Una Donna Chitarrista Da Aggiungere Alla Lista, Garantisce Mike Zito. Ally Venable – Texas Honey

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Ally Venable – Texas Honey – Ruf Records

Donne chitarriste, soprattutto in ambito blues (rock), negli ultimi anni ne sono venute alla ribalta parecchie: penso a Sue Foley, Samantha Fish, Ana Popovic, Debbie Davies, Deborah Coleman, Laura Chavez, Joanne Shaw Taylor, per citarne alcune, ma anche Susan Tedeschi, e di quelle provenienti dal Texas (come Ally Venable), una, Carolyn Wonderland, è addirittura diventata la solista nella band di John Mayall. Nel passato era più difficile trovare chitarriste elettriche, direi Bonnie Raitt, forse la capostipite, e nel filone rock Nancy Wilson delle Heart. Nella storia del blues ce ne sono state alcune molto influenti come Memphis Minnie, Sister Rosetta Thorpe; tra le “virtuose” dello strumento potremmo ricordare Elizabeth Cotten, molto amata da Bloomfield e Cooder, oppure in ambito più pirotecnico Jennifer Batten, o più ricercato Badi Assad e Kaki King, Insomma ce ne sono state molte, e sicuramente ne ho dimenticata qualcuna: in tutto questo come si inserisce la giovane Ally Venable?

La potremmo mettere nella pattuglia di colleghi maschi che stanno popolando la sezione blues-rock dei praticanti delle 12 battute: 20 anni compiuti da poco, la Venable, con la sua band, ha già pubblicato cinque album, un paio indipendenti e di difficile reperibilità, quando aveva tra i 14 e i 16 anni, poi altri tre, di cui l’ultimo, questo Texas Honey, pubblicato dalla Ruf Records, che l’ha anche inserita nella Blues Caravan 2019 insieme a Katarina Pejak e Ina Fosrman  https://www.youtube.com/watch?v=21KC8LyUDjQ. L’etichetta tedesca l’ha anche affidata ad un produttore di peso come Mike Zito (che suona in alcuni brani del CD), e il risultato è un disco solido e abbastanza variegato, sia pure nel filone Texas Blues “energico”, e non è un caso che una delle due cover del disco, le altre canzoni, a parte una firmata con Zito, sono tutte sue, sia Love Struck Baby di Stevie Ray Vaughan, uno dei musicisti da cui ha detto di essere stata maggiormente influenzata, gli altri se vi interessa sono Johnny Winter e Joe Bonamassa. La accompagnano il bassista Bobby Wallace e il batterista Elijah Owings, oltre al veterano tastierista Lewis Stephens, uno che in passato ha suonato anche con Freddie King, e al momento fa parte del gruppo di Mike Zito, e in un brano, come ospite appare Eric Gales: quindi gli ingredienti ci sono tutti, se aggiungiamo che la Venable è anche una avvenente giovane che si presenta spesso con minigonne ascellari, della serie pure l’occhio vuole la sua parte https://www.youtube.com/watch?v=q2b_uFnRbEA , a questo punto mancherebbe solo la musica, che però ascoltando il disco, c’è ed è decisamente ben confezionata.

La voce è piacevole, senza essere particolarmente memorabile, insomma più Suzi Quatro che Bonnie Raitt o Susan Tedeschi , ma come chitarrista ci dà dentro di gusto, come dimostrano la vorticosa Nowhere To Hide, dove lavora con tecnica notevole anche alla slide, o la “roccata” Broken, dalle atmosfere più ricercate e continui rilanci chitarristici, e anche la “riffatissima” Texas Honey è piuttosto godibile. Non male anche la minacciosa e cadenzata Blind To Bad Love, dove Zito è la seconda chitarra in appoggio a Ally, oppure la vigorosa Come And Take It dove Eric Gales duetta con lei, sia alla chitarra come alla seconda voce. Mi sembra però che la ragazza eccella quando può mostrare la sua passione per il blues-rock più genuino, sia pure energico di una scoppiettante Love Struck Baby di mastro SRV, dove la chitarra viaggia alla grande https://www.youtube.com/watch?v=ojuotLdUwFs , o nel classico “lentone” tirato della intricata blues ballad One Sided Misunderstanding, anche se la voce è fin troppo sforzata, le chitarre di Zito e della Venable interagiscono comunque a meraviglia. White Flag ricorda il Bonamassa più arrapato, mentre Long Way Home va di Texas boogie and roll e pure Running After You, di nuovo a tutta slide in omaggio a Winter, è gagliarda, Chiude l’altra cover, una Careless Love di Bessie Smith, trasformata in un blues rock sapido https://www.youtube.com/watch?v=N-HRrKJBJJE . Piacevole, ma forse non è “il futuro del Blues”, come ha detto di lei il suo mentore Mike Zito.

Bruno Conti

Come Si Può Dargli Torto? Mike Zito – Make Blues Not War

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Mike Zito  – Make Blues Not War – Ruf Records

Mike Zito nel corso del suo tragitto musicale, partito da St. Louis una ventina di anni fa, ha incrociato i suoi percorsi con Anders Osborne, Reese Wynans, Sonny Landreth, Delbert McClinton, tutta gente che ha suonato nei suoi dischi, è andato a vivere in Texas, come testimoniato da uno dei suoi dischi migliori (Gone To Texas), è passato anche da New Orleans per condividere il suo percorso con Cyril Neville, e insieme a Devon Allman, hanno virato verso derive sudiste nei Royal Southern Btotherhood, ma dopo due dischi in studio e uno dal vivo, la band  che è rimasta a Neville, ha inserito nuovi elementi. Nel frattempo ha pubblicato due eccellenti album con i Wheel, quello citato e un superbo Songs From The Road, registrato dal vivo, dove il sound aveva anche elementi soul, R&B, country e inevitabilmente southern rock di matrice texana, il tutto proposto con una voce forte e potente, eclettica, tra le migliori nel panorama della musica del Sud degli States. Ed ecco che ora l’irrequieto Zito decide che è meglio Make Blues Not War, e su questo’assunto non si può dire nulla.

Se poi per portarlo a termine ti rivolgi a uno come Tom Hambridge che è stato definito “The White Willie Dixon”, grazie ai suoi lavori con Buddy Guy, Joe Louis Walker, George Thorogood, James Cotton, ecc.,  è quasi inevitabile che il risultato, oltre ad essere ottimo, e lo è, sarà un disco di blues, al di là del titolo profetico. Hambridge, come al solito nei suoi studi di Nashville, ha realizzato un disco che oscilla tra le varie forme di blues: rock-blues tirato e potente, a tratti quasi con derive hard-rock, classico Chicago blues elettrico e un suono southern rock retaggio del passato di Zito. Lo stesso Tom Hambridge è il batterista nle disco, questa volta optando per un approccio di potenza devastante, Tommy MacDonald è il bassista, Rob McNelley è la seconda chitarra solista, in più Kevin McKendree aggiunge le sue tastiere ove occorra, cioè quasi sempre, e ci sono anche un paio di ospiti di prestigio, che andiamo subito a vedere. Le canzoni portano quasi tutte la firma dello stesso Hambridge, cinque insieme a Mike, altre con diversi co-autori e confermano la validità della sua penna, che gli è valsa l’appellativo meritato ricordato poc’anzi. Si parte sparatissimi con una granitica Highway Mama, dove all’accoppiata di chitarre McNelley/Zito (che in tutto il disco è formidabile, soprattutto il buon Mike, che si conferma uno dei solisti più validi in circolazione), si aggiunge anche Walter Trout per un vero festival della sei corde, Zito per l’occasione alla slide, tra riff infuocati, R&R cattivissimo, difficile oggi trovare del blues-rock fatto così bene.

Wasted Time è un gagliardo shuffle ad alta gradazione, pimpante e coinvolgente, con Zito indemoniato alla solista, e la sua band fantastica che lo segue come un sol uomo. Redbird, il brano più lungo del disco, introduce elementi di classico rock-blues anni ’70, tra Free, Zeppelin e piccoli tocchi di rock progressivo, ma non mancano le influenze di Hendrix e SRV per l’uso marcato del wah-wah e per un finale quasi psych, mentre Crazy Legs è una delle canzoni co-firmate da Zito, un boogie-blues vorticoso che ricorda le cose migliori degli ZZ Top o di Thorogood, con la sezione ritmica veramente inarrestabile e il nostro amico che inchioda un assolo micidiale. Make Blues Not War, che nel testo cita Robert Johnson e Muddy Waters è uno slow blues classico, con l’altro ospite Jason Ricci, veemente all’armonica, ad affiancare un ispirato Mike Zito, di nuovo alla slide, difficile fare meglio. On The Road si avvale di un inconsueto clavinet suonato da McKendree, per un robusto funky-blues, dove brillano, al solito, la voce vissuta e la solista fluida del nostro.

Bad News Is Coming è un omaggio all’arte di uno degli ultimi grandi del blues moderno, quel Luther Allison che ci ha lasciato nel 1997, un blues lento intenso e lancinante, con McKendree all’organo e una atmosfera che può ricordare quella di brani simili di Zeppelin e ZZ Top, con la chitarra che viaggia sul filo del rasoio, con un assolo veramente torrenziale; One More Train è il secondo brano che vede la presenza dell’armonica del bravissimo Jason Ricci, uno dei migliori “soffiatori” delle ultime generazioni, con Zito di nuovo alla slide e McKendree al piano, per un pezzo che ricorda il sound degli Stones dell’epoca di Mick Taylor, con Girl Back Home, ancora incentrata sull’intenso lavoro del bottleneck di Mike. Chip Off The Block ci introduce ai talenti di una futura stella della chitarra, o così si spera, tale Zach Zito, figlio d’arte, per un pezzo che cita sia nel testo come nel contenuto il Texas Blues di Stevie Ray Vaughan, il ragazzo sembra promettente. Ma il babbo è una “belva”, come conferma in un ennesimo lancinante slow come Road Dog o nel frenetico boogie R&R di un “vecchio classico” come Route 90, dove Zito e McKelley si scambiano riff a velocità supersonica, per un finale splendido, come d’altronde tutto il disco.

Bruno Conti

“Con Un Piccolo Aiuto Dai Suoi Amici”, Un Gran Bel Disco! Fabrizio Poggi And The Amazing Texas Blues Voices

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Fabrizio Poggi  And The Amazing Texas Blues Voices – Appaloosa/Ird

Questi sono i dischi che ci piacciono, al di là dei contenuti musicali (che sono ottimi), il titolo rende subito l’idea e ci spiega a cosa ci troviamo di fronte: Fabrizio Poggi,  armonicista di pregio, ha fatto un disco con delle “Stupefacenti” Voci Blues Texane, chiarissimo! Il titolo, ovviamente, è stato registrato in quel di Austin al Wire Recording Studio, con lo stesso Fabrizio alla produzione e l’ottimo ingegnere del suono Stuart Sullivan (vincitore di due Grammy per album di Jimmie Vaughan e Pinetop Perkins), che si occupa della parte tecnica. Il nostro amico questa volta non canta, si “limita” a suonare l’armonica in tutti i brani. Il gruppo che lo accompagna per l’occasione non è quello dei Chicken Mambo, ma ci sono ottimi musicisti locali riuniti per l’occasione, Bobby Mack e Joe Forlini, alle chitarre elettriche e slide, Cole El Saleh, a piano e organo, Donnie Price, basso e Dony Wynn, batteria. Prima di addentrarci nei contenuti e negli ospiti che celebrano insieme a Fabrizio il Blues Texano contemporaneo (ma anche quello classico) vi ricordo che questo è il 20° album di Poggi, dopo Il Soffio Della Libertà dello scorso anno incentrato sul blues e sui diritti civili http://discoclub.myblog.it/2015/07/27/ne-pensa-cento-ne-fa-fabrizio-poggi-il-soffio-della-liberta/  e l’eccellente Spaghetti Juke Joint che ipotizzava uno zampino italiano nella nascita delle 12 battute classiche http://discoclub.myblog.it/2014/11/03/quindi-abbiamo-inventato-anche-il-blues-fabrizio-poggi-chicken-mambo-spaghetti-juke-joint/ .

Entrambi erano contraddistinti dalla presenza di vari ospiti di pregio, caratteristica da sempre presente nei dischi del musicista lombardo, e il nuovo segue questa tradizione. I nove ospiti che si alternano sono tutti, più o meno, texani Doc (o “naturalizzati”), come Mike Zito, che viene da St. Louis, Missouri, e Guy Forsyth, da Denver, ma vive a Austin da 25 anni. Anche le età sono molto diverse: si va dagli 87 anni di Lavelle White ai 77 di W.C Clark, con gli altri che hanno una età media tra i 40 e i 60 anni. A parte Zito e Ruthie Foster, non sono forse molto famosi, tutti accomunati però da una gran voce. Ma andiamo con ordine: ad aprire le danze è Carolyn Wonderland, voce solista e chitarra in Nobody’s Fault But Mine, il brano “originale” di Blind Willie Johnson,  gran versione, tra blues e gospel, con classico call and response tra la voce strepitosa della Wonderland e quelle di Shelley King e Mike Cross, con brevi soli della stessa Carolyn e dell’armonica di Fabrizio. Ruthie Foster alle prese con Walk On, vecchio brano di Ruth & Brownie McGhee, tramutato in un aggressivo e tirato blues con uso di doppia slide. Sempre mantenendo lo spirito gospel grazie alle voci di King, Cross e Wonderland, con il buon Poggi che aggiunge il suo peso specifico all’armonica. Poteva mancare un omaggio a Muddy Waters? Certo che no! E quindi vai con Forty Days And Forty Nights, grande prestazione vocale e chitarristica (anche lui alla slide) per Mike Zito, che conferma una volta di più di essere un grande talento, con l’armonica di Poggi che risponde colpo su colpo  Dopo una tripletta così tocca a W.C. Clark, ancora in grande spolvero vocale, che ci regala un suo pezzo Rough Edges (nel vecchio 45 giri originale suonava anche Stevie Ray Vaughan), che ha tutti i crismi del grande blues texano, tra chitarre ed armoniche ruspanti.

Poi è la volta della super veterana Miss Lavelle White, 87 anni suonati, anche lei non autoctona, viene dalla Louisiana, ma vive in Texas da 70 anni e ci racconta che Mississippi, My Home, uno slow blues lungo e sontuoso con la solista della Wonderland in evidenza, ma anche gli altri strumentisti, in particolare piano e armonica in overdrive, e la voce vissuta ma ancora ricca di pathos della Lavelle. Bobby Mack aveva già scaldato la sua chitarra negli altri brani, ma ora è protagonista assoluto in Neighbor, Neighbor, un pezzo dove sembra quasi di sentire i vecchi Bluesbreakers di John Mayall. Mike Cross, con Lorkovic al piano, propone un proprio pezzo Many In Body, un altro gospel corale con uso di soul. Poi tocca ad un’altra signora che forse molti non conoscono, Shelley King, che ha fatto un paio di album accompagnata dai Subdudes e ha collaborato in passato con Levon Helm, molto bella la sua Welcome Home, con voce roca e felpata sostenuta dagli altri colleghi, mentre armonica e chitarra si scatenano. Di nuovo Mike Cross con la propria Wishin’ Well, ancora classico blues elettrico. Manca all’appello Guy Forsyth, ultimo ospite in ordine di apparizione ma non per l’impegno profuso, ottimo il traditional Run On, solo la voce poderosa di Forsyth, la sua National resophonic guitar e footstomp, a duettare con l’armonica Fabrizio Poggi nell’unico brano acustico di questa raccolta.

Che dire? Ottimo e abbondante. Esce in questi giorni.

Bruno Conti

Discepoli Winteriani. Jay Willie Blues Band – Rumblin’ And Slidin’

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Jay Willie Blues Band – Rumblin’ And Slidin’ – Zoho Music

Nella nostra ricerca geografica in giro per gli Stati Uniti, alla ricerca di gruppi che fanno Blues, mi sembra che dalle parti del Connecticut non fossimo ancora passati: o almeno di una band ivi residente, in quanto poi la Jay Willie Blues Band dichiara di fare Texas Blues, e da quello che si ascolta si potrebbe forse credergli, vista anche la presenza in formazione di Bobby T Torello, uno dei batteristi storici di Johnny Winter, aggiunta ad una certa qual venerazione per la musica di quest’ultimo. Rumblin’ And Slidin’ è il terzo album di questo quartetto  https://www.youtube.com/watch?v=Jkm5q6fNdrw che vede le due chitarre di Jay Willie, anche alla slide e Bob Callahan, alla guida delle operazioni e un paio di ospiti di qualità a dare man forte, l’ottimo Jason Ricci all’armonica in alcuni brani e Suzanne Vick che canta Fly Away, uno dei brani più noti di Edgar Winter https://www.youtube.com/watch?v=vcFNzuKsBHY .

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D’altronde un CD che parte con Rumble di Link Wray e si chiude con con For What It’s Worth di Stephen Stills, per definizione “dovrebbe” essere buono. Sono dieci brani, che spaziano in tutte le tematiche del Blues, quello “forte” e quattro bonus dal vivo poste in coda del dischetto. Loro lo hanno definito Texas Blues Music ma tra le influenze, oltre a Winter, citano anche la J Geils Band, Elvin Bishop, Canned Heat, Leslie West, che certo texani non sono, e tra i meno noti, James Montgomery e i Monkey Beat di Jim Suhler, oltre naturalmente ai grandi delle dodici battute, e per questo nelle note del libretto si parla anche di “electric post-Chicago rock-blues” (questa me la segno)! https://www.youtube.com/watch?v=3pTNhUvXUQA

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In effetti, ricorda Torello, Johnny Winter gli disse più volte che non era capace di suonare il blues e come il suo stile venisse più dagli Allman Brothers che dal blues classico, più che un rimprovero un complimento, a mio modo di vedere, ma sono punti di vista. La recente aggiunta alla formazione è il bassista Steve Clarke https://www.youtube.com/watch?v=T33kDhvoirs , uno che ha suonato con Mike Stern, Yellow Jackets, Tower of Power, e quindi aumenta la quota funky-fusion della band. Ma si nota poco, almeno a giudicare dall’iniziale cover di Rumble https://www.youtube.com/watch?v=4RQK6JSPISk , dove il turbolento drumming di Torello si scontra con la fluentissima armonica di Ricci, un vero virtuoso dello strumento, più dalle parti di John Popper che dei nomi classici, con le chitarre che si limitano ad una coloritura del brano. Ma già in Dirty la slide di Jay Willie cerca di farsi largo, in un brano che però non pare memorabile, tra voci filtrate ed accenni di rap, molto meglio una lunga versione di Key To The Highway, dove i duelli tra le chitarre e l’armonica sono più pertinenti al genere, anche se il problema è quello solito, né Willie Callahan hanno una gran voce, quindi il paragone con la J Geils Band, dove c’era Peter Wolf o i Canned Heat, con Bob Hite e Alan Wilson, è francamente improponibile, ma livello musicale parzialmente ci siamo https://www.youtube.com/watch?v=vnrm-I3H4o8 .

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In Bad News di Callahan, più sul R&R, si aggiunge il sax di Ted Stakush in sostituzione dell’armonica, mentre Rotten Person, scritta e cantata da Torello, vira verso il Sud con una bella slide, ma quando arriva qualcuno che ha una bella voce, come Suzanne Vick, si sente la differenza, nella piacevole ballata di Edgar Winter, Fly Away, con l’armonica di nuovo in bella evidenza, magari poco blues ma godibile, ancorché non memorabile. Altri due brani di Bob Callahan, Come Back, una blues ballad e il funky di The Leetch, si salvano grazie agli interventi dei solisti ma non brillano https://www.youtube.com/watch?v=3NMaw-xHBN8 , più vitale il classico It Hurts Me Too, in una versione che peraltro non entrerà negli annali della musica. Caballo, finalmente, è quel Texas rock-blues di cui tanto si era parlato, grintoso ed energico, come sono i quattro brani finali dal vivo, registrazione meno brillante ma il suono si fa più sporco e vitale, prima in Hold Me Tight Talk Dirty, con le chitarre finalmente fumiganti, in una ottimaTore Down https://www.youtube.com/watch?v=8vd0PgMREHU , nel classico Rhythm & Blues della Mercy, Mercy, Mercy scritta da Joe Zawinul per Cannonball Adderley e che si avvale del sax di Stakush, e nella citata canzone di Stills, più rock dell’originale, ma che non turberà i sonni dell’autore.

Bruno Conti

Meglio “Solo” Che Accompagnato, O Anche Non Un Vero Texano Ma… Mike Zito And The Wheel – Songs From The Road

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Mike Zito And The Wheel – Songs From The Road – CD+DVD Ruf Records

Questa volta telecamere e tecnici della Ruf (o chi per loro), sono in trasferta in Texas, al Dosey Doe In The Woodlands, nei sobborghi di Houston. A differenza di altri titoli recensiti della serie, parliamo del DVD (visto che i contenuti sono più interessanti, e diversi, nel supporto video). La confezione si vende sempre insieme, il CD ha undici brani, il DVD tredici: però il DVD ha sei brani non presenti nel disco audio (più un lungo contenuto extra), che a sua volta ha tre canzoni non inserite nel DVD. Non facevano prima a farli uguali, dato che sono uniti? Sì, ma SSQCD (sono strane queste case discografiche, ci devono essere dei pensatori non indifferenti alle spalle di queste mosse)! Quello che conta è che il contenuto è tra i migliori in assoluto di questa serie Songs From The Road. Mike Zito, oltre ad essere uno dei Royal Southern Brotherhood, ha anche una avviata carriera solista, con i suoi The Wheel, e l’ultimo album, Gone To Texas , ma anche i precedenti non sono male, è stato segnalato da chi scrive tra le cose migliori in ambito rock-blues-roots-soul-southern, c’è un po’ di tutto nella sua musica e io ve lo ricordo http://discoclub.myblog.it/2013/06/15/girovagando-per-il-sud-degli-states-mike-zito-gone-to-texas/ .

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Anzi, vi dirò di più, lo preferisco in questa versione rispetto ai RSB. Ma torniamo sul palco, Zito è accolto come uno di casa (anche se in effetti è un texano oriundo di St. Louis, Missouri) sull’accogliente palco del piccolo locale caratteristico Dosey Doe, il pubblico è caldo e affettuoso e Mike li ripaga con una grande prestazione: Don’t Break A Leg, posta in apertura, sembra un incrocio tra James Brown e l’Average White Band, un funky-rock che, grazie anche alla presenza di Jimmy Carpenter al sax, scalda i presenti. Greyhound è subito un grande brano di stampo southern, ma con un riff stonesiano, venature soul e con Mike Zito bollente alla slide. I Never Kwew A Hurricane, scritta con il “socio” Cyril Neville, è un’ottima ballata deep soul che mette in evidenza la bella voce roca del nostro, nonché l’ottimo lavoro del sax di Carpenter, che è il solista del brano, e ottima spalla di Zito in tutto il concerto. Hell On Me è il primo Texas rock-blues, con chitarra, organo (Lewis Stephens, a occhio un veterano di mille battaglie) e sax a spalleggiare Mike, che inizia a pigiare sul pedale del wah-wah con mucho gusto. Notevole anche Pearl River, nuovamente firmata con Neville, uno slow blues di grande intensità, con Zito ispirato sia nella parte vocale come in quella solistica, con un assolo da sentire, per tecnica e feeling.

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Dirty Blonde è sempre Texas blues, ma innervato anche da una dose di R&R, grazie alla presenza del sax e con Stephens che ci regala un bel intervento quasi barrelhouse al piano, prima di lasciare spazio alla solita chitarra malandrina. One Step At A Time è una bellissima canzone scritta da Anders Osborne, con Zito che passa all’acustica e trasforma questa ballata mid-tempo con accenti quasi segeriani (nel senso di Bob). Ottimo anche Subtraction Blues, un funky-blues-rock alla Little Feat, con Stephens e Zito che fanno i Payne e i Lowell George (o Barrére, fate voi) della situazione, mentre Judgment Day, scritta con Gary Nicholson, è il momento Stevie Ray Vaughan della serata, un ennesimo Texas Blues, ma di quelli veramente “cattivi”, sempre sostenuto dall’ottimo lavoro di raccordo del sax, la solista ci regala un assolo, diviso in due parti, teso e lancinante, rilanciato da un finale che termina in un’orgia di wah-wah. Gone To Texas è la canzone più bella di Mike Zito, praticamente la storia della sua vita verso la redenzione, un southern rock d’autore, cantato a voce spiegata, melodia ben delineata e la parte strumentale che ricorda la Marshall Tucker Band per quella interazione sax/chitarra (eh, Toy Caldwell, bei tempi).

Let Your Light Shine On Me, solo voce e chitarra acustica, è l’occasione per un simpatico siparietto, con la piccola figlia di Zito che sale sul palco ad “aiutare” il babbo, che poi, per il finale del concerto, passa a una bellissima Gibson Flying V azzurra, quella a freccia per intenderci, infila il bottleneck e anche un blues di quelli duri e puri, Natural Born Lover, torrenziale e travolgente, con la slide che vola scatenata sul manico della chitarra. L’ultimo brano, Texas Flyer, è un altro funky blues molto coinvolgente, con tutto il gruppo in spolvero. Negli extra del DVD, c’è una sezione chiamata Storyteller Videos (sulla falsariga della trasmissione di VH1) dove Zito racconta la genesi di tre suoi brani e li esegue in acustico: Tornando al CD, troviamo ancora una bella cover di Little Red Corvette di Prince, quasi springsteeniana, una “libidinosa” Rainbow Bridge, che ricorda ancora il miglior Seger e C’mon Baby, altra lunga ballatona struggente. Gli americani dicono “Value For Money”, non posso che ribadire, gran bella musica. La recensione è finita, ma me lo sparo un’altra volta e confermo, meglio “solo” (ossia senza RSO), che “male” accompagnato!

Bruno Conti