A 76 Anni Il Suo Primo Album Di Duetti. Judy Collins – Strangers Again

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Judy Collins – Strangers Again – Wildflower/Cleopatra Records 

Prima del parlare del disco, che a scanso di equivoci, lo dico subito, è molto piacevole, due parole sui miei “amici” della Cleopatra, una etichetta che, come sapete, amo in modo particolare. Perché hanno pubblicato una Deluxe edition del CD, come ho scoperto girando in rete, ma disponibile solo per il download digitale? Qualcuno potrà obiettare che questo Strangers Again dovrebbe essere un album di duetti solo con voci maschili, mentre nelle tre bonus c’è un brano cantato con Joan Baez (oltre ad uno con Stephen Stills e un altro con i Puressence), ma il discorso dovrebbe valere pure per la versione digitale, anche se a ben guardare, essendo la Cleopatra, le tre canzoni erano già uscite tra il 2011 e il 2012 su altri dischi. Comunque, piccole polemiche a parte, l’album è tipico della discografia di Judy Collins: arrangiamenti sontuosi  e complessi, quasi barocchi, che a tratti sfociano anche in sonorità orchestrali, mescolando il gusto per il vecchio folk delle origini, quando “Judy Blue Eyes” scopriva e interpretava, a fianco di molti classici della canzone popolare, le prime canzoni di Joni Mitchell, Leonard Cohen, Stephen Stills, Sandy Denny, ma anche Dylan, Beatles, Randy Newman, mantenendo comunque anche un proprio contributo a livello compositivo, non copioso ma sempre di buona qualità. Anche nell’ultimo album Bohemian, pubblicato nel 2011, a fianco di brani di Joni Mitchell, Jacques Brel (altro grande amore), Woody Guthrie, Jimmy Webb, c’erano quattro canzoni firmate dalla Collins, e tre duetti, con Ollabelle, Kenny White Shawn Colvin, un arte che la nostra Judy ha sempre frequentato ma che per la prima volta viene a completa fruizione in questo Strangers Again.

La scelta dei compagni di avventura è quanto mai eclettica, ci sono tutti i tipi di cantanti, noti, ignoti ed emergenti e sono affrontati tutti i generi musicali, con canzoni celeberrime di grandi autori ed alcune recenti o scritte appositamente per l’occasione. La Collins si produce da sola, con l’aiuto di molti co-produttori ed arrangiatori, da Buddy Cannon a Katerine De Paul, Mac McAnally e Mickey Raphael. Alan Silverman, Sven Holcomb e altri, che alternano quel suono che si diceva all’inizio, tra un pop-rock, vogliamo chiamarlo soft rock, e un sound orchestrale, a tratti malinconico, a tratti anche pomposo, con svolte quasi obbligate nel songbook della grande canzone americana, di Leonard Bernstein e Sephen Sondheim. Non è certo un capolavoro assoluto, ma chi vuole ascoltare una delle più belle voci della canzone americana, ancora pura e cristallina a tratti, a dispetto del tempo che passa, qui troverà pane per i propri denti e anche alcuni artisti poco conosciuti che magari vale la pena di investigare. Partiamo proprio da uno di questi ultimi: Ari Hest è un nuovo (diciamo poco conosciuto, visto che ha già pubblicato una decina di album), cantautore di New York, che apre le danze con la title-track Strangers Again, una bella ballata pianistica mid-tempo avvolgente, dove si apprezza anche la voce di Hest che ha qualche punto in comune con quella di Nick Drake, anche a livello compositivo, con quei toni melanconici ed autunnali. Amy Holland è un’altra cantautrice newyorkese, con soli tre album pubblicati in 35 anni di carriera, ma la sua Miracle River è un’altra soffusa ballata elettroacustica che unisce la voce cristallina della Collins con il baritono di Michael McDonald, con risultati piacevoli anche se a tratti zuccherosi, che è il limite di McDonald quando non si dedica al soul o al rock.

Belfast To Boston è un brano di James Taylor, tratto da October Road del 2002, una bella canzone di stampo folk-rock, con Marc Cohn che fa le veci di Taylor in modo egregio, è sempre un piacere ascoltarlo. Anche When I Go, firmata dai poco conosciuti Dave Carter e Tracy Grammer https://www.youtube.com/watch?v=YLXpaTu3qEI , è un eccellente veicolo per ascoltare l’accoppiata con Willie Nelson, altro grande esperto dell’arte del duetto, bella canzone, tra country, folk e derive quasi celtiche. Make Our  Garden Grow, dall’opera Candide di Leonard Bernstein, presenta un altro strano accoppiamento, questa volta con Jeff Bridges, che non è certo un virtuoso vocale e un po’ si perde nei florilegi orchestrali del brano, ma alla fine se la cava egregiamente, anche se il brano è “molto” crossover, quasi Bocelliano, più per amanti del musical che del rock. Feels Like Home è una delle canzoni più belle di Randy Newman, che però per non volendo sfigurare a livello vocale con il soprano della Collins ha mandato avanti a sostituirlo Jackson Browne, ed il risultato è uno dei brani migliori di questo CD. Thomas Dybdahl è un altro di quei nomi che vi dicevo varrebbe la pena di scoprire, cantautore raffinatissimo norvegese, ci propone, con un falsetto particolare, la sua From Grace, altro brano composito, molto adatto alle corde vocali della Collins. Di Bhi Bhiman vi avevo già parlato da queste pagine virtuali http://discoclub.myblog.it/2012/09/09/un-musicista-dallo-sri-lanka-questo-mancava-bhi-bhiman-bhima/, e si rivela partner ideale per la rilettura di uno dei pochi brani di Leonard Cohen che Judy Collins non aveva mai inciso, una sontuosa versione di Hallelujah, e non aggiungo nulla, anzi, bellissima!

Una rara concessione a sonorità più rock, con chitarre elettriche quasi spiegate, viene utilizzata per una energica versione di un classico di Ian Tyson Someday Soon, cantata con Jimmy Buffett, che per l’occasione rispolvera il sound country-rock delle origini, deliziosa. Aled Jones è un cantante e presentatore gallese, popolarissimo nel Regno Unito, adatto per il tuffo “diabetico” in una Stars In My Eyes, di nuovo con un alto tasso di zuccheri, diciamo non è tra le mie preferite del disco. Meglio, anche se siamo sempre più o meno da quelle parti,  pop orchestrale estratto dai grandi Musical, per Send In The Clowns, il pezzo di Stephen Sondheim che però è stato anche il più grande successo discografico di Judy Collins nel lontano 1975, qui cantata insieme a Don McLean, un altro che ha sempre saputo mescolare il folk e la canzone d’autore con i brani scritti per Perry Como, il diavolo e l’acqua santa. E per concludere un altro brano scritto da un cantautore recente come Glen Hansard, nome peraltro già conosciuto ed emergente che ha un nuovo disco in uscita in questi giorni, Races è un altro dei brani più belli di questo album con le due voci che si amalgamano alla perfezione. Qui finisce la versione fisica e ci sarebbero i tre bonus della versione digitale, con la cover di Last Thing on My Mind di Tom Paxton, cantata con Stephen Stills, particolarmente bella.

Mi sono dilungato più del solito ma era l’occasione per parlare di una delle più grandi cantanti della musica americana, che almeno di nome tutti conoscono perché era il soggetto di una delle canzoni più conosciute della storia del rock, Suite:Judy Blue Eyes era infatti dedicata a lei. Ci sono sicuramente album più belli nella discografia della Collins, penso a Wildlowers, Who Knows Where The Time Goes, Whales And Nightingales, o anche i primi 5 acustici e folk, in anni recenti i tributi a Leonard Cohen e ai Beatles, oppure i tanti Live usciti negli ultimi anni, per festeggiare i 50 anni di carriera, ma questo Strangers Again conferma che la classe non è acqua.

Bruno Conti