Si Sa Che Le Piante Grasse Hanno Vita Lunga! Cactus – Tightrope

cactus tightrope

Cactus – Tightrope – Purple Pyramid/Cleopatra CD

Non so in quanti si ricordino dei Cactus, gruppo di Long Island formato nel 1969 dall’ex sezione ritmica dei Vanilla Fudge, ovvero il bassista Tim Bogert ed il batterista Carmine Appice (*NDB Io si! https://discoclub.myblog.it/2016/10/28/ci-riprovano-lennesima-volta-cactus-black-dawn/ ) . Fautrice di un hard rock con copiose iniezioni di blues (che li aveva fatti definire da qualche critico troppo entusiasta “i Led Zeppelin americani”), la band ebbe il suo momento di gloria dal 1969 al 1972, con la pubblicazione di quattro album che diedero loro una discreta popolarità; poi Bogert e Appice si unirono al grande Jeff Beck per registrare il seminale Beck, Bogert & Appice ed il gruppo si dissolse. Una prima reunion si ebbe nel 1976 per mano del cantante originale Rusty Day, ma la nuova formazione non consegnò alcunché ai posteri: per avere un nuovo album dei nostri bisognerà attendere il 2006 quando i redivivi Bogert e Appice (insieme anche al chitarrista originale Jim McCarthy, ex Detroit Wheels) pubblicheranno Cactus V, un lavoro peraltro abbastanza ignorato, cosa che peraltro capiterà anche a Black Dawn, uscito nel 2016.

Ora a sorpresa la band dello stato di New York ritorna con Tightrope, il loro settimo lavoro in studio: Appice è ormai rimasto l’ultimo tra i membri originali (Bogert ci ha lasciato nel gennaio di quest’anno, ma non faceva più parte del gruppo già da anni) e si è circondato di onesti mestieranti come il chitarrista Paul Warren (per anni con Rod Stewart), il bassista Jimmy Caputo, l’armonicista Randy Pratt ed il cantante Jimmy Kunes, con McCarthy che si limita ad una comparsata in un paio di canzoni. Devo dire in tutta sincerità che non mi aspettavo nulla di buono da questo nuovo lavoro della band, sia perché Appice è uno che per soldi suonerebbe anche nella sigla di Peppa Pig, sia per il fatto che il gruppo in sé è formato da comprimari, ed anche perché la Cleopatra (etichetta di Los Angeles che distribuisce il CD) spesso non è garanzia di qualità. Invece in parte mi devo ricredere: Tightrope non è certamente un capolavoro, ma neppure una ciofeca, ed in poco più di un’ora (forse anche venti minuti in meno sarebbero bastati) riesce ad intrattenere con una bella dose di rock-blues di matrice hard, un suono decisamente robusto che negli anni 70 andava per la maggiore.

Appice sarà quello che sarà, ma quando si siede ai tamburi picchia ancora come un fabbro, Kunes è un cantante sufficientemente potente ed espressivo e le parti chitarristiche non sono disprezzabili, anche se qua e là i suoni sono un po’ tagliati con l’accetta. Si parte in maniera potente con la title track, rock-blues roccioso con reminiscenze zeppeliniane sia nel sound che nel cantato: forse il songwriting non è proprio di prima scelta ma lo scopo viene comunque raggiunto grazie ad una buona tecnica ed una discreta dose di feeling. Papa Was A Rolling Stone è proprio la vecchia hit dei Temptations, anche se qui il pezzo viene completamente stravolto diventando una rock song sanguigna alla quale l’armonica dona un sapore blues; All Shook Up invece non è quella di Elvis ma una canzone nuova, un rock’n’roll con chitarre al vento e steroidi a mille, mentre Poison In Paradise è una riuscita ballatona elettrica dai forti umori blues, notturna, cadenzata e sinuosa.

Con Third Time Gone si torna a pestare duro, ma il suono di fondo ha forti connessioni southern, a differenza delle solide Shake That Thing e Primitive Touch che rimandano ancora all’ex gruppo di Page & Plant, pur non raggiungendo gli stessi livelli di eccellenza (e ci mancherebbe). Preaching Woman Man Blues è appunto un buon blues saltellante, adatto per la voce arrochita di Kunes ed abbastanza coinvolgente grazie anche all’ottima prestazione di tutta la band; Elevation, puro hard rock ancora dalle tinte blues, porta al pezzo centrale del CD, ovvero la lunga Suite 1 And 2: Everlong, All The Madmen, rock ballad soffusa e quasi psichedelica che rimanda decisamente al sound di fine sixties, con la chitarra di Warren che nel finale si erge a protagonista assoluta. La vivace Headed For A Fall, puro blues dal ritmo acceso, ed il rock anni 70 di Wear It Out chiudono un disco che, pur non essendo affatto imprescindibile, è molto meglio di quanto avessi previsto.

Marco Verdi

Ebbene Sì E’ Proprio Lui, Si E’ Dato Al Funky-Soul Con Profitto! Paul Stanley’s Soul Station – Now And Then

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Paul Stanley’s Soul Station – Now And Then – Universal

Chi sia Paul Stanley è cosa abbastanza nota: per i più distratti ricordiamo che è uno dei quattro Kiss, membro fondatore, chitarra ritmica e voce solista. E allora perché ne stiamo parlando? Già il nome della formazione aiuta, Paul Stanley’s Soul Station, ad indicare che il musicista di New York City per certi versi è uno dei “nostri”, inteso come amante della soul music, ma quella più genuina, non incrociata e contaminata da altri generi musicali, come lascia intendere il titolo del disco Now And Then, canzoni pescate sia da nuove composizioni firmate dallo stesso Stanley, cinque, quanto da una serie di classici del repertorio Motown e Philly Sound. E a scanso di equivoci, diciamolo subito, il disco è piuttosto riuscito, secondo il sottoscritto anche meglio di gran parte del cosidetto “nu soul” che circola al momento (per esempio, per non fare nomi, è meglio di quello del quasi osannatao dalla critica Aaron Frazer). Accompagnato appunto dai suoi Soul Station, una band con cui girava per piccoli club e locali di NYC prima del Covid, spargendo il verbo della musica nera, come ricorda lui stesso quella appresa in gioventù ascoltando le canzoni del Philly Soul e della Motown, e, non essendo un giovinetto, per avere visto dal vivo gente come Otis Redding e Solomon Burke (beato lui!).

paul stanley soul station now and then 1Paul-Stanley

Poi come abbiamo visto è stato “traviato” da altri generi più rutilanti, ma evidentemente la vecchia passione non sì è spenta. Come evidenzia la foto di copertina, insieme ad un elegante Paul, ci sono ben dieci altri musicisti nel gruppo: il chitarrista e corista Rafael “Hoffa” Moreira, il bassista Sean Hurley, il tastierista Alex Alessandroni, la tastierista Ely Rise, il batterista e corista Eric Singer (sempre dei Kiss), il percussionista RayYslas, i coristi Gavyn Rhone, Crystal Starr e Laurhan Beato, il trombettista Pappenbrook, e anche una piccola sezione archi ed altri due fiatisti, quindi suono ricco mi ci ficco! Could It Be I’m Falling In Love, brano del 1973 degli Spinners, registrato ai Sigma Sound Studios di Philadelphia, indica subito la direzione della musica, quel soul/R&B che poi verrà definito Philly Sound, più morbido e mellifluo del suono della Stax e della prima Motown, cionondimeno molto godibile e piacevole, anche se anticipa l’avvento della Disco Music, archi, cori e fiati imperversano, Stanley ha una bella voce che può spaziare da un sicuro timbro tenorile al falsetto, non manca la tipica chitarrina maliziosa ingrediente immancabile di questo stile. I Do, cantata in un falsetto non esagerato, dimostra che il sound lussurioso è replicabile anche nei brani “originali” di Stanley, come nella successiva mossa I Oh I, tipico brano da dancefloor, con la sezione fiati che si prende i suoi spazi, ma quando è applicata alle cover risplende maggiormente https://www.youtube.com/watch?v=40gsFY0fnu0 .

Paul Stanley @ The Roxy (9.11.2015)

Paul Stanley @ The Roxy
(9.11.2015)

Per esempio nella malinconica ballata Ooh Baby Baby, brano di Smokey Robinson, anche nel repertorio di Linda Ronstadt, dove il nostro può indulgere di nuovo nell’amato falsetto, e il tasso zuccherino potrebbe essere pericoloso per i diabetici, ma si evita nella frizzante ed estiva O-o-h Child, pezzo di Chicago Soul del 1970 dei Five Stairsteps, anticipatori dei Jackson 5 https://www.youtube.com/watch?v=sBEULgmjnWk . Tra i brani migliori del CD, che forse ogni tanto esagera nel dancefloor sound, anche una ottima Just My Imagination (Running Away With Me), cavallo di battaglia del classico Motown sound dei Temptations, dove Stanley si conferma eccellente soul singer https://www.youtube.com/watch?v=2CKWxln5kgE , come ribadisce in The Tracks Of My Tears del maestro Smokey Robinson, e anche in una notevole Let’s Stay Together del grande Al Green https://www.youtube.com/watch?v=yXUBqc1qGuI . Eccellente pure la ripresa di La-La – Means I Love You dei Delfonics, alfieri di quel soul più morbido e sognante, niente male anche l’originale di Stanley Lorelei, spensierato scacciapensieri in questi tempi bui e tempestosi, ma anche la ballatona strappalacrime You Are Everything degli Stylistics, per non dire della splendida ed euforica Baby I Need Your Loving, uno dei capolavori scritti da Holland/Dozier/Holland per i Four Tops. Non un capolavoro quindi, ma tutto estremamente godibile e piacevole https://www.youtube.com/watch?v=kX8KUF6BPk8 . File under Soul Music.

Bruno Conti

Una Delle Migliori Annate Per Il Capitano Jerry! Jerry Garcia Band – Garcia Live Volume 10

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Jerry Garcia Band – Garcia Live Vol. 10: Hilo Civic Auditorium, Hilo, HI May 20th 1990 – ATO 2CD

Gli anni a cavallo fra gli ottanta e i novanta sono stati tra i migliori per Jerry Garcia a livello di performer: in quel periodo infatti il nostro ha pubblicato uno dei più riusciti album dal vivo con i Grateful Dead, senza contare ovviamente quelli postumi (Without A Net, 1990) ed il suo più bel live in assoluto come solista (Jerry Garcia Band, 1991). Questo decimo volume della serie Garcia Live si rivolge proprio a quel periodo ed è, manco a dirlo, tra gli episodi migliori. Registrato il venti Maggio del 1990 nell’insolita location di Hilo, nelle Hawaii, questo doppio CD vede Jerry in forma davvero strepitosa, sia dal punto di vista strumentale (ma questa non è una novità, dato che stiamo parlando di uno dei più grandi chitarristi del secolo scorso) sia da quello vocale (e questo non era scontato, dato che il canto è spesso stato il suo tallone d’Achille). La band che lo accompagna, poi, è formidabile, una delle migliori incarnazioni della JGB: guidata dal bravissimo organista Melvin Seals, vero co-leader del gruppo, vede il fido John Kahn al basso, David Kemper (in futuro nella road band di Bob Dylan) alla batteria, e le ottime Gloria Jones e Jacklyn LaBranch ai cori.

Il doppio CD, registrato tra l’altro in modo perfetto, è anche più godibile di altri in quanto Jerry ed i suoi eseguono molte più canzoni del solito (ben 18), lasciando un po’ meno spazio alle jam chilometriche, e favorendo quindi maggiormente il piacere dell’ascolto (infatti i brani più lunghi non superano i dieci minuti, che per Garcia sono pochissimi). Come d’abitudine Jerry preferisce lasciare in secondo piano il suo repertorio solista, ignorare completamente quello dei Dead, e concentrarsi principalmente sui pezzi altrui; quella sera è Dylan a farla da padrone come autore, con ben cinque canzoni: la poco nota Tough Mama, che Jerry fa sua con un paio di assoli formidabili, una straordinaria Knockin’ On Heaven’s Door, tra le più belle mai proposte dal nostro, profonda ed emozionante (nonostante un fastidioso assolo di tastiera elettronica nella parte centrale), una lunga e distesa Forever Young, in cui Jerry canta benissimo, l’intensissima Tears Of Rage ed una scoppiettante Tangled Up In Blue, posta a chiusura del concerto. Il Garcia autore è rappresentato solo in tre occasioni: They Love Each Other, una liquida ballata che negli anni è diventata un classico anche per i Dead, la solare e godibile Run For The Roses e la pimpante Deal, tra i suoi brani più diretti di sempre, con la solita inimitabile prestazione chitarristica.

Il piatto forte sono comunque le cover di vario genere, con un predominio per il soul/errebi, con la splendida How Sweet It Is di Marvin Gaye, che apre la serata e con Garcia e Seals che si fronteggiano alla pari, una fluida Like A Road Leaving Home di Don Nix e Dan Penn, dal caldo suono sudista e con una parte strumentale eccezionale, una delle più riuscite dello show, e le classiche The Way You Do The Things You Do dei Temptations, con un insolito arrangiamento reggae, e My Sisters And Brothers, un successo per i Sensational Nightingales, decisamente coinvolgente. Poi c’è un po’ di reggae (The Harder They Come di Jimmy Cliff, sontuosa, e Stop That Train di Peter Tosh), un irresistibile rock’n’roll (Tore Up Over You di Hank Ballard, inferiore però alla versione di studio in cui Jerry era affiancato dal grande Nicky Hopkins, che giganteggiava al pianoforte), e chicche come una frizzante rivisitazione della strepitosa Evangeline dei Los Lobos, dal sapore rock-gospel, e due solide riletture della bella Waiting For A Miracle (Bruce Cockburn) e del classico evergreen That Lucky Old SunJerry Garcia era uno che raramente dal vivo tradiva, e se anche in questa serie Garcia Live c’è stato qualche episodio meno brillante, questo decimo volume lo vede davvero in serata di grazia.

Marco Verdi

E Dacci Pure Il Nostro Garcia Settimanale! Jerry Garcia Band – Garcia Live Volume 7

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Jerry Garcia Band – Garcia Live Volume 7: Sophie’s, Palo Alto 1976 – ATO Records 2CD

Ormai uno degli appuntamenti fissi di questo Blog sono le uscite di materiale riconducibile ai Grateful Dead o al Jerry Garcia solista, dato che negli ultimi mesi c’è stata una vera e propria invasione di CD e DVD, tra tributi e dischi live, roba da far sembrare Joe Bonamassa uno che fa un disco ogni quattro anni (e meno male che non ci occupiamo anche dei vari Dave’s Picks). Da tempo, come saprete (parallelamente ai Dead), esiste un progetto che propone alcuni tra i migliori concerti della Jerry Garcia Band, una serie che si protrae da diversi anni (prima come Pure Jerry, adesso come Garcia Live): due uscite così ravvicinate come il sesto ed il settimo volume non erano però mai state messe sul mercato prima d’ora. Ho infatti ancora nelle orecchie il triplo con Merl Saunders registrato al Lion’s Den, da me commentato non molto tempo fa http://discoclub.myblog.it/2016/07/20/dite-la-verita-eravate-po-preoccupati-jerry-garcia-merl-saunders-garcia-live-vol-6-lions-share/ , che mi trovo a parlare già del volume 7, che stranamente è “solo” doppio, e che prende in considerazione un concerto tenuto l’8 Novembre del 1976 a Palo Alto, in California, con una formazione poco nota della JGB. Infatti, oltre ai fidi John Kahn e Ron Tutt, rispettivamente al basso e batteria, Jerry è accompagnato alle tastiere da Keith Godchaux, all’epoca membro fisso anche del Morto Riconoscente, che per l’occasione si è portato dietro anche la moglie Donna, una presenza che nei Dead ho sempre reputato inutile mentre secondo me qui ha più senso, in quanto Jerry ha spesso usato delle voci femminili dal vivo, non potendo sostenere in prima persona tutte le parti vocali. Questa versione della band comunque funziona, un po’ per lo stato di forma ottimo del leader (che canta anche meglio che nel precedente volume), sempre meraviglioso quando si tratta di far scorrere le dita sulle corde della sua chitarra, un po’ per l’affiatamento con gli altri membri della band, ma anche per la scelta di brani suonati di rado dal barbuto musicista. Un concerto molto diverso da quello con Saunders, meno sperimentale e decisamente più rock e diretto, con un Godchaux in grandissima forma a condividere i momenti strumentali con Jerry, ed una serie di brani al solito lunghi e dilatati, ma nei quali il bandolo non viene mai smarrito, anche se forse la qualità di incisione è leggermente inferiore a quella spettacolare del sesto volume.

Il primo CD si apre con The Way You Do The Things You Do, un classico scritto da Smokey Robinson e portato al successo dai Temptations, brano perfetto per rompere il ghiaccio, versione vivace e spedita con Jerry che fa subito capire che la serata è di quelle giuste. Knockin’On Heaven’s Door di Bob Dylan è una di quelle canzoni che uno si aspetterebbe di trovare più avanti nella serata (magari nei bis), mentre qua viene proposta come seconda: dopo un avvio un po’ traballante, nel quale la band sembra cercare l’intesa, il brano si mette sui binari giusti, il tempo è rallentato rispetto all’originale di Bob, ma Jerry è sublime alla sei corde e l’accompagnamento scorre fluido per circa un quarto d’ora (e gli perdono un accenno di reggae nel ritornello, ma in quel periodo anche Clapton la faceva così); After Midnight, il classico di J.J. Cale, è ritmata e scattante, con Kahn e Tutt che non perdono un colpo e Jerry che canta e suona in maniera decisa: una buona versione, anch’essa discretamente lunga (13 minuti), ma avvincente e per nulla noiosa. E’ la volta della rara Who Was John?, un traditional gospel dalla struttura simile a John The Revelator, un pezzo molto rallentato e cantato a tre voci, con elementi blues neanche troppo nascosti; Mission In The Rain è uno dei pochi originali proposti da Jerry (era su Reflections), una bella canzone, tipica del nostro, limpida e fluida e con un’ottima prestazione di Godchaux (ed anche di Garcia, ma che ve lo dico a fà?). Il primo dischetto si chiude con Stir It Up, noto brano di Bob Marley: come saprete il reggae non è tra i generi che amo, ma la melodia solare è di quelle vincenti (Donna è la voce solista qui), e poi Jerry la arrangia a modo suo, lascia parlare la chitarra e ci regala altri 12 minuti molto godibili.

Il secondo CD inizia con Midnight Moonlight, un vivace folk-rock scritto da Peter Rowan e presente in origine sul mitico disco degli Old & In The Way, una versione spedita e trascinante, tra le migliori performance del doppio, con Jerry ispirato e decisamente “sul pezzo”; Tore Up Over You è un coinvolgente rock’n’roll (di Hank Ballard): nella studio version apparsa sempre su Reflections al piano c’era il fenomenale Nicky Hopkins, ma anche Godchaux fa la sua porca figura, e poi Jerry stende tutti con un paio di assoli dei suoi. Non era scontato ascoltare un brano dei Dead in un concerto di Garcia, anzi Jerry di solito non suonava pezzi del suo gruppo principale: quella sera però il nostro propose una apprezzata (dal pubblico) Friend Of The Devil, una canzone che ho ascoltato talmente tante volte che non può riservare grandi sorprese, mentre Don’t Let Go di Jesse Stone è il centrepiece del concerto, 22 minuti di puro sballo strumentale, con Jerry che raggiunge vette altissime ed il gruppo quasi fa fatica a stargli dietro (ma non Godchaux, che è un treno in corsa), una performance che da sola vale il prezzo. L’album si chiude con tre pezzi suonati molto di rado dal nostro: Strange Man, un bluesaccio strascicato di Dorothy Love Coates, cantato molto bene da Donna, e dalla durata di “appena” sei minuti, una toccante Stop That Train di Peter Tosh (quindi ancora reggae), e gran finale con Mighty High, hit minore di un gruppo poco noto degli anni settanta, i Mighty Clouds Of Joy, forse non una grande canzone, ma Jerry e compagnia sopperiscono con classe, feeling e mestiere.

Un altro concerto notevole, anche se adesso auspico una pausa un po’ più lunga prima dell’ottavo volume.

Marco Verdi

Sembra Uno Bravo. Ben Poole – Live At The Royal Albert Hall A BBC Recording

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Ben Poole – Live At The Royal Hall – Manhaton Records

Non è parente di Brian Poole, la famosa pop star inglese, leader dei Tremeloes, conosciuti per la loro cover di Twist And Shout, e per una lunga e consistente carriera nelle classifiche pop inglesi: si tratta solo di un caso di omonimia. Ben Poole è un ennesimo giovane cantante e chitarrista di orientamento blues che si affaccia sulla scena inglese. Avevo letto e ascoltato qualcosa su questo 25enne, autore fino ad ora di un EP nel 2010 e di un album d’esordio nel 2013, Let’s Go Upstairs, ben considerati entrambi dalla critica musicale..

ben poole let's go

Alla luce di questo Live At The Royal Albert devo dire che la fiducia mi sembra ben spesa: non siamo di fronte ad un nuovo “salvatore” del Blues, ma il giovane ha talento (eccellente chitarrista con una notevole tecnica di base, applicata con profitto alla sua Les Paul), cantante con una voce accattivante e melodica, anche se non graffiante, e buona presenza scenica https://www.youtube.com/watch?v=6jlyffWLjYQ . Tutti elementi che confluiscono in questa registrazione dal vivo, realizzata nel corso della BluesFest tenuta nell’ottobre del 2013 (e replicata quest’anno – 2014) alla mitica Royal Albert Hall. Ovviamente non è che gli artisti emergenti approdino subito in uno dei templi della musica londinese (o almeno una volta era così), infatti gli headliners dell’edizione dello scorso anno erano Robert Plant, Chris Rea e Van Morrison (ma che fine ha fatto?), presenti anche la Tedeschi Trucks Band, Bobby Womack, in una delle sue ultime apparizioni, e Mavis Staples, per citarne alcuni.

ben poole live ben poole

Però devo dire che questo “giovanotto” fa la sua porca figura: se dovessi definire il suo genere, per aiutare chi spesso deve orientarsi tra gli sproloqui di vanitosi recensori (mi ci metto anch’io), direi che possiamo parlare di una sorta di easy blues rock and soul! Please? Avete presente uno dei dischi di maggior successo degli anni ’70, quel Frampton Comes Alive che fece la fortuna del biondo chitarrista e cantante inglese? Siamo da quelle parti,la voce non è fantastica, ma molto piacevole, il repertorio oscilla tra rock classico di buona qualità, con robusti innesti di soul, R&B, ma anche pop, il tutto innervato da una cospicua dose di Blues  e rock, anche derive hendrixiane https://www.youtube.com/watch?v=FXjFzWS3i2M. Accompagnato da un eccellente quartetto, dove spiccano le tastiere di Sam Mason, Ben Poole si districa in uno stile che potrebbe ricordare quello degli esordi di Jonny Lang (o anche, ma meno, di Kenny Wayne Shepherd, di cui sarà l’opening act nel prossimo tour 2015); prendete l’iniziale Let’s Go Upstairs, un funky-rock che ha qualche parentela con la musica dei primi Doobie Brothers, con riff e soli di chitarra fluidi e ben realizzati https://www.youtube.com/watch?v=mSuRIAYw3KI , o la ballad mid-tempo soul, assai gradevole Love Nobody No More, illuminata dagli sprazzi chitarristici di Poole, che è un solista in grado di regalare alla platea interventi del suo strumento che si trasformano in crescendo irresistibili https://www.youtube.com/watch?v=tKBs9gmpfm4 , come quello presente in questo brano, o di perdersi in una lunghissima rivisitazione di uno dei classici della Tamla-Motown, quella (I Know) I’m Losing You, che oltre che dei Temptations, ha fatto la fortuna di molti artisti del blues-rock inglese, che si sono spesso cimentati con questa canzone https://www.youtube.com/watch?v=S7l3O0hFe2Q .

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Proprio questo brano, anche con chiari inserti più hendrixiani e rock, è uno di quelli che lo potrebbero avvicinare, come tipo di approccio, al famoso Frampton Comes Alive appena citato, con tastiere, basso e batteria che macinano ritmo, mentre il nostro Brian ci dà dentro di gusto alla chitarra, con un lungo tour de force strumentale. Non male anche la cover di Mr. Pitiful di Otis Redding, a conferma dei buoni ascolti del giovane inglese, che poi li mette in pratica, con il giusto rispetto per i classici, ma anche con un fare sbarazzino, a conferma dell’amore per la musica “giusta”. Non male pure It Doesn’t Have To Be That Way e Leave It On, tratte dai suoi dischi, soprattutto per le parti chitarristiche, sempre mozzafiato e, a coronamento di un buon concerto, una lunga versione del super classico di Freddie King, Have You Ever Loved A Man, cavallo di battaglia live di Clapton, dove Brian Poole può finalmente dare libero sfogo alla sua passione per il Blues, con una serie torrenziale di assolo di grande potenza e tecnica che ne illustrano le qualità.

Il tutto registrato e riproposto nel Paul Jones Show della BBC: in conclusione del CD una bonus track in studio, Starting All Over Again, piacevole ballata tra pop e soul. Sembra uno bravo, vedremo in futuro!

Bruno Conti

Anche I Box “A Volte Ritornano”, Riprende L’Uscita Della Serie Complete Motown Singles

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The Complete Motown Singles Vol. 12A  1972- Hip-o Select/Universal 5 CD – 02/07/2013

Dopo 4 anni di inspiegabile attesa riprende l’uscita dei cofanetti dedicati all’integrale dei singoli della Tamla Motown, con il volume 12A, il primo dedicato al 1972. La tiratura come al solito sarà limitata a 7.500 copie non numerate, come è usanza della Hip-o-Select . 113 brani e il 45 giri bonus nella confezione, questo il contenuto:

Disc 1

  1. A Simple Game – Four Tops
  2. L.A. (My Town) – Four Tops
  3. Our Favorite Melody – Jimmy Ruffin
  4. You Gave Me Love – Jimmy Ruffin
  5. A Breath Taking Guy – The Marvelettes
  6. You’re the One for Me Bobby – The Marvelettes
  7. I’m Someone Who Cares – The Originals
  8. Once I Have You (I Will Never Let Go) – The Originals
  9. I’m Someone Who Cares (Promo Stereo Version) – The Originals
  10. Out in the Night – Blue Scepter
  11. Gypsy Eyes – Blue Scepter
  12. Out in the Night (Promo Stereo Version) – Blue Scepter
  13. What It Is? – The Undisputed Truth
  14. California Soul – The Undisputed Truth
  15. Feel Like Givin’ Up – Posse
  16. Take Somebody Like You – Posse
  17. Take a Look Around – The Temptations
  18. Smooth Sailing (From Now On) – The Temptations
  19. Take a Look Around (Promo Stereo Version) – The Temptations
  20. I Want to Be Humble – The Devastating Affair
  21. My Place – The Devastating Affair
  22. I Want to Be Humble (Promo Stereo Version) – The Devastating Affair
  23. Rockin’ Robin – Michael Jackson
  24. Love is Here and Now You’re Gone – Michael Jackson

Disc 2

  1. Can You Give Me Love with a Guarantee – Gladys Knight & The Pips
  2. If You Gonna Leave (Just Leave) – Gladys Knight & The Pips
  3. Can You Give Me Love with a Guarantee (Promo Stereo Version) – Gladys Knight & The Pips
  4. Love Isn’t Here (Like It Used to Be) – Frankie Valli
  5. Poor Fool – Frankie Valli
  6. Love Isn’t Here (Like It Used to Be) (Second Pressing) – Frankie Valli
  7. Poor Fool (Second Pressing) – Frankie Valli
  8. Walk in the Night – Jr. Walker & The All Stars
  9. I Don’t Want to Do Wrong – Jr. Walker & The All Stars
  10. Take Me Clear from Here – Edwin Starr
  11. Ball of Confusion (That’s What the World is Today) – Edwin Starr
  12. I’m Gonna Get You (Part II) – G.C. Cameron
  13. I’m Gonna Get You (Part I) – G.C. Cameron
  14. Help Me Make It Through the Night – Gladys Knight & The Pips
  15. Mr. Fix-It Man – The Sisters Love
  16. You’ve Got to Make the Choice – The Sisters Love
  17. Taos New Mexico – R. Dean Taylor
  18. Shadow – R. Dean Taylor
  19. The Zoo (The Human Zoo) – The Commodores
  20. I’m Looking for Love – The Commodores

Disc 3

  1. What’d I Say – Rare Earth
  2. Nice to Be with You  – Rare Earth
  3. What’d I Say (Promo Stereo Version) – Rare Earth
  4. Let Me Run Into Your Lonely Heart – Eddie Kendricks
  5. Eddie’s Love – Eddie Kendricks
  6. Eddie’s Love (Promo Version) – Eddie Kendricks
  7. Me and Bobby McGee – Thelma Houston
  8. No One’s Gonna Be a Fool Forever – Thelma Houston
  9. What It Is, What It Is – G.C. Cameron
  10. You Are That Special One – G.C. Cameron
  11. Little Bitty Pretty One – The Jackson 5
  12. If I Have to Move a Mountain – The Jackson 5
  13. Automatically Sunshine – The Supremes
  14. Precious Little Things – The Supremes
  15. It’s the Same Old Love – The Courtship
  16. Last Row, First Balcony – The Courtship
  17. It’s the Same Old Love (Promo Stereo Version) – The Courtship
  18. Nihaa Shil Hozho (I Am Happy About You) – Xit
  19. End? – Xit
  20. Nihaa Shil Hozho (I Am Happy About You) (Promo Stereo Version) – Xit
  21. I Can’t Quit Your Love – Four Tops
  22. Happy (is a Bumpy Road) – Four Tops
  23. I Can Make It Alone – Vincent DiMirco
  24. Come Clean – Vincent DiMirco

Disc 4

  1. Superwoman (Where Were You When I Needed You) – Stevie Wonder
  2. I Love Every Little Thing About You – Stevie Wonder
  3. It’s Too Much for Man to Take Too Long – Eric & The Vikings
  4. Time Don’t Wait – Eric & The Vikings
  5. It’s Too Much for Man to Take Too Long (Promo Stereo Version) – Eric & The Vikings
  6. Long Way from Home – Howl the Good
  7. Why Do You Cry – Howl the Good
  8. Long Way from Home (Promo Stereo Version) – Howl the Good
  9. You’re the Man (Part 1) – Marvin Gaye
  10. You’re the Man (Part 2) – Marvin Gaye
  11. I Wanna Be Where You Are – Michael Jackson
  12. We’ve Got a Good Thing Going – Michael Jackson
  13. We’ve Come Too Far to End It Now – Smokey Robinson & The Miracles
  14. Papa Was a Rollin’ Stone – The Undisputed Truth
  15. Friendship Train – The Undisputed Truth
  16. Papa Was a Rollin’ Stone (Promo Stereo Version) – The Undisputed Truth
  17. Get Me Some Help – Chris Holland & T-Bone
  18. If Time Could Stand Still – Chris Holland & T-Bone
  19. Get Me Some Help (Promo Stereo Version) – Chris Holland & T-Bone
  20. Tear It On Down – Martha Reeves & The Vandellas
  21. I Want You Back – Martha Reeves & The Vandellas
  22. Label Me Love – Different Shades of Brown
  23. Life’s a Ball (While It Lasts) – Different Shades of Brown

Disc 5

  1. Mother Nature – The Temptations
  2. Funky Music Sho Nuff Turns Me On – The Temptations
  3. Mother Nature (Promo Stereo Version) – The Temptations
  4. Sail Away – Bobby Darin
  5. Hard Headed Woman – Bobby Darin
  6. I Can’t Give Back the Love I Feel for You – Suzee Ikeda
  7. Mind, Body and Soul – Suzee Ikeda
  8. A Little More Trust – David Ruffin
  9. A Day in the Life, of a Working Man – David Ruffin
  10. A Little More Trust (Promo Stereo Version) – David Ruffin
  11. Money (That’s What I Want) – Blinky
  12. For Your Precious Love – Blinky
  13. Groove Than – Jr. Walker & The All Stars
  14. Me and My Family – Jr. Walker & The All Stars
  15. Lookin’ Through the Windows – The Jackson 5
  16. Love Song – The Jackson 5
  17. Somebody Up There – The Blackberries
  18. But I Love You More – The Blackberries
  19. To Know You is to Love You – Syreeta
  20. Happiness – Syreeta
  21. Somebody Oughta’ Turn Your Head Around – Crystal Mansion
  22. Earth People – Crystal Mansion

Qui cominciamo ad entrare nel repertorio per super specializzati ed appassionati, non ci sono brani particolarmente famosi, a parte qualcosa di Stevie Wonder e dei Jackson 5. Questa versione di Papa Was A Rollin’ Stone degli Undisputed Truth (uscita prima di quella lunghissima dei Temptations) mi piaceva un casino ai tempi!

Solo per soul men, perditempo astenersi, forse negli Stati Uniti esce prima!

Bruno Conti

La Parola Ai Fans: “Ho Visto Il Rock, Si Chiama Bruce Springsteen – Trieste 11.06.2012

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Una breve premessa dal titolare del Blog.

Quest’anno, per vari motivi, non sono potuto andare a vedere il concerto di Springsteen di Milano, per cui mi dovrò “accontentare” delle cinque volte che l’ho visto dal fatidico 11 aprile del 1981 all’Hallenstadion di Zurigo. Per rimediare, su richiesta di un lettore del Blog, Graziano, (la vedete nei commenti) pubblico il suo resoconto della serata di Bruce a Trieste di lunedì 11 giugno. Altri amici mi hanno detto che a Milano ha sfiorato il record assoluto di tutti i tempi( secondo concerto di sempre come durata,  3 ore e 45 minuti). Ma bando alle ciance e buona lettura.

Bruno Conti

 

 

Trieste era piovosa sin dal mattino, e non prometteva niente di buono per quello che, a tutti gli effetti era e rimarrà un evento di portata colossale per una città’, che a livello musicale si vede da molto tempo sfilare sotto il naso molta ottima musica diretta in quel di Udine e dintorni.

Scrosci, alternati a sprazzi di sole sino verso le 20. Il “Nereo Rocco” a quell’ora è già quasi pieno, tutto fila via liscio, l’organizzazione funziona a meraviglia, per la gioia del sindaco, che da buon fan sfegatato quale è se ne sta nella zona Pit sotto il palco invece che in tribuna, insieme a circa altre ventinovemila anime palpitanti e felici, perché questo bisogna sottolinearlo forte, la gente a questo concerto è felice, ed é già una rarità di questi tempi, gente di tutte le età, a riprova che un certo tipo di musica unisce e dimostra che il tempo non esiste.

Tempo che scorre nell’attesa, come fosse Natale e per farlo passare la gente fa la ola, batte le mani, e giove pluvio deve aver pensato bene di andare a mettersi in poltrona a godersi lo spettacolo, perché contro ogni premessa non cadrà più una goccia. Sono le 21.14 quando si spengono le luci e si alza il primo di molti boati, la mitica E Street Band va ai posti di combattimento sulle note a sfumare di C’era una volta in America, poi entra il Boss ed è un onda d’urto di voci e di mani, lui saluta con un “Mandi Trieste, come va?” (sarebbe in Friuli ma…!). Ma tutto lo stadio è comunque suo, il suo ed il nostro giardino dei divertimenti.

E allora si parte, e per far capire che nessuno stasera starà fermo è Badlands ad aprire le danze della festa che va a braccetto al volo con una No surrender che scalda uno stadio già caldo di suo, non ci si ferma nemmeno per l’apripista del nuovo album We Take Care Of Our Own, e come un treno che abbia preso già una bella velocità arriva la title-track Wrecking Ball  entrata di diritto nel cuore dei fan, ed infatti tutto lo stadio la manda a memoria e il capo fa quello, che farà un sacco di volte nella serata, cioé carica ancora di più la sua gente, fa segno che non sente sul ritornello e allora ancora più forte, sempre più forte, e nel momento in cui pare di andare già parecchio forte, arriva Death To My Hometown e lo stadio diventa un enorme pub irlandese dove tutti cantano e ballano. Se qualcuno a quel punto pensava almeno ad un piccolo stacco si sbagliava perché era in arrivo una versione bellissima e lunghissima di My city of ruins, qui Springsteen fa gli onori di casa e ci presenta i suoi “fratelli e sorelle” della E Street Band, parla in italiano per dirci che la canzone narra di cose che restano e cose che vanno, simpatico mentre ci fa sapere,(sempre rigorosamente in italiano) che la moglie é rimasta a casa con i figli, ma ci saluta tutti, commovente, quando dopo aver presentato tutti, chiede se manca qualcuno, e qualcuno manca di certo a noi e a lui, il compianto Clarence, enorme sassofonista in tutti i sensi, e Danny Federici ma il capo ci rassicura, “posso sentirli nelle vostre voci”, un unico enorme boato, l’ennesimo.

Stanotte non c’e’ posto per la tristezza e allora parte subito Spirit in the night, qui il boss si concede al suo pubblico come a pochi ho visto fare, va giù fino alle prime file e ci si inginocchia in mezzo, un delirio, la sua voce roca sale e sale, prende una chitarra di cartone passata dalla gente e suona quella, ma dal pubblico arriva anche la prima richiesta Downbound Train, subito accontentati! Il primo rallentamento vero del concerto lo porta uno dei pezzi più belli del nuovo lavoro dell’artista, Jack Of All Trades, dedicata da Bruce (in italiano) a tutti coloro che combattono, quelli che hanno perso il lavoro e i terremotati italiani, lungo applauso del Rocco, bellissima e sentita, lo stadio prova ad accendersi di accendini, poi si riparte senza più prendere fiato, i ragazzi ci regalano a mio parere una delle punte di diamante di tutta la serata, quattro titoli in corsa Youngstown / Murder Incorporated / Johnny 99 / Working On The Highway, la prima ha un finale di chitarre indiavolate, la seconda, credo che non solo io ma un bel po’ di gente credeva che non l’avrebbe mai eseguita, la terza ci ha letteralmente trascinato con una versione che ha coinvolto tutta la band a giocare a rimpiattino tra quelli su e quelli giù dal palco, la quarta parte in acustico per trasformarsi in un rock torrenziale che permette al boss di giocare a mettersi in posa per le foto ad ogni stacco, a questo punto l’arrivo di Shackled And Drawn dà la sensazione di abbassare quasi un poco il livello di adrenalina in circolo, pur con il bellissimo duetto tra Bruce ed una corista dalla voce cristallina e potente, forse se ne accorge, chi lo sa, però ci tiene a non far scendere i giri del motore, lo si percepisce chiaramente, perciò subito dopo, giù di nuovo il piede, è tempo di Waiting On A Sunny Day, lo stadio si riaccende più potente di prima, lui lascia cantare il ritornello, finché pesca un ragazzino dal pubblico e lui serenamente prende il microfono e canta il ritornello una, due, tre, quattro volte poi si volta, e realizza il sogno di trentamila persone, con piglio da rocker consumato dice C’mon E Street Band!

E la band riparte, mentre viene giù lo stadio, subito dopo questo momento di divertimento purissimo, i nostri si concedono una incursione nel soul, la qual cosa, con la sezione fiati che si ritrovano, stasera era quasi doverosa, da citare il nipote di Clarence, Jake a cui lo zio ha sicuramente messo una mano sulla testa per come suona, sono due pezzi legati tra loro, la divertente 634-5789 di blues brothersiana memoria (ma era di Wilson Pickett) e The Way You Do The Things You Do dei Temptations, che fa da ponte per arrivare ad una The River intima e meravigliosa, un fiume da cui tutti ci facciamo volentieri trascinare, poi il boss si riprende la sua Because The Night e fa sfogare in coppia la chitarra di Steve, sino ad allora sinceramente un poco in ombra rispetto ai numeri fatti vedere dal collega, The Rising fa riprendere il botta e risposta tra Bruce ed il pubblico, botta e risposta che si alza a dismisura quando attacca We Are Alive (con citazione finale da Ring Of Fire), l’energia che ci si rimpalla da sotto a sopra al palco é magnifica, si salta, si balla, evidentemente la stanchezza è un punto di vista, perché i calibri da novanta arrivano solo ora.

Una canzone, che credevo proprio di non poter ascoltare, la bellissima Thunder Road arriva come una sorpresa che si sperava ma non si credeva, poi Bruce che non ha quasi mai smesso di giocare con quelli davanti decide di fare una serie di regali a richiesta a mezzo cartone da imballo, ne pesca uno da in mezzo alla ressa e se lo porta su, c’e’ scritto puoi suonare Rosalita (Come Out Tonight) per mamma e papà, certo come no, e allora per mamma e papà con affetto……….ennesimo boato, chiusa questa parentesi il padrone di casa ci chiede se siamo pronti e naturalmente lo siamo, ma per cosa?, per l’evento nell’evento, l’invitata che tutti aspettavamo Born in the u.s.a. e lei è arrivata alla festa e ci ha scaricato addosso altra energia per continuare a ballare; altra invitata attesissima Born to run (con Elliott Murphy), durante il famoso stacco Springsteen decide che quelli lì davanti gli stanno proprio simpatici e ci si ributta in mezzo, Bobby Jean ed Hungry heart (l’attacco di quest’ultima é nostro come da tradizione) ci dicono che il sessantaduenne sul palco ha incredibilmente ancora benzina, anche se le luci dello stadio sono già accese da un po’ si capisce che la pantomima del dentro e fuori per il bis stasera non ci sarà perché nessuno si muove dal palco, evidentemente tra amici non si usa.

Seven Nights To Rock e’ una cover di Moon Mullican che evidentemente al nostro piace tanto ed anche a noi, perché la fa durare un sacco di tempo e si vede proprio che si diverte a farla, Dancing in the dark riapre la rubrica “chiedilo a Bruce” perché prima fa salire una ragazzina e la fa ballare con lui sul palco, poi sempre a mezzo cartone accontenta uno che chiede di ballare con la Soozie Tyrell, la violinista ed a una seconda che scrive,” ti prego fai ballare mia madre, prego signora si accomodi come va?”, ovazioni a scena aperta. Tenth Avenue Freeze-Out chiude una serata magica, tre ore e venticinque minuti di gioia adamantina. Tempo fa un manager musicale disse di lui: ho visto in questo ragazzo il futuro del rock and roll; aveva ragione, ieri abbiamo visto il presente del rock e si chiama ancora Bruce Springsteen!

Graziano Ongetta

New Old Soul. JC Brooks & The Uptown Sound – Want More

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JC Brooks & The Uptown Sound – Want More – Bloodshot Records

So che il titolo del Post potrebbe sembrare un ossimoro (e lo è, anzi, in inglese, come da titolo, “an oxymoron”) ma è anche il modo ideale per descrivere la loro musica. Non si tratta di quella robaccia che viene spacciata per “nu soul” (con le dovute eccezioni), non è blue-eyed soul, mi sembra che lui sia scuretto anche se gli Uptown Sound compensano per il lato bianco del gruppo.

Non è molto nuovo perché sembra di ascoltare un disco della Stax o della Motown dei tempi d’oro con Wilson Pickett e i suoi “gotta gotta gotta” che emergono in Don’t Lock The Door o tutti i Tempations rollati insieme nella voce di JC Brooks (falsetti compresi) in un brano com I Got High. Ci sono James Brown e Little Richard con i loro ciuffi (ma le pettinature cambiano), ma anche con la loro musica, nell’aspetto esteriore di Brooks ma anche nel suo saper tenere il palco con grande maestria.

Non sapevo che fossero venuti da poco in Italia, il 9 ottobre a Gambettola, ma essendosi trovato il mio amico Roberto casualmente a Denver per lavoro la settimana scorsa, su mio consiglio, è andato a sentire il loro concerto al Soiled Dove Underground il 31 ottobre e questo è quello che mi ha scritto in una mail:

“Sera di Halloween, pubblico di 60 persone, tra le quali noi 4 (3 itali e 1
gallese), gli stessi del concerto (quasi) pogato dei Gaslight Anthem a
Colorado Springs, Aprile 2009. Tra il pubblico pure 1 cinquantenne vestito da
superman e una ragazzetta carina vestita da Peter Pan.

Apre band un po’ sfigata locale, alle 9 sale sul palco il CICLONE JC Brooks.
Concerto tiratissimo, lui è un animale da scena, cresta con ciuffo alla
Elvis, è andato avanti 1h e mezza e ne ha fatte di tutti i colori, compresi i
falsetti doo-wop, urla assassine, tutto. Band granitica che non sbaglia un
attacco, si vede che si divertono.”

La zona geografica del concerto è questa:

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Sottoscrivo tutto (e utilizzo tutti per il Blog, a gratis obviously) e aggiungo che mi ha aggiornato anche sulla discografia che oltre a questo nuovo disco e uno indipendente Beat Of Our Own Drum del 2009 di cui sapevo, comprende anche due volumi dal vivo di cui ignoravo l’esistenza, che devono essere notevoli, che lui ha comprato e sa cosa dovrà fare (uso privato di Blog pubblico)!

In questo Want More ci sono anche un paio di soul ballads, Missing Things, che inizia come un brano della Band dei tempi d’oro e poi diventa deep soul fantastico misto a elementi gospel come in Awake che potrebbe venire dal repertorio di Al Green. C’è anche una To Love Someone (That Don’t Love You) cantata con un falsetto da brividi degno del miglior repertorio di Marvin Gaye dell’epoca Motown. Un brano che si chiama Sister Ray Charles che parte con un piano elettrico che ricorda il suono dei Beatles circa dell’epoca Beatles For Sale e poi diventa un altro potente brano soul con fiati sempre presenti.

C’è anche una versione superba di I Am Trying To Break Your Heart dei Wilco fatta nello stile che Pickett e Redding usavano per rivisitare i Beatles che è il “singolo” dell’album.

Nell’album ci sono anche brani più tirati con una chitarra solista tipicamente rock usata in modo non dissimile dalle produzioni di Bruce Sprinsgteen dei dischi di Gary US Bonds come l’iniziale Want More. Saranno revivalisti, poco originali, “antichi” e derivativi ma son bravi!

Il disco magari non entrerà tra i miei preferiti dell’anno (bubbling under) ma mi sento di consigliarlo agli amanti del soul e della buona musica in generale.

E abbiamo recuperato uno dei famosi dischi dalla pigna degli arretrati, anche se è uscito solo dal 26 ottobre.

Bruno Conti