Un Vero Gruppo “Stracult”: Pepite O Ottone? The Monks – Monk Jam Live

monks monk jam live

The Monks – Monk Jam Live – Cavestomp/Rockbeat Records

Il fenomeno dei cosiddetti dischi di culto è sempre stato croce e delizia per gli appassionati alla ricerca di chicche gustose provenienti dal passato, ma nel caso dei Monks, usando il titolo di una trasmissione televisiva un po’ trash, più che di cult band dovremmo parlare di “Stracult”. Autori di un unico album, Black Monk Time, pubblicato in origine nel 1966 dalla Polydor, i Monks erano un quintetto di militari americani di stanza in Germania che per diletto si erano dedicati ad uno stile che giustamente, a posteriori, è stato definito proto punk o garage ante litteram, ma che all’uscita non ebbe un’accoglienza particolarmente calorosa della critica, e meno ancora dal pubblico, che a parte alcuni appassionati scatenati non era certo numeroso https://www.youtube.com/watch?v=7TvvvQS1aro . Il disco, secondo chi scrive, poi è stato rivalutato anche al di là dei suoi effettivi meriti, però rimane un manufatto di sicuro valore di quell’epoca gloriosa del rock: certo dire che le loro canzoni erano “commentari socio-politici degni dei Fugs” e che “Black Monk Time è uno degli album più formidabili degli anni ’60”, aggiungendo che se i Beatles impressionavano folle di ragazzini perbene (e comunque i Beatles suonarono negli stessi locali di Amburgo, anni prima), i Monks li spaventavano con brani come Drunken Maria (accusata di blasfemia), I Hate You, Shut Up e Complication,  denota la voglia di stupire da parte di chi lo scrive.

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Se però gente come Stooges, Velvet Underground, MC5, Captain Beefheart, persino i Sonics, e tutti gli artisti presenti in Nuggets, con diversi gradi di fama, sono giunti ai giorni nostri e i Monks no, un motivo ci sarà pure stato! Anche il fatto di presentarsi vestiti da frati, pure con la tonsura nel taglio di capelli, mi puzza tanto di idea promozionale, un po’ come Paul Revere and The Raiders che si vestivano da patrioti della guerra di indipendenza americana o Johnny Kidd & The Pirates, appunto da pirati, con tanto di banda nera sull’occhio. Certo, lo stile dei Monks era un garage, ruvido, distorto e tirato, che oggi ed allora viene citato come fonte di ispirazione per Clash e Sex Pistols, che però secondo me manco li conoscevano, ma probabilmente, oltre ai vari gruppi garage citati poc’anzi, si avvicinava di più agli episodi sonori più tirati dei primi Kinks o Who, con l’aggiunta di un organetto selvaggio e di un banjo elettrico amplificato che sicuramente era una primizia ai tempi. Il gruppo all’inizio del 1967 si sciolse e se non fosse stato per la mania delle ristampe che ha portato alla ripubblicazione di qualsiasi reperto discografico di un minimo interesse, mania che prosegue ai giorni nostri, nell’aprile del 1999 non ci sarebbe stato questo Cavestomp Garage Rock Festival, al Westbeth Theatre di New York, per la prima esibizione live in terra americana dei Monks.

Concerto che venne pubblicato su CD una prima volta nel 2000 come Let’s Start A Beat – Live From Cavestomp, poi l’anno dopo dalla spagnola Munster e oggi dai tipi della Rockbeat. Il disco è sempre lo stesso, le note mi pare pure, forse il suono è leggermente migliorato, ma non ci giurerei, comunque il disco è divertente e tirato, se amate quel R&R sporco e selvaggio, chiedere a Peter Zaremba e a suoi Fleshtones, Fuzztones, Chesterfield Kings, oltre che a Seeds, Count Five, Blues Magoos e gli altri ricordati, nei 50 minuti abbondanti del disco ci sono tutti i “successi” del gruppo, sedici brani, con un paio che si avvicinano addirittura ai sei minuti, dove l’organo di Larry Clark è l’elemento principale, ma anche la chitarra di Gary Burger, pure voce solista e il banjo elettrico distorto di Dave Day contribuiscono a creare questa atmosfera da party time eterno, reiterato ed estremo, con il basso pulsante di Eddie Shaw (l’unico con una carriera musicale, a parte i Monks è stato anche il bassista dei Copperhead di John Cipollina) a dettare i tempi, voci rauche e coretti demenziali, esplosioni di chitarra psych improvvise, che divertono il pubblico tra una reminiscenza sui vecchi tempi e l’altra e brani che scorrono da Monk Time a We Do, Wie Du, che piaceva molto ai tedeschi https://www.youtube.com/watch?v=udLefkSkhxw , alla brevissima Boys Are Boys ,la quasi ballata demenziale Pretty Suzanne, i singoli Cuckoo https://www.youtube.com/watch?v=H2b_JLjK9BM  e Complication  https://www.youtube.com/watch?v=uV5Gzbze7QI in sequenza, e il cavallo di battaglia I Hate You, strumentale stralunato e psichedelico, forse uno dei pochi che rafforza la loro fama di band intemerata e senza limiti, con un finale cantato abbastanza free form https://www.youtube.com/watch?v=ipcKTzAKRRc , seguito da una Monk Jam, sei minuti di improvvisazione libera su un tema beat alla Bo Diddley e derive garage pure, con chitarre, banjo e organo tartassati dai componenti della band https://www.youtube.com/watch?v=udLefkSkhxw . Probabilmente non dei geni ma dei “piccoli artigiani di culto”, nel frattempo scomparsi quasi tutti, con l’eccezione dell’organista Larry Clark e di Shaw. Per chi ama il genere un must, per gli altri la voglia di togliersi uno sfizio.

Bruno Conti