Family Stone o al limite dei Parliament/Funkadelic, con decise galoppate della solista del Popa che maltratta di gusto la sua chitarra, ben coadiuvato anche dal piano del bravo tastierista Dave Keyes.

Anche la versione reggae e strumentale del famoso classico degli Everly BrothersBye Bye Love al primo giro non mi aveva acchiappato subito, mi era parsa pacchiana, ma ai giusti volumi si gusta il suono rotondo e corposo del basso, le accelerazioni della batteria e soprattutto della solista di Popa Chubby che si diverte un mondo a rifare questa piccola perla del primo rock. Cry Till It’s A Dull Ache ha qualche retrogusto del suono Muscle Shoals che usciva dai dischi soul della Memphis dell’epoca dorata, mista alle solite energiche folate del blues chitarristico del musicista newyorkese, ben sostenuto anche dalle tastiere di Keyes che in tutto il disco aggiungono piccole coloriture extra al solito sound da power trio. In Wes Is More il nostro amico addirittura si cimenta con il jazz after hours del grande Wes Montgomery, in un brano felpato ed inconsueto dove si apprezza tutta la perizia tecnica di Chubby e soci. Motorhead Saved My Life è un brano “duretto” anziché no (anche se non come potrebbe far pensare il titolo) dove Horowitz rende omaggio ad uno degli “eroi” musicali” della sua formazione musicale giovanile, Lemmy, già coverizzato in passato con una versione di Ace Of Spades che era su The Fight Is On, e qui trattato con un impeto più garage che metal, per quanto energico.

Il brano migliore di questo The Catfish è probabilmente un intenso slow intitolato Blues For Charlie, dove Popa Chubby rende omaggio alle vittime degli attentati di Parigi, capitale di quella che è ormai diventata la sua seconda patria, la Francia, il pezzo è splendido, uno strumentale intenso e lancinante, dove il nostro amico esplora con grande tecnica e feeling il manico delle sue chitarre (qui raddoppiate) per una delle migliori performances della sua carriera discografica, veramente un grande blues. Dirty Diesel è un onesto pezzo rock con qualche deriva hendrixiana, quello più selvaggio dei singoli iniziali, anche se da quelle parti eravamo su un altro pianeta, ma l’amico si impegna e poi ci stupisce in uno strano urban jazz quasi Davisiano, dove la figlia Tipitina è impegnata alla tromba con la sordina, in quello che è un esperimento riuscito a metà, una fusione tra hip-hop e jazz che non mi convince del tutto. Last Time Blues è un piacevole blues con uso di organo, che non resterà negli annali della storia del genere, mentre la title-track racconta la storia del re del fiume, il Pesce gatto, con un brano dal vago sentore southern, anche in questo caso buono ma non memorabile. Il finale è affidato ad una cover acustica di C’Mon In My Kitchen, dove Popa Chubby si esibisce al dobro, ben supportato dal piano di Keyes buona versione ma anche in questo caso niente per cui strapparsi le vesti. Insomma, per riassumere, il disco parte molto bene, ha alcune punte di eccellenza e poi si smorza un po’ nel finale, ma nel complesso è onesto e positivo, il “solito Popa Chubby (vedasi titolo del Post sugli Stones)!

Bruno Conti

Un “Bluesman” E Un Uomo Fortunato! Popa Chubby – I’m Feelin’ Lucky The Blues According To Popa Chubby

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Popa Chubby – I’m Feelin’ Lucky The Blues According To Popa Chubby – 2 CD Dixiefrog
Popa Chubby festeggia 25 anni di carriera (ufficiale, perché come dimostra il dischetto allegato nella versione europea di questo CD c’è stato anche un periodo pre-Chubbian) tornando sotto l’egida della Dixiefrog nel vecchio continente, mentre in America uscirà per la Cleopatra Records, con un’altra copertina https://www.youtube.com/watch?v=q_VHUjCw3pM . Discograficamente parlando l’esordio, con due album indipendenti, e con l’ottimo Booty And The Beast per la Columbia, avviene intorno a metà anni ’90, ma il primo utilizzo dello pseudonimo viene fatto risalire al 1989, prima il nostro amico era semplicemente Ted Horowitz (e lo è tuttora) e il suo raggio d’azione musicale includeva una serie di band e collaborazioni con amici di infanzia e di scuola nell’area newyorkese, Brooklyn in particolare, che dalla new wave e dal punk Post CBGB si spingeva fino all’hip hop e ad altri esperimenti musicali, contenuti nel dischetto bonus di questo album, di cui alla fine. Poi Popa è stato travolto dall’amore per il Blues, il rock’n’roll e il mito Hendrix e le sue scelte sono cambiate drasticamente, portando a una lunghissima serie di album che lo hanno fatto conoscere come uno dei chitarristi più interessanti dell’ultimo quarto di secolo.

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Dopo un periodo di appannamento, gli ultimi due album per la Provogue, Back To New York City e, soprattutto, Universal Breakdown Blues http://discoclub.myblog.it/2013/04/19/piovono-chitarristi-3-anteprima/ , avevano segnato un suo ritorno alla miglior forma, ora confermata, anche se non completamente, dall’uscita di questo I’m Feelin’ Lucky, The Blues According To Popa Chubby, che fin dal titolo la dice lunga sull’approccio musicale dell’omone newyorkese. Blues sicuramente, ma anche tanto rock come dimostrano le sinuose spire di una Three Little Words che su un ritmo quasi santaneggiante, sostenuto dalle tastiere dell’ottimo Dave Keys (nomen omen), permette al nostro di occuparsi subito con profitto della sua chitarra, qui in modalità wah-wah, non selvaggio ma raffinato. La title-track, I’m Feelin’ Lucky,  nelle parole del suo autore, è “baddass funk”, e ascoltandola non è difficile capire perché, ritmi sincopati, tra James Brown e il rock, a cura di Francesco Beccaro, al basso e Chris Reddan, alla batteria, solito wah-wah, sorta di appendice immancabile alla chitarra del nostro, con soli pungenti e coinvolgenti https://www.youtube.com/watch?v=W4yAU22QTgc .

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Primo ospite, l’eccellente Mike Zito, sempre più lanciato, per un duetto/duello nella poderosa Rock On Bluesman, uno slow blues di quelli tiratissimi ed intensi, con le chitarre che si inseguono alla grande, con le voci dei due protagonisti che si dividono anche la parte cantata del brano, veramente bello, una sorta di “northern rock”, se mi posso permettere, vista la provenienza del buon Ted https://www.youtube.com/watch?v=PQerjkjbDIU . One Leg At A Time viaggia a tempo di un divertente R&R, da sempre tra le musiche care al Chubby https://www.youtube.com/watch?v=PFniWEQ-r5o , mentre per la classica Rollin’ And Tumblin’, dal groove quasi allmaniano, viene sfoderato l’immancabile bottleneck, e Horowitz appare anche in ottima forma vocale https://www.youtube.com/watch?v=-RqJ7DmF-g4&list=PLuKtKAhCWyrZ3_mCFnFsLKCRUwPKmd_2i&index=10 . Come To Me è l’altro duetto al calor bianco, con la concittadina Dana Fuchs, una che di rock e di blues se ne intende, e grazie alla sua voce potentissima si va sempre più imponendo come una delle rare cantanti contemporanee in grado di competere con le grandi del passato, senza esagerare i due, grazie ad un’ottima chimica umana, ci regalano una bella canzone di classico stampo rock con venature soul, sentire per credere; Save Your Own Life è un bel mid-tempo di stampo 70’s con l’organo a regalare quel sapore retrò del vecchio hard rock, mentre la chitarra macina note.

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I’m A Pitbull (Nothing But Love) è una simpatica canzoncina dedicata da Popa Chubby a questa razza di cani dall’aspetto fiero ma dall’animo gentile e servizievole, almeno nel giudizio basato sulla frequentazione giornaliera del suo “miglior amico”! Too Much Information è uno dei brani migliori di questo album, una sorta di ballata elettroacustica dalla ritmica raffinata, che fa da preludio ad un altro rock moderato, ma dalle interessanti aperture chitarristiche, come The Way It Is, che conclude un buon album, magari non eccelso, con due o tre punte di eccellenza. Nel secondo CD troviamo brani del giovane Ted Horowitz, tre a nome Bloodclot, band tra heavy e punk anni ’80 e new wave-rock, tipico dell’epoca, i Noxcuse, sinceramente non memorabili, con il nostro spesso al basso e non particolarmente distinguibile, lo strano esperimento di I Can’t Fix you, un demo molto rudimentale, il “beat poet rock” con i City Opus e Joe Labelle, le prime avvisaglie del futuro Popa Chubby nella rudimentale I’m Giving Up e nella lunga Steef Jam, i due brani più interessanti anche se non indispensabili, e il rap a tempo di hip-hop con gli Street Docs in Popa Chubby Is An Old Ass Man, visto che è gratis accettiamo, ma francamente se ne poteva fare a meno.

Bruno Conti

Piovono Chitarristi 3. Anteprima Popa Chubby – Universal Breakdown Blues

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Popa Chubby – Universal Breakdown Blues – Mascot/Provogue 23-04-2013

Continua il ritorno di Popa Chubby! O meglio, non è che Ted Horowitz se ne fosse mai andato, ma i suoi ultimi dischi non erano sempre il massimo, fino al precedente Back To New York City che già mostrava la voglia del buon Popa di tornare al suo credo: Blues, ancora blues (rock), un po’ di Jimi e tanta chitarra. Il passaggio ad una nuova casa discografica indubbiamente ha giovato, ma questo Universal Breakdown Blues lo ribadisce e ci presenta un musicista decisamente provato dai problemi familiari che lo hanno interessato di recente, ma che proprio attraverso la musica esorcizza i suoi dispiaceri e li sublima in una serie di brani che lo riavvicinano agli standard qualitativi di inizio carriera, ai tempi di Booty And The Beast per intenderci. Suonato e cantato con grande partecipazione, questo nuovo album si avvale di una serie di brani che, senza cedimenti, ci riportano al chitarrista che abbiamo conosciuto ed amato ai primi tempi (e che comunque ha sempre saputo tenere fede alla sua fama, sia pure con qualche cedimento anche evidente qui e là).

Un brano emblematico di questo ritorno alla miglior forma è la cover di Somewhere Over The Rainbow, una versione che se la batte con quella di Jeff Beck come migliore ripresa strumentale del classico del Mago di Oz, vibrante e giocata su un lavoro di fino di toni e volumi dimostra la tecnica raffinata allo strumento di questo signore, che mette sul piatto anche una grinta e una carica poderose in questa esibizione registrata, presumo, dal vivo (non so dove e quando, perché non ho le note del CD, ma ad un certo punto si sentono degli applausi di puro entusiasmo, nel finale del pezzo). E non è che la versione di Beck scherzasse come intensità. Ma già dall’apertura con una I Don’t Want Nobody, bluesatissima in puro stile SRV, si capisce che questa volta non si fanno prigionieri o si concedono tregue, la voce e la chitarra sono quelle delle grandi occasioni (musicali), la ritmica è vivace e pimpante, l’organo Hammond sullo sfondo è perfetto nelle sue coloriture, grande partenza. I Ain’t Giving Up è una dichiarazione di intenti di fronte alle difficoltà della vita di tutti i giorni, una ballata tra soul e blues con la solista di Horowitz che inchioda un breve assolo tra i più sentiti della sua carriera, fluido e lirico, come poche altre volte, mentre la parte cantata, con delle belle armonie vocali in puro stile soul, è tra le più convincenti. Universal Breakdown Blues è un rock-blues hendrixiano, con pedale wah-wah a manetta, sentito mille volte ma quando è ben suonato ti prende sempre e qui Popa Chubby è nel suo elemento, come pure nella cover di Rock Me Baby, altro tour de force costruito sulla versione del mancino di Seattle, con qualche deviazione verso i territori cari allo Stevie Ray texano, altro praticante della setta degli adoratori dell’Hendrix più blues.

A proposito di blues, slow blues per favore, ce n’è uno straordinario, come The Peoples Blues, in questo nuovo album, otto minuti e un torrente di note che ti colpisce in piena faccia come un treno lanciato verso la sua meta,ma che non dimentica la lezione di BB King, tante note ma non troppe. Anche in brani più rilassati come 69 Dollars, la musica e la chitarra scorrono fluide come raramente si ascolta nel genere, grande controllo e gran classe. I Need A Lil’ Mojo è un piacevole funky-rock vagamente New Orleans style, mentre Danger Man è un altro breve episodio ad alta concentrazione wah-wah, a dimostrazione che anche i brani “meno riusciti” sono comunque di buona qualità e la chitarra è in ogni caso all’altezza delle aspettative. Take Me Back To Amsterdam (Reefer Smokin’ Man) con slide d’ordinanza in evidenza è un altro omaggio alle radici blues della nostra “personcina”, che ha anche rinunciato alla parte di Shrek in un musical di Broadway per dedicarsi alla musica che ama di più. Al limite la può infarcire con qualche ulteriore influenza, riff tra Stones, R&R e ZZ Top, come in The Finger Bangin’ Boogie o nuovamente “selvaggio” come nella tirata conclusione di Mindbender. Per chi ama il genere una boccata di aria fresca, quel tipo di disco dove i vari elementi, già sentiti e risentiti, si incastrano alla perfezione e alla fine ti ritrovi con quella espressione un po’ da pirla di quando ascolti qualcosa che non pensavi potesse piacerti ancora una volta, però, non è male…

Bruno Conti