Torna La “Veterana” Del Rock Indipendente. Thalia Zedek Band – Eve

thalia zedek band eve

Thalia Zedek Band – Eve – Thrill Jockey Records/Goodfellas

Di questa signora e della sua storia musicale (che ha attraversato 35 anni del rock indipendente americano), è tutto documentato dalle precedenti recensioni fatte su questo Blog,  in occasione delle uscite degli album Via (13) e  dell’EP Six (14) sempre editi dalla Thrill Jockey Records http://discoclub.myblog.it/2013/03/20/dal-post-punk-alla-via-dark-thalia-zedek-band-via/ . Ora Thalia Zedek torna (con mio sommo piacere) con questo nuovo lavoro dal titolo breve come i precedenti: Eve, composto da dieci tracce di “blues urbano”, cantate da una voce per certi versi unica, album che non fa rimpiangere il suo passato con i Come, e i “classici” di quel periodo.

I suoi “complici” in questa nuova avventura sono come sempre dei musicisti al suo fianco sin dal 2001, come il violista David Michael Curry e il bravo pianista Mel Lederman, con l’aggiunta di Winston Braman al basso, Jonathan Ulman alla batteria e percussioni, con la stessa Zedek che suona le chitarre. Fin dai primi accordi di una grintosa Afloat si entra fortemente nella musica di Thalia, con una sezione ritmica “underground” a dettare il ritmo, pezzo a cui fanno seguito una 360° memore dei tempi andati con il suono della chitarra sincopato, la lenta liturgia di una canzone dolente come Be The Hand, per poi passare alla pianistica Illumination (che sembra quasi cantata da Nico), e una ballata blues notturna con la voce in primo piano come You Will Wake. Lo spirito di John Cale si manifesta fortemente durante lo sviluppo sonoro di Northwest Branch, canzone che fa da preludio al capolavoro del disco, rappresentato dalle forti tensioni di una Not Farewell, che parte in sordina con pochi accordi di chitarra, poi lentamente entra tutta la band e la musica nel finale si dilata in una forma simil “psichedelica”, mentre la viola accompagna una robusta sezione ritmica in Try Again, andando poi a chiudere in chiave folk con una elettro-acustica (Tom Verlaine style) Walking In Time, e infine All I Need una canzone d’amore in forma “unplugged”.

Thalia Zedek è nota principalmente per la sua militanza nei “bostoniani” Come, ma da quando, dal 2001, ha intrapreso la sua carriera solista, tutto il rock “indie” in fondo deve riconoscerle e restituirle, almeno in parte, la giusta considerazione che (purtroppo) non ha mai avuto in carriera. In questo ultimo lavoro Eve, come al solito la scrittura di Thalia e il suo “background” urbano danno alle canzoni un suono semplicemente affascinante, con una strumentazione tagliente e dolente, sorretta da una voce rauca e nello stesso tempo intensa, con momenti di dolore di rara intensità. Se alla fine di questo percorso non vi ho convinto, consiglio comunque il CD a chi ama il “genere”, e in passato è stato legato ai meravigliosi Come di Chris Brokaw e Thalia Zedek: a ben vedere dischi come questo non solo sono una rarità, ma sono toccasana per la cura dell’anima.!

Tino Montanari

Piccoli, Ma Buoni! Thalia Zedek Band – Six e Shelby Lynne – Thanks

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Thalia Zedek Band – Six – Thrill Jockey Records

Shelby Lynne – Thanks – Everso Records

Parafrasando il famoso detto “Pochi, Ma Buoni” eccoci a parlare di due EP, quindi piccoli nel formato, ma assolutamente buoni nel contenuti.

Torna dopo breve tempo dall’ultima sua uscita dello scorso anno Via, http://discoclub.myblog.it/2013/03/20/dal-post-punk-alla-via-dark-thalia-zedek-band-via/ , Thalia Zedek, una tipa che dopo aver suonato con i Dangerous Birds, Uzi, Live Skull, Come (il gruppo di maggior successo) si è ritagliata una sua personale carriera, con una manciata di dischi a suo nome, di cui questo EP, come da titolo, contiene 6 brani, e quindi, ovviamente (alla Catalano) Six.

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Thalia come al solito si appoggia alla sua attuale band, composta da Winston Braman al basso, Jonathan Ulman alla batteria e percussioni, David Michael Curry alla viola, e il bravissimo Mel Lederman al pianoforte, per una musica che racchiude il lirismo che l’ha sempre contraddistinta.

Apre il blues rabbioso e disperato di Fell So Hard, uno dei pezzi più belli del mini-album https://www.youtube.com/watch?v=CvGReT6D5BY , seguito da momenti più riflessivi come la cantilena melodica Julie Said, lo strumentale solo con arpeggio di chitarra di Midst, i suoni decisi e impetuosi di Dreamalie, o brani più classici come Flathand cantata in duetto con Hilken Mancini, fino ai sette minuti della conclusiva Afloat, un brano “dark” intimista e ricco di oscurità.

Come sempre la voce di Thalia Zedek è riconoscibile e caratteristica, a tratti roca e dura, a volte melodiosa, in canzoni dove pianoforte e viola si aggiungono a distorsioni e riff di chitarra, oltre a batterie martellanti ed evoluzioni di violino, per un lavoro crudo e grintoso.

Se entrerete nella musica della Zedek (spero in molti), Thalia vi porterà in un viaggio lungo e oscuro dentro la vostra anima, ma ne varrà sicuramente la pena, perché scoprirete un EP di non facile ascolto, ma di indubbio fascino.

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La seconda signora risponde al nome di Shelby Lynne (sorella di Allison Moorer, maritata con Steve Earle), ad inizio carriera era partita come una country-singer di modeste ambizioni, ma in seguito ha saputo reinventare se stessa ed il suo repertorio con un disco importante come I Am Shelby Lynne (99) che le valse la vittoria al Grammy Award(come miglior artista esordiente), a cui fecero seguito altre buone prove come ad esempio Just A Little Lovin’ (2008), un tributo a Dusty Springfield.

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Dopo, forse, il suo disco più personale Revelation Road (2012), ed un Live uscito in vari formati http://discoclub.myblog.it/2013/01/16/una-bella-voce-femminile-on-stage-shelby-lynne-cd-dvd-live/ , si ripresenta con questo EP, Thanks, che consta di cinque pezzi registrati in proprio, con musicisti di valore come Michael Jerome, il batterista, tra gli altri, di Richard Thompon e John Cale, Ed Maxwell al basso, Ben Peeler al mandolino e chitarra e la leggendaria cantante (e anche pianista per l’occasione) Maxine Waters, un mini album dove lap steel, organo e pianoforte fanno da tappeto sonoro a canzoni dalle marcate influenze blues e country-gospel.

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Il brano iniziale Call Me Up, dal ritmo sostenuto, è proprio un country-gospel con tanto di coro d’ordinanza https://www.youtube.com/watch?v=qGhgCENXiXQ , a cui fanno seguito una Forevermore con la lap steel del co-produttore Ben Peeler in spolvero, il blues gospel di una Walkin’ cantata con l’anima nera di Mahalia Jackson, la ballata fascinosa e lenta This Road I’m On https://www.youtube.com/watch?v=vDyuoSvmgxk  e la conclusiva title track Thanks, una preghiera declamata con fervore dalla sorella più brava della famiglia Moorer.

E’ un peccato constatare che Shelby Lynne e altre artiste della sua generazione (mi viene in mente Joan Osborne) debbano ricercare nuovi stili musicali per uscire dal quasi anonimato, ed essere considerate solamente “oggetto di culto”. In ogni caso una chance a questo EP fareste bene a darla, in quanto Shelby Lynne è una Dusty Springfield dei nostri giorni (e per chi scrive) anche più sexy e provocatoria.

Tino Montanari

Storie Di Fantasmi! Willard Grant Conspiracy – Ghost Republic

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Willard Grant Conspiracy – Ghost Republic – Loose Music 2013

Robert Fisher, ormai unico membro fisso e indiscusso leader dei Willard Grant Conspiracy, è un narratore di storie, lo è da più di quindici anni e questo ultimo lavoro Ghost Republic (si avvicina molto ad un concept-album), è un ulteriore conferma. Formatisi a Boston nella prima metà degli anni ’90, i Willard Grant Conspiracy (fondati da Robert Fisher e Paul Austin ex Walkabouts) danno vita a quello che è stato etichettato “country-noir” o “gothic-country” (personalmente aggiungerei anche “psichedelia contadina”), mantenendo un’identità stilistica che ha permesso loro di cavalcare “l’alt-country” ed arrivare indenni al “neo-folk”, attraverso album meravigliosi quali Flying Low (98) (da recuperare assolutamente), Mojave (99), Everything’s Fine (2000), Regard The End (2004), Let It Roll (2006), Pilgrim Road (2008) e Paper Covers Stone (2009,) una rilettura di alcune delle canzoni più belle del loro repertorio.

Da segnalare inoltre il primissimo EP d’esordio 3am Sunday@ Fortune Otto’s (96) la collaborazione anomala con il gruppo olandese dei Telefunk In The Fishtank  (2002) e le due preziose antologie The Green, Green Grass Of  Slovenia (2000) e There But For The Grace Of God (2005). Da anni Fisher si è ritirato a vivere nel deserto del Mojave , dal quale trae l’ispirazione per questo lavoro, nato dal progetto letterario Ghost Republic, complice la poetessa Nicelle Davis che ha chiamato alcuni colleghi a scrivere un poema sulla città di Bodie (una delle tante “ghost town” abbandonate americane), attorno al quale ruotano i personaggi della storia.

Accompagnato dal bravissimo violinista David Michael Curry (membro della band di Thalia Zedek, nonché il musicista più presente nelle varie line-up del gruppo), Robert narra con la sua voce baritonale, storie di frontiera, traversie di vita e di morte, il tutto registrato nello studio di Curry nel Massachusets, a testimonianza di uno splendido sodalizio artistico. La narrazione inizia con l’intro strumentale Above The Treeline, e prosegue con la scarna malinconia di Perry Wallis, l’elegia strumentale di Parsons Gate Reunion, mentre The Only Child  e la Title Track sono delle perfette “american gothic”. Dopo un sorso di Bourbon, la narrazione continua con gli archi della spettrale Rattle And Hiss e il violino straziante di Take No Place, la ninna nanna “noir” di Good Morning Wadlow, mentre con Piece Of Pie e The Early Hour il suono cambia con lancinanti abbozzi elettrici, che rimandano alla scuola dei Velvet Underground. La narrazione (purtroppo) volge al termine con il jazz e le distorsioni chitarristiche di Incident At Mono Lake e New Years Eve, per poi emozionare e commuovere con la recita conclusiva di Oh We Wait, dove il violino di David Curry e la voce baritonale (che sa di polvere, sabbia e bourbon) di Robert Fisher, danno il senso di cosa sia la malinconia dei perdenti.

Fin dal primo ascolto Ghost Republic, viene sviscerato attraverso oscure ballate dall’incedere lento, incentrate su intrecci di strumenti a corda (chitarra, viola e violino) a fare da sfondo alla voce profonda e vibrante di Robert Fisher (un condensato di Nick Cave, Mark Lanegan e Lou Reed), una musica sospesa nel tempo, musica che i Willard Grant Conspiracy disegnano in modo molto profondo, con figure di ribelli solitari e idealisti, metafora perfetta dell’America di ieri, di oggi e di domani. Crepuscolare.

Tino Montanari

Dal Post Punk Alla “Via” Dark! Thalia Zedek Band – Via

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Thalia Zedek Band – Via – Thrill Jockey Records – 2013

Thalia Zedek ha vissuto da protagonista alcune delle vicende più interessanti del rock indipendente americano degli ultimi trent’anni, dai lontani esordi con band misconosciute come Dangerous Birds (un gruppo tutto al femminile), Uzi e Live Skull, passando per la consacrazione con i grandi Come dell’amico Chris Brokaw (ha lavorato con personaggi del calibro di Steve Wynn, Evan Dando e Willard Grant Conspiracy), fino all’esperienza solista dell’ultimo decennio. La storia musicale di Thalia, inizia nel 1982, anno di uscita di un singolo dei suoi Dangerous Birds. A seguire, come già detto, vennero gli Uzi e poi i Live Skull, ed infine quei Come (una band avant-rock bostoniana) che finalmente le dettero quel minimo di notorietà nel panorama indie-rock (per chi non li conosce Don’t Ask Don’t Tell (94) è ancora oggi un piccolo capolavoro). Dopo lo scioglimento di questi ultimi, per la Zedek è iniziata una carriera solista che conta già diversi titoli, partendo dal debutto di Been Here and Gone (2001) con l’ex Come Brokaw alle chitarre (con una bellissima cover di Cohen Dance Me To The End Of Love), cui segue l’EP You’re a Big Girl Now (2001). Nel 2004 in edizione limitata a 2000 copie, esce Hell Is In Hello una raccolta di brani eseguiti dal vivo, con alcune cover, la più suggestiva è certamente What A Wonderful World di Louis Armstrong, bissato da Trust Not Those In Whom Without Some Touch Of Madness (fare un titolo più corto non si può?) per arrivare all’ultimo disco in studio Liars And Prayers (2008).

Questo lavoro Via è stato scritto in due distinte sessioni, nel corso di ben quattro anni. La prima serie di canzoni è stata scritta durante il periodo del tour fatto da Thalia dopo l’uscita di Liars and Prayers, con il batterista storico dei Come Daniel Coughlin. Dopo la partenza di quest’ultimo la Zadek ha reclutato il batterista dei Son Volt Dave Bryson, e con David Michael Curry alla viola (collaboratore e membro di moltissime formazioni di primordine), e il bravissimo pianista Mel Lederman, sotto la produzione di Andrew Schneider, tutti si sono riuniti al New Alliance AndTranslator Audio di Brooklyn, e fra Giugno e Settembre dello scorso anno hanno elaborato questi nove pezzi sofferti, dove l’accompagnamento di una chitarra secca, e la viola di Curry (che riveste sempre maggior importanza), valorizzano il vocalismo della Zedek e il suo background urbano.

Guardo la copertina e chissà perché mi viene subito in mente On The Beach di Neil Young, ascolto l’iniziale Walk Away e non siamo molto lontani da quelle ballate, mentre Winning Hand è abrasiva  e sofferta nel suo incedere, per poi passare alle impetuose sonorità di Get Away. He Said  un brano con le chitarre a dettare un ritmo acido, e poi a seguire brani “classici” come In This World e Straight and Strong, dove gli impasti di chitarra, pianoforte e sezione ritmica, costituiscono il cuore delle canzoni. Ci sono poi  aperture più melodiche nella ballata Go Home, dove la viola di Michael Curry accompagna in crescendo il canto di Thalia, mentre nella seguente Lucky One, una lunga e vibrante composizione, sembra che a suonare ci siano Neil Young e i suoi Crazy Horse. Want You To Know è la degna conclusione di un bel disco, una ballata acida con impetuosi accordi di chitarra, una batteria martellante, con assoli e accenni di psichedelia, lontana anni luce da certe zuccherose canzoni lente che invadono il mercato musicale.

Indipendentemente dal suo essere “pioniera” del rock indipendente, la Zedek, arrivata al quinto disco, ancora una volta conferma di essere una cantautrice di gran talento, con un suono tra classicismo e indie-sound, una voce profonda e sofferta (potrebbe assomigliare a una PJ Harvey più roca), sostenuta da una onesta ispirazione, sempre più viva e pulsante. Concludo, dicendo che se David Lynch (famoso regista) avesse voglia di ricostruire le atmosfere di Cuore Selvaggio (indimenticabile capolavoro della sua filmografia) e farne un seguito, ascoltando questo CD, si troverebbe tra le mani la sua perfetta colonna sonora. Bentornata sorella Thalia.

Tino Montanari

Novità Di Marzo Parte III. Billy Bragg, Black Rebel Motorcycle, Low, Jackie Oates, Suede, Phosphorescent, Thalia Zedek Band, Tift Merritt, Alan Wilson

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Eccoci al terzo appuntamento mensile con le uscite di marzo, siamo arrivati a quelle del 19 marzo. Confermo per oggi le uscite del magnifico box limitato in 7 CD di Duane Allman Skydog e quella di Love For Levon, il concerto tributo al grande Levon Helm, in varie versioni, di cui leggerete la recensione a cura di Marco, penso entro giovedì, entrambe le uscite solo per il mercato americano. Del vinile Black Crowes avete già letto, altre uscite non in lista verranno recensite a parte, per cui partiamo.

Billy Bragg, a parte la ripubblicazione lo scorso anno del box dedicato a Woody Guthrie, registrato con i Wilco, e ad una antologia Fight Songs, nel 2011, era dal 2008 del discreto Mr. Love And Justice che non pubblicava nulla di nuovo. Sempre per la solita Cooking Vinyl rompe il silenzio con questo Tooth And Nail, che è un signor disco, registrato in quel di Pasadena, California con la produzione di Joe Henry. Sono dodici brani, due scritti con Henry, una cover di Guthrie, naturalmente il tutto è registrato con i soliti musicisti del produttore californiano: Jay Bellerose, Greg Leisz, David Piltch e Patric Warren, sinonimo di qualità. E, altrettanto naturalmente, un classico ormai, c’è una versione Deluxe CD+DVD (di non facile reperibilità, in uscita qualche giorno dopo). Nel DVD ci sono 10 video tratti dal vecchio repertorio di Bragg, questi per la precisione:

1. Levi Stubbs Tears 1986 (Video)
2. Greetings To The New Brunette 1986 (Video)
3. She’s Leaving Home 1988 (Video)
4. Waiting For The Great Leap Forwards 1988 (Video)
5. Sexuality 1991 (Video)
6. You Woke Up My Neighbourhood 1991 (Video)
7. Accident Waiting To Happen 1992 (Video)
8. Upfield 1996 (Video)
9. Boy Done Good 1997 (Video)
10. Take Down The Union Jack 2002 (Video)

Anche il nuovo album dei Black Rebel Motorcycle Club, Specter At The Club, avrà una versione limitata, ma si parla semplicemente di una confezione leggermente differente. Si tratta del settimo album per i BMRC, il primo per la band californiana a non venire prodotto da Michael Been, scomparso per un infarto nel 2010, che oltre ad avere questo incarico era anche il padre del bassista Robert Levon, e, per chi li ricorda, il cantante di un ottimo gruppo rock anni ’80 e ’90, The Call.

Altro trio indie americano, i Low, pubblicano il nuovo CD, il decimo della serie, The Invisible Way, prodotto da Jeff Tweedy e registrato negli studi di Chicago dei Wilco, sull’etichetta indie per eccellenza, la Sub Pop. Se ne parla molto bene e, come al solito, le parti vocali sono divise tra il cantante e chitarrista Alan Sparhawk e la batterista e cantante Mimi Parker (più in evidenza in questo album), che come molti sanno, sono anche una coppia nella vita, con prole. Molti li hanno definiti i Gram Parsons ed Emmylou Harris dell’alternative rock morbido e un fondo di verità (anche qualcosa di più) c’è. Se non li conoscete, assolutamente da scoprire, molto bravi.

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Un terzetto di gentili donzelle, anzi quattro, perché un disco è attribuito ad una coppia.

La copertina del disco di Thalia Zedek deve essere stata realizzata sul bagnasciuga di qualche stabilimento balneare italiano, dall’inequivocabile scritta “Bagno N.13” e anche il titolo Via, non è propriamente inglese, anche se esiste pure in quella lingua. Ma lo nostra amica è originaria di Washington, DC ed è nota, oltre che per un passato punk influenzato da Patti Smith, per essere stata, con Chris Brokaw, la fondatrice dei Come, una buona band rock alternativa di Boston, in attività soprattutto tra il 1990 e il 2001, ma ancora oggi soggetta a sporadiche reunion, la prossima proprio a maggio 2013 per festeggiare il 20° anniversario dell’uscita di Eleven Eleven o 11:11 se preferite, il loro disco migliore, anche se il disco sarebbe uscito nel luglio 1992, ma sapete ormai che le date sono degli optionals per le case discografiche. Nel frattempo come Thalia Zedek Band, per la Thrill Jockey esce questo nuovo Via, di cui, a parte, leggerete la recensione di Tino (perché nel Blog si lavora e si produce indefessamente)!

La coppia è abbastanza “strana”: Tift Merritt è una ottima cantautrice americana molto apprezzata da chi scrive sul Blog, mentre Simone Dinnerstein è una pianista classica emergente, newyorkese, paragonata dalla critica addirittura a Wanda Landowska (che però il vostro fedele scrivente sapeva essere, grazie alle frequentazioni del negozio che dà il nome al Blog e quindi avendo una discreta conoscenza anche del repertorio classico, una delle massime interpreti della musica di Bach, è vero, ma come clavicembalista). Comunque al di là di presunte errate notizie, la coppia funziona: la voce chiara e cristallina della Merritt unita al fluente stile pianistico della Dinnerstein si cimenta con una serie di brani inconsueti, Bach e Chopin, ma anche un Brad Mehldau inedito e un tributo a Leonard Cohen da parte di Simone, brani di Patty Griffin e della stessa Merritt scritti per l’occasione, oltre a una bella versione del traditional Wayfaring Stranger per Tift, che canta con grande classe tanto da sembrare quasi una novella Judy Collins, nel suo periodo folk anni ’60. Etichetta Sony Masterworks Classical. Strano, ma molto piacevole, non nell’accezione negativa del termine.

Jackie Oates è una delle tante voci femminili che stanno popolando questa sorta di rinascimento della musica folk inglese. Lullabies è il suo quinto album da solista, pubblicato dalla ECC (salute! scusate ma non ho resistito), registrato in parte anche in Islanda con musicisti locali, alterna materiale tradizionale, pezzi strumentali (la Oates è anche una ottima violinista come testimonia il suo lavoro con gli Imagined Village, il gruppo di Simon Emmerson, ex leader degli Afro Celt Sound System, citati nel Blog, in passato, per la loro partecipazione al Cambridge Folk Festival e perché sono considerati tra gli eredi di gruppi come Incredible String Band e Pentangle) e anche qualche cover inconsueta come Junk di Paul McCartney o Sleeper’s Awake di Mike Heron degli appena ricordati Incredible String Band. A ulteriore merito di Jackie Oates possiamo ricordare che faceva parte della prima versione delle Unthanks una delle migliori formazioni di questa new Wave del British Folk, Kate Rusby, Eliza Carthy, Heidi Talbot, Alasdair Roberts, Seth Lakeman, Mary & Cara Dillon, Emily Portman e tanti altri che spesso ricordo su questo Blog, aggiungere anche la Oates alla lista, molto brava! Non c’entra niente (o forse sì, sentendo questa musica), ma mi è arrivata una mail che annuncia l’uscita, per il 27 maggio, del nuovo album di Laura Marling, Once I Was An Eagle. Ma ci sarà tempo per parlarne.

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Uno strano terzetto.

Dopo il clamoroso flop, di critica e di pubblico, di A New Morning, uscito nel 2002 e costato qualcosa come un milione di sterline, senza entrare neppure nei Top 20 delle classifiche inglesi (in America neppure era uscito), gli Suede si erano sciolti. Ora, sempre con la guida di Brett Anderson (gran voce comunque, a prescindere dal genere) ma sempre senza Billy Butler che si è riciclato come autore e produttore, la sua cliente più nota è senza dubbio Duffy, tornano con questo Bloodsports, nuova casa discografica la Warner Bros. E se il ritorno di David Bowie è stato salutato con favore, anche gli Suede, eredi del glam bowiano, ora divenuto alternative, hanno avuto buone critiche, come non accadeva dai tempi di Coming Up del 1996.

Buone critiche hanno sempre ricevuto anche i Phosphorescent, che è poi il “nom de plume” di Matthew Houck, ottimo cantante ed autore, originario dell’Alabama e che ora opera a New York, ma il cui stile indie-rock, indie folk, indie country, si ispira molto anche a quello di Willie Nelson, tanto da registrare un intero album, To Willie, dedicato al grande musicista texano che, detto per inciso, alla fine di Aprile compirà 80 anni. Il nuovo album di Houck esce come al solito per la propria etichetta la Dead Oceans Records, ispirato da una trasferta messicana, si chiama Muchacho, ma è il solito piacevole ibrido di vari stili musicali, con country, rock, ballate springsteeniane, bella musica atmosferica, molto curata nei dettagli, in definitiva un nome da tenere d’occhio, tra i migliori di quelli “nuovi”.

Per finire la lista delle uscite oggi, è stato pubblicata la settimana scorsa per la Severn, ma vedrà la luce solo il 16 aprile negli Stati Uniti, questa doppia antologia dedicata a The Blind Owl, Alan Wilson, il non dimenticato leader dei Canned Heat, morto per overdose di barbiturici o droghe, o entrambi (ma per molti fu suicidio, anche perché ci aveva già provato altre due volte) il 3 settembre del 1970, quindici giorni prima di Jimi Hendrix, anche lui, per quanto meno noto, facente parte del cosidetto Club dei 27, per l’età a cui ci lasciò. Il soprannome “Gufo Cieco” era dovuto ad una fortissima miopia per cui non riconosceva nessuno, già da mezzo metro di distanza. Personaggio particolare, interessato alla ecologia e alla preservazione del verde e delle foreste, in tempi in cui nessuno se ne occupava, era anche un grande bluesman, autore e chitarrista slide di pregio, con quella voce particolare, sottile e quasi femminea che è rimasta legata a brani come On The Road Again e Going Up To The Country (che si ascoltava all’inizio di Woodstock il film) ed era in chiara contrapposizione con il vocione di Bob “The Bear” Hite, ma la somma dei due, più due chitarristi eccezionali, l’altro, a rotazione, Henry Vestine o Harvey Mandel, un bassista prodigioso come Larry Taylor (che sembrava come posseduto nei filmati sempre di Woodstock) e un batterista con un nome che lo rendeva il compagno ideale di Zagor, Adolfo Fito De La Parra, hanno reso i Canned Heat uno dei più grandi gruppi di boogie-blues-rock di tutti i tempi, compagni ideali per alcune avventure di John Lee Hooker e band formidabile dal vivo. Alan Wilson era anche un grandissimo armonicista e profondo conoscitore di Blues, come il suo collega Hite, di cui si diceva avesse una collezione di 78 giri blues tra le più ricche e complete mai esistite. Questo doppio della Severn raccoglie 20 brani, i suoi classici, molte rarità e versione inedite dal vivo e in studio, questo il contenuto:

Disc One

1. On the Road Again
2. Help Me
3. An Owl Song
4. Going Up the Country
5. My Mistake
6. Change My Ways
7. Get Off My Back
8. Time Was
9. Do Not Enter
10. Shake It and Break It
11. Nebulosity/Rollin’ & Tumblin’/Five Owls

Disc Two

1. Alan’s Intro
2. My Time Ain’t Long
3. Skat
4. London Blues
5. Poor Moon
6. Pulling Hair Blues
7. Mean Old World
8. Human Condition
9. Childhood’s End

Alla prossima!

Bruno Conti